DIO LIBERATORE
SCHEDE di riflessione – n°
1 – GIUBILEO 2000 – realizzazione scj IS
Scheda: biblica
Scheda: celebrativa
Scheda: esistenziale personale
Scheda: ecclesiale – sacramentale
Scheda: mondialità
Scheda: testi vari
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PREMESSAViviamo, nel GIUBILEO, un momento importante della vita della chiesa, non soltanto per il valore simbolico dell’ingresso nel nuovo millennio, ma soprattutto per l’occasione di una speciale grazia di crescita umana e spirituale.
Il GIUBILEO è un momento privilegiato per rinnovare la nostra accoglienza della misericordia di Dio, è il tempo della nostra liberazione: l’amore di Dio, in Cristo Gesù, è offerto a tutti.
Questo il messaggio di sempre della sua Parola che la ricorrenza del GIUBILEO sintetizza e ripropone.
"DIO BENEDISSE IL SETTIMO GIORNO" (Genesi 2,3)
Il dono del tempo sacro come grazia del riposo e della libertà viene fatto risalire all’inizio della creazione (Gen 2,1-3), come occasione per l’uomo di dare senso alla propria attività, ai suoi rapporti con il creato e con i fratelli. Il giorno che Dio consacra (= "prende per sé") è offerto agli uomini come una "benedizione", un dono di vita.
"RICORDA CHE FOSTI SCHIAVO" (Deuteronomio 5,15)
Il tema della libertà farà celebrare il giorno del riposo come il giorno "memoriale" dell’uscita dall’Egitto, della liberazione dall’oppressione e dallo sfruttamento, dalla durezza dei lavori forzati (Dt 5,13.15). La riconoscenza per questo dono diventa vera nella sensibilità alla giustizia sociale e alla solidarietà verso i poveri, davvero nostri "fratelli e sorelle", dando attuazione alle loro aspirazioni (Dt 5,14). In questo modo l’osservanza dei comandamenti rende l’uomo realizzatore, con le sue mani, la sua intelligenza, la sua capacità d’amare, della volontà liberatrice di Dio.
"INSEGNACI A CONTARE I NOSTRI GIORNI …"
Lo schema settimanale del riposo, poi, viene esteso al computo degli anni, con un anno sabbatico ogni sette, nel quale si liberavano gli schiavi, si rimettevano i debiti e si lasciava riposare la terra (Es 21,2; 23,10ss; Dt 15,1ss; Lv 25,3ss). Anche la natura, dono di Dio per il sostentamento dell’uomo, doveva essere liberata dalla minaccia dello sfruttamento.
Con un ampliamento ulteriore, al termine di "sette settimane di anni" (ogni cinquantesimo anno) era previsto un "anno del giubileo", anno della liberazione per eccellenza (Lv 25,8-55).
"VI CONDURRO’ SUL VOSTRO SUOLO" (Ezechiele 36,24)
Nell’anno del giubileo oltre alla remissione dei debiti e alla liberazione degli schiavi, si restituivano alle famiglie le terre del loro patrimonio, terre che potevano essere state costrette a vendere a causa della povertà. La terrà, infatti, era considerata proprietà di Dio (Lv 25,23; sal 24,1), che l’aveva conquistata (sal. 44,3) e assegnata al suo popolo per mezzo di Giosuè (Gs 11,23; 14,1ss).
Il Signore ne restava proprietario, mentre ogni tribù, e al suo interno ogni famiglia, godeva dell’usufrutto di una sua porzione.
Oltre che sicurezza di un sostentamento, la terra costituiva un segno visibile della partecipazione alla benedizione di Dio ad Abramo. Mantenere il possesso della terra ereditata, era per la famiglia un onore e un dovere. Perderla era una sventura (I Re 21,1-3); eppure la povertà poteva costringere a venderla. L’istituzione del giubileo, insomma, garantiva ogni cinquant’anni il riscatto della terra, l’uguaglianza tra i membri dello stesso popolo e la partecipazione di tutti ai beni della promessa.
"VI PRENDERO’ PER ME COME POPOLO E SARO’ PER VOI DIO …" (Es 6,7)
L'esperienza della liberazione dall'Egitto è il fatto fondamentale della storia del popolo d'Israele. Non solo costituisce l'inizio della sua esistenza autonoma come popolo, ma è anche il momento in cui Israele come popolo conosce il Signore, il Dio dei padri.
Questa rivelazione dell'identità di Dio è legata all'esperienza della liberazione; anzi, la liberazione ottenuta è in un certo senso la carta d'identità di Dio. Questa conoscenza del Signore nella liberazione da lui operata è la vita del popolo d'Israele; Israele nasce uscendo dall'Egitto: "Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d'Egitto" (Os 11,1).
Questo dono di vita continua con l'assistenza nel deserto, ove il Signore provvede al suo popolo l'acqua (dalla roccia: Es 17,1-7), la manna e la carne (Es 16). La sua vita è dono di Dio: "Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine piena d'urli e di desolazione, lo circondò, ne prese cura, lo custodì come la pupilla dei suoi occhi, come un'aquila che desta la sua nidiata, svolazza sopra i suoi piccini, spiega le sue ali, li prende e li porta sulle penne. Il Signore solo lo ha condotto e nessun dio straniero era con lui" (Dt 32,10-11).
Questa liberazione è anche il fondamento del patto di alleanza che il Signore stringe con il suo popolo al Sinai. Israele è il popolo del Signore, la sua proprietà, la comunità dei suoi sacerdoti: schiavi del faraone per conoscere la violenza e la morte, divengono servi del Signore per conoscere la libertà e la vita.
Il dono dell'alleanza illumina di nuova luce la libertà ricevuta: si diventa liberi per mettere la propria esistenza al servizio del bene, e questo rende possibile la prosperità e la vita di tutto il popolo. Questo rapporto nuovo con il Dio liberatore fonda un rapporto nuovo con i fratelli: tutti chiamati alla stessa libertà da Dio, sono i custodi gli uni della libertà degli altri. Il libro del Deuteronomio motiva il riposo festivo, da concedere anche ai servi e agli schiavi, proprio con la memoria della liberazione dall'Egitto.
L'esodo diventa così il modello di ogni liberazione, e ogni liberazione attualizza la ricchezza di salvezza contenuta nell'esodo, facendo sì che per tutti si realizzi quanto un giorno Dio ha fatto per il suo popolo.
Nella liberazione, Dio mostra la sua misericordia:
''Signore passò davanti a lui e gridò: "Il Signore, il Signore, Dio di pietà e misericordia, lento all'ira e ricco di grazia e verità, che conserva grazia per mille generazioni"'' (Es 34,6-7).
