IL VOLTO DEL FRATELLO

liberi = liberatori

 

SCHEDE di riflessione – n° 2 – GIUBILEO 2000 – realizzazione scj IS

 

Scheda: biblica

Scheda: celebrativa

Scheda: esistenziale personale

Scheda: ecclesiale – sacramentale

Scheda: mondialità

Scheda: testi vari

 

Scheda biblica

 

Liberati come "popolo"

L'esperienza della liberazione dall'Egitto è il momento della nascita d'Israele come popolo. Prima, nel libro della Genesi, si racconta piuttosto la storia di una famiglia, quella dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe.

Se consideriamo i testi del Pentateuco, fino a Gen 50,2.25 "Israele" è sempre il nome di una persona, chiamata anche Giacobbe, il figlio di Isacco. In Es 1,9.12 e 3,10 troviamo che i "figli d'Israele" sono ormai un "popolo":

Es 3,10: "E ora va’: ti invio dal faraone per fare uscire il mio popolo, i figli d’Israele, dall’Egitto".

Da Es 3,16 in poi, "Israele" sarà il nome del popolo: le guide del popolo sono gli "anziani d'Israele".

Il cambiamento non è solo una questione di parole, e per la Bibbia non è senza significato che tutto ciò abbia luogo in coincidenza con l’evento della liberazione dall’Egitto. In altre parole, la nascita del popolo costituisce un fatto fondamentale, che può essere compreso solo se collegato a ciò che lo produce, ossia l’azione di Dio.

Infatti, l’identità di Israele come popolo non è data dal semplice accrescimento numerico, dall’essere "in tanti". Essa proviene piuttosto dal senso delle relazioni tra i suoi membri.

 

"Le stesse ossa e la stessa carne"

Israele, secondo il libro della Genesi, discende da un capostipite comune; costituisce, di fatto, una grande famiglia; le dodici tribù si richiamano ai figli di Giacobbe/Israele: con un capostipite comune, i loro rapporti reciproci sono definiti dalla mentalità e dagli usi e costumi del clan.

I membri del popolo sono "ossa e carne" gli uni degli altri. Infatti, le persone unite da legami familiari sono "le stesse ossa e la stessa carne".

Gen 29,14: Allora Labano disse a lui [a Giacobbe]: «Davvero tu sei mio osso e mia carne!». [Il nonno di Labano era fratello di Abramo, nonno di Giacobbe; inoltre, Labano era fratello di Rebecca, la madre di Giacobbe, e quindi suo zio; Giacobbe sposerà le figlie di Labano, Lia e Rachele].

Gdc 9: 1 Abimelech, figlio di Ierub-Baal, andò a Sichem dai fratelli di sua madre e si incontrò con loro e con tutto il clan della famiglia di sua madre. Chiese loro 2 che si rivolgessero ai signori di Sichem dicendo: «Che cosa è meglio per voi, avere settanta capi, quanti sono i figli di Ierub-Baal, oppure avere come capo sopra di voi un solo uomo? Ricordatevi che io sono vostra carne e vostre ossa».

Questa unità, idealmente inscindibile, può essere originaria, per motivi di sangue, o acquisita. L’espressione, infatti, viene utilizzata anche per descrivere la relazione che intercorre tra marito e moglie e tra il popolo (nonché i singoli) e il re.

Gen 2: 23 Allora l'uomo disse: «Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne!». 24 Per

questo l'uomo abbandona suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna e i due diventano una sola

carne.

2Sm 5,1: Tutte le tribù d'Israele andarono da Davide a Ebron e dissero: «Eccoci, noi siamo tue ossa e tua carne!» [= 1Cr 11,1].

2Sm 19: 12 Allora il re Davide mandò a dire ai sacerdoti Zadok ed Ebiatar: «Parlate agli anziani di Giuda: "Perché dovreste essere gli ultimi a far tornare il re alla sua casa? 13 Voi siete miei fratelli, voi siete mie ossa e mia carne. Perché dovreste essere gli ultimi a far tornare il re?". 14 E direte ad Amasa: "Non sei mie ossa e mia carne? Così mi faccia Dio e peggio ancora, se tu non sarai al mio cospetto capo dell'esercito per tutti i giorni al posto di Ioab!"». 15 Così piegò il cuore di ogni uomo di Giuda come di un sol uomo. Essi mandarono a dire al re: «Ritorna, tu e tutti i tuoi servi».

Tuttavia, anche se acquisita, questa appartenenza reciproca non è meno forte: indica, cioè, l’essere realmente una cosa sola. Infatti, l’espressione biblica "ossa e carne" è, innanzitutto, un modo di esprimere l’unità di un essere umano, per dire che si tratta proprio di lui, di lui direttamente, di tutta la sua persona, di tutta la sua vita.

Gb 2: 4 Ma satana rispose al Signore: «Pelle per pelle! Tutto quanto possiede l'uomo è pronto a

darlo per la sua vita. 5 Ma stendi, di grazia, la tua mano e colpisci le sue ossa e la sua carne; vedrai se

non ti maledirà in faccia!».

Gb 33: 21 Quando la sua carne si consuma a vista d'occhio e le ossa, che non si vedevano prima,

spuntano fuori, 22 allora la sua esistenza si avvicina alla fossa e la sua vita agli sterminatori.

Sal 38,4: Nulla di sano c'è nella mia carne, di fronte alla tua ira.

Nulla di integro c'è nelle mie ossa, di fronte al mio peccato.

Pr 14,30: Vita dei corpi è un cuore benigno, l'invidia è tarlo delle ossa.

 

"…il prossimo come te stesso"!

Se l’insieme "carne / ossa" indica la totalità dell’essere umano, dire che i legami familiari (originari o acquisiti) rendono due o più persone "le stesse ossa e la stessa carne" indica ognuna delle persone coinvolte è chiamata a integrare tutte le altre nella propria percezione di sé, nel proprio modo di comprendere e di pensare se stessa, nella propria identità. Gli "altri", in questa visione, smettono di essere per me "altri", e diventano "parte di me", diventano "me stesso".

Si spiega perché il libro del Levitico, dovendo porre un comune denominatore a tutti i precetti che regolano i rapporti tra i membri della comunità d’Israele, lo trova e lo esprime nella categoria "amore", a motivo del fatto che il "prossimo" (cioè: "il figlio del tuo popolo") è un "fratello", è "te stesso".

Lv 19: 17 Non odiare il tuo fratello nel tuo cuore; correggi francamente il tuo compatriota e non

gravarti di un peccato a causa sua. 18 Non vendicarti e non serbare rancore ai figli del tuo popolo. Ama

il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.

Per amare, dunque, non occorre soltanto osservare una distribuzione equilibrata tra me e gli altri, quanto piuttosto riconoscere e comprendere il legame originario, costitutivo che ci lega a loro. Noi non siamo noi stessi senza di loro! C’è una fondamentale unità vitale tra fratelli, che va prima accolta come dono, custodita come tesoro, promossa come impegno.

Questa unità è una risorsa per la vita, una benedizione:

Qo 4: 9 Due stanno meglio di uno, perché hanno una buona ricompensa per la loro fatica. 10 Se

infatti uno cade, può essere rialzato dal compagno: guai a chi è solo, se cade e non c'è chi lo rialzi.

11Anche se si va a letto, in due ci si può scaldare, ma chi è solo come fa a scaldarsi? 12 E se uno è

aggredito, in due possono resistere: non si spezza facilmente una fune a più capi.

Sal 133: 1 Quanto è bello e soave che i fratelli abitino insieme! 2 È come l'olio prezioso sul capo che

discende fin sulla barba, sulla barba di Aronne, che fluisce fino all'orlo della sua veste. 3 È come la

rugiada dell'Ermon che scende fin sui monti di Sion. Sì, là ha disposto il Signore la sua benedizione, una

vita senza fine.

 

"Sono forse io il custode di mio fratello?" (Gen 4,9)

Questa fraternità originaria che determina il valore delle relazioni che gli Israeliti hanno tra di loro è annunciata dalla pagina, profonda e tragica, dell’uccisione di Abele da parte di suo fratello Caino:

Gen 4: 1 Or Adamo si unì a Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, dicendo: «Ho formato un uomo con il favore del Signore». 2 Quindi aggiunse al nato suo fratello, Abele. Abele divenne pastore di greggi e Caino coltivatore del suolo. 3 Or, dopo un certo tempo, Caino offrì dei frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 e anche Abele offrì dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino e l’offerta di lui. Perciò Caino ne fu molto irritato e il suo viso fu abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino: «Perché tu sei acceso d’ira e perché è abbattuto il tuo volto?7 Non è forse vero che se agisci bene puoi tenere alta la testa, mentre se non agisci bene, è alla porta il peccato, in agguato? Esso si sforza di conquistare te, ma sei tu che lo devi dominare!». 8 Poi Caino ebbe da dire con suo fratello Abele. E com’essi furono nei campi, Caino si scagliò contro suo fratello Abele e lo uccise. 9 Il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io custode di mio fratello?». 10 Il Signore riprese: «Che hai fatto? Sento il sangue di tuo fratello che grida a me dal suolo! 11 E ora tu sei maledetto dalla terra che per mano tua ha spalancato la bocca per ricevere il fiotto di sangue di tuo fratello. 12 Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi frutti; errante e vagabondo sarai per la terra». 13 Caino disse al Signore: «È troppo grande la mia colpa, così da non meritare perdono! 14 Ecco, tu mi scacci oggi dalla faccia di questo suolo, e lungi dalla tua presenza io mi dovrò nascondere; io sarò ramingo e fuggiasco per la terra, per cui avverrà che chiunque mi troverà m’ucciderà». 15 Ma il Signore gli disse: «Non così! Chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte!». E il Signore pose su Caino un segno, cosicché chiunque l’avesse incontrato non l’avrebbe ucciso! 16 E Caino partì dalla presenza del Signore e abitò nel paese di Nod, di fronte a Eden.

Il Signore mette in guardia Caino: il peccato sta in agguato alla sua porta. L’immagine del testo biblico descrive il peccato come un animale feroce pronto a balzare sulla preda. Il peccato che sta in agguato è quello contro il fratello… Le domande di Dio non costituiscono tanto l’inchiesta di un detective che deve scoprire la verità; Dio non ne ha bisogno. Esse sono piuttosto le tappe di un itinerario che Dio vuol far compiere a Caino, che tenta di sfuggire alla presa di coscienza di ciò che ha fatto.

In tutto l’episodio, la parola "fratello" ricorre 7 volte (vv. 2.8[2x].9[2x].10.11), sempre con aggettivo possessivo: 3 volte "suo", all’inizio; poi, 4 volte "tuo", sempre sulla bocca di Dio che parla a Caino. Questa insistenza mostra che Dio vuol far prendere coscienza a Caino del fatto che Abele è suo fratello, e che il peccato stava in agguato proprio nel momento in cui egli cercava di allontanare questa verità dal suo cuore.

Per uccidere suo fratello, Caino è costretto a raccontarsi la menzogna: Abele non è suo fratello; egli non ne è il custode… Solo questo delirio può provocare l’irreparabile, infrangendo i sacri legami di vita col fratello. In altre parole, Caino deve far morire il fratello prima nel proprio cuore, per mettere in atto un attacco terribile (cf. la richiesta del figlio minore in Lc 15,12). Caino è il custode di Abele, suo fratello; come può venire meno a una responsabilità così grande, così bella? La "custodia" del fratello è espressa con una verbo (v`m^r) che, le prime tre volte che ricorre nella Bibbia avendo come soggetto un uomo, indica: l’incarico affidato da Dio all’uomo (Adamo) nel giardino di Eden; l’essere responsabile del fratello da parte di Caino; la custodia dell’alleanza da parte di Abramo (si tratta della fedeltà a Dio e alla sua promessa, poi anche ai suoi comandamenti).

Gen 2,15: Poi il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo

custodisse.

Gen 17: 9 Inoltre Dio disse ad Abramo: «Da parte tua, tu devi osservare la mia alleanza, tu e la tua

discendenza dopo di te, di generazione in generazione. 10 Questa è la mia alleanza che custodirete,

alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sarà circonciso ogni vostro maschio».

Così, Caino ha tradito la fiducia del fratello minore, che aveva diritto di contare su di lui…

Il Signore è colui che tiene desta questa responsabilità, questa consapevolezza; egli è colui che ce la fa ricuperare, all’occorrenza, quando l’abbiamo perduta.

Dio come nostro "parente stretto"…

Il rapporto di fraternità fra gli Israeliti riceve da Dio un fondamento e un modello.

La fraternità riceve da Dio innanzitutto il fondamento: è lui che dispone il legame di solidarietà familiare che, fin dall’inizio del mondo, diventa il tramite ordinario della benedizione di Dio agli uomini.

Gen 5: 1 Questo è il libro della genealogia di Adamo. Nel giorno in cui Dio creò Adamo, lo fece a somiglianza di Dio. 2 Maschio e femmina li creò, li benedisse e li denominò «uomo», nel giorno in cui furono creati. 3 Quando Adamo ebbe centotrent'anni generò un figlio a sua somiglianza, conforme all'immagine sua, e lo chiamò Set. 4 E dopo aver generato Set, i giorni di Adamo furono ancora ottocento anni, e generò altri figli e figlie (cf. 1,28).

Inoltre, con Noè (Gen 6,8-9; 7,1; 8,1; 9,1-17) ed Abramo (Gen 15,1-18; 17,1-21), e con gli altri patriarchi, Dio stringe un patto di alleanza, con il quale si mette al loro fianco come amico ed aiuto: la loro discendenza non è il frutto della loro forza generativa, ma della promessa di Dio e della sua benedizione.

