La prima pagina de "La gita a Tindari"
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Che fosse vigliante, se ne faceva capace dal fatto che la testa gli funzionava secondo logica e non seguendo l'assurdo labirinto del sogno, che sentiva il regolare sciabordio del mare, che un venticello di prim'alba trasìva dalla finestra spalancata. Ma continuava ostinatamente a tenere gli occhi inserrati, sapeva che tutto il malumore che lo maceriava dintra sarebbe sbommica- to di fora appena aperti gli occhi, facendogli fare o dire minchiate delle quali doppo avrebbe dovuto pentirsi. Gli arrivò la friscatina di uno che caminava sulla spiaggia. A quell'ora, certamente qualcuno che andava per travaglio a Vigàta. Il motivo friscato gli era cognito, ma non ne ricordava né il titolo né le parole. Del resto, che importanza aveva? Non era mai riuscito a friscare, manco infilandosi un dito in culo. «Si mise un dito in culo / e trasse un fischio acuto / segnale convenuto / delle guardie di città»... Era una fesseria che un amico milanese della scuola di polizia qualche volta gli aveva canticchiato e che gli era rimasta impressa. E per questa sua incapacità di friscare, alle elementari era stato la vittima prediletta dei suoi compagnucci di scuola che erano maestri nell'arte di friscare alla pecorara, |