Per amore ha scelto e liberato Israele: ''Perché tu sei un popolo santo per il Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto affinché sia un popolo particolarmente suo tra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli il Signore si è unito a voi e vi ha scelto; ché anzi voi siete il più piccolo di tutti i popoli. Ma perché il Signore vi ama e per mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatto uscire con mano potente e vi ha liberato dalla casa di servitù, dalla mano di faraone re d'Egitto'' (Dt 7,6-8).
"IO SONO/SARO’ COLUI CHE SONO/SARO’ …" (Es 3,14)
Nel dono della liberazione, Dio rivela il suo nome: "Io sono colui che sono". Questa espressione non indica un'eccellenza di tipo metafisico ("Colui che è").
Il nome di Dio suggerisce piuttosto l'idea di un cammino che deve compiere chi lo incontra ("Io sarò colui che sarò"), una grandezza che non può essere esaurita, un'amicizia da approfondire col tempo, un tesoro nascosto nel futuro.
Soprattutto, sottolinea la vicinanza a Dio nei confronti d'Israele e di tutti gli oppressi ("Colui che c'è", che non è lontano). Il suo nome dice l'efficacia della sua presenza, il suo "Esserci", presente alla nostra vita, sensibile alle nostre sofferenze e alla nostra profonda esigenza di bene e di felicità (Es 2,23-25).
Anzi, è lui che ci ispira questi desideri, perché anche noi lottiamo contro ciò che rende schiavi i nostri fratelli; non più, tuttavia, con le armi della violenza (come Mosè che uccise l'egiziano e dovette fuggire: Es 2,12-14), ma permettendo a Dio di liberare innanzitutto il nostro cuore. C'è un "Egitto" che portiamo spesso dentro noi stessi: la mancanza di fede, la paura, l'egoismo, l'attaccamento alle cose...
Dopo il peccato del vitello d'oro (Es 32), il Signore annuncia che mostrerà il suo vero volto apparendo a Mosè, mostrandogli la sua "gloria" (che è la sua "bontà": Es 33,19 nel testo ebraico), e gridando il suo nome, con i verbi della misericordia che sostituiscono il verbo 'essere': "Pronuncerò il mio nome: "Signore", davanti a te: farò grazia a chi farò grazia e avrò misericordia di chi avrò misericordia" (Es 33,19). Il peccato del popolo diventa l'occasione in cui il Signore proclama la sua eterna verità di amore, la sua fedeltà al dono di alleanza che ci ha promesso: "Il Signore, il Signore, Dio di misericordia e di bontà, lento all'ira e ricco in bontà e fedeltà, che conserva la bontà per mille generazioni, che sopporta colpa, trasgressione e peccato, sebbene non li dichiari innocenti..." (Es 34,6-7).
"VI DARO’ UN CUORE NUOVO" (Ez 37,26)
I profeti annunceranno questa liberazione: il ritorno dall'esilio diventa il ritorno dalla nostra incapacità di bene (incapacità a volte da noi voluta). Il ritorno è la conversione al Dio che libera, che ci cambia il cuore, per renderlo docile alla sua volontà di bene per noi e per i nostri fratelli.
"Vi prenderò di tra le genti, vi radunerò da tutte le parti del mondo e vi condurrò al vostro paese. Vi aspergerò di acqua pura e sarete purificati da tutte le vostre impurità e da tutti gl'idoli con cui vi macchiaste. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo. Toglierò il cuore di pietra dal vostro corpo e vi metterò un cuore di carne. Metterò il mio spirito dentro di voi, farò sì che osserviate i miei decreti e seguiate le mie norme. Abiterete nel paese che avevo destinato ai vostri padri; sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio" (Ez 36,24-28).
"MA VOI NON MI AVETE ASCOLTATO" (Geremia 34,17)
La legge del giubileo è probabilmente molto antica, tuttavia, lungo i secoli la sua pratica venne disattesa. Scomparvero alcune delle istituzioni giubilari, come la liberazione degli schiavi.
Lo stesso profeta Geremia (34,11.14-17) dice come le ragioni economiche fossero divenute prevalenti su quelle religiose e sociali, al punto che alcuni che prima concedevano la libertà poi si rimangiavano la parola. La mancanza di coerenza nel liberare i fratelli e nel concedere riposo alle terre renderà incapaci di godere della benedizione di Dio: il popolo conosce l’esilio, perde la libertà e la terra (Lv 26,34-35.43). Tuttavia il Signore rimane colui che libera i poveri e di nuovo dona loro la terra: li farà tornare dall’esilio.
I profeti terranno viva la speranza: le "settimane di anni" diventeranno il tempo futuro della salvezza definitiva d’Israele (Dn 9,24; Ger 25,11ss).
GESU’ CI INTRODUCE NEL RIPOSO DI DIO (cfr. Ebrei 4,1-11)
La missione di Gesù era iniziata riprendendo la profezia d’Isaia: "Lo Spirito del Signore è su di me, perciò mi ha consacrato per evangelizzare i poveri, mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri … a predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18.19).
Il giubileo è l'"oggi" di questa grazia offerta a tutti (cf. Eb 4,7.11); la liberazione dall'egoismo, che noi otteniamo da Gesù, rende possibile l'amore tra di noi. Possiamo entrare nel riposo che Dio ci prepara da tutta l'eternità, lavorando con lui all'opera della liberazione dei nostri fratelli, nell'impegno solidale contro ogni schiavitù. "Cristo ci ha liberati per la libertà" (Gal 5,1). "Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero" (Gv 8,36).
"SE IL FIGLIO VI FARA’ LIBERI, SARETE LIBERI DAVVERO" (Gv 8,36)
Gesù attraversa la nostra storia lasciando in tutti quelli che incontra una profonda impressione per la sua libertà.
Egli non ripete "a pappagallo" le lezioni dei maestri antichi; anzi, la sua dottrina è nuova e autorevole (Mc 1,27). La sua non è una libertà a parole: il paralitico e l'indemoniato ottengono davvero la libertà da ciò che li tiene schiavi (Mc 1,25-26; 2,11-12).
Tuttavia, la libertà di Gesù non è la libertà che è data dal potere, usato per stupire e per conquistare: egli respingerà questa tentazione (Lc 4,1-13; Gv 6,15).
La sua libertà viene piuttosto dalla purezza del suo cuore, che gli permette di vedere Dio (Mt 5,8), come il Padre che è presente nella sua vita con mille attenzioni (Mt 6,8.26-34); la fiducia e l'amore di Gesù nel Padre e la completa obbedienza alla sua volontà di bene per tutti (Gv 4,34) sono il segreto della libertà di Gesù.