Gen 17: 1 Dio disse ad Abramo: «Io sono Dio onnipotente: cammina nella mia presenza e sii integro. 2 Stabilirò la mia alleanza tra me e te, e ti moltiplicherò grandemente». 3 Subito Abram si prostrò col viso a terra, e Dio gli disse: 4 «Ecco la mia alleanza con te: tu diventerai padre di una moltitudine di nazioni; 5 e non ti chiamerai più Abram, ma il tuo nome sarà Abramo, perché io ti farò padre di una moltitudine di nazioni. 6 E ti renderò molto, molto fecondo; di te farò delle nazioni e dei re usciranno da te. 7 Farò sussistere la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, quale alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. 8 E darò a te e alla tua discendenza dopo di te la terra dove soggiorni come straniero, tutta la terra di Canaan, quale possesso perenne; e così diverrò vostro Dio». 9 Inoltre Dio disse ad Abramo: «Da parte tua, tu devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. 10 Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sarà circonciso ogni vostro maschio.

La Bibbia, così, insegna che i legami di unità e responsabilità reciproca tra i membri del popolo sono determinati non solo dalla comune origine ("stesso sangue e stessa carne"), ma soprattutto dalla relazione particolare con cui Dio ha deciso di coinvolgersi prima con i patriarchi, e poi con il popolo nel suo insieme e con ciascuno dei suoi membri.

Questo diviene visibile soprattutto nella liberazione dalla schiavitù degli Egiziani. La liberazione dall’Egitto è operata dal Signore in forza di una scelta radicale di solidarietà con il suo popolo. Il Signore interviene a liberarlo, manifestando qual è il legame che lo unisce ai discendenti di Abramo. La Bibbia segnala che non è in forza di un diritto del popolo che Dio ha agito, ma per una decisione libera, che rimane un mistero nascosto nell’abisso della sua misericordia.

Dt 7: 6 Tu sei un popolo santo per il Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto affinché sia un popolo particolarmente suo tra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. 7 Non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli il Signore si è unito a voi e vi ha scelto; ché anzi voi siete il più piccolo di tutti i popoli. 8 Ma perché il Signore vi ama e per mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatto uscire con mano potente e vi ha liberato dalla casa di servitù, dalla mano di faraone re d'Egitto. 9 Tu sai che il Signore tuo Dio, lui è Dio: il Dio fedele che mantiene l'alleanza e la benevolenza verso coloro che lo amano e osservano i suoi precetti, per mille generazioni.

Per descrivere questo legame che Dio ha voluto stringere con il suo popolo, un legame che lo impegna a un intervento di liberazione, la Bibbia ricorre a un costume giuridico proprio della società israelitica, basata sul clan: il diritto/dovere del parente stretto.

Quando un familiare è finito in condizione di schiavitù, un parente stretto ha l’obbligo di intervenire saldando il debito, per liberare il suo congiunto (Lv 47,49). Oppure, quando una proprietà fondiaria è stata alienata per necessità (con la conseguenza frequente che il capofamiglia non ha più la possibilità di mantenere i suoi), il parente stretto interviene per riscattare la terra e restituirla alla famiglia del proprio congiunto (Lv 25,25). E anche in caso di omicidio ingiusto, il diritto/dovere di fare giustizia spettava al parente stretto (Nm 35,19-28).

Il parente stretto è colui che assume il diritto/dovere di operare il riscatto dei membri della sua famiglia, o di rivendicarne i diritti. Il termine per "parente stretto" si traduce anche con "liberatore" o "redentore", "colui che recupera un bene che era minacciato o perduto".

Questa posizione, che in un clan spetta al parente stretto, in quanto soccorritore dei congiunti in difficoltà, viene applicata al Signore, quale protettore dei deboli di fronte a un avversario potente.

Pr 23: 10 Non spostare il confine della vedova e non entrare nei campi degli orfani; 11 perché il loro difensore è potente e difenderà contro di te la loro causa.

Ger 50,34: Ma il loro redentore è forte, "Dio degli eserciti" è il suo nome; certamente difenderà la loro causa, per tranquillizzare il paese e far tremare gli abitanti di Babilonia.

Giobbe chiama Dio il suo "parente stretto" in quanto ultimo custode del suo diritto; potremmo tradurre qui il termine GOEL con "avvocato" o "assistente legale".

Gb 19,25: Io so che il mio difensore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!

In sintesi, il Signore ha voluto diventare il "parente stretto" del popolo. In Es 3,7.10; 5,1 Dio definisce Israele "il suo popolo" (è la formula con la quale si stringe il patto di alleanza!).

Ez 36,28: Sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio (cf. Ger 7,23; 11,4; Ez 14,11; Os 2,25).

Il Signore si assume così un diritto/dovere di difendere e liberare il suo popolo; si è impegnato (potremmo dire: "liberamente costretto") a stare sempre dalla parte di Israele.

Is 41: 13 Sì, io sono il Signore, tuo Dio, che ti prende per la destra, che ti dice: «Non temere, io ti vengo in aiuto». 14 Non temere, verme di Giacobbe, larva di Israele! Io ti aiuto, oracolo del Signore: il tuo redentore è il Santo d'Israele.

Is 43,1: Ora così parla il Signore, che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha formato, o Israele: «Non temere, perché ti ho redento, ti ho chiamato per nome, tu sei mio».

Is 54: 4 Non temere, perché non sarai confusa, non aver vergogna, perché non dovrai arrossire. Anzi dimenticherai l'onta della tua giovinezza, e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. 5 Poiché tuo sposo è il tuo creatore, il cui nome è Signore degli eserciti; il tuo redentore è il Santo d'Israele, chiamato Dio di tutta la terra. 6 Sì, come una donna abbandonata e afflitta di spirito, ti chiama il Signore; la donna sposata in gioventù viene forse ripudiata?, dice il tuo Dio. 7 Ti ho abbandonata per un breve istante, ma ti riprenderò con grande compassione. 8 In un eccesso di collera ho nascosto per un istante la mia faccia da te, ma con eterno amore ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore. 9 Faccio come ai giorni di Noè, quando giurai che le acque di Noè non avrebbero più inondato la terra; così giuro di non adirarmi più contro di te e di non inveire più contro di te. 10 Poiché i monti possono spostarsi e i colli vacillare, ma la mia benevolenza non si allontanerà da te e il mio patto di pace non vacillerà, dice il Signore, che ha misericordia di te.

 

Agire con Dio e come Lui

Questo agire di Dio verso il suo popolo costituisce il fondamento e anche il modello della fraternità tra i membri del popolo. In particolare, ciò che definisce l’attività liberatrice del "parente stretto" lo si aspetta soprattutto dal re, che per ufficio (soprattutto nell’esercizio delle funzioni di giudice) rappresenta questa vicinanza di Dio ai poveri del suo popolo:

Sal 72: 12 Sì, egli libererà il povero che grida aiuto, il misero che è senza soccorso. 13 Avrà pietà del debole e del povero e porrà in salvo la vita dei miseri: 14 dall'oppressione e dalla violenza egli riscatterà la loro vita, ché prezioso sarà ai suoi occhi il loro sangue..

Ma per tutti gli Israeliti, la solidarietà assunta dal Signore in loro favore è il metro della loro solidarietà reciproca; soprattutto, la liberazione dall’Egitto ottenuta da Dio è il paradigma di ogni relazione fraterna, vissuta come impegno di liberazione.

Dt 15,15: Ricordati che tu fosti schiavo nella terra d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha liberato; perciò oggi ti prescrivo questo.

Dt 5: 12 Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come ti ha ordinato il Signore tuo Dio. 13 Per sei giorni lavorerai e farai tutte le tue opere, 14 ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio; non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia né il tuo servo né la tua serva né il tuo bue né il tuo asino né alcuna delle tue bestie né il forestiero che si trova entro le tue porte affinché si riposi il tuo servo e la tua serva come te. 15 Ricorda che sei stato servo nella terra d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano forte e braccio steso; perciò il Signore tuo Dio ti ha ordinato di celebrare il giorno del sabato.

Così, anche l’osservanza del comandamento del riposo festivo assume una finalità sociale: l’osservanza di un precetto religioso coincide con una prassi di giustizia e di umanità.

La memoria del dono della libertà dalla schiavitù egiziana è l’indicazione che, alla base di rapporti veramente fraterni, bisogna porre un processo di conversione, in modo da assumere lo stesso atteggiamento del Signore verso il popolo, la sua prospettiva.

È quello che succede a Mosè, che in occasione della sua vocazione, è condotto dal Signore a vedere la situazione del popolo con gli stessi occhi di Dio.

Es 2–3: 2,23 Frattanto, in quei lunghi giorni il re d'Egitto morì. I figli d'Israele gemevano per la schiavitù: gridarono, e la loro invocazione di aiuto dalla schiavitù salì fino a Dio. 24 Dio udì il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo, con Isacco e con Giacobbe. 25 Dio vide i figli d'Israele e se ne prese cura. 3,1 Mosè era pastore del gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian: portò il gregge oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. 2 Gli apparve l'angelo del Signore in una fiamma di fuoco, dal mezzo di un roveto. Mosè guardò: ecco che il roveto bruciava nel fuoco, ma il roveto non era divorato. 3 Egli disse: «Ora mi sposto per vedere questo spettacolo grandioso: perché mai il roveto non si brucia». 4 Il Signore vide che si era spostato per vedere, e lo chiamò dal mezzo del roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Disse: «Eccomi!». 5 Disse: «Non avvicinarti: togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo santo». 6 E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe». Mosè si coprì allora il volto perché temeva di guardare Dio. 7 Il Signore disse: «Ho visto l'oppressione del mio popolo che è in Egitto, ho udito il suo grido di fronte ai suoi oppressori, poiché conosco le sue angosce. 8 Voglio scendere a liberarlo dalla mano dell'Egitto e farlo salire da quella terra a una terra buona e vasta, a una terra dove scorre latte e miele, nel luogo del Cananeo, dell'Hittita, dell'Amorreo, del Perizzita, dell'Eveo e del Gebuseo. 9 E ora, ecco, il grido dei figli d'Israele è giunto fino a me, e ho visto pure l'oppressione con cui l'Egitto li opprime. 10 E ora va’: ti invio dal faraone per fare uscire il mio popolo, i figli d'Israele, dall'Egitto».

Vediamo qui un Dio che ascolta, vede, si prende cura; è il giudice che fa l'inchiesta.

Mosè è coinvolto da un gioco di sguardi: vede il roveto, vuole osservare, Dio lo vede avvicinarsi e gli fa vedere la triste condizione di Israele. La chiamata di Mosè è chiamata a partecipare alla visione delle cose e all'impegno di liberazione di Dio. La missione di Mosè è possibile solo con questa conversione. C'è un cammino di trasformazione da percorrere, per essere gli strumenti della liberazione di Dio; altrimenti, non si fa la vera liberazione.

 

"…non gli farai fare il lavoro dello schiavo!" (Lv 25,39)

Si comprende allora il senso della legislazione dell’anno giubilare sulla liberazione degli schiavi:

Lv 25: 39 Se il tuo fratello si trova in difficoltà nei tuoi riguardi e si vende a te, non gli farai fare un lavoro da schiavo; 40 vivrà presso di te come un salariato o un ospite. Fino all’anno del giubileo lavorerà con te; 41 poi ti lascerà, lui e i suoi figli con lui, e tornerà alla sua famiglia, e riprenderà quanto possedevano i suoi padri. 42 Perché sono miei servi, che ho fatto uscire dalla terra d’Egitto; non possono essere venduti come schiavi. 43 Non dominerai su di lui con durezza e temi il tuo Dio. 44 Lo schiavo e la schiava di tua proprietà vi verranno dai popoli che abitano intorno a voi; da loro prenderete schiavi e schiave. 45 Anche tra i figli degli ospiti che abitano presso di voi potrete prenderli e dalle loro famiglie che si trovano presso di voi e che hanno generato nella vostra terra; essi saranno vostro possesso. 46 Li lascerete in eredità ai vostri figli dopo di voi, perché li assumano in possesso eterno; presso di loro prenderete gli schiavi. Ma tra i vostri fratelli, i figli d’Israele, nessuno domini duramente sull’altro. 47 Se un ospite o un residente presso di te raggiunge l’agiatezza e un fratello si trova in difficoltà nei suoi riguardi e si vende schiavo a tale ospite o residente presso di te o a un membro della famiglia dell’ospite, 48 dopo che si è venduto avrà possibilità di riscatto; uno tra i suoi fratelli lo può riscattare, 49 o suo zio o suo cugino o qualche altro membro della sua famiglia lo può riscattare; o se ne avrà i mezzi, si può riscattare da sé. 50 Insieme con il suo compratore calcolerà il tempo a partire dall’anno in cui si è venduto fino all’anno giubilare, e l’ammontare del prezzo della vendita dipenderà dal numero degli anni, calcolando in base alla giornata di un salariato. 51 Se gli anni sono ancora molti, in base al numero di essi rimborserà come suo riscatto una parte della somma con cui è stato acquistato. 52 Se gli anni che rimangono fino all’anno giubilare sono pochi, faccia il calcolo e secondo il numero degli anni rimborsi la somma per il suo riscatto. 53 Stia presso il compratore come un salariato preso a servizio anno per anno, e questi non lo domini con durezza sotto i tuoi occhi. 54 Se non sarà stato riscattato nei modi predetti, sia libero nell’anno giubilare, lui e i suoi figli con lui. 55 A me infatti appartengono i figli d’Israele come servi; essi sono i miei servi che ho fatto uscire dalla terra d’Egitto. Io sono il Signore Dio loro (cf. Es 21,2-11; Dt 15,12-18).

Gli Israeliti non possono più trattare un membro del loro popolo come si tratta uno schiavo: non esistono più diritti (di proprietà o di precedenza; originari o acquisiti) che possano sopravanzare il legame di solidarietà che Dio ha stabilito tra i "fratelli". Anche nel caso un fratello debba saldare il suo debito lavorando, sarà un collaboratore, non uno schiavo senza diritti.

L’anno giubilare è il momento in cui, come Mosè, il popolo intero è di fronte al roveto: vede e ascolta l’urgente appello del Signore a compiere la liberazione di quelli che sono "i suoi". Questo richiamo risuona spesso con le parole del Signore a Caino: "dov’è tuo fratello?". L’istituzione giubilare assume allora un carattere strettamente penitenziale, comporta la presa di coscienza di una trasformazione necessaria.

 

"Voi siete tutti fratelli" (Mt 23,8)

Il Nuovo Testamento approfondisce ulteriormente la prospettiva biblica della fraternità come dono e responsabilità di liberazione.

