Simone Borri, Andrea Cioci, AlessandroCrovetti, Valerio Fancelli, Roberto Nardini
NEWTON E L'OTTICA
Premessa
In questo lavoro su Newton abbiamo trattato solo alcuni dei tanti aspetti dellopera del famosissimo scienziato e filosofo inglese del 600; innanzitutto abbiamo tralasciato la parte filosofica, occupandoci esclusivamente di quella scientifica, in particolare dellottica.
Il lavoro si può dividere in quattro argomenti principali, per prima cosa faremo un introduzione su cosa fosse lottica prima e al tempo di Newton, delle teorie principali e dei più importanti ricercatori-filosofi (Empedocle, Erone, Tolomeo, Democrito etc..), poi tratteremo delle "Lectiones Opticae", ovvero le lezioni che Newton tenne presso luniversità di Cambridge dal 1669 al 1672; largomento successivo sarà l "Opticks", opera articolata in tre libri, molto ricca di esperimenti, che trattava della rifrazione, riflessione e scomposizione della luce della sua periodicità etc., infine abbiamo deciso di approfondire un aspetto in particolare: lultimo argomento riguarderà lottica delle lamine saponate.
1. L OTTICA PRIMA DI NEWTON
Fin dall antichità gli uomini hanno cercato di spiegare i fenomeni riguardanti la luce.
Il primo principio dell ottica acquisito dagli antichi, principalmente greci, è questo: "la luce e la vista procedono entrambi in linea retta ". Ciò era già noto a Talete, a Democrito ed ad Anassagora.
Vi erano invece opinioni diverse sulle modalità della visione. Furono proposte varie teorie, ma le più importanti sono essenzialmente due. La prima afferma che la visione
avviene per mezzo di raggi che escono dall occhio, e che generano sensazione di chiaro se cadono su un corpo illuminato, e di scuro se cadono su qualcosa di non illuminato. La seconda teoria sosteneva invece il contrario, cioè che il mezzo della visione fosse un qualcosa emanato dagli oggetti, un qualcosa chiamato "idolo" o "simulacro", che poi incontrava gli organi di senso. Oltre alla prima teoria seguita dai Pitagorici, da Empedocle e da Tolomeo, ed alla seconda, vi erano teorie frutto, per così dire, di un compromesso tra le due: i raggi emanati dallocchio incontrerebbero i simulacri degli oggetti.
Altra cosa che gli antichi sapevano è che la vista ed i raggi sono riflessi e rifratti allo stesso modo. La dimostrazione ci è data da Eliodoro di Larissa il quale dice " Il che da questo si può conoscer vero se dall acqua si fa la riflessione dei raggi del Sole; noi per vederli acconciamo gli occhi, che stiano nei raggi riflessi, e guardiamo in quel punto dell acqua ove vegghiamo la immagine del Sole come uno specchio" (traduzione di Egnazio Danti del 1500).
Esperimenti sulla rifrazione dei raggi solari attraverso l aria, l acqua, ed il vetro furono condotti da Tolomeo, usando un disco di bronzo ed un semicilindro di vetro.
Queste le sue conclusioni: " ... quando il primo angolo (quello di incidenza) sarà di venti il secondo angolo (quello di rifrazione) di tredici e mezzo, quando quello sarà di trenta questo sarà di diciannove e mezzo, quando quello sarà di quaranta questo sarà di venticinque...".
Ritorna il problema su quale sia la natura dei raggi visivi. Empedocle ed il suddetto Eliodoro pensavano che dagli occhi emanasse un fuoco, che permetteva la visione. Qualcosa in più aggiunse Euclide nella seconda parte del suo trattato, quella dedicata alla Catottrica ( parte dell ottica che studia i fenomeni di riflessione della luce), definendo il cono ottico ( la figura compresa dai raggi visivi ) come " un cono il cui vertici è nell occhio (Eliodoro preciserà al centro di esso) e la base al margine dell oggetto".