Anche la sofferenza e la morte non lo distolgono dall'amore per tutti, fino alla fine (Gv 13,1). Il suo amore trasforma anche il tradimento e l'ingiustizia in occasione di un dono più grande, in un di più di libertà: egli, "agnello di Dio" (Gv 1,29.36), solleva il peso dell'odio e della violenza che lo colpiscono, togliendo loro il veleno. "Oltraggiato, non rispondeva con oltraggi, e soffrendo, non minacciava vendetta" (1Pt 2,23); anzi, perdonava (Lc 23,34) coloro che solo dal dono della sua vita avrebbero potuto ricevere la libertà, come il ladrone cui promette l'ingresso in paradiso (Lc 23,43).
Gesù è talmente libero, da non temere la morte. Certo, gli costa soffrire e morire: "Padre, se possibile, passi da me questo calice" (Mt 26,39); è turbato fino all'angoscia: "entrato in agonia, pregava più intensamente. E il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano a terra" (Lc 22,44). Al Figlio non è risparmiato nulla della nostra vita: egli è vero uomo. Il suo dolore è il nostro dolore, la sua morte è la nostra.
Il suo legame con il Padre è la sua forza: Gesù si abbandona al Dio di cui egli conosce il vero volto di amore. "Egli, nei giorni della sua carne, implorò e supplicò con un grido veemente e lacrime colui che poteva salvarlo da morte, e fu esaudito per la sua riverenza. Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza da ciò che soffrì. E reso perfetto, diventò autore di eterna salvezza per tutti quelli che gli prestano obbedienza" (Eb 5,7-9).
La libertà di Gesù è opera del Padre. Per questo il male non ha alcun potere su di lui (cf. Gv 14,30: "egli non ha nulla in me"). Nessuno può dubitare della completa libertà del suo cuore ("Nessuno può convincermi di peccato": Gv 8,46). Non è dunque il potere che libera, ma l'amore; e non è l'umiltà che rende schiavi, ma il peccato. "In verità, in verità vi dico: chi commette il peccato, è schiavo del peccato" (Gv 8,34), insegna Gesù.
La sua libertà è la libertà del Figlio, che vive amato dal Padre, in una indivisibile unità d'amore, di progetti, di azione. "Il Figlio non può fare nulla da se stesso, se non ciò che vede il Padre fare. Ciò infatti che fa lui, lo fa ugualmente il Figlio. Il Padre infatti ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa..." (Gv 5,19-20). Con il Padre egli condivide il potere dell'amore (Mc 2,7.10-11; Mt 28,18), capace di dare una vita nuova a chi è schiavo dei propri errori (Gv 8,1-11), della propria paura e viltà (Gv 13,36-37; 21,15-19) e perfino della morte (Gv 11,25-26).
Per questo la sua libertà non opprime nessuno, non ha bisogno che nessuno sia suo schiavo; anzi, egli è venuto per rendere tutti partecipi della sua libertà: "Il figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45).
Comunica poi il suo potere di vita e di amore ai discepoli, perché possano liberare i fratelli nel corpo e nello spirito: "Chiamati a sé i dodici suoi discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattia e di infermità" (Mt 10,1); "poi disse di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi". Detto ciò, soffiò su di loro e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimettete i peccati, sono loro rimessi; a chi li ritenete, sono ritenuti" " (Gv 20,21-23).
È lo Spirito la forza di liberazione che i discepoli sono chiamati ad accogliere in loro stessi, per portarla fino agli estremi confini della terra (Lc 24,47-49).
"NON ABBIAMO RICEVUTO UNO SPIRITO DI SCHIAVITU’ …" (Rm 8,15)
"Non abbiamo ricevuto uno spirito di schiavitù per ricadere nella paura, ma riceveste lo Spirito che ci costituisce figli, in forza del quale gridiamo: Abbà, Padre!" (Rm 8,15).
Lo Spirito ci libera dalla paura, perché ci dona la vita del Figlio di Dio, ci fa essere figli e vivere da figli davanti al Padre.
Lo Spirito Santo ci fa desiderare questa libertà: ce ne dà la nostalgia, prima ancora che la conoscenza. "Infatti, noi non sappiamo che cosa sia conveniente chiedere, ma è lo Spirito stesso che prega per noi con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26). Questa silenziosa intercessione dello Spirito Santo è il primo passo dell’azione liberatrice di Dio nel nostro cuore; il Padre e lo Spirito sono concordi in questo: "Ma Colui che scruta i cuori, sa quali sono i pensieri e le aspirazioni dello Spirito, poiché intercede per i santi secondo Dio" (Rm 8,27).
Lo Spirito poi ci introduce in quella conoscenza di Dio e di noi stessi che non è solo teoria, ma che è "familiarità" e "essere di casa" negli abissi di Dio. "Sta scritto infatti: «Cosa che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo», ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano. Ma a noi l’ha rivelato mediante lo Spirito. Lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio" (1Cor 12,9-10). Distruggendo il nostro peccato e facendoci vivere nella misericordia del Padre rivelata in Gesù, lo Spirito ci costituisce figli e ci dona la sapienza di vita di Gesù, il Figlio e il Maestro. L’esperienza dello Spirito è ciò che ci rende discepoli di Gesù, impegnati nell’accoglienza di questa trasformazione del nostro cuore, della nuova logica dell’amore che si offre fino al dono della vita (Gv 15,13; 1Gv 3,16). Lo Spirito ci rinnova realmente, infondendo in noi una forza invincibile, che viene da Dio (Lc 24,49; At 2,4). Lo Spirito è il segreto della crescita del Regno, invisibile come l’azione del lievito nella pasta (Mt 13,33), umile nei suoi inizi come il granello di senapa (Mt 13,31-32), ma fecondo come il chicco di grano che muore per dare frutto (Gv 12,24). Egli ci aiuta a portare la piccolezza e la debolezza delle nostre realizzazioni, a vincere lo scandalo della croce, a confidare nella progressione a volte lenta, ma inarrestabile, del bene.
Vero consolatore come Gesù e in Gesù (Gv 14,16.26; 15,26; 16,7; 1Gv 2,1), egli ci rincuora e fortifica, ci dona le virtù della fede e della speranza, perché non abbiamo mai più paura di Dio, né della nostra povertà, né del male, né della morte. Anche se viviamo ancora la condizione dei pellegrini, dei ‘non-arrivati’, lo Spirito è un dono reale che ci anticipa l’esperienza della salvezza definitiva: egli è ‘caparra’ e ‘pegno’ della nostra condizione di figli (2Cor 1,22; 5,5; Ef 1,14).