Il comandamento di Lv 19,18 è stata riconosciuto come fondamentale da Gesù e proposto da lui come complemento inseparabile ("il secondo è simile…") al "più grande e primo dei comandamenti", sintesi di "tutta la Legge e i Profeti", ossia di tutta la Scrittura, l’unica risposta adeguata al progetto salvifico di Dio per gli uomini:

Mt 22: 36 «Maestro, qual è il precetto più grande della legge?». 37 Egli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. 38 Questo è il più grande e il primo dei precetti. 39 Ma il secondo è simile ad esso: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 40 Da questi due precetti dipende tutta la legge e i profeti».

Mc 12: 31 Il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento maggiore di questi». 32 Gli disse lo scriba: «Bene, Maestro. Hai detto giustamente che Egli è unico e che non c'è altri all'infuori di lui; 33 che amare lui con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza, con tutta la forza e amare il prossimo come se stessi vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Vedendo che aveva risposto saggiamente, allora Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».

Rm 13: 8 Non abbiate debiti con nessuno, se non quello di amarvi gli uni gli altri. Chi infatti ama l'altro, compie la legge. 9 Infatti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualunque altro comandamento trova il suo culmine in questa espressione: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 10 L'amore, infatti, non procura del male al prossimo: quindi la pienezza della legge è l'amore.

Tutto il progetto di vita suggerito dal vangelo si gioca in questo essere orientati e pronti all’amore nei confronti del fratello. Solo che, stavolta, si compie un superamento definitivo della prospettiva "tribale" o "di clan" che definiva "il prossimo" nell’Antico Testamento. Già Isaia insegnava che la pratica della fraternità andava oltre i confini della "propria carne", la propria gente.

Is 58,7: Non forse questo: spezzare il pane all'affamato, introdurre in casa i poveri senza tetto, coprire colui che hai visto nudo, senza trascurare quelli della tua carne?

Tuttavia, il dottore della legge che mette alla prova Gesù ritiene di poter stabilire chi ha diritto ad avere la sua solidarietà, ammettendo implicitamente che ci possa essere qualcuno verso il quale egli non sia obbligato. È questo il senso della domanda:

Lc 10,25: Ma il dottore della legge, volendo giustificarsi, disse ancora a Gesù: «Ma chi è il mio prossimo?».

Gesù fa piazza pulita delle resistenze ed obiezioni fondate sui diritti e doveri, e dice che la vita autentica dell’amore è quella capace di andare incontro ad ogni uomo per trattarlo come un fratello. Non importa se l’altro rientra o no nella categoria "prossimo", di cui parla il comandamento; ma ciò che conta è "farsi prossimo", diventare prossimo di ogni uomo. L’amore è forza che crea nell’altro i titoli della fraternità, non aspetta che siano presupposti. L’amore vero denuncia come falsa ogni concezione della fraternità che opera restrizioni o separazioni, finendo per escludere anche solo qualcuno. Così, il modello di osservanza "piena" della legge è un samaritano, che per l’ebreo fedele del tempo di Gesù era un infedele apostata, uno scomunicato: questi (a differenza del levita e del sacerdote) è l’unico che, secondo le parole del dottore della legge, adempie davvero la volontà di Dio, perché ha messo il comandamento dell’amore al di sopra di tutti gli altri.

Lc 10: 30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico, quando incappò nei briganti. Questi gli portarono via tutto, lo percossero e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso passò di là un sacerdote, vide l'uomo ferito e passò oltre, dall'altra parte della strada. 32 Anche un levita passò per quel luogo; anch'egli lo vide e, scansandolo, proseguì. 33 Invece un samaritano che era in viaggio gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. 34 Gli si accostò, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. 35 Il giorno seguente, tirò fuori due monete, le diede all'albergatore e gli disse: "Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più lo pagherò al mio ritorno". 36 Quale di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che aveva incontrato i briganti?». 37 Il dottore della legge rispose: «Quello che ebbe compassione di lui». Gesù allora gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».

Questa fraternità universale, che supera le barriere di lingua, di razza e di religione, è tipica della comunità cristiana che nasce dalla Pentecoste. I primi discepoli di Gesù, pur con fatica (cf. At 5,1-11; 6,1; Gal 2,11-14), vivono questo amore universale che, al tempo stesso, è una realtà frutto del Vangelo annunziato a tutti, come anche un ideale la cui realizzazione non è mai conclusa.

At 2: 9 Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, 10 della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle regioni della Libia presso Cirene, Romani qui residenti, 11 sia Giudei che proseliti, Cretesi e Arabi, tutti quanti li sentiamo esprimere nelle nostre lingue le grandi opere di Dio!»… 41 Essi allora accolsero la sua parola e furono battezzati, e in quel giorno si aggiunsero a loro quasi tremila persone. 42 Essi partecipavano assiduamente alle istruzioni degli apostoli, alla vita comune, allo spezzare del pane e alle preghiere. 43 In tutti si diffondeva un senso di religioso timore: infatti per mano degli apostoli si verificavano molti fatti prodigiosi e miracoli. 44 Tutti i credenti, poi, stavano riuniti insieme e avevano tutto in comune; 45 le loro proprietà e i loro beni li vendevano e ne facevano parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46 Ogni giorno erano assidui nel frequentare insieme il tempio, e nelle case spezzavano il pane, prendevano il cibo con gioia e semplicità di cuore, 47 lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno al gruppo coloro che accettavano la salvezza.

At 4: 32 La moltitudine di coloro che avevano abbracciato la fede aveva un cuore e un'anima sola. Non v'era nessuno che ritenesse cosa propria alcunché di ciò che possedeva, ma tutto era fra loro comune. 33 Con grandi segni di potenza gli apostoli rendevano testimonianza alla risurrezione del Signore Gesù. Erano tutti circondati da grande benevolenza. 34 Non c'era infatti tra loro alcun bisognoso: poiché quanti possedevano campi o case, li vendevano e portavano il ricavato delle vendite 35 mettendolo ai piedi degli apostoli. Veniva poi distribuito a ciascuno secondo che ne aveva bisogno. 36 Anche Giuseppe, chiamato dagli apostoli Barnaba, che vuol dire «figlio di consolazione», levita, nativo di Cipro, 37 essendo in possesso di un campo, lo vendette, e andò a deporre il prezzo ai piedi degli apostoli.

 

"…in tutto simile a noi…" (Eb 2,17; cf 4,15)

Se la solidarietà tra gli Israeliti trovava il fondamento nell’azione liberatrice di un Dio che si era fatto "parente stretto", titolare di un diritto/dovere di intervento in favore del suo popolo, il Nuovo Testamento porta in sé una notizia sconvolgente, che approfondisce in modo inaudito i legami di fraternità tra tutti gli uomini.

Gv 1,14: E il Verbo si fece carne e dimorò fra noi e abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

La volontà di Dio di essere nostro "parente stretto", espressa dai testi dell’Antico Testamento, si è compiuto operando ciò che per la nostra mente rimane impensabile: realmente, nel suo Figlio, Dio è diventato uno di noi.

Eb 2: 10 Infatti a colui, per il quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, che conduce alla gloria dei numerosi figli, conveniva rendere perfetto, per mezzo della passione, il capo della loro salvezza. 11 Infatti colui che santifica e quelli che sono santificati sono tutti da uno; per la qual cosa non ha vergogna di chiamarli fratelli, 12 dicendo: "Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, inneggerò a te in mezzo all'assemblea". 13 E di nuovo: "Io confiderò in lui. Ecco me e i figlioli che Dio mi ha dato". 14 Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli nella stessa maniera ne è divenuto partecipe, per distruggere con la morte colui che detiene il potere della morte, cioè il diavolo, 15 e per liberare quelli che a causa della paura della morte erano ridotti in schiavitù per tutta la vita. 16 Infatti non si è preso cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo. 17 Perciò dovette essere assimilato in tutto ai fratelli, per diventare sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, per espiare i peccati del popolo. 18 Infatti, a motivo di quanto egli ha sofferto, dal momento che egli stesso è stato messo alla prova, è capace di soccorrere quelli che sono nella prova.

Assumendo la stessa carne, il Figlio di Dio ha riempito di sé e della propria grandezza la dignità di tutti gli uomini e le relazioni tra di loro, che d’ora in poi non possono più essere adeguatamente comprese senza il riferimento a questo mistero.

Mt 25: 31 «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua maestà, accompagnato da tutti i suoi angeli, allora si sederà sul suo trono di gloria 32 e davanti a lui saranno condotte tutte le genti; egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e metterà le pecore alla sua destra, i capri invece alla sua sinistra. 34 Allora il Re dirà a quelli che stanno alla sua destra: "Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi sin dall'origine del mondo. 35 Poiché: ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrino e mi ospitaste, 36 nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, ero in carcere e veniste a trovarmi". 37 Allora i giusti diranno: "Signore, quando ti vedemmo affamato e ti demmo da mangiare, assetato e ti demmo da bere? 38 Quando ti vedemmo pellegrino e ti ospitammo? nudo e ti coprimmo? 39 Quando ti vedemmo infermo o in carcere e venimmo a trovarti?". 40 E il Re risponderà loro: "In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatto a me".

È esattamente questo mistero che scopre Saulo sulla via di Damasco, quando per la prima volta incontra Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto:

At 9: 4 «[Saulo,] caduto a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». 5 Egli rispose: «Chi sei, o Signore?». E quegli: «Io sono Gesù che tu perseguiti!».

 

Un mistero di comunione fraterna universale

Non può più essere motivo di discriminazione verso altri uomini il fatto che Gesù si identifica con i suoi discepoli, facendo con essi una cosa sola. Questa comunione è aperta, coinvolgente. Non si esaurisce nell’essere in favore di pochi, né di molti: vuole raggiungere tutti.

1Tm 2: 1 Raccomando, dunque, prima di tutto, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni e rendimenti di grazie in favore di tutti gli uomini… 3 Questa infatti è una cosa bella e gradita al cospetto del Salvatore, nostro Dio, 4 il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. 5 Unico infatti è Dio, unico anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, 6 che ha dato se stesso in riscatto per tutti…

1Cor 15: 28 E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch'egli, il Figlio, farà atto di sottomissione a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti.

Il segno di questa comunione aperta a tutti è la confluenza nella Chiesa degli ebrei e dei pagani. È Cristo la ragione e il fondamento della riconciliazione degli uomini con Dio e tra loro, colui che fa diventare "vicini" anche i "lontani".

Ef 2: 14 Egli infatti è la nostra pace, che ha fatto di due popoli una sola unità abbattendo il muro divisorio, annullando nella sua carne l'inimicizia, 15 questa legge dei comandamenti con le sue prescrizioni, per formare in se stesso, pacificandoli, dei due popoli un solo uomo nuovo, 16 e per riconciliare entrambi con Dio in un solo corpo mediante la croce, dopo avere ucciso in se stesso l'inimicizia. 17 E venne per annunciare pace a voi, i lontani, e pace ai vicini, 18 perché, per suo mezzo, entrambi abbiamo libero accesso al Padre in un solo spirito. 19 Così dunque non siete più stranieri né pellegrini, ma concittadini dei santi e familiari di Dio.

Già la scelta d’Israele non era per escludere i pagani:

Is 19: 23 In quel giorno ci sarà una strada dall'Egitto fino all'Assiria. L'Assiria verrà in Egitto e l'Egitto andrà in Assiria e gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. 24 In quel giorno Israele, il terzo con l'Egitto e con l'Assiria, sarà una benedizione in mezzo alla terra. 25 Il Signore degli eserciti li benedirà dicendo: «Benedetto sia l'Egitto, popolo mio, l'Assiria, opera delle mie mani, e Israele mia eredità».

Gn 3–4: 3,10 Dio vide le loro azioni, che cioè si erano convertiti dalla loro cattiva condotta. Dio allora si pentì del male che aveva detto di far loro e non lo fece. 4,1 Ma ciò dispiacque molto a Giona, che si irritò. 2 Egli pregò il Signore e disse: «Deh, Signore! Non era forse questo il mio pensiero, quando ero ancora nel mio paese? Per questo io la prima volta ero fuggito a Tarsis, perché sapevo che tu sei un Dio pietoso e misericordioso, longanime e di molta grazia e che ti penti del male! 3 Or dunque, Signore, prendi la mia vita, perché è meglio per me morire che vivere!». 4 Il Signore rispose: «È giusta la tua collera?»… 9 Dio disse a Giona: «È giusto che tu sia irritato per il ricino?». Rispose: «Sì, è giusto che io mi irriti fino a morirne!». 10 Il Signore soggiunse: «Tu hai compassione del ricino, per il quale non hai faticato e che non hai fatto crescere; poiché in una notte è sorto e in una notte è finito! 11 E io non dovevo aver pietà della grande città di Ninive, nella quale ci sono più di centoventimila esseri umani che non distinguono la destra dalla sinistra e tanto bestiame?».

Allo stesso modo, l’apertura ai pagani non intende privare il popolo eletto dei beni dell’alleanza.

Rm 11: 25 Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, il piano misterioso di Dio… 26[…] tutto Israele sarà salvato, come sta scritto: "Da Sion uscirà il Salvatore. Egli allontanerà le empietà da Giacobbe; 27 e questo è il patto mio con loro, quando toglierò i loro peccati". 28 […] Per quanto riguarda l'elezione, sono amati a causa dei padri, 29 poiché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. 30 Come, infatti, voi un tempo foste disobbedienti a Dio ed ora siete stati fatti oggetto di misericordia per la loro disobbedienza, 31 così anch'essi sono ora divenuti disobbedienti in vista della misericordia da usarsi verso di voi, affinché anch'essi ottengano misericordia.

 

Segni e strumenti della comunione

Infatti, la Scrittura, nella misura in cui afferma con maggior forza il legame particolare del Risorto con coloro che hanno già creduto in lui, è solo per indicare che essi sono trasformati, per un verso, in profezia della futura condizione di tutti e, per l’altro, nello strumento concreto della comunicazione di questo dono. La comunione dei discepoli con Cristo li rende partecipi anche della sua missione universale.