Tutti gli studiosi citati finora sosteneva la prima teoria. È un fisico e matematico arabo vissuto nel X secolo a Bassora ( 965-1039 ), Ibn al-Haitam, latinizzato Alhazen, il primo a proporre una nuova teoria, e cioè che la luce stessa fosse il mezzo della visione. Secondo costui la luce penetrava nell occhio o meglio nell umor glaciale (il cristallino) e provocava una passione o dolore che coincideva con la sensazione. Poi la luce in qualche modo passava alla retina ed al nervo ottico. Come oggi sappiamo il meccanismo allinterno dellocchio che porta alla formazione dell immagine non è quello proposto da Alhazen, ma è simile a quello della camera oscura. Il funzionamento della camera oscura era già noto ad Aristotele. Giovan Battista della Porta nell edizione del 1560 della sua Magiae naturalis scrive: Collocato uno specchio di rimpetto [al foro], che non disperda disgregando ma che unisca radunando, ora avvicinandolo ora allontanandolo, finché, alla debita vicinanza dal centro, riconoscerai che l immagine ha assunto la quantità che le è propria, se ora scruterai attentamente riconoscerai i volti, i gesti, i moti degli uomini, le loro vesti, le nuvole sparse nel blu del cielo ed il volo degli uccelli ". Associò perciò lo specchio alla retina. Anche se questi elementi bastavano per dare una giusta interpretazione del meccanismo della visione il della Porta propose un suo vecchio modello.
Solo con Keplero si avrà una spiegazione completa sia della visione che delle lenti.
Keplero nel Dioptricae (1689) si basa su quattro assiomi: 1) le rifrazioni del cristallo, fino al trentesimo di inclinazione, sono nei limiti delle misure proporzionali alle inclinazioni ; 2) l angolo di rifrazione nel cristallo è fino a detto termine, assai vicino alla terza parte nell inclinazione nellaria. E assumendo poi che fino a quindici gradi i seni siano proporzionali agli angoli e che laltezza dei triangoli isosceli è quasi uguale ai lati obliqui, Keplero stabilisce che:
1. un fascio di raggi paralleli rifratto alla separazione tra aria e cristallo attraverso una superficie sferica che dal suo centro sottenda un arco minore di trenta gradi viene fatto convergere in un unico punto;
2. il punto di convergenza in una lente biconvessa è ad una distanza dalla lente pari al raggio di curvatura delle due superfici.
Keplero studia poi gli effetti delle lenti sulla vista delle cose. Il problema è quello di trovare le condizioni per le quali le immagini appaiono distinte. Inoltre secondo Keplero i raggi che arrivano all occhio non devono essere troppo divergenti, la condizione ideale è che siano paralleli. Pertanto Keplero deduce che nei sistemi a due lenti lunico modo per avere una visione distinta di un oggetto è che gli effetti di divergenza e convergenza si limitino reciprocamente.
2. L OTTICA AL TEMPO DI NEWTON
Tra la metà del XVII e linizio del XIX secolo emersero molti fenomeni completamente nuovi relativi al comportamento ed alle proprietà della luce.
Iniziò Grimaldi verso la metà del XVII secolo con la scoperta dei fenomeni di diffrazione. Seguirono Boyle ed Hooke con la colorazione delle lamine sottili e Newton con lassociazione dei colori alle diverse rifrangibilità,
Young con la scoperta dei fenomeni di interferenza. Inoltre era stato definito lo spinoso problema della velocità della luce da Römer. Nel frattempo presero corpo e si affrontarono due teorie, entrambe meccanicistiche, della luce: quella ondulatoria (Huygens) e quella corpuscolare (Newton).
GRIMALDI E LA DIFFRAZIONE
I fenomeni dellombra e della penombra sono stati spiegati fin dallantichità con la propagazione rettilinea della luce. I fenomeni invece in cui il passaggio dalla luce allombra non avviene con semplice gradualità, furono notati per la prima volta dal padre gesuita Francesco Maria Grimaldi.
Il nuovo fenomeno, la diffrazione, conserva ancora il nome che Grimaldi gli aveva dato.
Il dispositivo strumentale necessario per osservare la diffrazione è assai semplice: basta far cadere luce monocromatica su una parete dotata di una fessura la cui larghezza sia paragonabile alla lunghezza donda della luce incidente. Se si raccoglie sopra uno schermo la luce che esce dalla fessura si vede che questa non riproduce esattamente la forma della fessura ma è più larga; inoltre si può osservare che sullo schermo non si ha luce uniforme, ma una regolare successione di strisce chiare e scure dette frange di diffrazione.
La spiegazione del fenomeno consiste nel supporre che ogni punto della fessura diventi una sorgente di onde luminose; queste interferiscono tra loro nello spazio compreso tra la fessura e lo schermo. Di conseguenza sullo schermo ci sarà luce ogni volta che linterferenza delle onde in arrivo in un certo punto sia costruttiva, ci sarà buio nel caso contrario, quando cioè si verificherà il fenomeno di interferenza distruttiva.