A noi è lasciata la scelta di entrare in questo movimento, quello dell’amore che salva gli uomini e il mondo intero, con una disponibilità all’ascolto e un impegno quotidiano di conversione, per vivere il nostro cristianesimo come un cammino.
Il nostro essere ‘in cammino’ – disposti a vivere la conversione con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze – è il modo necessario di condividere la volontà di salvezza universale del Padre (1Tm 2,4), le ansie di libertà di tutti i nostri fratelli (1Gv 3,17) e della creazione intera (Rm 8,19-25).
La preghiera che Gesù ci ha insegnato (Mt 6,9-13) è l’esercizio quotidiano, al tempo stesso, della accoglienza dell’azione liberatrice del Padre e della nostra personale disponibilità a compiere fino in fondo in cammino della libertà, come Gesù lo ha percorso e come lo Spirito ce lo insegna.
Il nostro mantenerci ‘aperti’ e ‘disponibili’ a quanto lo Spirito ci mostra, nella concretezza della nostra vita e nella comunità dei credenti, ci trasforma in strumenti attivi di questo meraviglioso dono di Dio e in una concreta manifestazione, all’interno della storia degli uomini, della persona del Signore Gesù e della sua affascinante libertà, che nella buona notizia del Regno, viene donata a tutti.
IL DIO LIBERATORE NELL’A.T.: "Io sono Colui che sono"
Segno: Una catena, chiusa a cerchio, collocata al centro dell’assemblea o in posizione visibile
Guida: L’esperienza della liberazione dall’Egitto è il fatto fondamentale della storia del popolo
d’Israele ed è strettamente collegata alla rivelazione del nome di Dio: "Io sono Colui che sono", nome che indica l’efficacia della sua presenza, il suo "Esserci", presente alla nostra
vita, sensibile alle nostre sofferenze e alla nostra profonda esigenza di bene e di felicità.
La liberazione è anche il fondamento del patto di alleanza che il Signore stringe con il suo
popolo al Sinai: questi, schiavo del faraone per conoscere la violenza e la morte , diviene
servo del Signore per conoscere la libertà e la vita.
Canto …
Lettura della Parola di Dio: (Esodo 3,1-14)
Lettura di articoli di giornale
che raccontano di situazioni di schiavitù, di sofferenza…e collocarli al centro della catena.
Salmo 42: invocazione di aiuto (recitare a cori alterni)
Silenzio di meditazione e di preghiera personale …
Spezzare la catena e intanto eseguire un canto adatto.
Guida: Il cammino nel deserto, che è cammino di libertà, è faticoso e, per questo sempre esposto
alla tentazione dello scoraggiamento. Il dono dell’acqua, del pane e della parola sono
i gesti provvidenziali con i quali il ‘Dio della liberazione’ continuamente si mette al nostro
fianco per sostenerci e ravvivare il cammino.
ntrodurre in ordine i tre segni: ACQUA, PANE, PAROLA con i relativi brani da ascoltare e
collocarli vicino alla catena spezzata intercalandoli con un ritornello cantato:
Ritornello cantato …
ACQUA (Esodo 17,5-7)
Ritornello cantato …
PANE (Esodo 16,2-5)
Ritornello cantato …
PAROLA
Ritornello cantato …
Preghiera corale:
O CRISTO, NOSTRO UNICO MEDIATORE TU CI SEI NECESSARIO:
PER VIVERE IN COMUNIONE CON DIO PADRE;
PER DIVENTARE CON TE, CHE SEI FIGLIO UNICO E SIGNORE NOSTRO,
SUOI FIGLI ADOTTIVI;
PER ESSERE RIGENERATI NELLO SPIRITO SANTO.
TU CI SEI NECESSARIO, O SOLO VERO MAESTRO DELLE VERITA’ RECONDITE
E INDISPENSABILI DELLA VITA,
PER CONOSCERE IL NOSTRO ESSERE E IL NOSTRO DESTINO,
LA VIA PER CONSEGUIRLO.
TU CI SEI NECESSARIO, O REDENTORE NOSTRO,
PER SCOPRIRE LA NOSTRA MISERIA E GUARIRLA;
PER AVERE IL CONCETTO DEL BENE E DEL MALE
E LA SPERANZA DELLA SANTITA’;
PER DEPLORARE I NOSTRI PECCATI E PER AVERNE IL PERDONO.
TU CI SEI NECESSARIO, O FRATELLO PRIMOGENITO DEL GENERE UMANO,
PER RITROVARE LE RAGIONI VERE DELLA FRATERNITA’ FRA GLI UOMINI,
IL FONDAMENTO DELLA GIUSTIZIA, IL TESORO DELLA CARITA’,
IL BENE SOMMO DELLA PACE.
TU CI SEI NECESSARIO, O GRANDE PAZIENTE DEI NOSTRI DOLORI,
PER CONOSCERE IL SENSO DELLA SOFFERENZA
E PER DARE AD ESSA UN VALORE DI ESPIAZIONE E DI REDENZIONE.
TU CI SEI NECESSARIO, O VINCITORE DELLA MORTE,
PER LIBERARCI DALLA DISPERAZIONE E DALLA NEGAZIONE
E PER AVERE CERTEZZE CHE NON TRADISCONO IN ETERNO.
TU CI SEI NECESSARIO, O CRISTO, O SIGNORE, O DIO-CON-NOI,
PER IMPARARE L’AMORE VERO E PER CAMMINARE NELLA GIOIA
E NELLA FORZA DELLA TUA CARITA’,
LUNGO IL CAMMINO DELLA NOSTRA VIA FATICOSA,
FINO ALL’INCONTRO FINALE CON TE AMATO,
CON TE ATTESO, CON TE BENEDETTO NEI SECOLI.
(G.B.Montini)
Silenzio di meditazione e di preghiera personale
Guida: Dio ci ha liberati perché anche noi lottiamo contro ciò che rende schiavi i nostri fratelli
e ciò che rende schiavo il nostro cuore.
Il nostro Egitto ce lo portiamo spesso dentro noi stessi.
Il ritorno dalla schiavitù è il ritorno dalla nostra incapacità di bene, è la conversione
al Dio che libera, che ci cambia il cuore, per renderlo docile alla sua volontà di bene
per noi e per i nostri fratelli.
