Scienza e tecnica

 

Per cercare di comprendere il senso attribuito da Galileo alla razionalità scientifica è necessario prendere in esame la stretta connessione che viene riconosciuta tra il lavorodello scienziato e quello del tecnico.

Basta ricordare le trasformazioni che si produssero nella fisica, in seguito ai sempre nuovi e più pressanti quesiti sollevati dai tecnici. Ciò che questi chiedevano era di sapere con esattezza come si comportano i fenomeni particolari, per poter decidere come comportarci verso di essi. Le discussioni dei vecchi fisici intorno alle cause dei fenomeni naturali risultavano invece ai loro occhi prive di ogni interesse ed ancor meno interessanti apparivano le speculazioni dei filosofi intorno all'essenza ultima della natura.

Stando così le cose, o la scienza confermava il proprio distacco tradizionale dalla tecnica, o accettava di modificare se stessa, per mettersi in grado di collaborare con il mondo in mutamento. Confermare il proprio distacco dalla tecnica significava rinunciare a servirsi di tutti i nuovi strumenti che questa veniva rapidamente costruendo per l'osservazione dei fenomeni; significava cioè rinserrarsi nel vecchi patrimonio di esperienze trasmesso dalla scienza tradizionale, respingere a priori ogni seria possibilità di ampliarlo, condanarsi dogmaticamente alla più arida sterilità.

Galileo segnò il punto di approdo di questo movimento innovatore, e si fece assertore di una scienza coraggiosamente aperta a ogni suggerimento, a tutte le conquiste, a tutto il nuovo materiale osservativo proveniente dai tecnici. Una volta riconosciuto esplicitamente che gli strumenti, le macchine, le osservazioni dei tecnici e degli operai meritano di diventare oggetto di seria riflessione scientifica, è consequenziale riconoscere che la scienza deve impostare in modo totalmente nuovo le proprie indagini.

Queste dovranno sì continuare ad essere guidate dalla ragione, ma da una ragione che si adegua ai fatti, non da una ragione che pretende di imporsi alla natura, per stabilire a priori come debbano svolgersi i processi naturali.

La riduzione metodologica di Galileo si inserisce per l'appunto in questa nuova concezione della razionalità: trae infatti da esse la propria giustificazione e la propria convalida. In base ad essa, la nuova scienza non respingerà ogni appello alle argomentazioni teoriche, ma respingerà quelle argomentazioni teoriche che per la loro generalità sfuggono per principio ad ogni possibilità di contrrollo. Respingerà le speculazioni prive di qualsiasi aggancio con l'esperienza, per fare invece largo spazio a quelle che sono in grado di formulare leggi, previsioni, regole di comportamento, rigorosamente verificabili o falsificabili.

Per capire l'enorme portata di questa svolta, basterà soffermarsi su alcune conseguenze di carattere generale da essa derivabili, conseguenze che hanno segnato la via del progresso scientifico da Galileo ai nostri giorni:

1. La stretta collaborazione tra scienza e tecnica ha innanzitutto significato "liberazione della scienza da ogni ipoteca metafisica".

Più lo scienziato si allea al tecnico, meno sente il bisogno di una garanzia filosofica che lo assicuri a priori della giustezza dei propri metodi di indagine. La garanzia delle verità sarà fornita dall'ininterrotta verifica, che le leggi scientifiche potranno trovare nel lavoro degli ingegneri, dei costruttori, degli operatori pratici, cioè dall'efficacia delle direttive che sapranno dare a tale lavoro. Di fronte a questo nuovo stato di cose nessuna autorità, terrena o celeste, potrà conservare l'illusione di dettare agli scienziati la strada della verità. Invece di dipendere dalle filosofie, la scienza diventerà il punto di partenza per l'eaborazione di nuove concezioni filosofiche; queste dovranno essere concezioni capaci di ampliare ed approfondire lo spirito scientifico, di portare in tutti i campi la stessa razionalità concreta rivelatasi tanto efficace nello studio della natura.

2. La nuova concezione della scienza porta ad una nuova interpretazione del concetto stesso di verità.

Se la garanzia delle teorie scientifiche non può più venire cercata nella sicurezza aprioristica dei loro principi, diventa perfettamente naturale che la scienza rinunci a considerare assolutamente ed eternamente validi tali principi. Diventa naturale che essa accetti la trasformabilità delle proprie nozioni col trasformarsi dei dispositivi utilizzati nell'osservazione del mondo. Opporsi all'introduzione del cannocchiale diventa semplicemente ridicola: assume l'aspetto di una manifesta offesa alla stessa razionalità umana. Ogni verità deve diventare provvisoria, deve accettare di essere sempre sottoposta a nuovi controlli, a rettifiche, a profonde rielaborazioni. La verità scientifica si rivela intrinsecamente dialettica, incompatibile con ogni pretesa di staticità. La fedeltà ai principi non ha più senso: essa deve venir sostituita con la fedeltà allo spirito scientifico, che può condurci, e spesso ci conduce, al rovesciamento delle nostre più rispettabili teorie. Fu infatti proprio Galileo a comprendere, per primo, la completa diversità esistente tra fedeltà ai principi di una teoria e fedeltà allo spirito scientifico che quella teoria aveva cercato di insegnare; basta ricordare la netta contrapposizione che egli fece tra fedeltà all'insegnamento di Aristotele, e fedeltà ai principi della fisica aristotelica.
" Voglio aggiungere per ora questo solo: che io mi rendo sicuro che, se Aristotele tornasse al mondo, egli riceverebbe me tra i suoi seguaci... Molto più che moltissimi altri. E quando Aristotele vedesse le novità scoperte novamente in cielo, dove egli affermò quello essere inalterabile ed immutabile, niuna alterazione vi era sino allora veduta, indubitabilmente egli direbbe ora al contrario; che ben si raccoglie, che mentre ei dice il cielo inalterabile perché non vi si era veduta alterazione, direbbe ora essere alterabile perché alterazioni vi si scorgono".

3. Se la scienza è interpretata come un ininterrotto susseguirsi di ricerche che possono sempre venir cancellate dalla lavagna, qualora non vengano di volta in volta ritrovate e confermate, ne segue che la sua costruzione non può essere opera di un solo intelletto, per elevato che questo sia, ma deve essere la conquista graduale di schiere sempre nuove di ricercatori: ricercatori che porranno in dubbio, rettificheranno, approfondiranno le conquiste dei loro predecessori. Sviluppando questa tesi galileiana, gli illuministi sosterranno che la ricerca scientifica è un fenomeno essenzialmente collettivo, non individuale, il cui carattere distintivo è quello di poter progredire nel corso della storia, in virtù delle stesse critiche e negazioni alle quali viene continuamente sottoposta. Proprio per promuovere il carattere collettivo della ricerca scientifica, Galileo si preoccupa di esporre la sua opera il lingua italiana, perché non risulti comprensibile solo ai dotti, ma si diffonda anche al di fuori del ristretto mondo accademico: "Io l'ho scritta vulgare, perché ho bisogno che ogni persona la possi leggere".

 

 

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