Stefania Accetta, Lorenzo Bonamassa, Monica Caioli, Marta Laghi

L’OTTICA SECONDO NEWTON

ovvero l’Età delle mele

1. La vita

Isaac Newton nacque a Woolsthorpe il giorno di Natale del 1642 lo stesso anno della morte di Galilei. Nel 1661 entrò nel Trinity College di Cambridge dove ebbe come maestro di matematica Isaac Barrow il quale nel 1669, ormai scoraggiato, gli dovette lasciare la cattedra, affermando:

- Io in confronto a Newton sono solo un fanciullo!

Durante gli anni ’70 Newton si occupò di ottica e concepì quel telescopio che ancora porta il suo nome. Entrato a far parte della società Reale di Londra (Royal Society), pur essendo molto reticente a far pubblicare le proprie teorie, comunicò a questo sodalizio di scienziati un’altra scoperta: la rifrangibilità dei raggi che costituiscono la luce bianca. Molte e violente furono le critiche rivolte contro questo risultato che tuttavia doveva avere per la scienza la più grande importanza.

In seguito, una mela cadutagli in testa mentre era intento nella lettura dell’opera del rivale Huygens "Horologium oscillatorium", lo indirizzò allo studio dei primi fenomeni della gravitazione. Furono anni di intenso lavoro per lui, così gracile e per giunta nevrastenico. Tuttavia tale travaglio mise capo a una delle più grandi opere della scienza di tutti i tempi "Philosophiae naturalis principia matematica". Nel 1687 Newton fu scelto dall’università di Cambridge come difensore dei suoi diritti storici minacciati dal re. Questa missione ottenne tanto successo che fu scelto dalla stessa Università come rappresentante nel Parlamento. Egli difese in questa carica i principi della libertà religiosa e civile. Nel 1694 fu nominato ispettore della Zecca di Londra, della quale divenne direttore. Nel 1699 fu nominato membro straniero dell’Accademia di Parigi, inoltre dal 1703 fu presidente della Royal Society. Ad ottant’anni subì un primo attacco del male della pietra; il secondo gli fu fatale. Morì il 20 marzo del 1727.

Nel corso della sua vita pubblicò oltre ai Principia, l’ "Arithmetica universalis" in cui tratta del calcolo infinitesimale e l’ "Opticks".

In questa relazione esamineremo gli studi newtoniani riguardanti l’ottica, evidenziando non solo le scoperte, ma anche gli errori in cui il grande maestro, pur sempre in buona fede, cadde.

2. La teoria corpuscolare

Newton affermava che la luce avesse natura corpuscolare e di questo fu sempre caparbiamente convinto. In base a tale teoria la luce sarebbe costituita da particelle che partono da una sorgente luminosa e, viaggiando in linea retta, si propagherebbero con trasporto di materia. Ed alla domanda - come è possibile conciliare la propagazione rettilinea della luce con la teoria corpuscolare se i corpuscoli in quanto materiali sono deviati dal campo gravitazionale terrestre? - Newton rispondeva:

- Io vi dico: i miei esperimenti e la mia teoria confermano che la deviazione del percorso rettilineo di un grave è tanto più piccola quanto più grande è la velocità del grave. Perciò, viaggiando il lumen a velocità molto elevata, si può con ottima approssimazione ritenere che la mia ipotesi sulla natura del lumen è giusta. Anche le leggi della riflessione sono verificabili secondo il mio modello. Infatti, così come una sferetta elastica che urta normalmente contro una parete torna indietro nella stessa direzione, anche un raggio luminoso che incide su una superficie riflettente viene riflesso su se stesso. Dunque la mia teoria è giusta. Quel giovane olandese... come si chiama? Huygens! Sì, proprio lui; non può che sbagliare.

Ma Huygens era testardo quanto Newton e riuscì ad opporre una valida resistenza:

- Newton vi ha detto che il lumen è un fenomeno corpuscolare. Ma io vi dico che non è così. Il lumen è costituito da onde meccaniche, elastiche e longitudinali la cui propagazione comporta trasferimento di energia e non di materia.

Newton smentiva ancora Huygens dicendo:

- Se la luce fosse un’onda avverrebbe che essa si piegherebbe nell’ombra come avviene per le onde del mare o per il suono che si propagano dietro agli ostacoli. Ma giammai si è vista la luce seguire vie tortuose o inflettersi nell’ombra. Inoltre le onde hanno sempre bisogno di un mezzo per potersi propagare, mentre la luce viaggia anche nel vuoto.

Huygens per respingere quest’ultima critica, fu costretto a riesumare il misterioso etere, sostanza priva di attributi materiali inventata per altri motivi da Aristotele. Questo fluido "magico" imponderabile, secondo Huygens ed i suoi seguaci, era presente in ogni punto dello spazio e quindi anche nel vuoto ed era perciò il mezzo di propagazione delle onde luminose.