Lettura della Parola di Dio: (Galati 5,13-26)
Preghiere spontanee …
Preghiera corale:
SIGNORE,
QUANDO HO FAME DAMMI QUALCUNO CHE HA BISOGNO DI CIBO,
QUANDO HO SETE MANDAMI QUALCUNO CHE HA BISOGNO DI BERE,
QUANDO HO FREDDO MANDAMI QUALCUNO DA SCALDARE,
QUANDO LA MIA CROCE DIVENTA PESANTE
FAMMI CONDIVIDERE LA CROCE DI UN ALTRO,
QUANDO SONO POVERO GUIDAMI DA QUALCUNO NEL BISOGNO,
QUANDO NON HO TEMPO
DAMMI QUALCUNO CHE IO POSSA AIUTARE IN QUEL MOMENTO,
QUANDO SONO UMILIATO FA’ CHE ABBIA QUALCUNO DA LODARE,
QUANDO SONO SCORAGGIATO MANDAMI QUALCUNO DA INCORAGGIARE,
QUANDO HO BISOGNO DELLA COMPRENSIONE DEGLI ALTRI
DAMMI QUALCUNO CHE HA BISOGNO DELLA MIA,
QUANDO HO BISOGNO DI CHI SI OCCUPI DI ME
MANDAMI QUALCUNO DI CUI OCCUPARMI,
QUANDO PENSO SOLO A ME STESSO
ATTIRA LA MIA ATTENZIONE SU UN’ALTRA PERSONA.
(Co-worker giapponese)
Congedo dell’assemblea
Canto finale …
Scheda sulla spiritualità esistenziale personale
. FIGLIO, DI CHI ?
* PREMESSA
Troppi dai loro pulpiti, ci coprono di parole, proposte …
è vero ma è ancora più vero il fatto che, forse, ci mettiamo troppo facilmente in vendita.
Probabilmente stiamo dimenticando che una carezza amica, quando ce la lasciamo fare, ha più potere su di noi perché tocca il nostro essenziale.
Tentare di "toccare" e "lasciarsi toccare" da quanto desideriamo
può essere la nostra salvezza. Regaliamoci questa possibilità.
1. La necessità di vederci/saperci positivi è la "tentazione" esistenziale
sulla quale investiamo tanto o tutto di noi …
cfr. "Il pifferaio magico" in:
"Vivere gli ideali" – A.Manenti – parte III cap.III, pagg.175-178 – EDB 1988
2. Desiderare il "bello" per noi e per un mondo migliore …
può diventare scoramento/delusione/frustrazione.
Non è che, forse, si fa un po’ di confusione in partenza?
cfr. "La paura" in: "Vivere gli ideali" – A.Manenti – parte II cap.IV, pagg.99-110 – EDB 198
Fig 1: Vorrei tanto essere
IL BELLO DI SCOPRIRE SE STESSI
E’ CHE SI COMINCIA SUBITO … E NON SI FINISCE MAI!
"Quali esseri umani portiamo dentro di noi, per necessità naturale, la nostalgia dell’infinito; ci struggiamo per la sete di immortalità; e dobbiamo essere già caduti profondamente nella disperazione per non conoscere più tali sentimenti. Anzi, dovremmo aver già strangolato parecchio la nostra anima, per ritrarci nelle categorie del finito e salutare l’asfissia spirituale del quotidiano quasi come un alleggerimento da tutte le domande essenziali. No, per uno che sta morendo di sete nel deserto, la sete è una prova che ci deve essere acqua, anche se nel luogo in cui vive, né per lungo né per largo, è dato trovare acqua".
E.Drewermann – "Il Vangelo di Marco. Parte seconda".
3. L’uomo ha bisogno di sapere chi/cosa è chiamato a diventare …
la sua vocazione …
Ma perché è così facile il vizietto di voltarci e voltare le spalle?
Fig 2: Perché mi tradisci?
4. Sono così libero che … sono libero da tutto!
"Ho finito sei cuscini a punto croce. Leggo Jane Austen e Kant.
Sono arrivata al maiale con fagioli neri al corso avanzato di cucina cinese.
Non devo lottare per trovare me stessa perché so già quello che voglio:
voglio essere sana e intelligente e bella.
Imparo nuove vetrificazioni alla scuola di ceramica e suono nuovi accordi sulla chitarra.
A yoga comincio a impratichirmi con la posizione del loto.
Non devo riflettere sulle priorità perché so già quali sono:
essere bella, sana, intelligente, e in aggiunta adorata.
Miglioro il servizio con un maestro di tennis.
Faccio pratica nelle declinazioni greche.
Con la terapia dell’urlo primario tutte le mie frustrazioni si sono dileguate.
Non ho bisogno di chiedere che cosa sto cercando visto che so già che cosa cerco:
essere bella, sana e intelligente, e adorata e soddisfatta.
Sono rifiorita al corso di giardinaggio naturale.
A danza le mie cosce si sono rassodate.
Al corso per lo sviluppo della consapevolezza nessuno mi batte.
Lavoro giorno e notte per essere bella, sana e intelligente.
E adorata, e soddisfatta, e coraggiosa, e colta.
E una splendida padrona di casa. Fantastica a letto. E bilingue, atletica, artistica, …
Qualcuno mi può far smettere per favore?"
Dice bene Solzhenitsyn:
"La liberazione dell’uomo non richiede né la libertà né l’azione politica, ma la volontà di usare la nostra libertà interna. La libertà esterna è desiderabile per una crescita che non sia deformata, ma non è niente di più che una condizione, un mezzo, e non ha senso considerarla come fine della nostra esistenza. Noi possiamo affermare in modo ben preciso la nostra libertà interna anche in condizioni esterne di mancanza di libertà … l’uomo non perde mai la sua possibilità di progredire verso i valori morali e religiosi’."
5. Effetto boomerang:
quando la nostra imbecillità ci fa da madre
e ci condanna a "rotolarci" nei nostri self-man.
"Se per una volta dimentichiamo le continue giustificazioni e scuse per le necessità apparenti, per le costrizioni e gli obblighi oggettivi, che ci spingono a possedere denaro, il vero nocciolo della nostra dipendenza da ‘mammona’ sta nel fatto che il denaro possiede il potere di tranquillizzare, in apparenza, le nostre più importanti angosce esistenziali. Angosce che solo noi esseri umani abbiamo, e che, perciò ci costringono in continuazione a cercare risposte smodate e illusorie".
E.Drewermann – "Il Vangelo di Marco. Parte seconda".
