IL Tempo
Spazio della liberazione
SCHEDE di riflessione – n°
5 – GIUBILEO 2000 – realizzazione scj ISScheda: celebrativa
Scheda: esistenziale personale
Scheda: ecclesiale – sacramentale
Scheda: mondialità
Scheda: testi vari
IL DONO PREZIOSO DEL TEMPO
Guida:
Ogni cosa appartiene al Signore…ANCHE IL TEMPO. Celebrare il giubileo è riconoscere questo primato di Dio e disporci a ricollocare in Dio la nostra vita. Vivere è stare dentro lo scorrere del tempo con tutto noi stessi: sentimenti, progetti, relazioni incontri attese… Da Dio siamo partiti, a Dio ritorniamo. L’atto d’amore della creazione ci ha sospinti verso un’avventura in cui ognuno è chiamato a fare la fondamentale scoperta dell’amore di Dio, ad entrare in relazione con esso, a corrispondere con un amore che deve essere ‘con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze’.
La nostra preghiera vuole essere una lode al Signore per il ‘dono del tempo’ il quale è: possibilità che ci è offerta per conoscerlo, spazio in cui ci viene donata la salvezza, chiamata a vivere l’amore.
Il cero acceso sull’altare simboleggia il tempo che scorre: lentamente si consuma, passa, ma in esso e
da esso rifulge la luce dell’amore di Dio.
Guida:
Le parole che ora ascolteremo, testimonianza triste e amara di una ragazza di 17 anni, ci obbligano a interrogarci su come ci poniamo noi di fronte alla vita, come la sentiamo, come la esperimentiamo e la percepiamo.
"
Ho 17 anni e mi sento vecchia. Mi sto chiedendo per che cosa vivo. La mia è un’esistenza vuota, senza significato e la scuola, le gite con gli amici, la discoteca, tutte cose senza senso che fino ad ora non mi hanno insegnato niente. Tante volte penso che una mattina mi sveglierò e avrò cinquant’anni, con due o tre figli ormai abbastanza grandi che se ne stanno andando per la loro strada, mi guarderò allo specchio e avrò il volto coperto di rughe, e quello sarà tutto ciò che mi rimarrà di una vita spesa a fare che? Niente di importante.Sono annichilita, sono terrorizzata dal pensiero di invecchiare e lo sono ancora di più se penso a che velocità corre il tempo. E’ strabiliante. E quel che è peggio è che non puoi fare niente per fermarlo. Se ne va via, ti scorre addosso e non te ne accorgi neanche: solo ogni tanto ti rendi conto che stai morendo sempre di più.
Mi dicono che la mia età è la più bella, e so che è vero, ma come fai a godertela se ogni attimo che cerchi di vivere ti sfugge senza che tu te ne accorga?
Quando vedo i miei amici che hanno tanta voglia di vivere, tanta allegria, tanta fiducia nel mondo, non posso fare a meno di chiedermi perché io non sono come loro. Forse il male sta nel fatto che tutto il mio ottimismo lo hanno gli altri. Dio, l’ho cercato ma non l’ho trovato, non si è fatto trovare da me, non so dove sia, può essere ovunque (se c’è, e comincio a dubitarne) ma non è certo dentro di me.
Ho bisogno di trovare qualcosa a cui aggrapparmi, una speranza, una fede …".
(Paola, Empoli)ASCOLTO DELLA PAROLA
Guida:
Il libro del Qoelet parla della vita come di tempi che si alternano e si susseguono e in cui si rincorrono motivi di gioia e di sofferenza, ottimismo e pessimismo: segno questo che la vita è un ‘mistero’ di cui solo Dio conosce perfettamente i contorni e i limiti.
Dal libro del Qoelet (3,2-11)
"Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.
Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?
Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini, perché si occupino in essa.
Egli ha fatto bella ogni cosa suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore,
senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine.
(breve silenzio di meditazione e di preghiera personale)
IL NOSTRO TALENTO E’ GESU’ CRISTO DI NAZARET,
DONO DI DIO PER LA NOSTRA SALVEZZA.
Il modo in cui la vivete è il dono che voi fate a Dio. (Leo Buscaglia)
. La vita è come l’amore:
non uno stato comodo e tranquillo, ma una grande e meravigliosa avventura (Andrè Fayol)
. Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare. (Pier Giorgio Frassati)
Rit.. La vita è il compimento di un sogno di giovinezza.
Giovani, abbiate ciascuno il vostro sogno da portare a meravigliosa realtà! (Giovanni XXIII)
. Vivere. E’ far sì che anche altri vivano. (Marina Zwetajewa)
. Non è importante ciò che la vita fa di noi,
ma quello che noi facciamo della vita. (Gerhard Uhlenbruck) Rit.
. Nella vita perdere è più necessario che acquistare.
Il grano non germoglia se non muore. (Boris Pasternak)
. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà;
e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. (Vangelo secondo Matteo)
. Quando abbiamo Dio nella nostra vita, essa acquista senso,
tutto acquista valore e diventa fruttuoso. (Madre Teresa di Calcutta) Rit.
(breve silenzio di meditazione)
Guida:
"Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi."
Il tempo dell’uomo è stato assunto da Dio ed è diventato tempo di salvezza, tempo di grazia e di perdono, tempo attraverso il quale Dio comunica all’uomo tutta la ricchezza del suo amore.
ASCOLTO DELLA PAROLA
Dalla lettera ai Romani (13,11-12)
E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.
Dalla lettera ai Galati (4,1-17)
Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l'erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo.
Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!
Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.
Salmo 62
O Dio, tu sei il Dio della mia vita, appena sveglio penso a te;
il mio cuore sente il bisogno di lodarti, la mia mente di meditare la tua Parola.
Come terra screpolata dalla siccità è la mia vita nella durezza del quotidiano,
per questo ogni mattina cerco in te l’acqua viva dello Spirito.
Veramente il tuo amore, Signore, e la luce e la forza della Parola
sono i doni più grandi della vita; non smetterò mai di ringraziarti.
Ti loderò e ti benedirò, Signore, fino all’ultimo palpito del mio cuore,
con gioia e riconoscenza crescente canterò inni e salmi di lode.
E ancor più nel tuo giorno di festa, il giorno del riposo e della lode,
il giorno in cui si riunisce la comunità sento il bisogno e la gioia di contemplarti.
La tua parola è cibo abbondante, l’Eucaristia un banchetto di comunione;
celebrarla assieme ai fratelli mi è di sostegno per l’intera settimana.
Anche alla sera ti invoco, Signore, o a tarda notte, finito il lavoro,
quando mi avvolge la quiete e il silenzio e ripenso alla giornata trascorsa.
Cerco i lineamenti del tuo volto nei volti delle persone incontrate;
gusto la tua presenza d’amore nei fatti dell’operosità quotidiana.
Così la lode mi ritorna alle labbra e con essa il perdono e la pace.
Signore, mio compagno di viaggio, tu dai gioia e serenità alla mia vita.
… per la preghiera e la riflessione personale:
Ho coscienza che la vita è…ritornare a Dio?
Per me il tempo è solo il susseguirsi meccanico dei fatti
oppure spazio in cui sono chiamato ad entrare in relazione con Dio?
Ho coscienza che il tempo della mia vita è continuamente ‘visitato’ dal Signore?
Cosa significa riconoscere che la vita è ‘tempo di grazia e di salvezza’?
(leggere il versetto, l’espressione che più ha colpito, oppure esprimere una preghiera o una breve riflessione)
GESTO DI OFFERTA E DI IMPEGNO:
Al cero grande ognuno accende il proprio piccolo cero: "Signore, prendi la mia vita perché nel dispiegarsi nel tempo e nella storia diffonda attorno a sé la luce del tuo amore"
PADRE NOSTRO
BENEDIZIONE
Scheda sulla spiritualità esistenziale personale
Tic-Tac* si sa che tutto può parlare di me a me,
anche il TIC TAC ( detto anche TEMPO)
quel poco di bene che mi voglio mi è di stimolo a rimettermi in gioco
la paura di farlo … è un po’ che ci convivo e comincia (detto fra noi) a rompere!
quindi … PROVIAMO ?
Eccoti un "quadretto": che riguardi anche TE ?!
"Polli d’allevamento" – G.Gaber:
Cari, cari polli di allevamento coi vostri stivaletti gialli e le vostre canzoni.
Cari, cari polli di allevamento nutriti a colpi di musica e di rivoluzioni
innamorati dei colori accesi e delle grandi autostrade solitarie
dove si possono inventare le americhe più straordinarie.
Con le mani sui grandissimi volanti, l’odore dell’incenso e tanta atmosfera,
spingendo sull’acceleratore col vento tutto addosso finché non scoppia il cuore, il cuore, il cuore.
Tra un’allergia così forte e un bel senso di morte uno strano dlin-dlan.
Cari, cari polli di allevamento scattanti come le palline di certi giochini.
Cari, cari polli di allevamento che inventate come le palline i percorsi più strani
che se qualcuno vedesse dall’alto le sponde dove state rimbalzando
penserebbe che serve solo a questo la superficie del mondo, dlin-dlan.
Siete voi che continuate a rimbalzare da una donna all’altra, da un paese all’altro
inseguendo una forza che sembra lo slancio di impazzire finché non scoppia il cuore, il cuore, il cuore.
Cari, cari polli di allevamento che odiate ormai frustrazione e non per scelta.
Cari, cari polli di allevamento con quell’espressione equivoca e sempre più stravolta
che immaginando di passarvi accanto in una strada poco illuminata
non si sa se aspettarsi un sorriso o una coltellata, dlin-dlan.
In questa vostra vita sbatacchiata che sembra una coda di lucertola tagliata
per riflesso involontario vi agitate, continuate ad urlare finché non scoppia il cuore, il cuore, il cuore.
Tra un’allergia così forte e un bel senso di morte uno strano dlin-dlan.
Cari, cari polli di allevamento coi vostri stivaletti gialli e le vostre canzoni.
… forse manca un po’ di delicatezza! (sic)
Ma hai imparato che certe spine pungono perché … sono tue, allora avanti.
Fig. 12: Oscar.
Si dice che:
il tempo è denaro
non perdere tempo
chi ha tempo non …
il tempo è scaduto
come passi il tempo?