Mt 28: 18 Allora Gesù disse loro: «Ogni potere mi è stato dato in cielo e in terra. 19 Andate dunque, fate discepole tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a custodire tutto ciò che vi ho ordinato. Ed ecco: io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo».

Mc 16: 15 Poi disse loro: «Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura…».

Questa unità di Gesù con i suoi, unità non solo nella missione ma anche nell’essere, è talmente grande, che per esprimerla Saulo, divenuto l’apostolo, esprime con categorie che riprendono il pensiero biblico delle "stesse ossa e stessa carne". Ricorrerà infatti al paragone del corpo:

Rm 12: 4 Come infatti in un solo corpo troviamo molte membra e le varie membra non hanno tutte le stesse funzioni, 5 così noi, pur essendo molti, formiamo in Cristo un unico corpo, ciascuno membro degli altri.

1Cor 12: 14 Ora, il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. 15 Se il piede dicesse: «Siccome io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 16 E se l'orecchio dicesse: «Siccome io non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 17 Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? 18 Ma Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come ha voluto. 19 Che se tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20 Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21 E l'occhio non può dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». 22 Ché, anzi, quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; 23 e quelle che riteniamo più ignobili le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose ricevono più riguardo, 24 mentre quelle decorose non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo con armonia, conferendo maggiore onore a chi ne mancava, 25 perché non vi fosse disunione nel corpo, ma le membra cooperassero al bene vicendevole. 26 Quindi se un membro soffre, tutte le membra ne soffrono; se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27 Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.

Questa unità si attua e vive in forza del dono dello Spirito Santo che i discepoli hanno ricevuto dal Padre, attraverso Gesù.

Lc 24: «[…] 49 Ed ecco che io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso. Voi però restate in città, fino a quando non sarete rivestiti di potenza dall'alto».

At 1–2: 1,8 Ma lo Spirito Santo verrà su di voi e riceverete da lui la forza per essermi testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, e la Samaria e fino all'estremità della terra»… 2,1 Il giorno della Pentecoste volgeva al suo termine, ed essi stavano riuniti nello stesso luogo. 2 D'improvviso vi fu dal cielo un rumore, come all'irrompere di un vento impetuoso, che riempì tutta la casa in cui si trovavano. 3 Apparvero ad essi delle lingue come di fuoco che si dividevano e che andarono a posarsi su ciascuno di essi. 4 Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito dava ad essi il potere di esprimersi. 5 Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei devoti, provenienti da tutte le nazioni del mondo. 6 Al prodursi di questo rumore incominciò a radunarsi una gran folla, eccitata e confusa, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua.

1Cor 12: 12 Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13 Siamo stati infatti battezzati tutti in un solo Spirito per formare un corpo solo, sia Giudei sia Greci, sia schiavi sia liberi; e tutti siamo stati abbeverati nel medesimo Spirito.

Lo Spirito unisce ciascuno dei discepoli a Cristo, con un legame che è personale e insieme comunitario, attraverso la della fede, che accoglie l’agire – misterioso ed efficace –dello Spirito nei sacramenti, in particolare dei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia.

Ef 4: 1 Perciò io, il prigioniero per il Signore, vi invito a condurre una vita degna della vocazione alla quale siete stati chiamati, 2 con tutta umiltà, dolcezza e longanimità, sopportandovi a vicenda con amore, 3 preoccupati di conservare l'unità dello spirito col vincolo della pace: 4 un solo corpo e un solo spirito, così come siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione; 5 un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; 6 un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, agisce per mezzo di tutti e dimora in tutti.

1Cor 10: 15 Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: 16 il calice della benedizione che noi benediciamo, non è comunione con il sangue di Cristo? Il pane che spezziamo, non è comunione con il corpo di Cristo? 17 Essendo uno solo il pane, noi siamo un corpo solo sebbene in molti, poiché partecipiamo tutti dello stesso pane.

 

Trasformati in lui per vivere come lui

Lo Spirito che riceviamo attraverso i sacramenti opera una autentica trasformazione di noi in Cristo. Gesù, con la sua persona e la sua vita, le sue parole e le sue opere, la sua morte e la sua risurrezione, è "la via", cioè "l’unica via", per realizzare la nostra umanità a misura dell’amore che Dio Padre ci ha donato, in rapporti fraterni e liberanti.

Fil 2: 1 Se dunque c'è un appello pressante in Cristo, un incoraggiamento ispirato dall'amore, una comunione di spirito, un cuore compassionevole, 2 ricolmatemi di gioia andando d'accordo, praticando la stessa carità con unanimità d’intenti, nutrendo i medesimi sentimenti. 3 Non fate niente per ambizione né per vanagloria, ma con umiltà ritenete gli altri migliori di voi; 4 non mirando ciascuno ai propri interessi, ma anche a quelli degli altri. 5 Coltivate in voi questi sentimenti che furono anche in Cristo Gesù: 6 il quale, essendo per natura Dio, non stimò un bene irrinunciabile l’essere uguale a Dio, 7 ma annichilì se stesso prendendo natura di servo, diventando simile agli uomini; e apparso in forma umana 8 si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla morte in croce. 9 Per questo Dio lo ha sovraesaltato ed insignito di quel Nome che è superiore a ogni nome, 10 affinché, nel nome di Gesù, si pieghi ogni ginocchio, degli esseri celesti, dei terrestri e dei sotterranei 11 e ogni lingua proclami, che Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre.

Gv 13: 12 Or quando ebbe lavato loro i piedi, riprese il suo mantello, si rimise a sedere e disse loro: «Capite che cosa vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 16 In verità, in verità vi dico: il servo non è più grande del suo padrone né l'apostolo è più grande di colui che l'ha mandato.

Gv 13: 34 Un comandamento nuovo vi do: che vi amiate gli uni gli altri; come io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri. 35 Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri».

"Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde" (Mt 12,30).

L’opera di liberazione che Dio Padre compie per i suoi figli è in corso, lungo la storia, in ogni luogo della terra. Ci affida la responsabilità di esserne segni e strumenti in un mondo segnato dalla sofferenza che i fratelli infliggono ai fratelli. La storia di Caino e Abele e le pagine iniziali dell’Esodo, sulla schiavitù del popolo di Dio, sono anche una lettura del tempo presente.

La schiavitù, abolita per legge in molti paesi, sopravvive realmente in alcuni (ma sempre troppi!) paesi (anche cosiddetti "civili"), in forme diverse: lavoro forzato e minorile, mancato rispetto dei diritti umani, compravendita di persone come merce, prostituzione forzata anche di minori, ecc.

Esiste poi la schiavitù di chi è costretto a vivere in paesi la cui vita politica, sociale, economica e culturale è compromessa da regimi illiberali, spesso con la connivenza di potentati economici e finanziari. La fame sovente minaccia la sussistenza di intere popolazioni.

Spesso gli stessi potentati sono i responsabili della regia più o meno occulta di guerre locali, che sfociano in veri e propri genocidi.

In occasione del giubileo, i cristiani sono chiamati a prendere coscienza delle situazioni, a partecipare allo sguardo e alla sollecitudine di Dio Padre, a dedicarsi alla liberazione dei fratelli.

Si tratta di riassumere con convinzione l’ideale della fraternità umana e cristiana, di proporlo concretamente attraverso la conversione personale e una azione comune rinnovata nei progetti e nei metodi.

 

Scheda celebrativa

 

IL VOLTO DEL FRATELLO:

"Come ho fatto io, fate anche voi" (cfr. Gv.13,15)

La vita. La mia vita. Che cos’è la vita?

Così preziosa, così desiderabile! Così fragile:

Capacità di amare? Strumento per avere?

Oggetto. Mistero. Desiderio.

Sensazioni. Emozioni.

Trascendenza e sottomissione.

Smagliante di luce. Strisciante come verme.

Unita. Frammentata. Provvisoria.

Con desideri eterni e orizzonti finiti.

Nasce, la vita; vegeta; gioca, recita.

E’. Sembra.

Contempla.

Si agita. Si acquieta. Dispera.

Si rinnova. Invecchia. Muore. Fa morire.

Tante strade; tante scelte.

Vivere o morire. Crescere o scomparire.

Essere unica e irripetibile o anonima e inutile.

Lasciare un’impronta, o essere cancellata per sempre.

Essere cosa, tra tante cose, o immagine di un Padre creatore.

Avere un Maestro o tanti pedagoghi presuntuosi.

La vita: un canto d’amore o un rantolo di morte.

Vivi, la tua vita!

Canto (intanto si colloca l’Eucaristia sull’altare)

Guida: L’Eucaristia è il centro e il culmine della vita della Chiesa.

E’ il memoriale che rinnova nella storia il supremo atto d’amore compiuto da Cristo.

Nell’ultima cena Gesù ha riassunto e racchiuso il significato dell’Eucaristia nel gesto

della lavanda dei piedi: egli, il Figlio di Dio, chinandosi davanti agli uomini per servirli

ha fatto scoprire loro la straordinaria dignità che li segna nel profondo della loro persona:

sono figli di Dio e fratelli gli uni per gli altri.

Lettura della Parola (Gv.13,1-20)

Segno (introdurre i tre segni: catino, brocca, asciugatoio e collocarli accanto all’Eucaristia)

Lettura della Parola (Fil.2,5-8)

Scrive Madre Teresa di Calcutta:

"Il frutto del silenzio è la preghiera

 il frutto della preghiera è la fede

 il frutto della fede è l’amore

 il frutto dell’amore è il servizio

 il frutto del servizio è la pace".

Silenzio di meditazione …

Canto

Guida: Poiché lo scoprirci tutti fratelli in Cristo è il legame profondo che ci unisce, siamo chiamati

a non chiuderci in noi stessi vivendo come ‘isole’ gli uni accanto agli altri.

La fraternità deve ‘farci uscire allo scoperto’ e ad entrare in relazione con gli altri.

Il fratello che ho vicino mi interpella senza sosta e mi sollecita a farmi carico di tutto ciò

lui vive. E il grande passo da compiere è quello di diventare ‘prossimi’ gli uni per gli altri.

Lettura della parola (Gen.4,8-9 e Lc.10,25-37)

Lettore: (con sottofondo musicale e/o arpeggio di chitarra…)

Non sono d’accordo con il fare le cose in grande.

Per noi, ciò che importa è l’individuo.

Per poter amare una persona, dobbiamo entrare

in stretto contatto con lei.

Se aspettassimo di raggiungere molta gente,

non ci raccapezzeremmo più

e non saremmo mai in grado

di manifestare amore e rispetto

per la singola persona.

Credo nel rapporto a tu per tu;

per me ogni persona rappresenta Cristo,

e poiché c’è un solo Gesù,

quella persona in quel momento

è l’unica al mondo.

 

                                                                        (Madre Teresa di Calcutta)

 

Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace:

dove è odio, fa’ ch’io porti l’Amore,

dove è offesa, ch’io porti il Perdono,

dove è discordia, ch’io porti l’Unione,

dove è dubbio, ch’io porti la Fede,

dove è l’errore, ch’io porti la Verità,

dove è disperazione, ch’io porti la Speranza,

dove sono le tenebre, ch’io porti la Luce,

dove è tristezza, ch’io porti la Gioia…

                                                                        (S.Francesco d’Assisi)

Silenzio di meditazione …

Preghiere personali (ognuno interviene proponendo una sua personale preghiera)

Canto (portarsi tutti attorno all’Eucaristia e formare un grande cerchio)

Tutti: Padre mio, voglio essere un ponte

lanciato verso chi soffre,

chi intristisce nella solitudine,

chi ha bisogno d’un consiglio,

d’un richiamo, d’un sorriso.

Ma per costruire ponti orizzontali verso i fratelli

debbo prima costruirne uno verticale tra il mio cuore e Dio:

un ponte modello a cui tutti gli altri devono ispirarsi,

un solido pilastro su cui tutti gli altri devono appoggiarsi.

E’ assurdo voler fare degli uomini fratelli

se prima non ricordo che abbiamo insieme un Padre.

PADRE NOSTRO…. (cantato)

Congedo dell’assemblea

Canto finale

 

Scheda sulla spiritualità esistenziale personale

 

 

Ciò che noi, nella nostra cultura, chiaramente impariamo

troppo poco non è l'arte di agire, di pensare, di fare qualcosa

l'uno per altro,

ma di esistere l'uno per l'altro.

                                                                                                    (Drewermann)

 

Si dice che l’uomo ha bisogno di… e di…: quanta roba!

E c’è chi, semplificando, dice che in fondo in fondo l’uomo cerca la felicità o roba simile

(di solito confondendo il mezzo col fine).

(cf. ORTEGA Y GASSET e «PRENDILA SUL SERIO» di HIKMET)

 

METTER ORDINE AL CAOS DELLA PROPRIA VITA

Uomo con chiare idee è colui che giunge a liberarsi dalle altre idee fantasiose [cioè, la menzogna caratteriale riguardante la realtà] e sa guardare in faccia la vita rendendosi conto che in essa tutto è problematico, tanto da sentirvisi perduto. Ed è questa la verità nuda e cruda: vivere vuol dire sentirsi perduti. Chi accetta questo sta già cominciando a ritrovarsi e a poggiare i piedi su suolo sicuro. Istintivamente, come avviene per i naufraghi, uno si guarda attorno alla ricerca di un qualcosa a cui aggrapparsi, e quell'occhiata tragica e ansiosa - assolutamente sincera, poiché è in gioco la propria salvezza - farà sì che uno cominci a metter ordine nel caos della propria vita. Le sole idee genuine son quelle che germogliano nella testa del naufrago. Tutto il resto è retorica, posa e farsa. Chi non si sente davvero perduto è irrecuperabile, perché non ritroverà mai se stesso e non potrà sollevarsi per fronteggiare la propria realtà.

ORTEGA Y GASSET

 

PRENDILA SUL SERIO

La vita non è uno scherzo: prendila sul serio. Come fa lo scoiattolo, ad esempio, senza aspettarti nulla dal di fuori o nell'aldilà. Non avrai altro da fare che vivere. La vita non è uno scherzo. Prendila: sul serio, ma sul serio a tal punto che messo contro un muro, ad esempio, con le mani legate, o dentro un laboratorio col camice bianco e grandi occhiali, tu muoia affinché vivano gli uomini, gli uomini di cui non conoscerai la faccia, z morrai sapendo che nulla è più bello, più vero della vita. Prendila sul serio ma sul serio a tal punto che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi non perché restino ai tuoi figli ma perché non crederai alla morte pur temendola, la vita peserà di più sulla bilancia.