"Leggendario re di Corinto, Sisifo è un personaggio particolarmente potente, dotato inoltre di un considerevole potere magico. Per punirlo di diversi crimini – tra i quali la divulgazione di alcuni segreti degli dei – Zeus gli invia Thanatos, la morte; ma Sisifo trova il modo di incatenarla e tenerla prigioniera ininterrottamente per più giorni. Tale incidente ha, quale conseguenza, di rendere impossibile la morte di chiunque e di privare Ade della sua ragion d’essere. Occorre che il dio della Guerra e della Violenza, Ares, personalmente interessato alla vicenda, intervenga a liberare la sua alleata e le consegni Sisifo. Quest’ultimo non è ancora a corto di argomenti: ha avuto cura infatti di raccomandare a sua moglie, la Pleiade Merope, di non farlo seppellire dopo la morte. Giunto di fronte a Persefone, egli può dunque sostenere che, non avendo avuto sepoltura, non ha alcun diritto di entrare negli inferi. In tal modo, ottiene l’autorizzazione a tornare sulla terra dei viventi … per farsi seppellire!
Dal momento del ritorno alla luce, Sisifo riprende la sua vita avventurosa, con gran collera di Zeus che invia Ermes in cerca di lui per condurlo ancora una volta da Ade. Questa volta l’impostore non ha più argomenti da far valere ed eccolo condannato al terribile supplizio universalmente noto: deve riportare un enorme masso sulla sommità di una collina, ma questo masso però ogni volta gli sfugge proprio poco prima di giungere in cima e a Sisifo non resta che iniziare da capo la penosa risalita. Sa che il supplizio durerà in eterno, che dovrà ripetere indefinitivamente, meccanicamente, gli stessi gesti estenuanti, senza riposo e soprattutto senza speranza.
Sconsolata anche la moglie Merope abbandona le sorelle, le Pleiadi: gli astronomi hanno constatato la scomparsa di una stella dalla costellazione. Da allora nessuno la più vista!"
6. Via d’uscita? E se fosse l’uscire dal mio IO formato autoblindo?
Una mano chiusa (pugno) è per il combattimento,
una mano aperta (prendere-dare) è per l’incontro.
"Se c’è l’eternità non si può più negare né violare la dignità, la grandezza, l’infinita libertà, di qualsiasi persona al nostro fianco. Nessuno, allora, potrà più presentarsi dicendo: la mia donna, mio figlio, il mio cane, la mia casa, il mio albero, la mia auto, il mio tutto. Nell’ombra dell’eternità nulla appartiene in definitiva a noi stessi, ma tutti insieme apparteniamo esclusivamente a Dio … Siamo così resi capaci di vedere nell’altro, nel mio fratello o nella mia sorella, una persona che in realtà vive al presente ancora sulla terra, ma la cui fronte già tocca il cielo; nel suo linguaggio spira il soffio dell’eterno, nei suoi occhi brilla un’anima che è chiamata a far ritorno a Dio".
E.Drewermann – "Il Vangelo di Marco. Parte seconda".
"Canzone della non appartenenza" – G.Gaber:
"Quando mi è capitato di nascere, la maggior parte dei miei simili si era allontanata da Dio. E per colmare questo vuoto aveva scelto come nuovo culto l’umanità con tutti i suoi ideali di libertà e eguaglianza. Tuttavia non so se per coscienza o per prudenza, non riuscendo ad abbandonare completamente Dio, né ad accettare fino in fondo l’umanità, siamo rimasti come alla deriva del mondo in quella distanza aristocratica da tutto comunemente chiamata decadenza. Insomma siamo nati troppo tardi per Dio e troppo presto per gli uomini.
La grande intesa tra me e l’universo è sempre stata un mistero
il grande slancio verso la mia patria non è mai stato vero
il tenero attaccamento al paese natio mi sembra l’enfasi pietosa di un mio vecchio zio
tutto quello che ho, tutto quello che mi resta è solo questa mia famiglia che non mi basta.
Quando non c’era nessuna appartenenza la mia normale, la mia sola verità
è una gran dose di egoismo magari un po’ attenuato da un vago amore per l’umanità.
La mia anima è vuota e non è abitata se non da me stesso
non so bene da quando l’amore per il mondo mi sembra un paradosso
ma soffrire per gente di cui non si sa l’esistenza
mi sembra il segno un po’ preoccupante di qualche carenza
tutto quello che provo è una vana protesta è solo questa mia coscienza che non mi basta.
Quando non c’era nessuna appartenenza la mia normale, la mia sola verità
è una parvenza di altruismo magari compiaciuto che noi chiamiamo solidarietà.
Ma se guardo il mondo intero che è solidale e si commuove in coro
i filmati di massacri osceni con tanti primi piani di mamme e bambini
mi viene da dire che se questo è amore sarebbe molto meglio non essere buoni.
Se provo a guardare il mondo civile così sensibile con chi sta male
il cinismo di usare la gente col gusto più morboso di un corpo
mi viene da urlare che se questo amore io non amo nessuno non sento proprio niente.
E invece siamo nati per amare proprio tutti: indiani, russi, americani, schiavi, papi, cani gatti
è proprio il mondo della grande fratellanza per nuove suffragette piene d’isteria
o peggio ancora è quella sporca convenienza
come sempre mascherata dalla grande ipocrisia la nostra ipocrisia.
Quando non c’era nessuna appartenenza la mia normale, la mia sola verità
è una gran dose di egoismo magari un po’ attenuata da un vago amore per l’umanità.
E non ci salva l’idea dell’uguaglianza né l’altruismo o l’inutile pietà
ma un egoismo antico e sano di chi non sa nemmeno che fa del bene a sé e all’umanità.
Un egoismo antico e sano di chi non sa nemmeno di fare il bene all’umanità.
7. Quando l’amore domanda di … lasciarsi amare e di amarmi, amando.
Roba da … Dio!
"Lo so, com’è difficile.
E quante volte quando patiscono in tutte le loro prove ho voglia, sono tentato,
di mettere la mano sotto il loro corpo per sostenerli con la mia mano
come un padre che insegna al figlio a nuotare nella corrente del fiume
e che è combattuto tra due sentimenti:
da una parte se lo sostiene sempre e se lo sostiene troppo
il figlio si fiderà di lui e non imparerà mai a nuotare;
ma se non lo sostiene al momento giusto quel figlio passerà un brutto momento.
Così anch’io, quando insegno loro a nuotare nelle loro prove
sono combattuto fra questi due sentimenti …
Questa è la difficoltà, ed è grande.
Questo è il mistero della libertà dell’uomo – dice Dio – e del mio comportamento
verso di lui e verso la sua libertà.
Se lo sostengo troppo, non è più libero e se non lo sostengo abbastanza, cade.
Se lo sostengo troppo, metto a rischio la sua libertà,
se non lo sostengo abbastanza, metto a rischio la sua salvezza:
due beni in un certo senso ugualmente preziosi.
Infatti questa salvezza ha un prezzo infinito.
Ma cos’è una salvezza priva di libertà? Come si potrebbe qualificarla?
Noi vogliamo che questa salvezza sia acquisita da lui stesso.