E interessante notare che nei punti dello schermo corrispondenti alla linea mediana orizzontale della fessura cè sempre luce; inoltre lampiezza di questa frangia luminosa risulta essere doppia di quella delle altre frange luminose superiori e inferiori. L intensità della luce che forma le frange luminose non è costante ma diminuisce dal centro dello schermo agli estremi.
LA VELOCITA DELLA LUCE
La diffrazione gioca un ruolo centrale nel modello che Grimaldi ci propone per la luce.
Egli pensava infatti che la luce fosse un fluido che si propaga, con velocità assai alta anche se finita, attraverso i vari mezzi.
Che la luce si propaghi molto più rapidamente del suono, era noto già agli antichi (il tuono segue la luce del fulmine) ma restavano dei problemi quando si cercava di quantificare questa velocità, da Aristotele supposta invece infinita: infatti la luce del Sole che sorge illumina d un tratto l orizzonte fino all altro estremo.
Anche Cartesio era dell opinione che la luce si propagasse istantaneamente, tuttavia cercò ( e fu il primo a farlo ) nei fenomeni astronomici l indizio di un eventuale limite a tale velocità. Egli considerò il caso di una eclissi di Luna: l eclissi ha luogo quando la luce intercettata dalla Terra arriva alla Luna e si manifesta quando la luce riflessa dalla Luna arriva alla Terra. Ma nel lasso di tempo che occorre alla luce per percorrere il doppio della distanza Terra-Luna, la Terra avrà raggiunto una nuova posizione nella sua orbita. Huygens valuta questa nuova posizione corrispondente ad un angolo tra il centro della Luna eclissata ( da quando la vediamo dalla Terra) e la posizione antisolare ( la posizione della Luna nell istante reale dell eclissi ) di non più di 6' . La velocità della luce secondo Huygens è quindi circa 38.000 km/s.
Di lì a poco tempo Römer, studiando le eclissi dei satelliti di Giove, arrivò ad indicare la velocità della luce circa uguale a 232.000 km/s.
Con Newton e i suoi calcoli la velocità della luce sarebbe risultata compresa tra 364.000 e 319.000 km/s.
L OTTICA DI HUYGENS
Cartesio illustra le sue teorie sulla natura della luce in una sua famosa opera, la Diottrica. Egli riprende una famosa istanza aristotelica e dice che anche la vista, come tutti gli altri sensi, agisce per contatto del mezzo interposto tra l occhio e l oggetto da vedere. Cartesio fornisce anche un mezzo speciale per il trasporto della luce, da lui concepita come istanza di movimento: quella materia sottile, chiamata anche etere, che dovrebbe permeare tutto l universo, dallo spazio tra gli astri a quello esistente nei più piccoli pori della materia.
Huygens riprese queste idee, ma seppe trasformarle in un sistema scientifico coerente, formando così la sua famosa teoria ondulatoria della luce. Per esempio esprime contro Cartesio la sua convinzione che la luce sia dotata di velocità finita e a sostegno della sua tesi riferisce i risultati ottenuti da Römer di cui abbiamo già parlato.
Altra tesi che ritroviamo nel suo traité sur la lumière è quella secondo la quale più onde indipendenti possono propagarsi contemporaneamente nello stesso mezzo senza disturbarsi a vicenda. Mostra poi come si possano giustificare le principali proprietà della luce, in particolare come si possano ritrovare le leggi della rifrazione e della riflessione: il fatto che nell entrare nei mezzi più densi le superfici d onda diminuiscano la propria inclinazione rispetto al piano di separazione tra i mezzi comporta, nella sua interpretazione, una diminuzione della velocità di propagazione. E questo ben si conciliava con l idea che egli si era fatto delle onde luminose: nel mezzo denso il movimento dell onda deve coinvolgere non solo la materia sottile ma anche quella più grossolana della quale il mezzo stesso è costituito.
A contribuire all enorme successo che la teoria ondulatoria della luce stava avendo arrivò anche la spiegazione di Huygens dei complessi fenomeni della doppia rifrazione della luce nello spato d Islanda.
Anche se la trattazione di Huygens risulta carente di alcune parti molto significative (per esempio, egli non affronta in nessun modo la questione dei colori, pare non essere al corrente dei fenomeni di diffrazione), il suo modello ondulatorio resta lunico modello capace, con alcune precisazioni ed integrazioni, di render conto di quasi tutti i fenomeni relativi alla propagazione della luce che si andavano scoprendo.