Per oltre un secolo le due teorie, quella corpuscolare e quella ondulatoria restarono in contrapposizione, anche se, per il prestigio di Newton, la prima venne presa maggiormente in considerazione e divenne la teoria ufficiale del lumen durante tutto il XVIII secolo. Prima di esaminare gli sviluppi di queste due teorie nel corso dei secoli successivi, approfondiamo il discorso sugli studi di ottica di Newton esaminando il fenomeno della rifrazione e dei colori così come lo intese il grande maestro.

3. La rifrazione e la natura dei colori

(lo scontro tra Newton, Hooke e Huygens)

Nel 1672 Newton presentò ai soci della Royal Society la sua prima memoria sulla "Nuova teoria sulla luce e sui colori" in cui descriveva alcuni esperimenti fatti con i prismi ottici e che avrebbe dovuto preparare il terreno alle "Lectiones Opticae", un vero e proprio trattato sul lumen, in particolare sulla rifrazione e sulla natura dei colori.

Nello stesso anno lo scienziato Hooke, assistente del vecchio Boyle, stese un rapporto sulla memoria di Newton. Subito nacquero i primi dissapori. Hooke nel suo rapporto dice che trova belli e curiosi gli esperimenti, ma non convincente la teoria. Egli va contro la concezione sostanzialistica dei colori contenuta nella memoria di Newton. Ma Newton riteneva che la sua teoria fosse esatta proprio perché si basava su degli esperimenti.

E’ significativo il fatto che, per la sua ricerca, Newton scelse la forma più semplice di rifrazione, quella che ha luogo quando un fascio luminoso colpisce un prisma triangolare. Poi, chiusosi in una stanza completamente buia e fatto un piccolo foro nello sportello della finestra, in modo da ottenere un fascio di luce sottile, posizionò il prisma in modo tale che la luce rifratta formasse su uno schermo bianco uno spettro largo e completo. Egli si aspettava di vedere un’immagine circolare, corrispondente al disco solare:

- Quale la mia sorpresa quando potei osservare, invece, uno spettro di vividi colori grossolanamente oblungo con l’asse disposto perpendicolarmente a quello del prisma. Confrontando la lunghezza di questo spettro con la sua larghezza, trovai che la lunghezza era circa cinque volte maggiore, una sproporzione così strana da eccitare in me qualcosa di più della solita curiosità di esaminare a quale causa potesse essere dovuta.

Questa osservazione lo condusse alla conclusione che i vari raggi colorati dovessero divergere dalla loro origine e che un raggio dovesse essere deviato più di un altro. Per verificare quest’ipotesi, Newton, nel suo esperimento successivo fece cadere un fascio di luce solare bianca prima su un prisma, poi lo fece passare attraverso due fori praticati su uno schermo opaco per ottenere due fasci sottili, ed infine su un secondo prisma fisso.

Ruotando lentamente il primo prisma, egli poté far assumere al fascio sottile, rifratto nel secondo prisma, tutti i colori possibili. Osservando la posizione delle immagini su uno schermo, egli trovò che dipendevano dal colore della luce che incideva sul secondo prisma; i raggi blu erano più rifratti di quelli rossi.

- Dunque -spiega Newton- questo vuol dire che ogni colore possiede un proprio grado di rifrazione. I colori, perciò, non possono essere qualificazioni della luce, ma proprietà originali e connaturate, e sono diverse in raggi diversi.

In altre parole, la luce è, secondo questa teoria, un miscuglio eterogeneo e disordinato di raggi imbevuti di tutti i tipi di colori e se il miscuglio è appropriato appare il bianco.

- E se io -continua Newton- dirigo gli stessi raggi che hanno subito la rifrazione, verso un altro prisma rovesciato rispetto al primo, essi producono di nuovo luce bianca; mentre un singolo raggio colorato, isolato con uno schermo, viene deviato dal prisma conservando il proprio colore.

Naturalmente l’attenzione della maggior parte dei membri della Royal Society si concentrò su questa scoperta.

Hooke fu il più critico di tutti. E si capisce bene il perché. Egli aveva una diversa concezione della luce, simile alla teoria ondulatoria di Huygens. Secondo Hooke la luce consterebbe di una successione di impulsi sferici generati da una sorgente, del tutto simili agli impulsi sonori. In un fascio luminoso sottile, tali impulsi si propagherebbero a intervalli molto piccoli l’uno dall’altro, sotto forma di piani perpendicolari alla direzione di propagazione.

