UOMINI DI POCA FEDE
(profili evangelici)
A TAVOLA COL MORTO
Gesù inizia l’ultima settimana della sua vita tornando a Betània, "dove si trovava Lazzaro, che egli aveva resuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena" (Gv 12,2). Questa cena viene da Giovanni unita tematicamente con l’unica altra cena presente nel suo vangelo, l’ultima cena (Gv 13,2). A Betània, la cena in onore di Gesù sostituisce il banchetto funebre col quale veniva ricordato il defunto (Ger 16,5) e raffigura la celebrazione eucaristica quale ringraziamento al Signore fonte di vita: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,54). Attraverso la resurrezione di Lazzaro, la comunità ha compreso che l’esistenza del credente non è limitata alla vita fisica, ma prosegue, oltrepassando la soglia della morte, nella sfera di Dio. Questa realtà viene festeggiata con una cena nella quale "Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali [lett. che stavano sdraiati con lui]". In questa cena ogni partecipante compie un’azione: Marta è colei che serve, sua sorella Maria unge Gesù, Giuda protesta, Gesù annuncia la sua morte. Dei cinque personaggi presenti alla cena, l’unico che non fa nulla è Lazzaro. Omettendo il soggetto al quale la cena viene offerta, è che può essere tanto Gesù che Lazzaro, ("fecero per lui una cena"), l’evangelista unisce il discepolo al Maestro: è la presenza del Signore che rende possibile quella del morto-risuscitato, che è nominato solo in relazione a Gesù ("sdraiato con lui"). Una volta che le sue sorelle l’hanno liberato dai lacci della morte, Lazzaro è potuto andare al Padre (Gv 11,44) e ora, unito a Gesù, può essere con lui presente nella comunità santuario dove si manifesta l’amore del Signore (Gv 14,21-23).
Allergia al profumo
Nell’ultima cena, Gesù si alzerà da tavola e laverà i piedi ai discepoli. A Betània è Maria che, "presa una libbra di profumo di puro nardo, assai prezioso, unse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì di quel profumo". Attraverso la figura di Maria, la comunità esprime a Gesù la sua riconoscenza per il dono della vita indistruttibile. Ogni particolare di questa manifestazione dei loro sentimenti rimanda al Cantico dei cantici, libro dell’amore per eccellenza. All’ordine del Signore di togliere la pietra dal sepolcro, Marta aveva obiettato realisticamente: "Signore, puzza!" (Gv 11,39). Una volta tolta la pietra, non è il tanfo della morte che ammorba la comunità, ma il profumo della vita che l’inebria. All’esagerata quantità di questo unguento (una libbra equivaleva a circa tre etti e mezzo), corrisponde la qualità dello stesso, il "nardo assai prezioso", profumo che nel Cantico dei cantici esprime l’amore della sposa verso il suo re: "Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo" (Ct 1,12). Anche il particolare riferimento ai capelli, con i quali Maria asciuga i piedi di Gesù, richiama il Cantico, dove si legge che "un re è stato preso dalle tue trecce" (Ct 7,6). Mentre la comunità celebra Lazzaro, il morto che è vivo, la festa è turbata da Giuda, il vivo che è già morto. Avvolto nel fetore della morte, Giuda non tollera l’odore della vita, e appena la casa si riempie di quel profumo interviene protestando: "Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri? ". È la seconda volta che questo discepolo compare nel vangelo di Giovanni. Alla sua prima apparizione, Gesù, riferendosi a lui, lo aveva denunciato come un diavolo ("Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo", Gv 6,70). Nel vangelo di Giovanni il diavolo è definito come colui che è stato menzognero e omicida "fin da principio" (Gv 8,44). Come il diavolo, Giuda è bugiardo e assassino. La sua protesta non nasce dal fatto che "gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro". Nel vangelo di Giovanni, l’unica volta che Giuda parla è per difendere il suo tornaconto. L’amore dimostrato dalla comunità a Gesù nuoce al suo interesse, perché per lui il profitto è il valore più importante. A Giuda i poveri non interessano. L’aiuto ai poveri era solo un pretesto per rubare ancora di più. Giuda rimprovera Maria perché la sua azione è andata a scapito dei poveri, ma in realtà è proprio lui, in quanto ladro, a causare la povertà. Definito da Matteo come l’uomo che "sarebbe stato meglio non fosse mai nato" (Mt 26,24), Giuda è il vero defunto di questa cena: non avendo in se la vita, il discepolo traditore non comprende cosa ci sia da festeggiare. La comunità, per esprimere la sua riconoscenza al Signore, ha preferito un segno d’amore al denaro, poiché ritiene la vita un dono "assai prezioso" che non ha prezzo (il valore del profumo equivale a un anno di lavoro di un salariato), Giuda preferisce il denaro all’amore. Per questo Giuda viene presentato dagli evangelisti come il traditore di Gesù: l’aver consegnato il suo Maestro alle guardie non è che il gesto finale di una continua infedeltà a Gesù e al suo messaggio. Gesù ha insegnato a far dono di tutto quel che si ha, agli altri, comunicando sovrabbondanza di vita (Gv 6,10-11). Giuda ha sempre fatto il contrario: quel che è degli altri se lo è preso per sé, anteponendo sempre il proprio interesse a quello degli altri, e scegliendo la ricchezza all’amore, "non merita che disprezzo" (Ct 8,7). Gesù pone fine alla polemica di Giuda e invita questo discepolo, al quale sta così a cuore il problema dei poveri, a non limitarsi a far loro della beneficenza, ma ad accoglierli nella comunità: ai poveri non c’è da dare l’elemosina, ma da donare se stessi. Giuda aveva protestato affermando che occorreva dare quei denari ai poveri. Gesù l’avverte che i poveri non devono essere oggetto di un’attività caritativa della comunità, bensì i componenti della stessa: "I poveri, infatti, li avete sempre tra voi". Giuda, non potendo impadronirsi ora dei "trecento denari" del profumo, rimedierà più tardi vendendo Gesù per "trenta monete d’argento" (Mt 26,15), il prezzo di una schiavo (Es 21,32).