3. LE LECTIONES OPTICAE
Nellottobre del 1669 Newton viene nominato professore lucasiano di matematica (dal nome del fondatore Henry Lucas) a Cambridge succedendo ad Isaac Barrow, dimessosi in suo favore per il desiderio di dedicarsi interamente alla teologia e perchè teneva in grande considerazione le capacità del suo allievo. Nella nuova qualità di professore lucasiano, Newton era tenuto per statuto ad una lezione di unora circa, durante il trimestre, sulle diverse discipline matematiche, geografia compresa. Ma a causa dellarida monotonia della sua esposizione, nonché dellintrinseca difficoltà della materia, le sue lezioni erano molto poco frequentate (questo fatto si rivelò in seguito un bene, in quanto mantenendo le sue lezioni e le principali conclusioni cui era pervenuto nella cerchia ristretta di pochi studenti e di qualche amico, le Lectiones non si inserirono negli ambienti scientifici ufficiali e non suscitarono così alcuna reazione).
Isaac Newton dedica le lezioni degli anni dal 1669 al 1672 allottica perchè gli si offriva loccasione di esordire con una serie di precise analisi capaci di unificare la teoria della luce e la teoria, ancora abbastanza confusa, dei colori. Lottica seicentesca si trovava in una situazione singolare: la teoria della luce, essendo questa considerata incolore, era nettamente separata dalla riflessione sui colori; pertanto, altro era la luce, altro erano i colori, e la prima era di pertinenza dei matematici, i secondi dei filosofi. In tal modo, mentre i colori continuavano ad essere considerati «emanazioni» dei corpi colorati, capaci di produrre nellocchio dellosservatore la sensazione corrispondente e i metodi impiegati erano, conseguentemente, qualitativi, i matematici, trattando la luce con metodi geometrici, erano riusciti a conferirle un assetto rigoroso, anche se limitatamente alla propagazione rettilinea dei raggi. Lottica geometrica, infatti, era ancora legata ai moduli della scienza greca: propagazione rettilinea della luce e mutamento di direzione per effetto della riflessione e della rifrazione. Comunque Newton nelle Lectiones Opticae si proporrà oltre che di rivedere radicalmente le teorie ottiche suddette, non chiaramente concepibili per il ricorso ad entità extrarazionali, di matematizzare lo studio dei colori che, come è stato detto, si supponevano non attenere affatto alla matematica, e di mostrare in che misura valga la matematica nella filosofia naturale e perciò di esortare i geometri ad accostarsi di più allesame della natura e coloro che amano le scienze naturali a studiare di più la geometria. E ciò affinché i geometri che filosofeggiano e i filosofi che esercitano la geometria facciano nascere al posto di cose soltanto probabili la scienza della natura confermata con dimostrazioni esatte.
Le Lezioni, costituite da una serie di lemmi cui fa seguito un gran numero di esperimenti, sono divise in due parti. La seconda di queste tratta della dottrina dei colori, e fu successivamente pubblicata nellOttica con una maggiore quantità di esperimenti. La prima parte è in qualche modo preparatoria della seconda, ed è divisa in quattro sezioni. Nella prima sezione viene studiata la differente rifrangibilità dei raggi di luce, e si espongono gli esperimenti dai quali la teoria è ricavata. Argomento della seconda sezione è la misura delle rifrazioni nei corpi trasparenti, sia fluidi che solidi, e il confronto delle rifrazioni dei raggi eterogenei, osservate non solo nei mezzi contigui allaria, ma contigui anche fra loro. Il tutto viene illustrato dalla descrizione degli strumenti utilizzati per effettuare gli esperimenti, insieme con le conseguenti dimostrazioni. Le altre due sezioni sono principalmente geometriche. Nella prima di esse vengono studiati gli effetti della rifrazione dei raggi quando sono incidenti su una o su due superfici piane; laltra tratta dei raggi rifratti dalle superfici curve.