…
Ma:
siamo sicuri che sia
un semplice movimento
di lancette di orologio?
un susseguirsi di cose da fare,
scadenze da rispettare,
un "qualcosa" da riempire?
E se il TEMPO fosse … ME STESSO?!
Però! Non è più il tempo che passa, ma io che passo facendo mio il TIC TAC.
E’ la conferma di quanto io (e tutti) non sono poi mica tanto male!!!
TEMPO DA DISINTOSSICARE
quante scorie prodotte dalla becera abitudinarietà!
se vivo stancamente … è colpa del TIC TAC che scorre o delle mie lenti non ripulite e pronte a scoprire l’oggi?
rompere il meccanismo nevrotico del ripetere le stesse cose senza esservi presenti … è vivere!
frenesie, letargo indefinito, ritmi lunatici … occorre una cura!
TEMPO DA RIVITALIZZARE
flebo a base di zapping esistenziale
oppure: RI-CORDARE la FAME di ASSOLUTO/PIENEZZA ?
Fig. 13: Arenato
IL TEMPO NON E’ MAI FAVOREVOLE A CHI NON SA DOVE ANDARE
pensa alla "bara" che è la noia:
slanci/desideri accantonati (perché non certi)
timore di giocarsi
invidia auto-frustrante
troppa cautela in nome della prudenza
… tutta roba che fa puzza "cadaverica"
… e io mi sento legittimato a consacrarmi "martire"
Che soddisfazione, che vitalità!
N.B. NOIA: non è non sapere che fare, ma paura di desiderare
TEMPO DA SINCRONIZZARE
esisto ma non da soloarmonia tra me e me
con me non finisce la vita (la mia morte)
i segni del tempo (invecchiare): mamma mia!
il mio essere "seme" …
Da "Equivoci dell’anima" – Galimberti :
"Lo sfondo tragico.
L’umanità ha sempre chiamato ‘anima’ la differenza che avvertiva tra sé e l’animale. La parola, come s’è visto, s’è prestata a molti giochi, ma Nietzsche la sorprende alla sua origine, là dove sorge, nella meraviglia stupita dell’uomo di fronte al silenzio animale: ‘L’uomo chiese una volta all’animale: perché non mi parli della tua felicità e soltanto mi guardi? L’animale dal canto suo voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito ciò che volevo dire, ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque; sicché l’uomo se ne meravigliò.
Ma egli si meravigliò anche di se stesso, per il fatto di non poter imparare a dimenticare e di essere continuamente legato al passato: per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corre, corre con lui la catena’ (99,262).
La catena della memoria è dunque la trama dell’anima, ciò che le consente identità e ideazione. Qui Nietzsche è d’accordo con Platone per il quale ‘conoscere è ricordare’ (Menone, 81 c). La memoria, il ricordo è innanzi tutto un ri-accordo che dalla dispersione genera unità e nell’unità rintraccia quell’identità soggettiva e oggettiva che la ragione occidentale ha chiamato Io e Mondo. Sia l’uno che l’altro non sono dati di realtà, ma costruzioni della memoria. Non ci sarebbe ‘Io’ se la memoria non costruisse quella sfera di appartenenza per cui riconosco come ‘miei’ azioni, vissuti, pensieri e sentimenti; non ci sarebbe ‘Mondo’ se la memoria non cucisse la successione delle visioni che altrimenti si offrirebbero come spettacoli sempre nuovi, apparizioni tra loro irrelate.
Costruendo Io e Mondo, la memoria dischiude quell’apertura al senso da cui è escluso l’animale che, senza memoria, non sa di sé e del mondo che lo circonda. Il suo silenzio è inevitabile; l’animale tace perché non sa cosa dire, la mancanza di memoria gli cancella qualsiasi orizzonte come offerta di un possibile senso: ‘Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piolo dell’istante, e perciò né triste né tediato. Il veder ciò fa male all’uomo, poiché al confronto dell’animale egli si vanta della sua umanità e tuttavia guarda con invidia alla felicità di quello giacché questo soltanto egli vuole, vivere come l’animale, né tediato né fra dolori, e lo vuole però invano, perché non lo vuole come l’animale’ (ibidem, 262).
La presenza della memoria, infatti, espone l’uomo alla ricerca di una felicità che non può escludere l’apertura al senso, essendo questa apertura ciò per cui l’uomo è uomo e non animale. Ma l’apertura, dilatandosi, e avanti e indietro, iscrive l’uomo tra la nascita e la morte; anche l’animale è iscritto in questi due limiti, ma non ne ha coscienza, quindi non vive la dimensione tragica di essere ad un tempo aperto al senso e in vista della morte che è implosione di ogni senso. Il tragico è dunque l’elemento costitutivo dell’uomo che la memoria, dopo aver costruito come Io aperto al Mondo, gli ricorda che è aperto per nulla. Allora lotta, sofferenza, e tedio si avvicinano all’uomo per rammentargli ciò che in fondo è la sua essenza, qualcosa di imperfetto che non può mai essere compiuto. E quando infine la morte porta l’oblio, essa sopprime insieme il presente e l’esistenza, imprimendo in tal modo il sigillo su quella conoscenza, che l’esistenza è solo un interrotto essere stato, una cosa che vive del negare e del consumare se stessa, del contraddire se stessa."
Da "I valori fondamentali" – Mondin :
"Tempo.
Potrà sembrare strano includere anche il tempo tra i valori fondamentali. Ma l’inclusione è giustificata perché non v’è dubbio che la temporalità è una dimensione essenziale dell’uomo. Per questo non si può realizzare un’autentica cultura umanistica se non c’è una corretta cultura della temporalità e questo necessità, logicamente, una giusta assiologia del tempo.
Per realizzare una retta valutazione del tempo occorre scongiurare due pericoli: quello dello storicismo (nelle sue molteplici forme: marxismo, idealismo, positivismo, esistenzialismo, ... ), che ne esagera l’importanza. Per Platone il tempo è evanescente immagine dell’eternità. E’ un’ombra sottile e fuggevole, che non va inseguita ma rifuggita frettolosamente come qualcosa di avvilente e contagioso. Per gli storicisti tutta la realtà e tutta la nostra esistenza si svolgono nel tempo e coincidono con il tempo, il quale non ha confini: non ha né inizio né fine, ma coincide con l’eternità. Al di fuori del tempo non si dà che il nulla.
Nella visuale platonica la vita umana è tutta protesa al di fuori, oltre il tempo: è proiettata interamente verso l’eternità, immobile, sempre uguale a se stessa. Sempre ella è; non diviene, non perisce, non s’accresce, non diminuisce. Nella visuale storicistica l’esistenza umana è tutta chiusa nel ristretto arco di tempo che il destino o il caso le assegnano.
Nella storia del pensiero umano c’è stata però anche una terza interpretazione del tempo, che è riuscita ad apprezzarne adeguatamente il valore senza peraltro assolutizzarlo. E’ l’interpretazione che si è fatta strada col cristianesimo, il quale ha riconosciuto la priorità dell’eternità sul tempo (contro la concezione storicista), senza mortificare il valore di quest’ultimo, a cui ha anzi assicurato un senso e un solido fondamento (contro l’interpretazione platonica).
Il tempo non è qualche cosa di insignificante o evanescente, ma, fortunatamente, non è neppure tutto l’essere dell’uomo. Questi necessita il tempo, come sua dimensione essenziale, perché per realizzare il proprio progetto di umanità ha bisogno del tempo (oltre che dello spazio). Ma, nella realizzazione piena del proprio progetto di umanità, l’uomo è chiamato e destinato a trascendere il tempo e ad entrare nell’eternità.
Il tempo ha valore in rapporto all’uomo. Questi, nella sua apparente contingenza, ha un valore assoluto, e perché dotato di valore assoluto, quando la realizzazione del suo progetto sarà completa, è destinato a lasciarsi alle spalle la dimensione del tempo, per acquisire la dimensione dell’eternità, per opera e per grazia di colui che la possiede come suo attributo essenziale, Dio.
La cultura moderna assolutizzando il tempo lo ha solo apparentemente potenziato. In effetti proprio perché il tempo è dimensione dell’uomo e non tutto l’uomo (e tanto meno tutta la realtà) lo ha svuotato del suo vero significato e del suo effettivo valore. Per l’uomo il tempo ha un valore grandissimo, insostituibile, perché la sua vita terrena è coestensiva col tempo che ha a disposizione (un mese, un anno, settant’anni, cent’anni); ma il suo valore non si esaurisce qui. Per l’uomo il tempo è il prologo dell’eternità, prologo essenziale e decisivo, perché la condizione del nostro essere nell’eternità sarà quella che ci siamo meritata nel tempo. Platone ha escogitato miti bellissimi per esprimere il rapporto fra tempo ed eternità. Nel cristianesimo la verità intuita genialmente da Platone è stata ulteriormente chiarificata: il tempo non è una delle catene che tengono l’anima prigioniera del corpo, ma una sua dimensione essenziale per la vita presente e condizione indispensabile per il suo ingresso nell’eternità.
L’uomo del secolo XX, smarrito in un deserto culturale sterminato, ha perso il senso e la misura del tempo, e ignorando il suo immenso valore, lo butta via, lo spreca, lo sperpera insensatamente ovunque: sul posto di lavoro o in ufficio, non lavorando, a scuola non imparando, nei luoghi di riposo o di divertimento dedicandosi a sollievi e a divertimenti stupidi, infantili, dannosi per la salute dell’anima e del corpo. La gente oggi non sa più come valorizzare il tempo che la Provvidenza gli dona. Non ci è concesso di sperperarlo o sotterrarlo. Dobbiamo farlo fruttare al massimo per noi e per gli altri."
* leggi anche: "La cultura del narcisismo" – C.Lasch – Bompiani – pag.232-238.
TEMPO AL TEMPO !
RICAPITOLANDO: CHE TEMPO SARO’ ?
Lasciati provocare dal disegno …
Fig. 14: Clessidra.
e da "Io come persona" – G.Gaber:
In un tempo di rassegnata decadenza
serpeggia la paura nascosta dall’indifferenza.