Ultima cena per due
Gli stessi temi della celebrazione di Betània (la cena, la cassa tenuta da Giuda, i poveri, la morte di Gesù), riappaiono nell’ultima cena, nel drammatico tentativo fatto da Gesù per conquistare Giuda. In questa cena, che sarà l’ultima per entrambi, più Giuda si farà agente delle tenebre che tentano di soffocare la luce (Gv 1,5), più splenderà la luce dell’amore del Signore (Gv 13,1). Per Gesù, frutto della cena sarà la morte, e nella croce egli manifesterà la gloria del Padre (Gv 17,1). Giuda, al termine della cena, verrà ingoiato per sempre dalle tenebre. Nella cena di Betània la comunità festeggiava il ritorno in vita di Lazzaro, il discepolo morto; nell’ultima cena, Giuda diventa strumento di morte per colui che è l’autore della vita. Durante questa cena, Gesù, il Maestro e Signore, lava i piedi dei discepoli. Il Signore si fa servo perché i servi si sentano tutti signori, e si fa Maestro perché tutti apprendano da lui a servire. Ma il gesto d’amore di Gesù è stato inutile con Giuda ("non tutti siete puri"), che rimane servo e discepolo del suo vero maestro, il diavolo. Mentre Gesù continua a rispondere con amore all’odio di Giuda, il discepolo è solo capace di gesti ostili, e il piede che Gesù ha lavato gli si leverà contro: "Colui che mangia il pane con me, ha alzato contro di me il suo calcagno" (Gv 13,18). Di fronte alla resistenza di questo discepolo, che rifiuta ogni offerta d’amore, Gesù non s’arrende e fa un ultimo tentativo, perché il Padre non ha inviato il Figlio per giudicare e condannare (Gv 3,17) ma per salvare, e la sua volontà è che nessuno vada perduto (Gv 6,39), neanche il traditore. Tra gli ebrei era costume che il padrone di casa iniziasse il pranzo intingendo un pezzo di pane nel piatto e l’offrisse all’ospite più importante. Per Gesù è Giuda il più importante dei commensali, perché è l’unico che corre il pericolo di perdersi definitivamente. Per questo, iniziando la cena, Gesù, "intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda". I verbi prendere e dare sono gli stessi adoperati dagli altri evangelisti per la descrizione dell’ultima cena, quando Gesù prese un pane e lo diede ai suoi discepoli (Mt 26,26). Con l’offerta del boccone, gesto d’amore preferenziale, Gesù mette la sua vita nelle mani del discepolo traditore che deve sceglierne che farne. Ma Giuda, fattosi strumento di colui che "fin da principio è stato omicida" (Gv 8,44), continua a covare sentimenti di morte e non mangia il boccone, ma lo prende e se ne va. Mangiare avrebbe significato l’assimilazione a Gesù, "pane della vita" (Gv 6,35). Giuda invece, si assimila al diavolo: prende il boccone, e "dopo quel boccone, il satana entrò in lui". L’evangelista è radicale: o si accoglie Gesù, fattore di vita, e si diventa "figli di Dio" (Gv 1,12), o lo si prende per dargli la morte (Gv 18,12), e diventare "figli del diavolo" (1 Gv 3,10). Rifiutando la vita che Gesù gli offre, Giuda perde la sua, e si conferma "figlio della perdizione" (Gv 17,12). Gesù, vedendo che ormai Giuda persevera nel suo piano diabolico, non lo forza ad accettare il suo dono vitale, e, in un ultimo gesto d’amore, non lo denuncia agli altri discepoli ma gli facilita la via d’uscita dicendogli: "Quello che devi fare fallo al più presto". Nessuno dei commensali comprende queste parole. Alcuni, ricordando l’interesse di Giuda per i miseri, pensarono che costui dovesse dare qualche cosa ai poveri. Ma Giuda, "preso il boccone, subito usci’. Ed era notte". La specificazione che era "notte" è teologica. Gesù è venuto come "luce nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce perché chiunque fa il male, odia la luce" (Gv 3,19-20). E Giuda abbandona definitivamente la sfera della luce per sprofondare sempre più nell’oscurità. Tra poco il traditore tornerà, alla testa del gruppo di guardie che catturerà Gesù, recando con sé "lanterne, fiaccole e armi" (Gv 18,3). Portatore di morte (armi), Giuda cammina nel buio, e per questo ha bisogno di lanterne e di fiaccole. Giuda, è strumento delle tenebre che tentano di soffocare la luce che splende in Gesù. Ma mentre Guida uscirà definitivamente di scena dal vangelo inghiottito dalla notte, la luce di Gesù continuerà a splendere più che mai, perché "le tenebre non l’hanno sopraffatta" (Gv 1,5).
Alberto Maggi
Testo integrale tratto dal periodico quindicinale "Rocca"
(anno 59, n°3) del 1 febbraio 2000, edito da Pro Civitate Christiana, Assisi,
pagg. 55 e 56.