HIKMET, 1948

Fig. 5: Si domina o si è dominati o.....                            Fig. 6: Vivere insieme e fede in dio....

 

Mi accorgo di non essere solo. Qualcuno gironzola attorno a me:

Chi sei tu? Cosa vuoi da me?

Mi dicono che sei mio fratello! In che senso?!

Mi dicono che puoi essermi utile… davvero?

Vedo come tu possa andarmi bene perché, non sei proprio come me!

cf. T. BRIZZOLARA, "Vivere gli ideali" – A.Manenti - pp. 145-150

 

FRATERNITÁ-DIVERSITÁ

«La via per ritrovare la fraternità passa attraverso il riconoscimento della diversità. Se Caino avesse accettato di essere "diverso" da Abele non lo avrebbe ucciso uccidendo così anche la propria possibilità di essere fratello».

T. Brizzolara, «Non è bene che l’uomo sia solo. Il rischio dell’alterità»

Mi sa che mi ci vuole un medico.

La sua diagnosi: una forma di ipocondria esistenziale.

   Sintomi: 

 

non mi sento capito (e soffro per questo)

mi vedo/sento solo/abbandonato (e soffro per questo)

quante cose dovrebbero cambiare (e soffro per questo)

che fatica «reggerli» (e soffro per questo)

mi risuona in testa un detto: homo homini lupus (quanto soffro!)

                                                        (cf. «Il rifiuto della morte» - E.Becker – Paoline – pp. 212-226)

 

Il medico prima di propormi la terapia mi bisbiglia due frasi:

«non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18)

«l’essenziale è invisibile agli occhi, ma non al cuore» (Piccolo principe)

 

E mi da la terapia. Una caccia al tesoro!

Le tracce sono sparse qua e là su questo territorio:

cf. "Vivere insieme" – A.Manenti – pp. 57-60.

cf. "Gesù psicoterapeuta" – A.Wolf – Queriniana - pp. 135-155, Drewernann …

 

FIGLIO, DI CHI?

 

RESPONSABILITA’:

essere autore di … ciò che mi trovo tra le mani!

essere padrone del mio destino …

 

Sembra che una caratteristica del nostro tempo

(una leccatina al tempo che fu … va sempre bene!!)

sia la problematicità circa l’assumersi

le proprie responsabilità.

Che fare?

un punto di partenza:

quando mi lamento di una particolare situazione devo rendermi conto …

che io stesso ho contribuito a crearla

un consiglio:

lascia perdere le combinazioni astrologiche,

la sfortuna, il malocchio, …               

 

 

    Fig. 7: Responsabilità e quotidianità

 

Esistere uno per l’altro

Ciò che noi, nella nostra cultura, chiaramente impariamo troppo poco non è l'arte di agire, di pensare, di fare qualcosa l'uno per altro, ma di esistere l'uno per l'altro.

A Non si può vivere a lungo insieme ad una persona che ha sulle labbra sempre un'unica domanda: quanto si lodi il suo aspetto esteriore, di quanto aumenti la sua stima, quanto si approvino i suoi progetti e si apprezzino le sue idee, e quanto ci si umili fino a diventare specchio della sua compiaciuta autoconsiderazione. Quelli che si considerano "grandi" si accettano solo come i più grandi e non riescono ad incontrare un'altra persona senza pavoneggiarsi e millantarsi davanti a lei, per apparire ai suoi occhi, anche di un minimo, più belli, migliori, più intelligenti. Ogni incontro con gli altri, perciò, si trasforma per i "grandi" in un'inesorabile lotta concorrenziale per catturare il favore del loro prossimo. Ma, cosa abbastanza paradossale, gli umori narcisistici dell'autocompimento e della ricerca di ammirazione possono riuscire, per qualche tempo, forse anche piacevoli, presto però si comincia a notare la gretta monotonia, l'insopportabile chiusura su se stessi, il puro e semplice disinteresse del "vanitoso" per il destino degli altri e, a partire da questo momento, gli si concede sempre meno proprio ciò che più brama: rispetto, stima e riconoscimento.

B Se nei nostri rapporti percepiamo noi stessi reciprocamente come salvati, non abbiamo allora più bisogno di usare il concetto di responsabilità come lasciapassare della tirannia, della paura e dell'intimidazione; al posto suo potremmo lasciarci scambievolmente determinare da rispetto, da stima, da confidenza, da fiducia e potremmo trovare il coraggio di credere seriamente nelle possibilità dell'altro. Tuttavia, occorre che cerchiamo la nostra verità anzitutto in noi stessi, anziché voler risolvere sempre nell'altro le difficoltà che abbiamo con noi stessi; ed occorre altresì interrogare se stessi per primi su come si vive, invece di sorvegliare come l'altro potrebbe organizzare la sua vita.

C Le persone possono fare molto per cancellare la vera immagine di Dio nell'anima di un altro essere umano, o per mascherarla ed annebbiarla con parole false. Ma noi possiamo anche fare molto, con la nostra vicinanza ad un'altra persona, per renderle Dio vicino.

D Chi è capace di non gettare ombra alcuna sulla vita di un'altra persona, chi si ritrae tanto da non bloccare le 'prospettive' dell'altro, chi diventa così trasparente che la luce del cielo lo illumina come la finestra di una cattedrale, costui più d'ogni altro è, nel senso di Gesù, una persona regale davanti a Dio. Non si tratta mai di potere o di titoli, neppure del titolo di "cristiano", si tratta solo di questo modo di vedere: davanti a Dio conta un'unica specie di umanità, che fa vedere i ciechi, fa camminare gli zoppi, fa risuscitare i morti (Is 35, 5.6; 61, 1).

E Se nella propria vita capita di incontrare una persona la cui intelligenza, la cui bontà e il cui coraggio sono in grado di colmarci di fiducia, di gioia e di amore, è formalmente inevitabile attaccare il proprio cuore e per sempre a questa persona; ad uno che ti ha donato la vita, divenendo egli stesso vita, si vuole e si deve donare la propria vita, per una spinta interna, naturalmente.

F Sì, nella nostra vita potrebbe accadere un meraviglioso cambiamento: potrebbe nascere un altro stile d'essere, se la domanda fondamentale della nostra vita non riguardasse più come presentarsi agli altri o come comportarsi davanti agli altri, ma se fosse rivolta unicamente a come possiamo renderci utili agli altri. Allora non si tratterebbe più di come io mi posso garantire agli occhi degli altri con illusioni, con miraggi di gloria apparente, ma di come io stesso posso dire sì alla mia propria angoscia e con essa convivere un po’, con fiducia. Alla fine sorgerebbe uno spazio libero che permette perfino di percepire anche nell'altro l'impotenza, l'angoscia, la piccolezza e di dargli la possibilità di scendere senza pericolo dai podi su cui, nella sua angoscia, si era rifugiato.

E. Drewermann

 

 

Il medico con fare tra il bonario e il sardomico, mi saluta dicendomi: «Non pensare di cavartela "facendo il buono" perché saresti fuori strada!».

Forse è meglio tenermi la mia ipocondria. Chi me lo fa fare? Non bastava una pastiglia?

(cf. GABER, SOGNO IN DUE TEMPI e CANZONE DELL’APPARTENENZA)

 

SOGNO IN DUE TEMPI

Non si capisce perché quasi sempre i sogni, proprio nel momento in cui, come specchi fedeli dell'anima, stanno per svelare al soggetto i suoi intendimenti nascosti, si interrompono. Ero lì, in una specie di zattera... chi lo sa, forse un naufragio... Insomma, sono lì su un relitto di un metro per un metro e mezzo circa, e, stranamente tranquillo in mezzo all'oceano, galleggio. Chi sa cosa vorrà dire... Va be', vedremo poi. Per la verità avevo già sognato di essere su una zattera con una dozzina di donne stupende... nude. Ma lì il significato mi sembra chiaro. Ora sono qui da solo, ho il mio giusto spazio vitale, mi sono organizzato bene, il pesce non manca, l'acqua figuriamoci... i servizi non sono un problema... ho anche un robusto bastone che mi serve da remo. Non è un sogno angoscioso, ma cosa vorrà dire? Fuga, ritiro, solitudine, probabilmente desiderio di sfuggire la vita esterna che ci preme da ogni parte. Si diventa filosofi, nei sogni.

Oddio, cosa vedo? Fine della filosofia. No, non può essere una testa. Forse una boa. Non so per cosa fare il tifo. La boa fa meno compagnia, ma è più rassicurante. No, no... si muove, si muove. Mi sembra di vedere gli spruzzi. Non è possibile che sia un pesce. Qualcosa che annaspa, sprofonda, riappare, lotta disperatamente con le onde. (con enfasi decrescente) È un uomo, è un uomo, è un uomo, è un uomo, è un uomo!

E ora che faccio. La zattera è un monoposto, ne sono sicuro. Per il pesce non ci sarebbe problema, ma la zattera in due non credo che tenga. (al naufrago) "Non tiene! " Macché, non mi sente.

Sarà a cento metri. Che faccio? Ma come 'che faccio'... Sono sempre stato per la fratellanza, per l'ospitalità, per l'accoglienza. Ho lottato tutta la vita per questi principi. Sì, ma non mi ero mai trovato... Quali principi? Questa è la fine. Qui in due non la scampiamo. E lui avanza, fende le onde. Madonna, come fende! Sarà a settanta metri, cinquanta, trenta...

Quasi quasi gli preparo un dentice. E se non gli piace il pesce? Se gli piace solo la carne? Certo, io devo pensare a me, alla mia sopravvivenza: mors tua vita mea. Oddio... non dovrò mica ucciderlo?

Ma che dico, sto delirando! Lo devo salvare. Poi in qualche modo ci arrangeremo, fraternamente, ci sentiremo vicini. Per forza, non c'è spazio... stretti, uniti, corpo a corpo...

Guarda come nuota... È una bestia! E no... io lo denuncio. Lo ammazzo. Ormai sarà dieci metri. Mi fa dei gesti, mi saluta... mi sorride, lo schifoso. Ma no, poveraccio, per lui rappresento la salvezza, la vita. Che faccio? Dio, che faccio?

Potrei prendere il bastone, potrei allungarglielo per aiutarlo a salire... Potrei darglielo con violenza sulla testa. Siamo al gran finale del dramma. Il dubbio mi corrode. L'interrogativo morale mi divora. Devo decidere. L'uomo è a cinque metri, quattro, tre... Ecco, prendo il bastone e...

E a questo punto mi sono svegliato. Maledizione! Non saprò mai se nel mio intimo prevale il senso umanitario dell'accoglienza o la grande paura della minaccia. Devo saperlo, devo saperlo, non posso restare in questo dubbio morale, devo sapere come finisce questo sogno! Cerco di riaddormentarmi, mi concentro ... sì, mi abbandono. Qualche volta funziona. Ecco, ecco... sì, l'acqua, l'oceano, le onde... un uomo su una zattera... un altro che nuota, annaspa, arranca disperato, sento il cuore che mi scoppia. Oddio... sono io... sono io che nuoto. Ma che è successo? Non è giusto, non è giusto! Io ero quell'altro. Mi piaceva di più stare sulla zattera. Ora affogo... Aiuto, Aiuto... che paura... Aiuto! Meno eroico, anche... non importa. Ma quali dubbi morali... Ho le idee chiarissime, io. Sono per l'accoglienza! Ecco, l'ultimo sforzo, sono a cinque metri dalla zattera, quattro, tre... Alzo la testa verso il mio salvatore... Eccomi!

PUMMM! Che botta

A questo punto mi sono svegliato di nuovo. Non voglio sapere altro. Mi basta così. Speriamo che non sia un sogno ricorrente.

G. GABER

 

CANZONE DELL’APPARTENENZA

L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme

non è il conforto di un normale voler bene

l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

 

L’appartenenza non è un insieme casuale di persone

non è il consenso a un'apparente aggregazione

l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

 

Uomini

uomini del mio passato

che avete la misura del dovere

e il senso collettivo dell'amore

io non pretendo di sembrarvi amico

mi piace immaginare la forza di un culto così antico

e questa strada non sarebbe disperata

se in ogni uomo ci fosse un po' della mia vita

ma piano piano il mio destino

è andare sempre più verso me stesso

e non trovar nessuno.

 

L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme

non è il conforto di un normale voler bene

l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

 

L’appartenenza è assai di più della salvezza personale

è la speranza di ogni uomo che sta male e non gli basta esser civile

è quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa

che in sé travolge ogni egoismo personale con un'aria più vitale che è davvero contagiosa.

G. GABER

 

Scheda ecclesiale – sacramentale

 

FIGLI DI DIO

La realtà fondamentale è che siamo nati da Dio e apparteniamo a lui quali figli (Gv 1,12-13).

Come Cristo viene dal Padre e torna al Padre (Gv 16,28), così tutta la vita cristiana ha origine da Dio come colui che ci ha generati a vita nuova, purificandoci dal peccato; essa si muove e termina nel Padre, come fino ultimo in cui troviamo riposo e pace.

Gesù, Figlio eterno fatto uomo, ha portato il grande messaggio di salvezza: Dio è il Padre nostro e noi siamo suoi figli. Se conoscessimo il dono che ci viene comunicato! Diventiamo figli nel Figlio suo Gesù per divina partecipazione.

La parabola di Lc 15,11-32 non è solo la rivelazione della misericordia di Dio, ma anche la luminosa realtà della casa del Padre in cui noi siamo e ci sentiamo figli; è la rivelazione, semplice e toccante, del nostro essere figli e conoscere Dio come Padre, il vero Padre; in essa possiamo scoprire il rapporto intimo tra i figli e il Padre per vivere tutta la gioia e la bellezza di trovarci nella casa paterna e condividere il suo amore e la sua ricchezza, nonostante la nostra povertà e la nostra infedeltà.