In un tempo così caotico e corrotto
in cui da un giorno all’altro ci può succedere di tutto.
In un tempo così esasperato e incongruente
con tanta informazione che alla fine uno non sa niente.
In un tempo tremendo in ogni parte del mondo.
In un tempo dove il mito occidentale
nel momento in cui stravince è nella crisi più totale.
In un tempo che è forse peggio di una guerra
dove gli ordigni nucleari pian piano invadono la terra.
In un tempo dove milioni di persone
si massacrano fra loro e non sappiamo la ragione.
E io come persona
io come persona
io come persona completamente fuori dalla scena
io come donna o uomo
che non avverte più nessun richiamo
io che non capisco
e che non riesco a valutare e a credere
io che osservo il tutto
con il sospetto di non scegliere mai,
di non scegliere mai, di non scegliere mai.
In un tempo sempre più ostile allo straniero
e tutti i popoli del mondo stanno premendo sull’impero.
In un tempo indaffarato e inconcludente
si alza minaccioso il sole rosso dell’oriente:
in un tempo senza ideali, né utopia dove l’unica salvezza è un’onorevole follia.
In un tempo tremendo in ogni parte del mondo.
In un tempo dove tutto ti sovrasta e qualsiasi decisione passa sopra la tua testa.
In un tempo dove il nostro contributo la nostra vera colpa è solamente un voto.
In un tempo che non ti lascia via d’uscita dove il destino o qualcuno ha nelle mani la tua vita.
E io come persona, io come persona
io con i miei sentimenti, con i miei traguardi quasi mai raggiunti,
io con la mia fede che si disperde in infinite strade
io stordito e spento, con lo sgomento di dover assistere
io confuso e vuoto, e rassegnato a non schierarmi mai, a non schierarmi mai, a non schierarmi mai.
In un tempo tremendo piano piano ti allontani dal mondo, ma con fatica, senza arroganza, come un uomo sconfitto che riesce a vivere solo rifugiandosi nel suo piccolo mondo. Ma la salvezza personale non basta a nessuno. E la sconfitta è proprio quella di avere ancora la voglia di fare qualcosa e di sapere con chiarezza che non puoi fare niente. E’ lì che si muore, fuori e dentro di noi.
Sei come un individuo innocuo, senza pregiudizi e senza idee. E se non ti si ferma il cuore è perché il cuore … non ha mai avuto la pretesa di pensare. Un individuo impoverito e trasportato al capolinea, un individuo sempre smarrito e più impotente, un uomo al termine del mondo, ai confini del più niente.
Ma io ci sono, io ci sono
io come persona ci sono, io come persona ci sono ancora
io con i miei sentimenti ci sono, io coi miei sentimenti ci sono ancora
io con la mia rabbia ci sono, io con la mia rabbia ci sono ancora
io con la mia voglia di parlare ci sono,
io con la mia voglia di parlare ci sono ancora.
Ma io ci sono, io ci sono
io come persona ci sono, io come persona ci sono ancora
io con la mia forza ci sono, io con la mia forza ci sono ancora
io con la mia fede ci sono, io con la mia fede ci sono ancora
io come donna o uomo ci sono, io come donna o uomo ci sono ancora.
Ma io ci sono, io ci sono
io come persona ci sono, io come persona ci sono
ci sono, ci sono, ci sono, …
… che ora "FAI" ? Grazie!
* si sa che tutto può parlare di me agli altri, anche il TIC TAC
…
EPIGRAFE:"E perduto sia per noi quel giorno, in cui non si sia danzato almeno una volta"
Zarathustra
Scheda ecclesiale – sacramentale
"Editoriale" – in "Parola Spirito e Vita" n°36 – di E.Bianchi – EDB 1997:
"Riflettere sul tempo è forse oggi particolarmente urgente. Per più motivi. Anzitutto per una constatazione: se è vero che l'istanza ecologica, cioè l'igiene e il rispetto dello spazio, dell'habitat, sta pian piano entrando nella coscienza di molti, non altrettanto si può dire per il tempo. Ma la qualità della vita e delle relazioni dipende dall'assunzione integrale e dall'umanizzazione di tutte le dimensioni antropologiche, dunque anche del tempo. E oggi il nostro modo di vivere il tempo è segnato essenzialmente dall'accelerazione e dalla velocizzazione, dall'atomizzazione e dalla frammentazione con conseguenze negative a molteplici livelli. Nella fase attuale della nostra società tecnologica possiamo ben comprendere quanto diceva già più di vent'anni fa A.Y.Gourevitch: «Divenuto padrone del tempo, avendo cioè imparato a misurarlo e a dosarlo con grandissima precisione, a economizzarlo e a dispensarlo, l'uomo si è trovato allo stesso tempo reso schiavo da esso. Infatti, l'idea del tempo, della sua fuga e della sua irreversibilità è continuamente presente nella coscienza dell'uomo "frettoloso" di oggi». «Non ho tempo»: questo leit-motiv del nostro quotidiano discorrere è l'indizio di un malessere profondo che concerne il rapporto con il tempo. Un malessere che riguarda veramente tutti e che indica la necessità di un'umanizzazione del tempo, dei ritmi della vita sociale e lavorativa, dei ritmi temporali in genere, affinché essi siano resi vivibili. Accelerazione e frammentazione sono gli aspetti che oggi connotano il tempo imprigionandolo all'interno di una concezione cosificante che misconosce la sua dimensione di mistero, costringendolo nelle maglie di una comprensione di tipo produttivo-efficientistica che dimentica che esso è essenzialmente «evento di relazione», «spazio di alleanza», «luogo di incontro con l'altro». Scriveva E. Lévinas: «La dialettica del tempo è la dialettica stessa della relazione con gli altri». In un contesto in cui non «il tempo» è colto, ma «i tempi», e questi spezzettati, segmentati, giustapposti, incalzanti, diviene problematico l'edificazione, la strutturazione armonica e l'unificazione della persona. Nell'attuale «incantesimo del tempo senza vincoli» (J.B.Metz) diviene problematico capire che la libertà non coincide con l'assenza di vincoli, ma si manifesta nella costruzione di una storia «comune», con un altro e con altri, in un legame liberamente scelto e a cui responsabilmente ci si sottomette. L'uomo d'oggi assomiglia all'uomo próskairos di cui parla il vangelo (Mt 13,21; Mc 4,17), l'uomo «di un momento», incapace di durata, di perseveranza, di costruire una storia e non, come spesso avviene, solo un frustrante e sconnesso ammasso di episodi. In questo contesto si comprende quanto dicono molti psicologi circa l'attuale prolungamento a tempo indeterminato dell'adolescenza.
Questa prima constatazione ci conduce ad una seconda, che riguarda più da vicino la vita e l'azione della chiesa. Che ne è, in questo contesto, di quelle parole costitutive della spiritualità cristiana quali: perseveranza, fedeltà, attesa, pazienza, vigilanza, speranza, ... Virtù e atteggiamenti che hanno a che fare direttamente con il tempo e che sembrano oggi così difficili da declinarsi. L'impressione è che le difficoltà e le patologie nel rapporto attuale con il tempo si riflettano anche nell’ambito della vita di fede ed ecclesiale. Ma non sarebbe forse questa l'occasione per i cristiani di riscoprire il fondamento antropologico di quelle dimensioni che abbiamo appena accennato e che non rientrano solamente in una fisionomia matura di credente, ma anche nel ritratto di un «uomo» maturo? La pazienza come arte di vivere l'incompiuto; l'attesa come spazio interiore fatto all'altro, come fondamento spirituale dell'azione; la perseveranza come arte di restare nel tempo, nella coscienza che è l'intero arco di una vita che fa di una esistenza un capolavoro; la fedeltà come capacità di attesa dei tempi dell'altro, come adesione ad una storia, come capacità di resistenza nelle contraddizioni, come «volontà di non cedere all'inclinazione apostatica» (V.Jankélévitch); la speranza come attiva lotta contro la disperazione e come assunzione della responsabilità del futuro proprio e degli altri; la vigilanza come arte dell'attenzione al quotidiano e come responsabilità di custodia verso l'altro. Il Cristo che è apparso «per insegnarci a vivere in questo mondo» (cf. Tt 2,11-12) non ci chiede forse di assumere radicalmente la temporalità e la corporalità (il corpo non è forse il libro su cui si incide la scrittura del tempo?) della nostra esistenza per vivere in esse la fede? E questa vita, così umana e così spirituale (e veramente spirituale perché autenticamente umana), non sarebbe forse evangelizzazione? Non sprigionerebbe forse un messaggio ricco di senso per gli uomini di oggi? Anzi, non è forse proprio questo il compito (la diaconia) della chiesa verso gli uomini: quello di indicare il senso del senso, il senso cioè dei diversi sensi che gli uomini assegnano alla loro vita, il senso ulteriore, la speranza oltre la morte?
In queste difficoltà in cui si dibatte oggi la vita dei cristiani va inserita la denuncia dell'assenza dell'iniziazione: l'esperienza di fede (come del resto l'esperienza umana, l'arte di vivere) necessita di gradualità, di accompagnamento, di progressività: il «tutto e subito» è bandito dall'esperienza spirituale (e umana) seria. «Oggi, per molti, l'iniziazione manca. Nulla corrisponde seriamente a ciò che offrivano, alla loro maniera, altre società, per permettere all'uomo di superare le minacce e le angosce che abitano nelle sue profondità, per trovare finalmente il suo cammino di uomo. Si procede a casaccio, secondo gli incontri, gli impulsi ... L'iniziazione introduce alla vita umana; questa vita va fino alla morte. Vi saranno così, nell'iniziazione, due aspetti, due dimensioni: ciò che introduce alla vita al di qua della morte; ciò che parla dell'al di là della morte» (M.Bellet). Perché non ridare fiato ad una trasmissione della fede che oggi vediamo atrofizzata dall'ossessione sacramentale e ridotta a istruzione appiattita sul modello scolare facendone anche un luogo di apprendimento di sapienza umana: quella sapienza, ci ricorda il Salmo, che nasce dal saper contare i propri giorni (Sal 90,12)? Cristo non ci insegna forse a «vivere in questo mondo attendendo la venuta del Regno» (cf. Tt 2,12-13)?