- Quando -dice lui- un fascio luminoso incide su una qualsiasi superficie di separazione, si trova per un istante, soggetto ad una resistenza minore da un lato che dall’altro; ciò fa sì che l’impulso muti di direzione rispetto a quella originale e la nuova direzione viene poi conservata a rifrazione completamente avvenuta. E’ proprio questo mutamento di direzione che l’occhio percepisce come colore.

Era impossibile che Newton e Hooke tentassero, almeno, di andare d’amore e d’accordo. Newton non poteva dubitare dei suoi esperimenti. E tutti i suoi esperimenti indicavano che la luce bianca normale è sempre composta di tutta le serie dei colori, e che nessun raggio puro dello spettro può in alcun modo essere trasformato in un altro e questo, secondo lui, perché ogni raggio ha un suo colore caratteristico ed un suo grado di rifrazione. Hooke invece era convinto che i colori nascessero dalla rifrazione nella quale avveniva una trasformazione della luce bianca e non una semplice separazione (come invece riteneva giustamente Newton). Nella concezione di Hooke, la luce colorata non era quindi altro che una forma modificata della luce bianca. Per questo un rosso, secondo lui, poteva benissimo trasformarsi in un blu, o in un verde, o in un giallo e così via.

Un’altra piccola osservazione che Hooke fece è questa: siccome i colori nascono dalla rifrazione, è possibile correggere le aberrazioni cromatiche delle lenti. Per Newton invece no. Egli, infatti ritenendo che la diversa rifrangibilità dei raggi colorati fosse una proprietà immutabile dei raggi stessi, era convinto che la dispersione cromatica (causa dell’aberrazione) fosse una proprietà della luce e non del vetro o di qualsiasi altro mezzo rifrangente. Poiché la dispersione non mutava al cambiare del tipo di vetro, egli era sicuro che, quale che fosse il materiale che costituiva le lenti, questa sarebbe sempre stata in rapporto costante con la rifrazione.

Ma non fu affatto facile per Newton vincere le critiche del rivale. Infatti, osservava Hooke:

- Se si suppone, come fa Sir Newton, che ogni colore dello spettro sia fisicamente distinto dagli altri, come potrebbe conservarsi l’identità fisica di ciascuno quando si trovano tutti mescolati nella luce bianca?

E’ certamente più semplice supporre che i colori non siano semplicemente rivelati, ma creati dalla rifrazione.

Ma Hooke era destinato a perdere il duello! In primo luogo egli fallì perché non volle mai comprendere l’importanza del fatto che ogni raggio luminoso, oltre a una proprietà fisica (colore), possiede una proprietà matematica (il grado specifico di rifrazione associato a ogni colore). Tale individualità matematica permetteva a Newton di dimostrare che i colori non possono essere creati da una trasformazione qualitativa della luce bianca. In secondo luogo la teoria di Hooke non ebbe successo perché era geometricamente amorfa. La modificazione della luce bianca che essa postulava, era qualitativa, e non era legata alla geometria dei raggi. Ad esempio essa non poteva spiegare come mai, quando la luce viene rifratta dapprima in un prisma, e successivamente in un secondo rovesciato rispetto al primo, l’immagine formata è nuovamente bianca. La teoria di Newton, invece, riusciva a spiegarsi ciò poiché in essa ogni cosa derivava dalla geometria.

Tuttavia, sconfitto Hooke, un altro rivale molto più temibile si presentò a Newton. Infatti, improvvisamente entrò in campo Huygens con il quale la teoria ondulatoria ipotizzata da Hooke, ottenne una rigida formulazione geometrica. Egli dimostrò geometricamente che la luce era rifratta e riflessa allo stesso modo di una qualsiasi onda meccanica. Il suo principio:

- ogni qual volta una perturbazione investe i punti di un fronte d’onda, ogni punto di esso si può considerare una sorgente di onde secondarie aventi la stessa frequenza dell’onda primitiva. Il nuovo fronte d’onda dopo un intervallo di tempo è l’inviluppo delle onde secondarie.

Huygens diede una nuova interpretazione dei fenomeni connessi alla luce, e dimostrò, attraverso il suo principio, che nella rifrazione:

sin i/sin r = v1/v2

in cui i è l’angolo di incidenza, r l’angolo di rifrazione, v1 la velocità di propagazione del primo mezzo e v2 la velocità di propagazione del secondo mezzo. E siccome la prima velocità corrispondeva ad un mezzo meno rifrangente, e la seconda ad un mezzo più rifrangente, egli dedusse che, siccome dopo la rifrazione i raggi si avvicinavano alla normale (cioè sin i/sin r >1), la luce si propagasse meno velocemente in un mezzo più denso, ad esempio il vetro.