Il libro si apre polemicamente: ...poiché mi sembra che i geometri si siano fin qui sbagliati riguardo ad una particolare proprietà della luce che attiene alla rifrazione, basando tacitamente le proprie dimostrazioni su unipotesi fisica non ben fondata, ritengo di non fare cosa inutile se sottoporrò i princìpi di questa scienza ad un esame più approfondito. Questa polemica era indirizzata contro quegli ottici che tentavano di migliorare le lenti inventando nuove forme di taglio, ma può essere considerata anche come la premessa allattacco portato, nella seconda parte, contro i teorici della luce e dei colori. Al fine di eliminare questa filosofia difettosa Newton discute asserzioni del tipo: il colore è la forma di una forma (luce) o qualità di una qualità, per dimostrarne lassurdità. La luce, infatti, non è una qualità dei corpi, come il colore non è il limite visibile di un corpo finito. E anche ammesso che la luce sia una qualità del corpo luminoso, che sia un movimento trasparente ed il colore la sua estremità, rimane ancora da spiegare in qual modo la luce viene rifratta, perchè i colori sono diversi, qual è la causa per cui compaiono nel telescopio e per quale ragione non si può eliminare questo inconveniente. Queste teorie convengono sul medesimo errore: che la modificazione per effetto della quale la luce esibisce i diversi colori sia acquisita durante la riflessione o la rifrazione. I mutamenti da cui hanno origine i colori sono invece connessi alla natura della luce, e non nascono né dalla riflessione, né dalla rifrazione né dalle qualità dei corpi o da altro: e non subiscono in alcun modo linfluenza di fattori esterni.
Esposti i principali risultati ottenuti studiando la diversa rifrangibilità dei raggi, ed esposte lorigine e la natura dei colori, la immutabilità del rapporto rifrazione-colore e lanalisi dei colori, Newton chiude lintroduzione alla seconda parte delle Lectiones affermando: In verità non vedo alcun impedimento al progresso dellindagine sulla natura dei colori, nella quale fino ad oggi non si trovò alcun rapporto con la matematica...; eppure la generazione dei colori contiene tanta geometria, e la conoscenza di essi è confermata con tanta evidenza... da ampliare alquanto i confini della matematica. Allo stesso modo che lastronomia, la geografia, la navigazione, lottica e la meccanica sono ritenute scienze matematiche, poiché in esse si tratta di cose fisiche cielo, terra, navi, luce e moto locale così anche i colori appartengono alla fisica, e la loro dottrina deve essere considerata matematica in quanto vengono studiati secondo un metodo matematico... .
Rinviare alla procedura delle rationes et experimenta come strumento dello studio della natura, era dunque necessario; e limpiego di un metodo matematico era urgente non solo per dare una risposta ai quesiti sollevati dai fenomeni di rifrazione, aberrazione cromatica, ecc., ma anche per lastronomia e la cinematica.
Il metodo newtoniano può essere visto come articolato in tre momenti: il primo è luso dellinduzione, in quanto canone fondamentale della ricerca intesa sia come generalizzazione sempre più ampia a partire dai fenomeni, sia come eliminazione delle ipotesi di carattere generale e, in definitiva, metafisiche; il secondo è costituito dalluso della matematica, come pensiero astratto e come mezzo capace di esprimere in modo autonomo le unità concettuali indicate dalla ragione degli uomini. Il terzo momento, infine, è una conseguenza dei primi due: la matematica si rivela capace di circoscrivere in un doppio senso gli oggetti da trattare: quanto allestensione, perché è applicabile solo ai fenomeni fisici, e quanto alla qualità, poiché la teoria matematica applicabile sarà diversa in relazione alla diversa qualità dei fenomeni.
4. OPTICKS
L Opticks fu pubblicato nel 1704 (Opticks or a Treatise of the Reflections, Refractions, Inflections and Colour of Light). Nel progetto originale Newton calcolava di far uscire il libro solo in latino, e perciò intendeva indirizzarlo al pubblico colto, ma la prima edizione uscì in inglese. Sono cinque le edizioni dell Opticks durante la vita di Newton: tre inglesi e due latine, fra di esse ci fu solamente lomissione di alcuni trattati matematici , ritenuti poco importanti, e laggiunta graduale di alcune "queries", che erano alcuni problemi ai quali non veniva data una risposta e che venivano lasciati aperti come materia di studio per i lettori.
Il libro fu tradotto e pubblicato anche in francese favorendone la diffusione in tutta lEuropa. Caratteristiche salienti di questo libro sono lesposizione di una grande quantità di esperimenti, il linguaggio piano ed accessibile al pubblico colto ma non specializzato e, di conseguenza, la rinuncia ad esprimere teoremi e dimostrazioni nel rigoroso, ma chiuso, linguaggio matematico, e così a differenza dei Principia ebbe una grande fortuna fra gli sperimentatori.
L opera consta di tre libri. Nel primo vengono studiati i fenomeni della riflessione, della rifrazione, della dispersione e della scomposizione della luce bianca.