Questa fedeltà alla storia e alla terra nell'attesa del Regno dice lo statuto escatologico della chiesa nel mondo e di esso dovrebbe essere memoria la domenica, il giorno del Signore, che per i cristiani deve passare dall'attuale stato in cui è vissuto per lo più mondanamente, fino ad essere il giorno della massima estraneità e dell'estremo individualismo, a giorno di riunione e di comunione. «Sulla domenica si gioca molto del futuro della chiesa e della fede!».
Ma Soprattutto occorre imparare, anche a livello di ecclesiale sia intra che inter-ecclesiale, l'arte dell'assunzione e del rispetto dei tempi dell'altro. Questo significa che il discorso sul tempo, per il cristiano, non può che divenire discorso sul rapporto che nel tempo viene intessuto con l'altro: la novità cristiana della concezione del tempo è infatti tutta nel suo carattere cristico. Quel carattere cristico che investe anche l'altro in quanto tale e che spinge il cristiano a fare di ogni suo incontro con l'altro uomo un sacramento della venuta del Signore. Anche nei rapporti ecumenici è bene ricordare che il dialogo passa attraverso l'attesa dei tempi dell'altro, e questo equivale a dire che passa attraverso il rispetto dell'altro. Solo prendendo sul serio il tempo dell'altro si Potrà anche cogliere l'alterità del tempo, quella sua dimensione che, per un cristiano, è rinvio a colui che è Signore del tempo e della storia. Altrimenti, la via dell'imposizione dei propri tempi e delle proprie scadenze non potrà che manifestare l'arroganza di chi si ritiene padrone dei tempi degli altri. Neppure l'amore può mai, a nessun livello, essere imposto; neppure l'incontro può mai essere dettato alle proprie condizioni.
Per questo temiamo che l'attenzione al tempo attraverso l'enfasi posta sul terzo millennio entrante si carichi di valenze trionfalistiche e rischi di neutralizzare quell'esito salutare che il confronto serio con la storia e con il passare del tempo può produrre nell'uomo e in particolare nel cristiano che ha al centro della sua fede l'assunzione della temporalità, della spazialità e della storicità da parte di Dio stesso: e cioè l'umiltà. L'umiltà di chi, singolo cristiano o intera chiesa, si rivolge a Dio confessando con il salmista: «nelle tue mani sono i miei giorni» (Sal 31,16)."
- Altri testi:
"Tempo e liturgia" – A.Rizzi - in "Parola Spirito e Vita" n°36 – EDB 1997.
"Sto alla porta" – C.M.Martini – Centro Ambrosiano 1992 – in particolare: pag. 17-28. pag. 29-36. pag. 104-117.
"Tempo e liturgia" – in "Nuovo dizionario di liturgia" – a cura di D.Sartore e A.M.Triacca – EP 1984.
"Vivere il tempo della fedeltà" – in "Letture dei giorni" – Comunità di Bose.
Scheda di spiritualità e mondialità
a) TEMPO LIBERO
Il tempo libero, quando sia vissuto nella autenticità dei suoi molteplici significati, è il luogo proprio della pace, perché l'uomo, avendo assolto e soddisfatto i compiti e i doveri sociali del tempo occupato, che comportano sempre una certa rivalità tra le persone e i gruppi, può restare in pace con se stesso e con gli altri, e può dedicarsi ad attività disinteressate e gratuite. Infatti il mondo del lavoro è caratterizzato - sia a causa della naturale divisione dei compiti, per cui nessuno può bastare a se stesso e deve svolgere compiti parcellari, sia a causa della concorrenza e competitività tra le imprese - da una certa conflittualità, che oppone gli uni agli altri, che rende «rivali».
Nel tempo occupato l'uomo si comporta da individuo, come una parte subordinata del tutto sociale, quasi un mezzo per la vita economica e politica, tanto che le imprese e i partiti si «spartiscono» il mercato e il potere; nel tempo libero, invece l'uomo può comportarsi come persona, come un tutto libero, fine egli stesso delle relazioni sociali. La democrazia come regime del popolo per il popolo, attutisce ma non elimina del tutto questa diversa situazione psicologica e sociale, tra un tempo occupato caratterizzato dalla competitività e dalla rivalità e un tempo libero qualificato dalla pace e dalla concordia. La definizione di J. Dumazedier, che è stata accettata dall'UNESCO, constata ed accetta questa dicotomia: «Il tempo libero è un insieme di occupazioni alle quali l'individuo si abbandona volentieri, sia per riposarsi, sia per divertirsi, sia per sviluppare la sua conoscenza o la sua formazione disinteressata, la sua partecipazione sociale volontaria o la sua libera capacità creatrice, dopo essersi disimpegnato dai suoi obblighi professionali, familiari e sociali». C'è in questa definizione una contrapposizione tra lavoro e svago, che riduce l'uomo alla situazione, come direbbe Simone Weil, di «una palla da biliardo obbligata ad oscillare continuamente tra due sponde, tra tempo occupato e tempo libero», tra un lavoro fatto per necessità e uno svago ridotto a puro divertimento. Per superare questua contrapposizione, esasperata dalla società consumistica ove si lavora solo per guadagnare, bisogna introdurre tra il tempo occupato e il tempo libero un tempo di libera occupazione, vissuto con impegno e professionalità, ma in spirito gratuito, dedicandosi alla cultura, all'amicizia, alla solidarietà, alla religione.
I cinque fini del tempo libero
In questa prospettiva socio-culturale si possono così individuare cinque fini fondamentali del tempo libero. A livello biologico il tempo libero si caratterizza come riposo, perché l’organismo dopo la fatica, che implica dispersione di energia, ha bisogno di essere in pace con se stesso, di riporsi a contatto con la natura, di riscoprire la campagna, la montagna, il mare, dopo il lavoro che ha costretto l’uomo a ritmi troppo razionalizzati e parcellari. Nella società post-industriale, ove prevale l’automazione e l’informatica, la fatica è più nervosa che muscolare, più psicologica che fisiologica, per cui l’uomo dopo lo studio e il lavoro ha bisogno di evasione e. di distrazione. Ma è proprio a questo livello psicologico di divertimento che in una società consumistica l’uomo può perdere la sua pace interiore disperdendosi in attività ludiche che stancano e dissipano più del lavoro. L’evasione ludica attraverso il cinema e la televisione, i videogiochi e i fumetti porta l’uomo in un mondo fittizio, immaginario, dove rivive tutte le passioni di rivalità e di aggressività del tempo occupato. Già Pascal lamentava: «La sola cosa che ci consola dalle nostre miserie è il divertimento; e tuttavia il divertimento è la più grande delle nostre miserie. Perché il divertimento ci impedisce di pensare a noi stessi e ci fa perdere insensibilmente».
Il riposo e lo svago sono attività di puro tempo libero, di alternativa al lavoro, ma a livello spirituale, come tempo di libera occupazione l’uomo può dedicarsi alla cultura gratuita, cioè alla vera cultura, perché studiare per lavorare non è fare cultura, ma fare tempo occupato. Aristotele opponeva appunto l’otium al nec-otium, la cultura agli affari, la ricerca del vero e del bello alla ricerca dell’utile. In una società tecnocratica, nella quale la stessa filosofia, con il pragmatismo, si è subordinata al fare, fino ad affermare il successo come criterio di verità, è quanto mai urgente educare al sapere gratuito e disinteressato. Sul piano sociale, come osserva Bergson, bisogna valorizzare la società aperta del tempo libero rispetto alla società chiusa del tempo occupato. Dopo l’esperienza, spesso conflittuale, del «noi altri», definiti in un certo gruppo collettivo della società economica, bisogna fare l’esperienza del «noi» in una comunità, ove non si vale per il proprio ruolo ma per la propria persona e l’amicizia, non il successo, costituisce il legame sociale. Il Laloup sottolinea come la scuola stessa sia fonte di competizione e di rivalità: «La prima condizione per lo sviluppo adolescenziale è il disinteresse intellettuale e morale: imparare a sapere per la bellezza del sapere, imparare a donarsi per la nobiltà del dono; tale è il segreto per una buona riuscita educativa. Ora la scuola è fortemente impregnata dall’utilitarismo dell’ambiente sociale; bisogna arrivare ad un diploma, bisogna riuscire negli esami, bisogna prepararsi per la professione; nel pensiero di molti studenti la cultura più disinteressata non è che lo strumento di una funzione sociale: l’utile preparazione per una professione utile» (Laloup, Il tempo dell’ozio, 85).
Il tempo di libera occupazione trova la sua più elevata espressione a livello religioso nella contemplazione dell’Assoluto come anticipazione della beatitudine eterna. Infatti nel mettersi dal punto di vista di Dio, «sub specie æternitatis» direbbe Spinoza, ci si stacca dalle inquietudini e dalle rivalità del mondo del lavoro, non solo psicologicamente come nei divertimenti o sociologicamente come nel turismo, ma realmente, perché in Dio si trova la pace con se stessi al di là. Del tempo. Nell’autentica religiosità il tempo libero non è più un intervallo ma è un fine. Non si tratta più di avere tempo ma di essere nell’eternità, di abbandonarsi a Dio. H Pieper ha ben individuato questo atteggiamento quando scrive: «L’otium non è l’atteggiamento di chi assale, invade, ma di chi si apre accogliente; non sta nel comportamento di chi stringe afferrando, ma di chi allenta, di chi si distende, abbandonandosi, quasi come si abbandona il dormiente… » (Pieper, Otium e culto, 37).
b) TEMPO LIBERO E PACE
La giovinezza, quando non si ha ancora un lavoro o una professione stabile e definita, quando ancora non si è costituita la propria famiglia, è il momento prezioso dell'età evolutiva nel quale si può assaporare il tempo libero come esperienza di pura gratuità, nel quale esprimere la propria personalità, al di là dei ruoli professionali, familiari, sociali che bisognerà assumere in seguito. In questa società capitalistica, ove il «tempo è denaro» e si vale solo per la «carriera» che si porta avanti, i giovani che sanno coltivare un hobby, uno sport, una qualunque attività ricreativa, partecipare al volontariato, fare della politica e dell'azione cattolica, testimoniano con il loro comportamento che il bene delle persone è più importante del denaro e del successo. Per potere assumere questo comportamento, che ha un significato profetico nella società contemporanea, è necessario che la famiglia e la scuola valorizzino le attività di tempo libero, aiutando i giovani ad inserirsi nei gruppi giovanili organizzati. Ci dev'essere una vera e propria educazione ludica, un avviamento allo sport, al turismo, all'escursionismo, al volontariato e all'associazionismo giovanile. Per l'educazione dei giovani la famiglia e la scuola non bastano, essi hanno bisogno di un terzo ambiente educativo, (oratorio, gruppo ludico, gruppo sportivo, associazionismo giovanile) ove il giovane possa fare l'esperienza della sua libertà ed imparare ad usarla con intelligenza, creatività, responsabilità.