"Nella casa del Padre mio vi sono molti posti"(Gv 14,2). Ciò significa che c’è posto per tutti ed ognuno si sente al proprio posto, a proprio agio, pur nella diversità di ciascuno.

Così si forma la famiglia di Dio con le seguenti caratteristiche:

 

la famiglia vive dell’amore del Padre, nella certezza cioè che Dio ci ama. E’ il fatto liberatore e fonte di ogni guarigione;

la famiglia vive della docilità al Padre: "Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato"(Gv 4,34). I figli si lasciano illuminare dai pensieri del Padre, non già dai propri; dai suoi progetti, non già dai propri interessi;

la famiglia vive nell’unità del Padre. Il Padre unisce tutti i membri della famiglia come un cuore solo: gli uni negli altri come fratelli viventi dello stesso amore del Padre (Gv 17,23).Tutti infatti si sentono generati dall’unico Principio dell’amore, che li unisce saldamente uno con l’altro in modo che uno vede nell’altro le stesse sembianze paterne, al di là delle apparenze. Il volto dolcissimo del Padre viene riflesso nel fratello, che è accolto con la disponibilità e docilità riservata al Padre;

la famiglia vive nella varietà dei doni del Padre, senza gelosia; ciascuno è ricolmo dei doni concessi sapientemente dal Padre e ne è felice; contempla i doni presenti nei fratelli e ne glorifica il Padre, condividendo la medesima gioia e forza.

"Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi"(Gv 8,32).

Esiste una condizione indispensabile, che è come il terreno adatto per accogliere la verità: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli". Rimanere fedeli alla parola di Gesù significa porsi interamente nella sfera d’influenza della sua Parola e lasciarsi guidare da essa, in modo da giungere a quell’unione in forza della quale il discepolo rimane nella parola di Gesù e la Parola rimane nel discepolo (Gv 15,7-8); l’uno vive nell’altra. La Parola ha preso stabile dimora nel suo cuore e gli dona la forza di Dio (1Gv 1,10; 2,14)rendendolo pieno di Spirito (1Gv 2,24-27). Il discepolo deve ascoltarla e farla sua (Gv 6,45), conservarla e metterla in pratica (Gv 8,51). Solo commisurandosi continuamente a quella Parola e ponendola al primo posto, aderendo ad essa senza riserve, il cristiano si fa vero discepolo di Gesù. In tal modo la Parola giunge con tutta la forza e il calore fin nelle profondità dello spirito umano. Nulla sfugge alla sua azione.

Questa è la condizione fondamentale per conoscere la verità. La Verità per san Giovanni non è una nozione astratta, ma è una persona viva, è Gesù stesso, quale rivelatore del Padre (Gv 14,5-6) ed espressione del suo disegno di salvezza (Gv 17,17). Conoscere la verità significa dunque conoscere Gesù, conoscerlo non solo nel senso di sapere chi egli è, ma partecipare alla sua vita e al suo essere, fare una cosa sola con lui.

Però sappiamo che solo il Padre conosce veramente Gesù, perché è suo Figlio, come solo il Figlio conosce il Padre (Mt 11,25-27). E’ necessario dunque entrare nel rapporto del Figlio con il Padre per conoscere la verità e viverla (Gv 17,3). Gesù comunica all’uomo il rapporto di conoscenza con il Padre (Gv 8,38).

Per questo "conoscerete la verità" vuol dire conoscerete il Padre e il Figlio (Gv 14,7-11), sarete inseriti nella loro comunione di amore e di verità (Gv 17,21), vi sentirete i figli del Padre celeste (Gv 1,12).

La verità che Gesù ci trasmette è la consapevolezza di essere figli di Dio. Se tale verità non viene accolta e vissuta in tutta la sua profondità e autenticità, rimaniamo schiavi e avvolti dalla menzogna (Gv 8,44). Se non ci lasciamo portare dalle braccia del Padre, se non ci abbandoniamo alla sua volontà come bambini, non viviamo da veri cristiani. Restiamo chiusi in una visione superficiale del cristianesimo, non ci è possibile capire il piano di Dio e credere al Figlio suo (Gv 8,43); siamo come ciechi, legati ai nostri schemi (Gv 8,46).

"Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero" (Gv 8,36).

La liberazione si attua veramente solo nella dimensione della figliolanza divina. Solo il figlio è libero da ogni forma di schiavitù (Rm 8,2-4.21).

L’opera liberatrice del Figlio comporta un primo aspetto negativo, che consiste nel toglierci dal potere delle tenebre, caratterizzate dalla menzogna (Gv 8,44), quale incomprensione e negazione della verità di Dio, della sua Parola e delle sue opere, causa primaria di ogni peccato e della morte. Un secondo aspetto positivo consiste propriamente nel trasmetterci il dono della vita nuova dei figli, che ci rende liberi e non più servi (Gv 8,36;15,15).

Essere figli significa essere rigenerati da Dio (Gv 1,12; 8,42-44); rinascere dall’alto con acqua e con Spirito (Gv 3,5-7); rimanere nella casa del Padre (Gv 8,35) e nella piena sottomissione a lui (Gv 8,42). La libertà di Gesù, accolta e vissuta dai figli, stabilisce l’uomo in un nuovo rapporto di verità con Dio, con se stesso, con gli altri e con il mondo.

- La verità con Dio

L’autentico rapporto di religiosità, secondo cui "i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori"(Gv 4,23), nasce dal nuovo essere figli di Dio, in quanto rigenerati dalla potenza dello Spirito (Gv 3,5-6). Infatti il figlio riconosce Dio come Padre misericordioso, verso cui prova sentimenti di grande confidenza e familiarità, che sono l’espressione della sua fede forte e sicura. Il figlio riconosce Dio anche come Signore del cielo e della terra, della vita e della morte, del bene e del male, adorando la sua infinita sapienza e potenza, di fronte alla quale non c’è giudizio o pensiero umano che possa prevalere. Il figlio unisce nel suo cuore il senso di fiducia e di rispetto, di amore e di timore, che formano l’atteggiamento di vero culto spirituale e pongono Dio al giusto posto, al posto che gli compete come primo ed ultimo valore di ogni cosa (Mc 12,29).

Per questo quando il figlio si rivolge al Padre è certo che lo ascolta in ogni desiderio e bisogno, ma insieme è disposto a fare la volontà del Padre, perché sa che in essa è il suo bene ed è sempre l’espressione del vero amore (Mc 14,36). Il figlio chiede perdono con dolore, perché capisce la gravità della sua offesa conoscendo la sensibilità del cuore paterno, ma è anche consapevole dell’amore del Padre, che oltrepassa ogni misura (Lc 15,11-32).

- La verità con se stessi

Il figlio possiede il giusto concetto di sé, senza traumi né complessi, perché sente il calore della casa paterna ed è felice di essere nato, quale dono dell’amore del Padre. Sa discernere in sé ciò che è buono, in quanto immagine del Padre, ma sa anche accettare i propri limiti e difetti, perché sa di non essere uguale al Padre, sa di essere povero e bisognoso di tutto, proclive al male. Ma resta sempre la creatura di Dio, la creta plasmata dalle sue mani, espressione della sua sapienza. Ciò lo mantiene nella gioia costante e nella semplicità. Ed è questo il fondamento della sua vera libertà, del suo muoversi senza remore, con agilità e prontezza, impedendogli di ripiegarsi in se stesso e rendendolo sempre più sensibile agli altri. Egli crede all’amore e per questo è ilare, aperto e fiducioso.

- La verità con gli altri

Il figlio vero, colui che si sente tale e vive nel calore della casa paterna, riesce ad instaurare l’esatto rapporto con i fratelli. Egli sa che il Padre ama ogni figlio, come ha amato lui. Ciò gli apre il cuore ad accogliere ogni fratello con lo stesso amore del Padre e scopre in lui le sembianze paterne, anche se miste ad imperfezioni. Lo vede come un dono, pur diverso da sé, in quanto esprime la multiforme sapienza divina. Nasce così una comunione sincera, che si manifesta nella gioia di stare insieme e di sentirsi gli uni amati dagli altri, che conduce ad una verifica coraggiosa per conoscersi a fondo, senza finzioni, per crescere e maturare secondo il disegno del Padre.

- La verità con il mondo

Questo aspetto è importante, perché riguarda il rapporto che il cristiano deve avere verso le cose create. Egli sa che tutto è stato fatto da Dio e tutto è sorretto dalla sua potenza; tutto il creato è dono dell’amore del Padre, affinché i figli abbiano il necessario e il dilettevole per loro crescita. Il figlio gode di tutta questa abbondanza e di queste meraviglie, ma egli sa anche che nel mondo si è insinuato il principe delle tenebre, che è nemico della verità e dell’amore, è il nemico del Padre e di tutta la famiglia e che cerca di portare il male, la divisione, la sofferenza. Il figlio allora considera tutto ciò con grande discernimento e spirito di verità, restando in ascolto di quello che il Padre gli dice e mettendo al primo posto la sua volontà e la sua sapienza, non le proprie impressioni. Il cristiano è colui che vive nel mondo, ma non condivide la mentalità del mondo (Gv 15,19;17,14).

Ciò significa che usa delle cose e se ne serve, senza restarne schiavo (1Cor 7,30-31); sa distinguere e volere ciò che è bene e rifiutare ciò che è male; è consapevole delle proprie forze limitate, perché il nemico è sempre in agguato, per questo confida solo nell’aiuto del Padre e nell’appoggio dei fratelli.

                                            (da Renzo Lavatori, Signore mostraci il Padre, Ed.Ancora , 1990, pp.99-127)

Lo Spirito è all’origine della concezione del Verbo secondo la carne, a questa incarnazione e a questa discesa della divinità nell’umanità corrisponde, e questo è un tema caro ai Padri, la divinizzazione dell’uomo nato dal battesimo e che riceve l’ "essere secondo Dio".

In un secondo momento lo Spirito, nel battesimo al Giordano, come più tardi nella trasfigurazione, stabilisce ufficialmente il Cristo nel suo agire: annunciare e realizzare concretamente il mistero pasquale della morte, della risurrezione e dell’invio dello Spirito che deve continuare l’opera di ricostruzione. Parecchi Padri vedono significata la confermazione nel battesimo al Giordano e nell’intervento dello Spirito; in essa il cristiano riceve il suo agire per rendere testimonianza, annunciare fino alla realizzazione sacramentale ogni qual volta che egli mangia il pane e beve il calice, proclamando la morte del Signore fino al suo ritorno.

Il cristiano è così destinato ad offrire con Cristo e a celebrare con lui nell’eucaristia il mistero pasquale della ricostruzione del mondo nell’unità.

Si scopre facilmente il legame che unisce i tre sacramenti dell’iniziazione: il sacramento dell’essere cristiano, figlio adottivo (battesimo); il sacramento della destinazione del cristiano (confermazione); il sacramento dell’attualizzazione dell’Alleanza realizzata nel suo principio, ma che deve essere continuata (eucaristia).

(da AA.VV., la Liturgia, i sacramenti: teologia e storia della celebrazione, Marietti, 1995 IV ed.                                                                                                                                            pp.14-15)

La filiazione adottiva è sempre riferita a Cristo e alla presenza dello Spirito e viene vista come uno dei modi nei quali si può descrivere il grande fatto della liberazione dal male e della chiamata alla partecipazione della natura divina.

Ecco allora che annunciare la filiazione divina sarà prendere coscienza della salvezza che Gesù di Nazaret ha portato, nella sua specifica doppia realtà di liberazione da ciò che la fede chiama male, o peccato, e di definitiva offerta-presenza di una divinizzazione che può essere veramente espressa in termini di filiazione solo perché è assimilazione inaudita a Colui che si dice, ed è proclamato, ed è veramente il Figlio di Dio.

Nella risurrezione di Gesù di Nazaret, che diviene risurrezione dell’uomo, questa salvezza nei due momenti fondamentali che la costituiscono: quello negativo di superamento del peccato, della morte, della schiavitù della legge, del dolore, dell’inefficacia, e quello positivo della glorificazione, vivificazione, comunicazione dello Spirito, liberazione totale, in una parola della "divinizzazione" dell’uomo, che teologicamente è proprio la sostanza della filiazione divina dell’uomo in Gesù Cristo.

In Gesù di Nazaret, figlio unigenito del Padre, l’umanità stessa entra, in modo realissimo e "carnalissimo", storicamente, in comunione totale di vita con Dio stesso che in Cristo non solo "si rivela" (Cristo segno-immagine del Padre), ma "si comunica" (Cristo segno efficace del Padre).

Ciò vuol dire che in Cristo Dio e l’uomo sono diventati un’unica realtà, in un unico ritmo di vita che unisce tempo ed eternità, storia ed assolutezza, materia e spirito…Dall’incarnazione-morte-risurrezione di Gesù di Nazaret, l’uomo è libero di entrare a far parte del mistero d’amore e di vita che è la realtà trinitaria; da quel momento l’uomo è "Dio per grazia di Dio", figlio vero di Dio perché fratello vero di Cristo, e solo la sua libera e assurda scelta negativa, il peccato, può impedire questa misteriosa ed esaltante realtà.

Noi "ci chiamiamo figli di Dio e lo siamo veramente": in Gesù di Nazaret l’uomo è diventato "partecipe della natura di Dio"(2Pt 1,14), "erede di Dio"(Rm 8,17), ed è per questo che da allora l’atteggiamento nei confronti dell’uomo è identicamente l’atteggiamento nei confronti di Dio. Amare l’uomo significherà amare Dio: "quello che avete fatto ad uno di questi piccoli lo avete fatto a me"(Mt 25,40). E amare Dio è cosa reale solo quando si ama l’uomo: "Chi non ama suo fratello, che vede, come può amare veramente Dio, che non vede? Abbiamo infatti questo comando da lui: che chi ama Dio, ami anche i fratelli"(1Gv 4,20-21).