Newton sostenne sempre il contrario. E tutti gli andavano dietro come tante pecorelle che belavano felicemente in coro:

- Ipse dixit, ipse dixit !

4. Trionfo del modello ondulatorio e teoria quantistica (la fine dell’età delle mele)

Anche se per tutto il ‘700 la teoria corpuscolare di Newton prevalse su quella ondulatoria di Huygens, agli inizi del ‘800 ci fu una rilevante svolta. Thomas Young, infatti, dimostrò che il fenomeno dell’interferenza era applicabile anche alla luce e che, quindi, Huygens aveva ragione. La sua esperienza si basava su di un dispositivo nel quale i raggi provenienti da una sorgente S investivano due fenditure molto piccole s1 e s2 perpendicolari alla sorgente stessa, così che, secondo il principio di Huygens, diventavano anch’esse sorgenti secondarie, e quindi coerenti, cioè il loro sfasamento avveniva molto lentamente nel tempo. I raggi provenienti da s1 e da s2 , illuminando uno schermo opaco, creavano frange di interferenza.

Ma questo non bastava a convincere gli accaniti seguaci di Newton.

La negazione totale della teoria corpuscolare si ebbe quando Huygens riuscì a dimostrare che anche le diffusione è un fenomeno caratteristico della luce.

Così (più o meno) disse Huygens:

- Il fenomeno della diffrazione avviene per il lumen solo quando l’ostacolo incontrato è proporzionalmente molto piccolo rispetto alla lunghezza d’onda.

Tra le tante intuizioni di Huygens ce n’era una che, in seguito, si rivelò sbagliata: egli sosteneva che la luce fosse un’onda meccanica e longitudinale.

Nel 1870, allorché da qualche tempo i fisici che si occupavano di elettricità e magnetismo avevano avanzato l’idea che tra la luce ed i fenomeni elettromagnetici dovesse esistere qualche rapporto di parentela, l’avventura della luce subì una svolta decisiva.

Infatti il fisico scozzese James Maxwell sostenne che le luce è un’onda di natura elettromagnetica in quanto:

- viaggia con la stessa velocità delle onde elettromagnetiche, uguale nel vuoto a 3·108 m/s.

- E’, come le onde elettromagnetiche, un’onda trasversale e non longitudinale, le vibrazioni, cioè, sono sempre perpendicolari alla direzione di propagazione della luce.

La scoperta di Maxwell non risolse, tuttavia, un altro problema: attraverso quale mezzo si propaga la luce?

Verso la fine del ‘800, i due dinamici americani Michelson e Morley tentarono di misurare la velocità del vento d’etere a cui la teoria ondulatoria affidava la propagazione della luce. Ma il loro risultato fu sempre negativo. Il mito dell’etere si dissolse nel vuoto! Già, proprio nel VUOTO!

Così si dimostrò l’esistenza di quest’ultimo nello spazio e di conseguenza la luce, che si propaga in ogni zona dello spazio, non poteva altro che essere un’onda elettromagnetica e trasversale.

Agli inizi del nostro secolo, il problema relativo alla natura della luce si ripresentò.

Lo scienziato Planck, riflettendo sulla scoperta di Thomson dei raggi catodici (gli elettroni), ipotizzò che l’energia elettromagnetica non viene emessa in modo continuo, ma in piccoli pacchetti o quanti; un quanto di energia è denominato fotone. Inoltre, l’energia emessa è direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione emessa. L’idea di Planck era che un quanto di energia elettromagnetica e quindi di luce fosse correlato alla frequenza dall’equazione:

E = hu

dove h è una costante chiamata costante di Planck il cui valore è 6,63·10-34 joule/hertz.

Questa ipotesi, dimostrata poi da Einstein è alla base della teoria quantistica della luce. La luce è sì un’onda, ma ha anche caratteristiche corpuscolari perché è quantizzabile cioè costituita da quanti (fotoni). In questo consiste il dualismo onda-particella della luce: per alcuni processi, come ad esempio l’effetto fotoelettrico, la radiazione assume l’aspetto corpuscolare, mentre per spiegare altri fenomeni, come l’interferenza e la diffrazione, la stessa radiazione si comporta in modo prettamente ondulatorio.

Eccoci finalmente arrivati alla concezione moderna della luce.

Ma come ogni branca del sapere, l’avventura della luce, probabilmente ancora non è terminata:

- nella scienza non esiste mai la parola "fine".

Bibliografia:

- A.R. Hall, Da Galileo a Newton 1630-1720, Milano, Feltrinelli, 1973

- I. Newton, Scritti di ottica, Torino, UTET, 1978

- A.Caforio A.Ferilli, Phisica, vol. II, Firenze, Le Monnier, 1994

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