Se ai giovani viene a mancare questa occasione di vita sociale in un gruppo educativamente strutturato, il loro tempo libero diventa un tempo sprecato, passato al bar o in discoteca, come passatempo senza uno scopo preciso, per vincere la noia della quotidianità. Gli stessi fenomeni della droga come evasione e della violenza minorile come aggressività, a ben guardare, al di là delle spiegazioni puramente sociologiche, sono proprio la conseguenza di una mancata educazione ludica, intesa come educazione ai valori per dare un senso alla vita, che non sia solo quello del guadagno. Né il lavoro né la famiglia possono essere il fine ultimo della vita di un uomo, perché questa vita si esaurisce nel tempo e soltanto superando l'orizzonte del tempo ci si può ritrovare nella propria autentica identità esistenziale. Questa prospettiva esige di per sé una verifica filosofica e religiosa che solo l'esistenza di un Dio che, come scrive il card. Carlo Maria Martini, nella lettera pastorale, Sta alla porta e ci aspetta, e ha tempo per noi, può veramente soddisfare. Da questo punto di vista i gruppi ludici giovanili religiosamente ispirati sono quelli che possono dare ai giovani un'educazione piena di significato, perché il gioco e lo sport, il teatro e il cinema, il turismo e l'escursionismo, sono finalizzati, senza nulla perdere della loro specifica autonomia, alla contemplazione di Dio attraverso la bellezza del creato e dell'arte.
Un'educazione ludica così intesa e praticata durante la giovinezza libera l'uomo dall'illusione e dalla delusione, non svalorizza il lavoro e la vita sociale, ma non ne fa il fine ultimo della vita, perché i valori della fruizione sono più importanti di quelli della produzione. E garantisce la vita dell'uomo adulto, perché quando andrà in pensione e i figli si saranno sposati, non si troverà solo senza avere nulla da fare, ma ritroverà nelle occupazioni di tempo libero, sia come ricreazione che come volontariato, il modo di dare significato anche ai suoi ultimi anni in attesa, di un tempo, che, come dice s. Paolo, andrà oltre ogni nostra aspettativa nel soddisfare i bisogni profondi dell'uomo e darà all'uomo la vera pace.
L’educatore deve conoscere e utilizzare le possibilità educative offerte dalle diverse attività ludiche. Lo sport è un'occasione importante di tempo libero, perché riporta l'uomo a contatto con la natura, gli permette di misurare le sue forze e di confrontarsi pacificamente con gli altri, pur nella rivalità della competizione, ma può anche essere occasione di conflittualità e di aggressione sia per i protagonisti del gioco che per gli spettatori. Bisogna aiutare i giovani a controllare l'impeto agonistico, ad evitare le patologie del divismo sportivo e del tifo smoderato, a riconoscere che la. gara è pur sempre un gioco, che vale proprio in quanto se ne rispettano le regole e si portano responsabilmente le conseguenze delle proprie azioni. Vincere truffando, non è vincere, rifiutarsi di accettare la sconfitta della propria squadra significa non avere spirito sportivo. La lealtà nella condotta della competizione è la virtù specifica dello sport. Importante è imparare a non oltrepassare la soglia della finzione; se dopo la gara i contendenti si salutano in spirito di amicizia e si abbracciano, anche le tifoserie possono rientrare a casa senza trasformare la rivalità sportiva nella guerriglia urbana, come spesso capita, proprio perché gli spettatori non si sono liberati dai processi di identificazione con la propria squadra, e vivono ancora prigionieri del personaggio e del rituale sportivo.
Anche per lo sport dovrebbe avvenire quella catarsi che avviene per il teatro quando, terminata la recita, l'attore e lo spettatore si scaricano delle passioni vissute durante la rappresentazione. Il teatro che costituisce l'evento culturale più significativo, perché coinvolge una pluralità di linguaggi, da quelli verbali a quelli gestuali, da quelli musicali a quelli iconografici, può aiutare in maniera significativa le persone e i popoli a comprendersi vivendo emotivamente le esperienze sociali altrui. Non si tratta solo di conoscere la letteratura di altri paesi, ma proprio di «vivere», sia pure in maniera fittizia, le loro esperienze sociali, per comprendere dall'interno della loro cultura le motivazioni dei loro comportamenti.
Per dialogare e comprendersi, bisogna sempre sapersi mettere dal punto di vista altrui, onde rendersi conto di come un altro popolo possa valutare una data situazione a seconda dei caratteri della sua cultura e della sua storia. Il turismo è un'altra opportunità offerta dal tempo libero per educare alla pace. Infatti spesso le persone, i gruppi sociali, i popoli, le razze non si comprendono ed entrano in conflitto perché non si conoscono. Ma i conflitti nascono anche all'interno della famiglia, per le naturali rivalità psicologiche tra i caratteri dei suoi membri e nei gruppi di lavoro per le naturali contrapposizioni sociologiche dei diversi ruoli. Le vacanze in comune, per gruppi familiari e per gruppi aziendali e scolastici, diventano così un'occasione preziosa per superare queste incomprensioni. Nel tempo libero si ha più tempo per conoscersi e per comprendersi, perché si è liberi dalle naturali gerarchizzazioni necessarie ai gruppi di tempo occupato, e si è liberi di essere se stessi al di là delle proprie funzioni sociali. Nell'amicizia che caratterizza le relazioni ludiche gli animi si distendono e si accettano, malgrado le diversità dei caratteri e dei ruoli che il tempo occupato ha esasperato.
BIBLIOGRAFIA UTILE:
BUTTURINI E., Per un impiego alternativo del tempo libero, Fondazione Zancan, Padova 1983.
CERQUETTI E., Educazione e tempo libero, Franco Angeli, Milano 1976.
DUMAZEDIER J., Sociologia del tempo libero, Franco Angeli, Milano 1976.
FOLLIET J., Popolo e cultura, Armando, Roma 1961.
HUIZINGA J., Homo ludens, Einaudi, Torino 1946.
LALOUP J., Il tempo dell'ozio, SEI, Torino 1966.
LAPORTA R., Il tempo libero giovanile, Laterza, Bari 1964.
LEBERT G., I giovani e il tempo libero, Dehoniane, Napoli 1974.
MARTINI G., Il tempo libero, Paoline, Roma 1959;
MOLTMANN J., Sul gioco, Queriniana, Brescia 1971.
AA.VV., Pedagogia interculturale, La Scuola, Brescia 1992.
PIEPER J., Otium e culto, Morcelliana, Brescia 1956.
RIESMAN D., Svago e lavoro in una società post-industriale, Bompiani, Milano 1968.
RUSSELL B., Il tempo dell'ozio, Longanesi, Milano 1935.
VIOTTO P., Pedagogia della scuola di base, Vita e Pensiero, Milano 1984.
LA BANCA DEL TEMPO
CHE COS’È LA BANCA DEL TEMPO?
È un istituto di credito particolare nel quale si deposita la propria disponibilità a scambiare prestazioni (in alcuni casi anche oggetti) con gli altri aderenti, usando il tempo come unità di misura del valore. Dal giardinaggio alla cura dei bambini, dall'organizzazione di feste all'accompagnamento di qualcuno in auto, dalle faccende domestiche agli scambi culturali, dalla riparazione di un sifone al bricolage, dal disbrigo di pratiche di ufficio all’aiuto nell’utilizzo del computer...
Si parla di scambio, dare per richiedere e chiedere per restituire tempo e l'unità di misura è l'ora e la mezza ora. Così facendo l'ora offerta dall'insegnante ha lo stesso valore di quella della casalinga o dello studente. Utilizzando il tempo come misuratore del valore delle prestazioni, di fatto si intende valorizzare le prestazioni intrinseche di ciascuno, dal proprio status sociale, anagrafico, professionale e culturale.
La Banca del Tempo si pone l'obiettivo di recuperare le relazioni di "buon vicinato allargato", quegli scambi sommersi che non hanno valore di mercato, ma che rendono meno faticosa e più gratificante la vita quotidiana. Significa dare al tempo un valore che non è solo lavorare, fare denaro, ma anche relazione, conoscenza fra persone, cura di sé e degli altri.
La Banca del Tempo è un luogo nel quale si sviluppa la fiducia nei confronti del prossimo, perché attraverso la conoscenza degli altri aderenti (nelle riunioni periodiche, nei progetti comuni, attraverso gli scambi, nei momenti conviviali... ) si superano le diffidenze nei confronti di chi non si conosce e si dà vita a nuove amicizie.
Il meccanismo di funzionamento è semplice: io so fare una cosa e mi metto a disposizione, così quando avrò bisogno potrò chiedere a mia volta un altro servizio (o un oggetto che mi interessa).
Chi si iscrive alla Banca del Tempo definisce le prestazioni che intende offrire e quelle di cui pensa di aver bisogno. La lista è indicativa è può essere integrata da altre richieste che si rendessero necessarie, ma rappresenta un punto di partenza per dar vita agli scambi.
Ad ogni iscritto viene intestato un conto corrente "in tempo" nel quale verranno registrate le ore addebitate e accreditate, relative agli scambi effettuati.
Chi riceve una prestazione o un bene emette un assegno in tempo (se Luca conversa in inglese per due ore con Susan per imparare un più corretto uso della lingua, emetterà a suo favore un assegno di due ore) che viene recapitato presso la segreteria della Banca del Tempo a cura del ricevente.