L’amore di Dio che si finalizza all’uomo, questo che diventa, per grazia, una sola cosa con Dio, la storia dell’uomo che diventa storia di Dio in Cristo: questo è l’annuncio della salvezza cristiana e la figliolanza divina. In questa prospettiva Cristo risorto è una sola cosa con l’umanità salvata, il "Cristo totale", cioè la Chiesa, popolo di Dio che cammina verso la definitiva rivelazione dei "figli di Dio"(Rm 8,19), il luogo privilegiato, il segno pregnante di questo avvenimento che è la salvezza e la dimostrazione efficace del suo attuarsi nella storia degli uomini.

Questa salvezza-figliolanza-divinizzazione è insieme dono di Dio, perché "l’amore viene da Dio"(1 Gv4,7), e compito storico che impegna la libertà e la risposta dell’uomo storico.

Ciò significa che la salvezza-filiazione diviene realtà pienamente posseduta solo quando l’uomo risponde con tutta la sua persona al dono gratuito e lo fa suo attraverso la fede, implicita o esplicita, che è incontro reale di persone, e che trasforma l’uomo nella nuova creatura, vero figlio di Dio, membro vivo del corpo che è Cristo, coerede con lui e con i fratelli della risurrezione e della pienezza della storia. In questa chiave l’impegno terreno per un mondo più giusto e meno disumano è sostanza portante della filiazione divina vissuta e realizzata nella storia.

(da Nuovo Dizionario di Spiritualità, Paoline, 1979, pp.655-671)

Altri riferimenti:

L. Alonso Schokel, Dio Padre, ADP, pp.135-160;

G. Frosini, Incontro al Padre, EDB, 1998, pp.177-194;

H.J.M.Nouwen, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, Queriniana, 1997, pp.59-99

 

Scheda di spiritualità e mondialità

 

LA SOLA VERITA' E' AMARSI

"Un giorno, mentre si trovava in Grecia al Centro di cura Santa Barbara, Follereau propose d'invitare i sani a mangiare con i malati.

- Chi volete che sieda alla stessa tavola dei lebbrosi, che usi gli stessi bicchieri e spezzi lo stesso pane? - chiesero, increduli, i pessimisti.

- Quaranta o cinquanta persone potrebbero venire, - ribatterono gli ottimisti. - Scommettiamo?

Nessuno poteva immaginare che i commensali sarebbero stati 150. La sala, purtroppo, non era abbastanza ampia, così fu necessario mangiare a turno. Parecchi dovettero adattarsi a restare in piedi.

Follereau, felice, andava di tavola in tavola a brindare con i malati. Intrecciava il braccio con quello dei Greci e beveva un sorso di vino. Infine furono spostate le tavole e le sedie e nella sala si scatenò la più allegra tarantella del mondo. Ballarono tutti: i sani sostenevano i malati e li incitavano a tener duro tra risate e grida festose.

Follereau guardava, incantato.

- Lo vedi, Madeleine? Sono i primi anelli d'una catena d'amore che un giorno dovrà legare tutta la terra.

- Proprio così, Raoul. Ed è tutto merito tuo.

Certe iniziative sono contagiose. In altri lebbrosari si organizzarono gare sportive alle quali prendevano parte sani e malati, poi tutt'insieme andavano nei cinematografi a godersi qualche film. Altre volte, invece, i malati si trasformavano in attori per divertire i sani. Erano situazioni così nuove che un medico del Nicaragua disse un giorno:

- Mi occupo da otto anni di questi poveretti. Di tanto in tanto ho visto arrivare doni, ma nessuno metteva piede qua dentro prima che fosse istituita la Giornata Mondiale dei Lebbrosi. Avete ottenuto un successo senza pari.

- Fino ad ora, - gli rispose Follereau, - gli uomini sono vissuti uno accanto all'altro: ora devono imparare a vivere tutti insieme. Domani impareranno a vivere l'uno per l'altro. La sola verità è amarsi."

G. FACCO, Raul Follereau, I big della pace, EMP 1977, pp.100-101.

 

2. VOGLIAMO ESSERE LIBERI

"Sono onorato di potermi rivolgere a voi tutti, amici, fratelli e sorelle; sono anche orgoglioso e lieto di potervi recare un messaggio da parte della mia gente, del Sud Africa.

Penso che stiate chiedendo: «Come può essere orgoglioso e lieto un uomo che viene da un paese in cui la gente viene discriminatamente divisa, e dove i bambini muoiono di fame»? Ma vediamo qual è questo messaggio, di cui quest'uomo è il latore orgoglioso e lieto, come vi dicevo. È il grido di dolore del prigioniero politico mentre gli viene inflitto ancora dolore, mentre subisce nuove torture? No, non è questo il mio messaggio, anche se ne è una parte. È forse il lamento ed il pianto di un uomo costretto all'alba a lasciare il letto dove ha condiviso sogni e ricordi, perchè la legge lo obbliga a passare mesi e mesi lontano dalla propria moglie, dai propri cari, che può rivedere un solo mese l’anno? No, non è questo il mio messaggio, anche se ne è una parte. Questo mio messaggio è allora forse il grido di rassegnazione della madre che non può nutrire i propri figli, che piangono per la fame? No, non è il mio messaggio, anche se ne è una parte. È forse il mio messaggio le grida ed il pianto della gente, tra cui molti bambini quando l'esercito e la polizia apre il fuoco contro di loro? No, non è questo il mio messaggio, anche se ne è parte. È forse il mio messaggio il lamento luttuoso della madre che viene a sapere che il proprio figlio è stato assassinato dai soldati? No, non è questo il mio messaggio, anche se ne è parte. È forse il messaggio di dolore dell'operaio che lavora in fabbrica, e che è accusato di emanare cattivo odore dai suoi compagni? No, non è questo il mio messaggio, anche se ne è parte.

Il mio messaggio, e voglio che lo diciate a tutti, in ogni parte del mondo, è che la mia gente, la popolazione sudafricana ha deciso di essere libera! E che nessuno riuscirà a fermarci, nel nostro cammino verso la libertà. Nelle scuole e nelle università, gli studenti hanno detto: basta con l'apartheid, vogliamo essere liberi! Nelle fabbriche, nei campi e negli uffici, i lavoratori hanno detto: basta con l'apartheid e con lo sfruttamento, vogliamo essere liberi! In tutte le cose, uomini e donne hanno detto: basta, non vogliamo essere ulteriormente sfruttati dal governo, non vogliamo l'apartheid, vogliamo essere liberi! Le madri hanno gridato: basta, non vogliamo che sparino contro i nostri bambini e che li uccidano, non vogliamo più l'apartheid, vogliamo essere liberi! Nelle carceri, dove i miei amici sono rinchiusi, dove si trovano anche i nostri leaders, questo messaggio viene sussurrato di cella in cella: basta con l'apartheid, vogliamo essere liberi. E quando annunciamo il nostro messaggio al mondo, a tutto il mondo, chiediamo anche il vostro sostegno ed il vostro aiuto.

Consentitemi di dire che quando mi trovavo in carcere assieme ai miei compagni siamo venuti a sapere del boicottaggio effettuato dai lavoratori aeroportuali delle South African Airways, e questo fatto ha mitigato il dolore e la rabbia in cui vivevamo in quei giorni; e così, vi chiediamo di boicottare la merce sudafricana, per seguire l'esempio dei sindacati australiani, che stanno boicottando le comunicazioni postali e telefoniche. col Sud Africa. Dall'Australia non giungono più telefonate né lettere. Auguriamoci che la stessa cosa accada per l'Italia. Vi chiedo, membri dei sindacati, di far si che questo avvenga; vi chiedo, giovani che fate parte di movimenti, di portare avanti delle azioni in nostro favore." Ora nel Sud Africa l’apartheid non esiste più!!!

AA.VV., I giovani, lo sviluppo e la partecipazione dei popoli, Mani Tese 1985, pp.169-170.

 

3. LA CROCE DELLA LIBERAZIONE:

IL VOLTO DEL FRATELLO CROCIFISSO

"Vivo a Kogorocho da sei anni. È una delle baraccopoli più disastrate che esistano sulla faccia della terra. Vi vive una minoranza, il 60% della popolazione di Nairobi, sull'1% del territorio urbano disponibile. Neppure quell'1% appartiene ai poveri. Il governo può cacciarli in qualsiasi momento. Neppure le baracche in cui abitano appartengono ai poveri. L'80% di coloro che le abitano paga l'affitto. In questi sei anni ho visto i volti delle vittime, delle nostre vittime, delle vittime della violenza, che non è solo quella dei fucili, ma anche quella economica. Noi non riusciamo a capire perché non vediamo le vittime in faccia e non ne sentiamo il grido.

Vi racconto solo una piccola esperienza. Si tratta di una ragazza, Kikonyo, che ora deve avere 20 anni. L'ho conosciuta quattro anni fa e da allora l'ho sempre seguita. Erano due sorelle, entrambe nubili. Per sopravvivere vendevano liquori, cosa proibita in Kenya. La sorella maggiore aveva tre bambini, Kikonyo due gemelli. Sono entrato in contatto con la sorella di Kikonyo semplicemente perché stava male. L'ho assistita e l'ho aiutata anche a morire. È morta a 21 anni di AIDS. L'ho sepolta nel cimitero dei poveri di Nairobi. Al funerale ho visto Kikonyo piangere. Normalmente i poveri non piangono. È assurdo piangere. Non serve piangere. Dopo il funerale ho detto a Kikonyo: ti sarò vicino. Kikonyo è rimasta con cinque bambini, quelli della sorella e i suoi. Aveva allora 16 anni. Ha continuato a vendere liquori, ma la polizia era continuamente sulle sue tracce per infliggerle delle multe. Stremata, ha smesso quel lavoro. Ogni tanto veniva a dirmi che faceva la fame assieme a tutti i suoi bambini. Un giorno mi disse che tre dei suoi bambini erano scappati di casa ed erano andati al centro di Nairobi a mendicare. Una signora per bene aveva dato loro cento scellini e si era tenuta il più piccolo, dicendo che lo avrebbero ripreso al ritorno. A Nairobi c'è un racket spaventoso di bambini venduti. Kikonyo lo aveva cercato ovunque, ma invano. Ora mi chiedeva consiglio. Il bambino non è mai più ritornato.

Nel frattempo muore di AIDS uno dei fratellini. Resta con tre bambini. Per poterli mantenere cerca di vendere nei negozietti di Kogorocho dei pezzi di carta che compra in città, ma anche questo lavoro non dura. La carta diventa pressoché introvabile, i prezzi salgono alle stelle.

Kikonyo non aveva mai voluto darsi alla prostituzione, almeno in modo abituale. Un giorno viene a dirmi di aver deciso di andare con un’amica negli hotel di Nairobi. Mi sento di dissuaderla, ma Kikonyo mi fa comprendere immediatamente quanto sia borghese la nostra mentalità e la nostra morale. Rimane ben presto incinta. Mi dice che vuole abortire e sparisce per due mesi. Un giorno viene a trovarmi con un marmocchio, un bambino mulatto avuto certamente da qualche turista di passaggio. Evidentemente non ha abortito e ha tenuto il bambino. Mi parla a lungo della sua sofferenza, della paura che si porta dentro di essere ammalata di AIDS come la sorella, del futuro dei suoi bambini. Non ha nessuno al mondo che si possa occupare di loro. La madre è ubriaca dalla mattina alla sera. La sera prima di partire e ritornare per alcuni mesi in Italia la incontro per strada. Mi dice: «Alex tu mi lasci e io muoio!»

Quando si sente il grido di una persona, della gente che lotta, si rimane profondamente scossi. Si comprende all'improvviso tutta l'assurdità del nostro sistema. Ma per rendersene conto bisogna sentire quel grido, fare quell'esperienza. Spesso davanti a tanti bei discorsi ho l'impressione che non comprendiamo nulla. A volte mi domando dove sono, e mi chiedo non chi è Dio, ma dov'è. Di fronte a tanta sofferenza umana - Kogorocho è veramente al limite del tollerabile, del vivibile, la situazione dei poveri diventa veramente disperata. Il sistema economico è tale che ci schiaccia e schiaccia i poveri in modo inesorabile. Gli aggiustamenti strutturali sono balle. Uccidono i poveri. La maggior parte dei ragazzi di Nairobi - fra quattro anni siamo nel duemila - non riesce ad entrare neppure in prima elementare, perché costa troppo. Non si riesce ad entrare all'ospedale perché si è troppo poveri. I poveri non riescono neppure più a seppellire i loro morti, perché esiste un solo cimitero a Nairobi e il trasporto delle salme costa troppo.

Questa è la realtà delle vittime dell’impero del denaro. Bisogna mettere l’economia al primo posto, in primo piano. Tutti gli altri discorsi sono bei discorsi che non servono a nulla. Oggi l’aspetto economico è la realtà fondamentale che guida tutto il resto."

A. ZANOTELLI, Il futuro che ci unisce, EMI1996, pp. 14-16.

 

DIRITTO UNIVERSALE ALLA LIBERTÁ

 

Articolo 22

Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità

Articolo 23

1] Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.

2] Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.

3] Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.

4] Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Articolo 24

Ogni individuo ha diritto al riposo e allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.

Articolo 25

1] Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

2] La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.

Articolo 28

Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.

Articolo 29

1] Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.

2] Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.

3] Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e i principi delle Nazioni Unite.

 

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI

 

5. IL GUSTO DELLA LIBERTÁ

 

Voi che abusate della vostra autorità,

voi che venite a me con la maschera dell'amicizia,

voi che invece del cuore avete un groviglio di serpenti

non avete potere su di me:

non potete impedirmi d'essere semplice come una colomba.

Io ho costruito la mia oasi ho

riguadagnato la mia identità

ho riscoperto la vera pace

fidandomi di Colui che dichiara beati i

poveri della terra, i semplici, i puri di cuore.

Con tutti questi io voglio riposare là

dove il mulino del cuore

non macini più pane, intriso di lacrime.

Voglio passare il mar Rosso

per sfuggire a quei «grandi»

che possono strappare il gusto della libertà.

E con tutti i credenti

voglio marciare verso la terra promessa

là dove si fonderanno verità e giustizia

là dove ancora si potrà sognare.

V. SALVOLDI, Per le strade del mondo, EMI 1982, p. 24.

 

6. FRATERNITÁ E LIBERAZIONE:

ESPERIENZA CONCRETA DI SOLIDARIETÁ

 

Convivenza tra i poveri

Dio ha consegnato alla nostra confraternita il dono di convivere tra i poveri.