Da lui stesso, l’uomo. Che se la procuri da sé. Che in un certo senso venga da lui.
Questo è il segreto. Questo è il mistero della libertà dell’uomo.
Tale è il prezzo che mettiamo alla libertà dell’uomo.
Perciò io stesso sono libero – dice Dio – e ho creato l’uomo a mia immagine e somiglianza.
Tale è il mistero, tale è il segreto, tale è il prezzo di ogni libertà.
Questa libertà di questa creatura è il più bel riflesso
che ci si dia al mondo della Libertà del Creatore.
E’ per questo che ci teniamo tanto.
Una beatitudine da schiavi, una salvezza da schiavi, una libertà servile, a chi volete che interessi?
Ci piacerebbe essere amati da degli schiavi?
Quando abbiamo sperimentato di essere amati liberamente,
le sottomissioni non hanno più sapore.
Quando abbiamo sperimentato di essere amati da uomini liberi,
i prosternamenti degli schiavi non ci dicono più nulla.
Essere amati liberamente, nulla costa questo peso, nulla costa questo prezzo.
Quando una volta abbiamo sperimentato di essere amati liberamente
tutto il resto è solo sottomissione …
Solo colui che vive all’aria aperta ha la pelle sufficientemente abbronzata
e l’occhio abbastanza profondo e il sangue della sua razza.
Così solo colui che vive in piena libertà ha la pelle abbastanza abbronzata
e l’anima abbastanza profonda e il sangue della mia grazia.
Cosa non si farebbe per essere amati da uomini di questo genere!"
Charles Péguy
Fig 3: Io sono (vignetta 1) Fig 4: Io sono (vignetta 2)
Scheda ecclesiale – sacramentale
IL BATTESIMO
Gesù ha inviato i suoi ad annunciare la buona novella e a battezzare (Mt 28,19s).
Il battesimo con l’acqua nel nome della Trinità è l’atto voluto dal Signore per dare inizio all’esistenza della nuova creatura in chi si è aperto alla Parola della vita. Questa vita nuova nasce dalla partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù, resa presente nel battesimo mediante il segno dell’acqua, che è tanto elemento di distruzione, quanto indispensabile sorgente di vita (Rm 6,3-4).
Uniti al Signore Gesù nella sua Pasqua, i battezzati entrano nella comunione vivificante di Dio Amore.
Alla fede, che viene solennemente professata durante la celebrazione del battesimo, il Padre risponde donando al credente il perdono dei peccati e la grazia della condizione filiale: il battesimo ci rende figli di Dio nel Figlio amato, consegnato per noi (Gal 3,26s).
Grazie al battesimo possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo Padre e sperimentare la tenerezza dell’abbandono nelle sue mani anche nelle situazioni più difficili e di fronte alle sofferenze più grandi.
Mistero dell’incontro con Dio Padre, il battesimo è anche sacramento dell’incontro col Figlio, Gesù Cristo: in quanto partecipazione alla sua morte e risurrezione, l’evento battesimale unisce il credente all itinerario pasquale del Salvatore. Vengono così ad attualizzarsi nella storia della persona le meraviglie operate da Dio nella liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto e la più grande di tutte le opere del Signore per noi, che è la Pasqua del suo Figlio (Rm 6,3).
La vita del battezzato è un’esistenza pasquale: unito al suo Signore, il cristiano vive la storia in maniera nuova, perché l’esperienza del dolore e della morte può diventare per lui la via lungo la quale sperimentare in se stesso l’opera della riconciliazione con Dio e fra gli uomini, compiuta da Cristo nella sua passione e risurrezione. Nella propria debolezza il cristiano sa di poter contare sulla forza della vittoria di Pasqua, partecipatagli col battesimo (2Cor 12,9s).
L’intera esistenza battesimale è vivere con Cristo e in lui, sperimentare la sua presenza in noi (Gal 2,20).
Perciò il cristiano non si sente mai arrivato e vive il suo battesimo nella continua tensione verso la finale vittoria di Dio (Fil 3,12-14).
Nello Spirito si compie il perdono dei peccati e l’adozione filiale, che unisce il battezzato al Padre (Gal 4,6).
Nello Spirito il battezzato è configurato al Figlio Gesù Cristo nella pienezza del suo mistero (Rm 8,9).
E’ nello Spirito che il cristiano, figlio nel Figlio davanti al Padre, forma un solo corpo con coloro che come lui sono stati battezzati nel nome della Trinità (1Cor 12,13). Questo corpo è la Chiesa (1Cor 12,27).
Grazie al dono dello Spirito ricevuto nel battesimo il cristiano sa di non essere più solo, perché fa parte ormai della famiglia dei figli di Dio, nella quale lo Spirito comunica a ciascuno i suoi doni in vista dell’utilità comune e aiuta tutti a vivere in quella unione col Cristo e con gli altri, che è riflesso della comunione trinitaria: così il nuovo popolo di Dio è "adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"(Cipriano, De dominica oratione, 23), per essere nella sua unità e nella sua varietà immagine vivente, "icona" della Trinità.
(da Bruno Forte, Piccola introduzione ai sacramenti, ed.San Paolo ’94, pp.47-52).
Altri riferimenti:
Quaderni di Proposta Cristiana, n°28, Il Battesimo, pp.24-47;
Praenotanda del Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti, nn.3-6, CEI.
Preconio pasquale e rinnovazione delle promesse battesimali nella Veglia di Pasqua.
LA RICONCILIAZIONE
Nel profondo del cuore di chi crede risuona senza sosta l’invito da accogliere il Dio che viene e fa nuove tutte le cose, lasciandosi riconciliare con lui (2Cor 5,17-20).
La riconciliazione è il sacramento nel quale Cristo soccorre la debolezza dell’uomo, che abbia tradito o rifiutato l’alleanza con Dio celebrata nei sacramenti dell’iniziazione, lo riconcilia col Padre e con la Chiesa, lo ricrea come creatura nuova nella forza dello Spirito Santo.
L’uomo riconciliato è accolto nella comunione vivificante della Trinità, inserito nella profondità e nella ricchezza delle relazioni divine: il sacramento del perdono rinnova il rapporto del cristiano col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo.
Con la penitenza sacramentale il Dio di misericordia rimette i peccati commessi dopo il battesimo, venendo incontro a chi sinceramente riconosce la propria colpa e vuole ritornare nella condizione dell’alleanza filiale.
Il sacramento della riconciliazione offre al peccatore la gioia dell’incontro liberante col Cristo.