L'assegno è lo strumento che permette la contabilizzazione dello scambio: a chi ha effettuato una prestazione verrà accreditato il tempo; viceversa verrà addebitato a chi ne ha usufruito.
Il credito e il debito potrà essere speso o restituito scambiando con altri membri del gruppo, perché matura nei confronti della Banca del Tempo e non del singolo aderente. Unico impegno è quello di tendere al pareggio: non sono positive né le posizioni troppo a credito né quelle troppo a debito.
Il fenomeno tutto nuovo delle Banche del Tempo appare in rapida espansione.
Obiettivo primario è quello di sviluppare la mutualità di scambio alla pari e di migliorare la qualità della vita e dei rapporti sociali, attivando relazioni di buon vicinato. Le Banche del Tempo si pongono dunque come strumento per la produzione di benessere sociale, e per questa ragione possono essere incluse in quelli che vengono definiti nuovi stili di vita. Si collocano nell’ambito delle forme di mobilitazione a livello micro dei singoli cittadini che intendono sviluppare azioni di auto-organizzazione, tentando di andare incontro a tutti quei piccoli bisogni che nessun servizio pubblico potrà mai coprire. In altre parole, rappresentano una modalità nuova di vivere la propria partecipazione al territorio fisico di appartenenza (quartiere o piccolo comune).
Breve storia della banca del Tempo
In Italia, pur esistendo prima sistemi informali di mutuo-aiuto, le Banche del Tempo si sviluppano a partire dai primi anni '90. La prima sperimentazione, ancora confinata nel mondo del volontariato, si attiva fra un gruppo di pensionati, ma il modello che verrà poi seguito sarà quello di Santarcangelo di Romagna, una cittadina a pochi chilometri da Rimini (sulla costa adriatica).
Senza conoscere nulla delle esperienze precedenti, sollecitate dalla lettura di un articolo sui LETS pubblicato da Gente Money, le componenti della Commissione Pari Opportunità del comune di Santarcangelo di Romagna iniziano a progettare un meccanismo che permetta di ottimizzare le scarse risorse di tempo delle donne, creando al contempo socialità.
Il gruppo, che nel frattempo era uscito dai confini istituzionali allargandosi ad altre donne residenti in città, sperimentò dal 1994 modalità operative e strumenti: alla Banca del Tempo venivano depositate le singole disponibilità a scambiare prestazioni con altri aderenti usando il tempo come unità di misura degli scambi.
Ad ognuno viene intestato un regolare conto corrente-tempo e viene consegnato un libretto degli assegni-tempo. Unico obbligo il pareggio periodico del conto: chi va "in rosso" deve rientrare. L'utilizzo di tale metodologia bancaria portò a coniare e a far riconoscere il termine di Banca del Tempo.
L'idea è quella di attivare una rete di solidarietà fondata sullo scambio alla pari di prestazioni capaci di soddisfare bisogni legati alla vita quotidiana e al lavoro di cura, cosa che nessun servizio pubblico o professionale riesce a fare, promuovendo aiuto reciproco e rapporti di buon vicinato.
La promozione dell'idea di scambio di tempo fu fatta organizzando seminari divulgativi, e questo portò in breve tempo l'attenzione della stampa sul tema Banca del Tempo e sulle prime esperienze avviate nel Nord Italia e a Roma. Poco si sapeva del fenomeno LETS, e solo dal 1996 la stampa iniziò a collegare il caso italiano alle esperienze nord europee.
L'evoluzione dei modelli:
dal mutuo aiuto alla costruzione di reti territoriali
Oggi le Banche del Tempo sono circa trecento, non tutte allo stesso livello di maturazione: alcune sono ancora allo stadio progettuale, altre sono in fase sperimentale, altre ancora sono pienamente attive.
Se, in un primo tempo, il modello di riferimento è stato quello di Santarcangelo di Romagna, oggi ogni gruppo, pur tenendo fede al principi generali che definiscono una Banca del Tempo (scambio, utilizzo del tempo come unità di misura del valore degli scambi, parità tra i soggetti aderenti), ha sviluppato proprie modalità di azione, adattandosi alle peculiarità del gruppo promotore e del territorio di riferimento.
Tra i cambiamenti intervenuti, oltre agli adattamenti locali e ai diversi modelli organizzativi implementati che meriterebbero una ben più approfondita illustrazione, va registrata l'ammissione agli scambi degli oggetti (cessione o prestito). Diverse esperienze mettono in evidenza che la cessione di un bene (un abito in buono stato ma di una taglia che non si porta più, la carrozzina, il montgomery del bambino ormai cresciuto, il libro doppio...) non ricalca le valutazioni di mercato, bensì dà spazio al piacere che l'oggetto da tempo dimenticato nel ripostiglio possa essere utile ad altri.
Troviamo così, accanto a realtà che hanno sviluppato una forte mutualità interna, altre che, a partire da questa, hanno realizzato anche reti con amministrazioni pubbliche, altre associazioni e gruppi di soggetti.
La Banca del Tempo è sempre più presente nelle reti: tra altre realtà analoghe (per scambi pratici o solamente culturali), tra associazioni (per attività specifiche), tra enti e istituzioni che risiedono nel medesimo territorio. Gli scambi, registrati in tempo, evidenziano la natura e la consistenza della relazione.
Come nasce una Banca deL Tempo e il perché della promozione pubblica
Le esperienze ormai insegnano che per attivare una Banca del Tempo non occorre molto: un piccolo gruppo (4-5 persone) può iniziare a progettare lo scambio di tempo e iniziare a proporre ad altri l'idea. Poche sono le attrezzature necessarie: una sede, un telefono, la possibilità di utilizzare un computer, una fotocopiatrice, un fax.
Il piccolo gruppo, oltre a definire (o iniziare a definire, perché a fronte di specifiche necessità si può cambiare) regole e strumenti operativi, si attiva anche sul versante della crescita interna degli aderenti.
Nella fase iniziale oltre il 90% dei casi italiani ha avuto la promozione comunale, ovvero ha ottenuto aiuti all'avviamento, in termini di sede e attrezzatura, magari da condividere con altre associazioni. Esistono comunque realtà che hanno agito autonomamente, vivendo di autofinanziamento a copertura delle spese presenti.
Occorre ricordare che la Banca del Tempo non è un servizio comunale. Pertanto la gestione deve rimanere in mano al gruppo, informale o come associazione. Il ruolo dell'ente promotore, quando questo esiste, deve essere quindi solo di sostegno.
La Banca del Tempo è stata giudicata un'innovazione sociale, ed è stata aiutata dai comuni perché permette:
- l'estensione della pratica dell'aiuto di vicinato oltre la cerchia ristretta della famiglia e l'inserimento sociale di persone senza rete di supporto familiare, come ad esempio le nuove famiglie trasferitesi da altri comuni;
- la relazione tra persone appartenenti a culture diverse;
- i rapporti tra generazioni;
- la nascita di reti di socialità, agendo come "antidoto contro la solitudine";
- il riconoscimento allo stesso tempo di propri bisogni e la capacità di soddisfare quelli altrui;
- di soddisfare bisogni altrimenti non reperibili sul mercato;
- l'acquisizione di beni e servizi non acquisibili sul mercato per motivi di natura economica;
- l'azione positiva sulla qualità della vita di un territorio.
L'aiuto che molte pubbliche amministrazioni hanno offerto è consistito prevalentemente nel fornire al gruppo una sede, l'utilizzo di attrezzatura informatica, un telefono, un fax, la fotocopiatrice.
In molti casi è stata fornita promozione: presentazioni pubbliche, la stampa di un depliant informativo, ecc.
Questa promozione è generalmente offerta durante la fase di avvio, poi la Banca del Tempo (spesso costituitasi in associazione) attiva uno scambio in tempo anche con il promotore, offrendo prestazioni socialmente utili che non assumono la caratteristica di servizio sostituivo, né vanno a colmare le carenze di personale negli organici comunali.
Questi scambi riguardano prevalentemente animazioni (in case di riposo o per l'infanzia), l'organizzazione di attività culturali o la presa in consegna di spazi per offrirne un più prolungato utilizzo ai cittadini (ad esempio di un parco).
BIBLIOGRAFIA UTILE:
AMOREVOLE R.M., Banca del tempo, Istruzioni per l’uso, EMI, Bologna 1999.
NANNI A., Economia leggera. Guida ai nuovi comportamenti, EMI, Bologna 1997.
AMOREVOLE R.M. – COLOMBO G. – GRISENDI A., La Banca del Tempo. Come organizzare lo scambio di tempo: i valori, i princìpi, i protagonisti, Franco Angeli, Milano 1996.
Testi per comprendere:
"Il tempo intermedio e il compimento della storia della salvezza" – Mysterium Salutis, vol.10 e 11 –
a cura … J.Feiner e M.Lohrer – QUERINIANA 1978.
Articoli …
"Il tempo …" – A.Veroni – CORRIERE DELLA SERA – venerdì 19 novembre 1999:
"All'inizio c'erano soltanto i fenomeni naturali: l'alternarsi fra il giorno e la notte, il ciclo della luna o l'altezza del sole nel cielo. Progressivamente lo studio dei fenomeni naturali, specialmente quelli astronomici, divenne sempre più sofisticato, almeno nella misurazione del tempo. Data la difficoltà oggettiva di osservare il cielo a occhio nudo e basarsi semplicemente sui movimenti del sole, nacque presto l'esigenza di strumenti meccanici per misurare il trascorrere del tempo.
Misurare il tempo … il cruccio degli antenati
Concettualmente, misurare il tempo è un'operazione semplice: basta prendere un fenomeno, dare un valore al ciclo con cui si ripete e creare multipli e frazioni del ciclo. Ad esempio, si può partire dal ciclo giorno/notte per creare il calendario con multipli di questo ciclo (mesi, anni e via dicendo) e le relative frazioni (ore, minuti, secondi: un sistema di misurazione sessagesimale che risale agli assiro-babilonesi), ma si possono usare anche altri sistemi. Naturali o artificiali: il ciclo della luna, quello delle maree, ma anche le oscillazioni di un pendolo oppure quelle di un bilanciere intorno al proprio asse (come avviene negli orologi meccanici), le vibrazioni indotte in un minerale con proprietà piezoelettriche, come il cristallo di quarzo, e addirittura le vibrazioni di un atomo di cesio, come avviene nei modernissimi orologi «atomici». Nella storia dell'umanità, per misurare il tempo, sono sempre state utilizzate le migliori tecnologie dell'epoca, e anche i migliori cervelli: il dominio del tempo (o meglio: l'illusione di dominarlo) è sempre stato uno dei sogni più ricorrenti dell'uomo. Le prostitute, ad esempio, hanno sempre avuto bisogno di calcolare il tempo e per millenni hanno utilizzato una candela con dei riferimenti (di solito palline, o frammenti di metallo, piantate a intervalli regolari).