- È tra i poveri che impariamo ad accoglierci l'un l'altro e a farci attenti alle necessità di coloro che soffrono.

- La condivisione ci aiuta a evitare l'assistenzialismo.

- L'incontro interpersonale esige un profondo rispetto reciproco. Cinira, sofferente di strada di São Paulo, disse: «Non si tratta di darci o di gettarci delle cose, ma di condividere con noi».

- I sofferenti di strada del Glicério, Sào Paulo, preparano una zuppa con i rifiuti del mercato. I partecipanti, circa 500, sono invitati a pelare i legumi. Questa zuppa, che riunisce persone segnate dall'isolamento, vittime della violenza, ha creato uno spazio di fraternità per la gente di strada, umanizzando la grande città.

- In questa crisi di disoccupazione, sopravviviamo grazie ai lavori in comune e all'artigianato. Questo tipo di lavoro suscita la creatività e permette di riunire le persone.

- Insieme, impariamo a resistere al consumo di prodotti superflui (Coca-Cola, gomme da masticare americane ecc.), di alcool e altre droghe. Noi impariamo anche a coltivare piante medicinali e a consumare sempre più alimenti naturali.

Insieme impariamo a resistere a una cultura artificiale imposta dai network televisivi e dalla pubblicità.

Convivenza nella Fraternità del Servo Sofferente

 

Crediamo nel valore di ogni sofferente come «preferito del cuore di Dio» (Is 42, 1). In un clima gioioso di famiglia, formiamo «gruppi di 7». Sostenuti da una profonda unione spirituale, viviamo la condivisione di quello che siamo, che abbiamo e che sappiamo. È questo che ci dà il coraggio di superare tutto.

- Bambini, giovani, persone sposate, vedove, anziani, malati, religiose, preti, ecc., tutti partecipiamo attivamente alla vita della fraternità.

- Cerchiamo di trovare delle risposte alle sfide della realtà: gesti di pace di fronte alla violenza, presenza nei movimenti popolari, lotta per la casa, costruzione di abitazioni in comune, lavoro comunitario di pulizia per non lasciarci sopraffare dai rifiuti, organizzazione della PAF, Porta Aperta agli Affamati (Famintos), azione solidale per combattere la morte a causa della fame nel Nordeste.

- La fraternità investe tutta la sua forza nell'educazione alla pace e alla nonviolenza evangelica. Quando si verifica un episodio di violenza, la fraternità cerca di creare amicizia e momenti di preghiera sia nella casa della vittima che in quella dell'aggressore. Così si favorisce la riconciliazione.

- Facciamo la scelta di non avere proprietà, di lavorare e organizzarci con mezzi poveri, di usare con rispetto gli spazi che esistono nei diversi luoghi.

- Coloro che sono chiamati a prestare un servizio di coordinamento nella fraternità a livello locale, regionale; nazionale o internazionale non ricevono nessun compenso, lo fanno gratuitamente.

Abbiamo come unico riferimento il nostro Ben Amato Gesù, Servo Sofferente, presente fra noi per la mediazione dei sofferenti, che, per il mistero della loro vita, purificano senza sosta la nostra fraternità dai suoi errori.

F. KUNZ, All’ombra di Nabucodonosor, EMI 1998, pp. 100-102.

 

BIBLIOGRAFIA UTILE

AA.VV., Sud-Nord, nuove alleanze per la dignità del lavoro, EMI 1996.

AA.VV., Sud-Nord, predatori, predati e opportunisti, EMI 1993.

AA.VV., Sulla pelle dei bambini, il loro sfruttamento e le nostre complicità, EMI 1994.

GRASSO E., All’alba del terzo millennio, EMI 1993.

 

Scheda di testi vari

 

Testi per riflettere:

"Dov’è tuo fratello?" – L. Alonso Schokel – Paideia

"Etica e infinito. Il volto dell’altro …" – E. Lévinas – Città nuova 1984.

"La vita in dialogo" – M.Buber – … 1959.

"L’io e il tu" – M.Buber – IRSeF.

"Il principio dialogico e altri saggi" – M.Buber – SAN PAOLO 1993 – "Io e tu" parte III:

"Le linee delle relazioni, nei loro prolungamenti, si intersecano nel Tu eterno. Ogni singolo tu è una breccia aperta sul Tu eterno. Per mezzo di ogni singolo tu la parola fondamentale interpella il Tu eterno. Da questa mediazione del tu di ogni essere giunge loro la pienezza e la non pienezza delle relazioni. Il tu innato si realizza in ognuno e in nessuno trova compimento. Trova esclusivamente compimento solo nella relazione immediata con quel Tu, che per essenza non può diventare esso".

"Il rifiuto della morte" – E.Becker – ed. Paoline 1982 – vd. Capitoli 7 e 8.

Percorsi catechistici:

"Io ho scelto voi" – catechismo dei giovani I – CEI

. cap.4 "Liberi per amare": vivere la comunione nella chiesa: Cristo ci ha liberati per la libertà:

"L’uomo liberato nella fede da egoistiche preoccupazioni per se stesso, liberato nella speranza da angosce ed ansie per i propri limiti, è finalmente libero per amare con totale dedizione.

La libertà cristiana ci è stata donata per amare Dio al di sopra di tutto e per diventare protagonisti di liberazione per altri, nella pratica di un amore fraterno: ‘Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri’ (Galati 5,13).

Alla libertà donata dalla presenza dello Spirito di Dio si aprono così gli orizzonti sempre nuovi dell’amore …".

"Venite e vedrete" – catechismo dei giovani II – CEI

. cap.7 "Vita cristiana, vita nello Spirito":
"Il credente vive la sua adesione a Cristo e al vangelo all’interno dell’avventura, esaltante e faticosa, di diventare pienamente uomo in questo mondo. Ciascuno di noi vive in una realtà, che trova già disegnata senza che gli venga chiesto come, e con questa realtà deve interagire. Trova altre persone con le quali non potrà fare a meno di stabilire dei rapporti, a volte arricchenti a volte difficili, comunque carichi di responsabilità. Ciascuno cresce respirando modi di pensare, gusti e cultura che già plasmano il suo carattere prima di ogni scelta. Ciascuno riceve in eredità un mondo e una cultura da chi lo ha preceduto, rielabora questa eredità per trasmetterla, rinnovata ed arricchita, alle generazioni future. Progetta e produce trasformazioni del mondo: quello della natura e quello della società e della cultura. In una parola fa storia …".

La capacità d’amare …

"Sviluppo umano psicologia e mistero" – F.Imoda – PIEMME 1993.

In particolare: Il mistero umano e il divenire della relazione – pag.195 ss.

"La presenza di una persona all’altra non può avvenire puramente sul piano di una conoscenza oggettivante, … Sul piano affettivo l’incontro con l’altro può essere minacciato nel senso che la presenza dell’altro rischia di essere limitata ad un suo aspetto parziale, e di non essere ricevuta nell’insieme, di non essere colta con una disposizione che sa accettare, ascoltare, e ricevere l’altro nella sua totalità, nella sua stessa esistenza unica e irripetibile.

Inoltre anche sul piano della volontà e del controllo, la relazione è minacciata dalla tendenza a controllare o ad imporre piuttosto che ad aprire e ad aprirsi all’altro. La tentazione di un atteggiamento di potere, di propaganda … si trova in tensione con un atteggiamento più ‘evocativo’ o ‘educativo’ che sa far emergere nell’altro il meglio della sua realtà antropologica. La vulnerabilità di tante forme concrete di pedagogia trova la sua base non solo psicologica, ma ontologica in questa condizione umana dove essere ed apparire non coincidono.

L’altro, che è mistero di fronte ad un sé, all’io che è egli stesso mistero, si presenta dunque costantemente come una ‘domanda’, una questione, un mondo da scoprire e da conoscere, così che l’altro può anche divenire una ‘risposta’; l’altro è anche un ‘ostacolo’, che come soggetto di desiderio infinito si oppone all’altrui desiderio, limitando e resistendo, ma può anche essere possibilità di ‘realizzazione’ nel riconoscimento e nella comunicazione; inoltre l’altro è ‘minaccia’, sfida, pericolo, sorgente di ansia, ma anche ‘promozione’ nel dono di sé."

"Vivere in fraternità" – L.Evely – Cittadella – cap.V: "Amare è condividere".

"Dalle parole al dialogo" – G.Colombero – Paoline.

"Nati per amare" – L.Buscaglia – Mondadori.

"Il colore del grano" – A.Bissi – Paoline 1996.

"Passo dopo passo" – M.Quoist – società editrice internazionale.

"Parlami d’amore" – M.Quoist – SEI.

 

Testimoni …

"Ritratti dei santi" – A.Sicari – Jaka Book:

padre Damiano De Veuster … pag.101;

santa Giuseppina Bakhita … pag.165.

"Il seme che muore" – A.Marchesini – proposta cristiana.

 

Brevi racconti

"C’è qualcuno lassù?" – B.Ferrero – ELLEDICI: pag.66.

"Solo il vento lo sa" – B.Ferrero – ELLEDICI: pag.26.

"L’importante è la rosa" – B.Ferrero – ELLEDICI: pag.12.

"Quaranta storie nel deserto" – B.Ferrero – ELLEDICI: pag.16.

"Il canto del grillo" – B.Ferrero – ELLEDICI: pag.18.30.40.46.54.

 

Musica …

"Uomini del mondo" – Ron.

"In compagnia" – E.Ramazzotti.

"Un nuovo amico" – Cocciante.

"Credo" – G.Morandi.

"Paura" – Ron.

"Io vorrei" – Gen Rosso.

"E’ più bello insieme" – Gen Verde.

"Gli altri siamo noi" – …

"We are the world" – …

"Il mucchio" – B.Antonacci – Il mucchio

"Ancora gente" – R.Zero – Sulle tracce dell’imperfetto:

GENTE TROPPO COMPLICATA, COSI' DISORIENTATA

GENTE CHE TI E' SUCCESSO MAI ?

HAI PERDUTO QUEL TUO FASCINO, QUEL TUO PROFUMO TIPICO

IL BRIO, FURBIZIA ED IRONIA

STAVI SEMPRE ALLA FINESTRA, ERI GENEROSA E ONESTA

MAESTRA DI VITA NON SEI PIU' ... GENTE

CATENACCI ALLA TUA PORTA, SI'

UN LUCCHETTO SU L TUO CUORE, LI'

L'AMORE DA TE NON BUSSA PIU'

LASCIAMI ENTRARE, TI PREGO, NON TENERMI FUORI, NO

E' COSI' BUIA LA VITA, SOLO MI PERDERO'

VOGLIO SENTIRTI, RISCOPRIRTI, CONTAGIARMI DEI TUOI GUAI

ABBRACCIAMOCI DAI, PERDONIAMOCI E POI ...VICINI NOI

TI HO SPIATA, TI HO IMITATA, TI HO PERSA E RITROVATA

NEL DOLORE TI HO AMATA ANCHE DI PIU' ... GENTE

ANCHE SE HAI VENDUTO L'ANIMA

PER SENTIRTI MENO ANONIMA RIPRENDI QUEL PO' DI DIGNITA'

NON VOGLIO PERDERTI ANCORA, NEL MALESSERE CHE SAI

PER UNA SPORCA CARRIERA, NON TRADIRMI, SE PUOI

SE QUESTO MONDO STA IMPAZZENDO, NON PERDIAMOCI CON LUI

GENTE SANA TU SEI

NON VOLARE PIU' VIA RADIOSA GENTE MIA

PERCHE' NON CI SOMIGLIAMO PIU', SVANITA LA FIDUCIA ORMAI

GENTE, SEI GRANDE E NON LO SAI

ABBRACCIAMOCI SE PUOI, ANCORA PIU' VICINI NOI

GENTE, NON VOLARE VIA

NON CAMBIARE IDEA CORAGGIOSA GENTE MIA

"Vive chi vive" – R.Zero – Amore dopo amore.

"Ama gli altri" – M.Di Cataldo – Siamo nati liberi:

L’HAI CAPITO O NO, SIAMO SEMPRE IN GUERRA

NON PARLIAMO PIU’ NEANCHE DENTRO UN BAR

NIENTE CAMBIERA’ CON LO SPRAY SUL MURO

SE ALL’INCROCIO POI, TIRI IL VETRO SU, TE NE FREGHI E VAI

L’HAI CAPITO O NO CHE ALLA PORTA ACCANTO

C’E’ QUALCUNO CHE HA I PROBLEMI TUOI

QUANTE VOLTE ANCH’IO POI MI CHIUDO DENTRO

E NON SENTO CHI PERSO COME ME STA GRIDANDO

AMA GLI ALTRI COME TE, L’HAI SCORDATO ORMAI

AMA GLI ALTRI COME TE, L’HO SCORDATO ANCH’IO

CHE SI POTREBBE VIVERE TUTTI UGUALI SENZA MURI

AMA TUTTI GLI ALTRI COME TE

L’HAI CAPITO ORMAI, CHE NON HO RISPOSTE

PER UN FIGLIO CHE CHIEDERA’ PERCHE’

QUI NESSUNO MAI CI HA INSEGNATO NIENTE

NON MI FIDO PIU’ NON TI FIDI PIU’ DELLA GENTE

AMA GLI ALTRI COME TE, L’HAI SCORDATO ORMAI

AMA GLI ALTRI COME TE, L’HO SCORDATO ANCH’IO

CHE SI POTREBBE VIVERE TUTTI UGUALI SENZA MURI

AMA TUTTI GLI ALTRI COME TE

FAI CADERE IL MURO TRA DI NOI, SE MI VUOI

ORA ANCH’IO TI STO CERCANDO LO SAI

"C’è ancora qualcuno" – B.Antonacci.

"Qualunque sia" – M.Di Cataldo.

"Ma tu chi sei" – G.Morandi.

"Sciogli l’amore" – L.Barbarossa.

Film …

"La leggenda del re pescatore".

Il mondo degli adolescenti …:

"Io con gli altri, oggi" – a cura di E.Fiengo – Mondadori.

 

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