Si apre con una definizione di importanza fondamentale in quanto esprime una nuova concezione del raggio luminoso: Con raggi di luce intendo le parti più piccole di essi, tanto quelle successive sulla medesima linea, quanto quelle contemporanee su ciascuna linea. Con questa definizione Newton attribuisce alla luce la caratteristica corpuscolare. Non però il corpuscolo della più recente filosofia naturale bensì il "punto fisico". Lentità di raggio di luce viene infatti pensata nell Opticks come una sorta di cilindro dal diametro infinitamente piccolo, divisibile in parti infinitamente piccole. I due primi libri dellopera sono, in buona misura, una verifica della definizione di corpuscolo ed il riscontro delle conseguenze che discendono dalla sistematica applicazione di esso. Valendosi di questo nuovo parametro Newton può confermare che il seno dell angolo di incidenza ed il seno dell angolo di rifrazione sono in rapporto costante e che i colori variano col variare di tale rapporto.
Il secondo libro tratta l interferenza della luce nelle lamine sottili, la costanza dei colori dei corpi naturali, l analogia di questi colori con quelli delle lamine sottili trasparenti, e la periodicità delle proprietà della luce. Spesso i fenomeni di cui si occupa Newton, sono già stati oggetto di studi da parte di altri studiosi, per esempio Hooke, ma ciò che differenzia Newton da questi è il fatto di averli analizzati nei loro aspetti quantitativi e non qualitativi come fino ad allora era stato fatto.
L ultima parte dell Opticks ossia il terzo libro contiene le Queries (Questioni): insieme di appunti e di osservazioni sugli argomenti più disparati raccolti in circa trenta anni di lavoro. Ad esse Newton non ha mai dato alcuna connessione apparente e nessuna unità organica. Nella maggior parte dei casi non le ha nemmeno sottoposte ad alcuna verifica sperimentale. In molte sono contenute grossi errori e contraddizioni; in altre, invece, ci sono idee illuminanti ed intuizioni arditissime. Nel complesso l impressione che riceviamo da questo terzo libro è quella di incertezza, dello stesso Newton, sulle sue convinzioni come per esempio quando tratta dell etere, o riguardo il problema se la natura della luce è corpuscolare oppure ondulatoria. Questa nota conclusiva di incertezza e di problematicità conferisce allOpticks un significato molto importante in quanto in essa vengono poste le basi per la considerazione del lavoro razionale non come qualcosa di definito e conchiuso, ma anzi come qualcosa di non interamente compiuto ed in costante evoluzione. Possiamo inoltre dire che, mentre i Principia sembravano il punto terminale di una vecchia linea di ricerca, l Opticks, con i suoi fenomeni, alcuni scoperti da poco, segnava chiaramente l inizio di una nuova direzione della ricerca fisica.
Le parole con cui l opera si apre ribadiscono il fatto che Newton si avvale di un metodo per la sua ricerca scientifica: Il mio scopo in questo libro è non di spiegare le proprietà della luce mediante ipotesi, ma di proporle e di spiegarle mediante la ragione e gli esperimenti. Il procedimento scientifico utilizzato da Newton si varrà dei metodi analitico e sintetico, di cui si parlerà alla fine dell Opticks: la scomposizione del complesso nelle sue parti più semplici, lo studio quantitativo di tali parti, la formulazione di una ipotesi e la verifica sperimentale di questa.
Possiamo dunque affermare che Newton lavorava sui problemi dell ottica secondo una prospettiva divergente rispetto a quella tradizionale, e riteneva che i problemi dovessero rientrare nel campo della matematica piuttosto che in quello tipico della ricerca dei naturalisti.
5. LE LAMINE SAPONATE
Se Boyle e Hooke sono i primi ad attirare lattenzione degli scienziati sul problema della formazione dei colori sulle lamine sottili sia liquide che di vetro, è Isaac Newton nella sua Opticks a descrivere in dettaglio i fenomeni che si osservano sulla superficie delle lamine saponate, ed a capire che la diversità dei colori che compaiono dipende dallo spessore delle lamine saponate. Nellosservazione 17 Newton dice:
Se si forma una bolla con dellacqua resa prima più viscosa sciogliendovi un poco di sapone, è molto facile osservare che dopo un po sulla sua superficie apparirà una grande varietà di colori. Per impedire che le bolle vengano agitate troppo dallaria esterna (con il risultato che i colori si mescolerebbero irregolarmente impedendo una accurata osservazione), immediatamente dopo averne formata una, la coprivo con un vetro trasparente, ed in questo modo i suoi colori si disponevano secondo un ordine molto regolare, come tanti anelli concentrici a partire dalla parete alta della bolla. Via via che la bolla diventava più sottile per la continua diminuzione dellacqua contenuta, tali anelli si dilatavano lentamente e ricoprivano tutta la bolla, scendendo verso la parte bassa ove infine sparivano. Allo stesso tempo, dopo che tutti i colori erano comparsi nella parte più alta, si formava al centro degli anelli una piccola macchia nera rotonda che continuava a dilatarsi.