Le stesse candele che hanno scandito a lungo il tempo di preghiera di santi e monaci. Per non parlare delle clessidre, a torto ritenute assai diffuse nell'antichità. Come per molti altri oggetti di vetro, in realtà le clessidre erano preziose, costose e potevano garantire una discreta precisione solo sui brevi intervalli di tempo.
In un certo senso le clessidre sono equivalenti agli attuali cronografi e non a caso erano diffuse, anche nell'antico Egitto, fra i medici, che erano soliti usarle per misurare le pulsazioni, proprio come avviene oggi, seppure con strumenti più sofisticati. L'antichità, comunque, è dominata dagli orologi solari: gran parte degli obelischi altro non erano che la «lancetta» di un orologio solare, la cui precisione è direttamente proporzionale all'enormità delle dimensioni.
Il più grande orologio solare dell'antichità, stando agli storici, lo costruì l'imperatore Augusto, ma non se ne hanno tracce. E' invece possibile ammirare ancora lo straordinario orologio solare di Santa Maria degli Angeli, a Roma: un raggio di luce, attraversando un foro, misura lo scorrere del tempo su una scala disegnata nel pavimento della basilica. Anche senza enormi costruzioni, comunque, la scienza degli orologi solari venne sviluppata in maniera notevole, tanto da offrire una gran quantità di variazioni sul tema, specialmente per gli orologi portatili.
Ma senza il sole non ci si orienta
Sta di fatto che l'impossibilità di avere sempre a disposizione il sole indusse a inventare dispositivi d'ogni tipo, fra cui veri e propri sistemi di clessidre in batteria. La misurazione del tempo, strettamente collegata all'osservazione astronomica, fu comunque la prima scienza esatta dei tempi antichi: per giudicarne la qualità basti pensare che il calendario giuliano (prese il nome da Giulio Cesare, che ne impose l'uso) continuò a fare il suo dovere fino alla riforma del calendario di Papa Gregorio XIII nel 1582. E da allora il calendario gregoriano (che però fu accettato dai russi solo nel 1918 e dai greci addirittura nel 1932) continua a funzionare, sia pure con una precisione, rispetto all'effettivo anno solare, limitata a 0,0003 giorni. Un errore di quasi 26 secondi al giorno. Molti indizi inducono a pensare che nell'antichità fossero stati costruiti anche orologi meccanici, basati sul regolare scorrere dell'acqua, ad esempio, e c'è persino chi ritiene che il Colosso di Rodi fosse un orologio in grado di sfruttare il moto delle maree. Dall'oscuro periodo medievale si esce con una frase di Dante, che parla già di «oriuoli» e con gli svegliarini in uso nei monasteri benedettini. Ma essendo impensabile che dal nulla si sia arrivati a macchine già molto sofisticate, alcuni studiosi ritengono che l'evoluzione sia passata attraverso la costruzione di orologi con gli ingranaggi in legno, ormai perduti, per passare infine agli orologi in metallo. A produrli, allora, erano gli stessi artigiani, esperti di metallurgia, che fabbricavano armi e serrature. Gli unici in possesso delle conoscenze tecniche per fabbricare le indispensabili molle.
In Italia, fin dai tempi remoti, l'orologeria ebbe eccezionale sviluppo: nel Rinascimento i nostri orologiai erano in grado di fabbricare minuscoli segnatempo così piccoli da esser contenuti nel castone di un anello; all'estremo opposto, il «Dondi», un genio in questo campo, e detto appunto «dell'orologio», riuscì a realizzare un incredibile prototipo che, con un solo movimento centrale, forniva una straordinaria quantità di indicazioni astronomiche su ben otto quadranti. A quei tempi, infatti, non era tanto importante sapere l'ora (anche per quanto riguarda il lavoro: la Chiesa considerava usura pagare il lavoro a tempo invece che a cottimo, partendo dal presupposto che il nostro tempo appartiene a Dio), quanto la posizione degli astri, da cui dipendeva la vita, ad esempio, dei malati. Bastava prendere una medicina con gli astri sfavorevoli e il paziente moriva, certo non per colpa del medico, ma solo per un orologio malandrino che dava «la cattiva stella». Gli orologi italiani erano tutti basati sulla teoria tolomaica dell'universo (Terra al centro, sole e pianeti intorno) e, quando Copernico dimostrò la validità delle proprie teorie, queste macchine erano da considerare obsolete. Il problema, per i nostri orologiai, stava nel fatto che la Chiesa Cattolica non accettava le nuove teorie: per non finire sul rogo come eretici gli orologiai italiani in pratica scomparvero e l'orologeria passò in mano ad artigiani protestanti. Se Galileo avesse convinto la Chiesa ad accettare la teoria copernicana, si sarebbe salvata anche la nostra orologeria, che da Galileo avrebbe addirittura ricevuto nuovo impulso: lo scienziato stava infatti studiando l'applicazione all'orologeria del principio del pendolo. Morì prima di mettere in pratica i suoi studi ma un suo schizzo, tradotto in pratica dal figlio, si dimostrò determinante nella soluzione del problema.
Huygens l'olandese e il primo pendolo
Nel frattempo però l'olandese Huygens aveva realizzato il primo orologio a pendolo della storia e finì per figurarne come l'inventore. Molti orologiai protestanti si trasferirono in Francia, dove inizialmente vennero accolti con grande calore, ma un rigurgito di integralismo cattolico, insieme a complesse motivazioni politiche, portò al massacro degli Ugonotti, che presero la via della Svizzera, dove si stabilirono al confine con la Francia.
Calvino li accolse a braccia aperte perché considerava l'orologeria un invito alla vita operosamente austera, in contrasto con la frivolezza svizzera di quei tempi (Ginevra era la capitale mondiale della gioielleria) anche se gli involucri degli orologi svizzeri non tardarono a coprirsi di pietre preziose. Con un piccolo salto in avanti arriviamo alla Rivoluzione Francese (durante la quale, si tentò di applicare l'apparentemente più razionale sistema decimale alla misurazione del tempo, con pessimi esiti), dominata, nel settore orologiaio, da Abraham Louis Breguet, il Leonardo da Vinci del mondo dell'orologeria.
Grazie a questo orologiaio si aprirono le porte dell'orologeria moderna. Ancora oggi la forma di spirale che prende il suo nome viene montata nei cronometri di migliore qualità. Così il tourbillon da lui inventato resta una delle «complicazioni» più pregiate. Fornitore della Corona (Maria Antonietta continuava anche in prigione a ordinargli orologi per i suoi amanti), Breguet riuscì a superare i contrasti politici grazie all'importanza della sua arte e a una provvidenziale «vacanza in Svizzera». Tornato in Francia, divenne fornitore di Napoleone. L'Imperatore, tra l'altro, fu l'inventore del «sincronizziamo gli orologi» prima d'una battaglia. A quei tempi i generali seguivano i movimenti delle truppe da una posizione defilata e panoramica, dando ordini che venivano trasmessi tramite segnali ottici, generalmente tramite bandiere, come avviene in mare. I segnali erano cifrati, ma bastava pagare una spia per risolvere il problema e tutti sapevano tutto, perdendo in tal modo gran parte del vantaggio di una tattica geniale. Napoleone impose ai propri ufficiali di portare con sé delle pendolette che da allora si chiamano «officier». Prima della battaglia si faceva un vero e proprio briefing durante il quale si stabilivano i tempi delle azioni e delle possibili varianti; durante la battaglia era possibile inviare messaggi nei quali si diceva di variare la mossa x all'ora y, annullando il lavoro delle spie. E' probabile che i successi di Napoleone sarebbero stati un po' meno clamorosi senza l'aiuto degli orologi. Non a caso Wellington, dopo Waterloo, si affrettò a impadronirsi del Breguet personale di Napoleone, facendogli sostituire il quadrante con uno in cui era effigiata la nuova carta politica dell'Europa. Dalle pendolette officier si passò a impiegare anche in guerra gli orologi da tasca, ma l'atto di estrarre l'orologio per consultarlo diventava troppo rischioso: l'orologio da polso fa il suo esordio in battaglia durante la guerra dei Boeri, in Sudafrica, e lo produce la Girard-Perregaux.
Subito seguono altre marche, ma stranamente al ritorno della pace l'orologio da polso viene dimenticato. E' l'aviazione a cambiare le carte in tavola: l'idea di consultare un orologio da tasca, durante il volo, è talmente assurda che già nel 1902 Alberto SantosDumont, eccentrico miliardario con la passione dell'aviazione e delle belle donne, in uno dei suoi lunghi soggiorni parigini chiede all'amico Louis Cartier di realizzare un orologio adatto alle proprie esigenze d'aviatore. Nasce così il Santos, che può essere considerato come il primo vero orologio da polso. Peccato però che, a quell'epoca, orologi di così ridotte dimensioni (e per giunta senza la comoda protezione del taschino del panciotto, ma, anzi, esposti all'azione del braccio sul quale sono legati) fossero imprecisi e delicati. In particolare, sembra impossibile fermare le infiltrazioni di polvere e umidità, che danneggiano con esasperante frequenza il delicato movimento. Così l'orologio da polso continuò a vivere nel limbo.
Con l'ora al polso a nuoto nella Manica
Nel 1919, però, le cose cambiano radicalmente: la signorina Mercedes Gleitze attraversa a nuoto la Manica con un orologio al polso. All'arrivo viene dato molto risalto anche al suo orologio: neppure una traccia d'umidità nella cassa del Rolex di Mercedes Gleitze. Ed ecco nascere la leggenda Rolex: una leggenda fatta di robustezza e di invenzioni finalmente efficaci, come la ricarica automatica. Già Abraham-Louis Breguet ci aveva provato e un altro orologiaio, Perrelet, aveva pressoché compiuto l'opera; poi l'americana Hardwood aveva prodotto il primo orologio da polso in grado di ricaricarsi (quasi) in maniera automatica, ma è a Rolex che si deve l'invenzione del sistema di ricarica automatica così come lo conosciamo oggi.
Arriva la Seconda guerra mondiale e praticamente tutte le Case svizzere producono per usi bellici. I cronometri da marina Ulysse Nardin continuano da circa un secolo a equipaggiare le ammiraglie, ma, quando la produzione americana di navi segna un'impennata con la classe Liberty, si rende necessario trovare nuovi sistemi di produzione anche per i cronometri da Marina, indispensabili per solcare gli oceani. Comincia l'epoca degli orologi Hamilton proprio grazie alla produzione in serie di cronometri che non sono certo all'altezza delle più sofisticate macchine svizzere, ma fanno comunque il proprio dovere. Naturalmente anche l'aviazione deve molto all'orologeria, ma tutto lo sforzo bellico, in definitiva, s'inchina alla genialità degli orologiai: dai Flieger della Iwc per arrivare ai Panerai degli Incursori italiani, gli orologi accompagnano fedelmente gli esseri umani anche nelle tragiche imprese belliche.
Un'impressionante quantità di orologiai esperti di micromeccanica (il che non vuol dire solo orologi ma anche sistemi di precisione per il puntamento delle armi) vengono arruolati nelle fabbriche d'armi e moltissimi muoiono durante i bombardamenti.
Arriva l'epoca del minuto al quarzo
Finita la guerra, l'industria svizzera dell'orologeria è a terra. Si pensa allora di ovviare con sistemi di produzione in serie pensando anche all'elettricità: le proprietà piezoelettriche del quarzo sembrano adatte alla realizzazione di orologi da polso.
Precedentemente c'erano stati orologi elettrici basati sul «conteggio» della frequenza elettrica di rete e anche orologi da polso a batteria (si ricordi il Bulova Accutron, nel quale la frequenza di riferimento veniva fornita da un minuscolo diapason), ma il quarzo sembrava ancor più promettente. Vennero fatti molti esperimenti per capire quale fosse la migliore frequenza di funzionamento e infine Girard-Perregaux ed Eta stabilirono lo standard attuale, che consente una precisione teorica 100 volte superiore a qualunque orologio meccanico. L'avvento del quarzo generò una crisi dell'orologeria meccanica, ma gli svizzeri non avevano ancora considerato la capacità orientale di industrializzare l'elettronica. Gli orologi giapponesi al quarzo presero rapidamente il sopravvento e l'industria svizzera, all'inizio degli anni 70, fu investita da una crisi senza precedenti. Il colpo più grave consisteva nel rischio che i grandi nomi storici dell'orologeria finissero in mani orientali: vennero promulgate leggi e un pool di banche fece quadrato intorno all'orologeria, creando il nucleo di quello che diventerà lo Swatch Group, il maggior gruppo industriale svizzero".
"Ossesionati dal tempo e dalle sue misurazioni" – V.Albanesi – "Jesus" – febbraio 2000:
"Negli ultimi anni, si sono fatti sempre più numerosi i doni delle "agende". Come strenne natalizie, ma non solo; qualcuno aveva iniziato a offrirle a giugno, forse per farsi notare e rendersi così più originale. Ce ne sono per tutti i gusti, per tutte le sensibilità e di diversa dimensione e fattura.
Un primo gruppo di agende da regalo sono quelle bancarie e inter-bancarie: molto austere, servono per uomini e donne di affari. Al sabato e alla domenica è riservato uno spazio piccolo piccolo, perché la settimana lavorativa termina il venerdì pomeriggio e il week-end è sacro, senza appuntamenti. Rigorosamente in quattro lingue - italiano, inglese, tedesco e spagnolo -, si riducono in realtà a ripetere la stessa dizione dei giorni per le 52 settimane dell'anno. Fanno impressione perché ti danno la sensazione di conoscere perfettamente le quattro lingue necessarie per girare il mondo.
A un secondo blocco appartengono le agende di settore: sportivo, storico, geografico, giuridico, giornalistico, televisivo, culinario, delle costruzioni, del legno, dell'alluminio, del cemento, dei fiori. Praticamente un elenco infinito. Qualche amico, per farai un favore, ti regala un'agenda, ad esempio, "del muratore". In poco tempo conosci dettagli di mattoni e mattonelle, di travi e impalcature. Comprendono anche la carta millimetrata e qualche foglio per le "misure". Hai immediata la sensazione di essere diventato 'mastro" o almeno "mezzo mastro".
Poi ci sono quelle di impegno: sociale, religioso, missionario, politico. Sono le più pesanti. Se incroci un'agenda dell'America latina, ti fanno conoscere tutti i santi, gli eroi, le rivoluzioni, le paci, i presidenti di quel Continente, a cominciare dalla conquista degli spagnoli. Le pagine per scrivere si riducono ad una dozzina; abbondano invece detti e citazioni.
Infine ci sono quelle commerciali, da comprare nelle cartolerie o nei negozi specializzati. C'è solo l'imbarazzo della scelta e dei prezzi. Piccole, grandi, colorate, austere, con i giorni festivi di tutto il mondo, i fusi orari e le cartine, con la segnalazione di aeroporti, porti, ferrovie e metropolitane.
Ti chiedi perché l'ossessione del tempo e della sua misurazione. E vengono in mente le parole di Qohelet: «C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante... Un tempo per piangere e un tempo per ridere... Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra, un tempo per la pace» (3,1-8). La lunga lista dei tempi termina con l'amara considerazione dell'autore dello scritto sapienziale: «Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?».
Forse per questo hanno inventato "l'agenda dell'essere". Non ne ho preso visione, ma penso che la settimana sia stata programmata secondo la declinazione del verbo essere: il lunedì "io sono", il martedì "tu sei", il mercoledì "egli è" e così di seguito. Non immagino cosa avranno scritto per la domenica. Forse "Egli è", con la E maiuscola, per sottolineare che la domenica è riservata a Dio. La settimana successiva avrà avuto il futuro: «Io sarò, tu sarai ... », la terza settimana il condizionale, la quarta il congiuntivo. Il brutto è per il passato remoto che suonerebbe "io fui", alimentando pensieri funebri.
Al di là dell'ironia, il problema delle cose da fare, e quindi dell'impiego del tempo, pone problemi gravi alla salute mentale di tutti. Perché, con o senza agenda (non si può fare a meno dei calendari), sembra che sia il tempo a gestire le vite, piuttosto che le persone a gestire il tempo. Dicono che solo i monaci e le monache di stretta osservanza dominino il tempo; organizzano infatti la giornata come dicono loro: sveglia a mezzanotte, riposo alle 8 di sera; Messa alle 1 1.30 della mattina e cena alle 18. Per i comuni mortali, purtroppo, è l'orologio a gestire noi.
Nonostante il pressing degli impegni, è però possibile disintossicarsi dalle "cose da fare". Piccoli suggerimenti. Quando si viaggia, pensare solamente. Il pensiero va ed elabora: fantasie, propositi, considerazioni, saggezze. A questa prima fase segue quella della pura osservazione. Ciascuno ridiventa curioso: osserva le vetrine, senza desiderio di comprare; guarda chi è intorno, senza giudicare; è attento ai dettagli mai visti prima.
Terzo suggerimento: ascoltare senza rispondere. L'attenzione è tutta protesa agli ascolti. Dei rumori, delle persone, dei canti degli uccelli, degli scricchiolii. Le orecchie diventeranno sopraffine e sapranno distinguere i silenzi... Tutto questo per nutrire i desideri dell'anima. Una volta saziato lo spirito, ognuno è libero di usare l'agenda e scrivere cose necessarie e utili; distinguerà le cose importanti da quelle inutili. Sorriderà delle quisquilie e delle stupidità. Porrà molta meno attenzione alla forma, ai colori, alla copertina delle agende: ne sceglierà una utile ai significati della vita. L'agenda ridiventerà la misura del tempo, di nuovo sottoposto alla salute della persona. L'unico modo per vivere dignitosamente e senza affanno."
Riflessioni e meditazioni
"Un tempo per Dio" – M.Quoist – QUERINIANA 1998.
"Il tempo del vivere" – C.Massa – Qiqajon 1997.
"Tempi dell’uomo, tempi di Dio" – E.Fattorini – Guerini e Associati 1999.
"Giorno del Signore, giorno dell’uomo" – E.Bianchi – PIEMME 1999.
"Vieni e vedi. Appunti di viaggio dietro il tempo" – A.Marchesini – EDB 1986.
"Il rifiuto della morte" – E.Becker – EP 1982.
"L’eternità come futuro e tempo presente" – E.Brunner – EDB 1973.
"Sulla fine del tempo" – J.Pieper – Morcelliana 1959.
"La truffa del tempo" – A.Torno – Mondadori 1999.
Articoli … "anno santo"
"Che cos’è l’Anno Santo?" – editoriale – in "La Civiltà Cattolica" 2000 n°I – pag.3-13.
Una favola …
"Il filo incantato" – in "Tutte storie" - B.Ferrero – ELLEDICI 1990.
Per pregare:
"La chiesa che prega nel tempo" – M.Magrassi B.Baroffio L.Pacomio – Marietti 1979.
Altri testi …
"Il tempo obbligatorio della conversione" – L.Lorenzetti – Analecta Dehoniana 1965.
Musica:
"Domenica e lunedì" – A.Branduardi :
"No, non perdete il tempo ragazzi,
non è poi tanto quanto si crede
non è da tutti catturare la vita
non disprezzate chi non ce l’ha.
Vanno le nuvole coi giorni di ieri
guardale bene e saprai chi eri
è così fragile la giovinezza
non consumatela nella tristezza.
Dopo domenica è lunedì."
"Grazie mille" – 883.
"Ciao" – L.Dalla.
"Il tempo quanto tempo" – G.Gaber.
"Tempo che passi" – L.Carboni.
"La noia" – R.Zero – Amore dopo amore.