Alla fine della successiva osservazione (n°18), aggiunge:
Nel frattempo nella parte alta che era di un blu scuro, e appariva anche cosparsa di molte macchie blu più scure che altrove, comparivano una o più macchie nere e tra queste altre macchie di un nero più intenso.....e queste si dilatavano progressivamente fino a che la bolla si rompeva. Da questa descrizione si può dedurre che tali colori compaiono quando la bolla è più spessa.
Le bolle e lamine di sapone, esposte alla luce solare, bianca, producono frange colorate. Il fenomeno, come aveva osservato Newton, avviene quando lo spessore delle lamine è paragonabile alla lunghezza donda della luce visibile. Il motivo sta nel fatto che nel liquido saponato le onde corrispondenti ai diversi colori che compongono la luce solare viaggiano con velocità differenti (dipendenza dellindice di rifrazione, e quindi della velocità, dalla lunghezza donda). Si può eseguire un facile esperimento con un telaio rettangolare estratto verticalmente da una soluzione saponata; la luce riflessa dalla lamina produce un sistema di frange orizzontali, dovute essenzialmente al fatto che la lamina saponata ha la forma di un cuneo costituito dalle due facce non parallele della lamina stessa. In questo modo i raggi incidenti vengono scissi in un raggio riflesso e un raggio rifratto allinterno della lamina. Tra i due raggi si produce linterferenza che genera, a seconda dello spessore della lamina, bande luminose e bande nere orizzontali. La lamina nera si ottiene quando lo spessore è di circa 30 nm (1 nm =10-9 m). Unulteriore diminuzione dello spessore della lamina porta ad uno stato di equilibrio della lamina, noto come lamina nera di Newton, di spessore di circa 5 nm . Charles V. Boys (1855-1944), nel suo celebre libro Soap Bubbles: Their Colours and the Forces which Mould Them, riporta una tavola che permette di valutare lo spessore di una bolla di sapone a seconda dei colori presenti. Se si considera una bolla di ca. 100 nm si vedrà che tutti i colori sono più o meno presenti a partire dal bianco, che corrisponde al fatto descritto da Newton che la bolla allinizio appare del tutto trasparente.
INTERFERENZA NELLE LAMINE DI SAPONE
I colori che osserviamo quando la luce del sole illumina una bolla di sapone, una macchia dolio, lasfalto bagnato dopo un temporale, sono prodotti dallinterferenza delle onde luminose riflesse dalle due superfici di una sottile lamina trasparente. Lo spessore della lamina è dellordine di grandezza della lunghezza donda della luce.
In figura è rappresentata una lastra a facce piane e parallele, di spessore d e composta da un materiale trasparente di indice di rifrazione n . Supponiamo inizialmente che la luce incidente sulla lastra sia monocromatica con una lunghezza donda 0. I raggi che arrivano allosservatore provengono da una prima riflessione alla superficie esterna della lastra, ma anche quelli che sono penetrati nella lastra vengono riflessi dalla seconda superficie e riemergono paralleli agli altri, come si può facilmente verificare applicando le leggi della riflessione e della rifrazione. In figura non sono tracciati tutti i raggi, perché ci interessano solo quelli che arrivano allosservatore. I due raggi riflessi emergono paralleli e a una certa distanza proporzionale allo spessore d della lastra. Se la lastra è una sottilissima lamina, d sarà molto piccolo e piccola sarà quindi anche la distanza tra i due raggi emergenti. Siccome questi due raggi sono stati emessi dalla stessa sorgente puntiforme, essi sono coerenti tra loro (cioè con fase relativa di oscillazione dellonda ben precisa) e possono interferire tra loro. I due segnali risultano sfasati perché hanno percorso cammini diversi nel giungere allosservatore. In realtà non basta tener conto del diverso percorso per calcolare lo sfasamento tra i due raggi, perché la riflessione, contrariamente alla rifrazione, può determinare uno sfasamento dell'onda incidente rispetto a quella riflessa. Inoltre occorre tener conto anche del fatto che, penetrando un raggio nella lastra, la lunghezza donda si riduce al valore l=l0/n.
Supponiamo che la lamina, come può accadere, abbia uno spessore molto minore della lunghezza donda della luce incidente: d <<l . In tal caso lo sfasamento dovuto alle differenze dei cammini è trascurabile e ci aspetteremmo di osservare la lamina come luminosa (interferenza costruttiva, visto che le onde dovrebbero essere in fase tra loro). Invece, si osserva una lamina scura, ossia ha luogo una interferenza distruttiva (buio). Questo può essere visto chiaramente osservando una lamina saponata ottenuta su un telaietto metallico tenuto verticalmente: dopo un certo tempo, lacqua contenuta tra le due pellicole che formano la lamina è scesa verso il basso in modo che la superficie risulta più sottile in alto e più ingrossata in basso; quando lo spessore della lamina nella parte alta è molto minore della lunghezza donda della luce incidente, si verifica il caso appena descritto osservando che questa parte della lamina appare nera.
Fig. 1 Un raggio luminoso incide in A su un materiale trasparente di indice di rifrazione n.
in A: il raggio riflesso viene sfasato di 180°; il raggio rifratto non viene sfasato
in B: il raggio riflesso non viene sfasato (perché l'indice di rifrazione nel secondo mezzo è minore di n)
in C: il raggio rifratto non viene sfasato
Per spiegare questo fatto occorre ipotizzare che durante la riflessione del raggio accada qualcosa alla sua fase, dal momento che la rifrazione determina sì un cambiamento di direzione, velocità e lunghezza donda, ma, come noto, non altera la fase di unonda.
Si può dimostrare, ma anche osservare (per esempio nel caso di unonda che si propaga su una corda tesa composta di due corde diverse congiunte), che la fase di unonda trasversale subisce una brusca variazione nella sua fase (di 180°) tutte le volte che si verifica una riflessione alla superficie di separazione due mezzi purché il secondo mezzo sia otticamente più denso del primo (ossia abbia un indice di rifrazione maggiore).
Ora siamo finalmente in grado di capire il perché lamine di spessore molto minore della lunghezza donda si vedono scure: lo sfasamento dovuto ai differenti percorsi dei raggi che interferiscono è trascurabile, però cè uno sfasamento di 180° nellonda riflessa alla prima superficie (aria-lamina) che, interferendo con londa riflessa alla seconda superficie (lamina-aria), da luogo a una interferenza distruttiva.
Qualora lo spessore d non sia molto minore di , ma paragonabile a questa, occorre tener conto anche dello sfasamento introdotto dalla differenza dei percorsi dei raggi che interferiscono. Pertanto potremo dire che nelle zone per cui risulta:
2d = (n+½)l massima luminosità (interferenza costruttiva)
2d = nl buio (interferenza distruttiva)
avendo indicato con n un qualunque numero naturale: n = 0,1,2,3,4,...... .
Nel ricavare tali espressioni abbiamo considerato incidenza quasi normale (la differenza di cammino circa uguale al doppio di d) e indicato con l la lunghezza donda della luce allinterno del materiale: l = l0 / n.
Se la lamina non ha spessore costante (come nel caso della lamina saponata mantenuta verticale), allora potrà accadere che per certe zone è verificata la prima condizione, mentre per altre la seconda, in modo tale che avremo sulla lamina delle zone luminose e delle zone scure (frange di interferenza), anche dette frange di spessore costante.
Infine, se la lamina è illuminata con luce di colore bianco (come per esempio la luce solare), ed è il caso più frequente, cosa ci aspettiamo di vedere?
Se la luce è bianca invece che monocromatica, la luce riflessa dalle varie parti della lamina è modificata per effetto delle varie interferenze costruttive e distruttive che si verificano con modalità diverse a seconda delle varie lunghezze donda presenti nella luce incidente. Il risultato è che la lamina assume varie colorazioni (iridescenza) perché nelle zone il cui spessore consente interferenza costruttiva per una certa lunghezza donda può consentire anche interferenza distruttiva per unaltra lunghezza donda, dando così origine a tutta una varietà di colori nella luce riflessa dalla lamina.
BIBLIOGRAFIA
I.Newton, Scritti di Ottica, a cura di A.Pala, Torino, UTET, 1978
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