Il sacramento si pone come il nuovo ingresso del peccatore nella comunione con Dio e con la Chiesa, di cui lo Spirito è l’anima e la forza di coesione. E lo Spirito effonde l’amore di Dio nei cuori (cfr.Rm 5,5), muovendo il peccatore perdonato ad esprimere nella vita personale e nella comunione con gli altri la pace ricevuta nella profondità del proprio essere.
L’azione divina della riconciliazione e l’itinerario umano della conversione vengono così a corrispondersi profondamente nel sacramento del perdono: il Signore, che volle esser chiamato amico dei peccatori, non disprezza le debolezze e le resistenze dell’uomo, ma le prende fino in fondo sul serio facendosene carico e offrendo a chi lo chieda l’aiuto necessario per vivere un’esistenza riconciliata ed essere così strumento di riconciliazione fra gli uomini. La Trinità anche in questo modo entra nel tempo e lo redime dal di dentro delle sue tensioni e delle sue contraddizioni.
(da Bruno Forte, Piccola introduzione ai sacramenti, ed.San Paolo ’94, pp.81-87)
Il peccato spezza il rapporto personale d’amore con Dio e con la Chiesa; è un male, il peggiore di tutti i mali.
Tuttavia il peccato non ci toglie la possibilità dell’esperienza di Dio, ma ci apre uno spazio privilegiato per questa stessa esperienza. Il perdono è la realtà nella quale Dio si rende più sensibile al cuore dell’uomo, dove Dio si fa meglio conoscere, perché è lì che si rivela nel modo più sublime l’amore del Padre, un amore che va verso la miseria diventando così misericordia. Nel momento del perdono, mentre misuro l’abisso del peccato, misuro ancor più l’abisso della misericordia che lo inghiotte, e il mio peccato non è che una piccola pietra che sprofonda nell’oceano del suo amore.
Al di fuori di questa esperienza, c’è il rischio che la nostra conoscenza di Dio sia frammentaria e contraddittoria. Per esempio, a livello concettuale, la collera di Dio, di cui la Bibbia parla spesso, sembra il contrario dell’amore. Allora ci si chiede: può amare Dio, mentre è adirato? E la risposta logica sembrerebbe: No! fino a quando non sarà sbollita la sua ira!
E invece no! Chi fa l’esperienza della conversione coglie il mistero di una collera che distrugge il male, e, contemporaneamente, di un amore che avvolge, preserva e trasforma chi era affetto dal male.
Come il medico combatte la malattia perché ama il malato, così Dio odia il peccato perché ama il peccatore.
Al di fuori di questa esperienza c’è il rischio di conoscere il Signore per sentito dire, mentre la parola di Dio ci invita a provare: "Gustate e vedete quant’è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia " (Sal 34,9).
L’ascesi (lo sforzo personale per evitare il peccato e avvicinarsi a Dio), se è priva dell’esperienza penitenziale, può diventare una tensione perfezionistica analoga a quella dei farisei. Invece l’esperienza del perdono ci fa capire che è Dio che salva. Allora nasce spontanea l’umiltà: l’unica virtù che commuove le viscere della misericordia di Dio perché "Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili" (1Pt 5,5). Leggiamo la parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14), diciamo con Maria il suo cantico (Lc 1,46-55).
L’apostolo Paolo, dopo aver avuto visioni e rivelazioni dal Signore e dopo essere stato rapito in paradiso, non si vanta se non delle sue debolezze (Cf. 2Cor 12,1-6) e ci descrive la sua situazione che è tanto consolante anche per noi (2Cor 12,7-10).
Un grande autore orientale, Isacco di Ninive (sec.VII) scrive: "Colui che conosce i propri peccati è più grande di chi risuscita un morto con la preghiera. Chi geme su se stesso per un’ora, è più grande di chi insegna all’universo intero. Chi conosce la propria debolezza è più grande di colui che vede gli angeli. Chi, solitario e contrito, segue Cristo è più grande di colui che gode il favore delle folle nelle chiese" (Discor. 34).
E il papa san Gregorio Magno: "E’ più gradita a Dio una vita ardente dopo la colpa che un’innocenza che intorpidisce nella sicurezza" (Regola Pastorale, III,28).
Per chi si sente perdonato, non c’è il rischio che la vita spirituale sia considerata una prodezza dell’uomo, una conquista delle sue forze. Al centro della sua vita non ci sarà più l’uomo, ma Dio che perdona. Allora nascerà la preghiera, quella genuina, che sposta lo sguardo del povero dalla propria miseria alla misericordia di Dio. Allora, diffidenti di noi, saremo totalmente fiduciosi in Lui. Niente prodezze fatte da noi, ma solo miracoli operati dal Signore e accolti in cuori umili e totalmente aperti a lui. Il perdono ci apre le porte della più meravigliosa esperienza di Dio. Paolo scrive: "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28). E sant’Agostino, commentando, non esita ad aggiungere: "anche i peccati", non certo perché il peccato sia una prodezza (è piuttosto una suprema miseria), ma per quell’arte meravigliosa che è propria di Dio: sa trarre il bene anche dal male. Perfino dal peccato!
(da Lino Pedron, Il sacramento della Riconciliazione, Pro Manoscripto, pp.35-38).
Altri riferimenti:
Lino Pedron, op. cit., pp.28-34;
Giovanni Paolo II, Reconcilatio et Paenitentia, 1984, nn.28-31;
Praenotanda del Rito della Penitenza, CEI, nn.1-7.
Scheda di spiritualità e mondialità
1. IL VANGELO, FONTE DI LIBERAZIONE,
CI RIVELA IL VOLTO DI DIO CHE È PER I POVERI
Il vangelo libera se lo sappiamo coniugare con l'economia, la politica, l'etnia, la famiglia, liberando così un Dio prigioniero dell'Impero del denaro.
E lo si può fare proprio là dove gli uomini sono più oppressi ed emarginati.
"Missione è fare quello che ha fatto Gesù di Nazaret, il quale è stato il volto dell'Abba, del Papi, per gli emarginati della Galilea: i poveri, i disperati, gli ignoranti, i lebbrosi, le prostitute, i disprezzati. Gesù è stato per loro un segno di speranza. Il Messia povero e dei poveri. Anche oggi chi vuole seguire Gesù è chiamato ad essere volto del Papi alle frontiere della sofferenza umana.
Abbiamo scelto Korogocho in fedeltà alla missione. Abbiamo individuato i gruppi umani più disprezzati: la gente della discarica, i ragazzi di strada, le ragazzine-prostitute, i giovani delinquenti, i malati di Aids e le donne in difficoltà. Insieme a loro abbiamo dato vita a dei «piccoli segni di speranza». Progetti modellati sullo schema delle Piccole comunità cristiane, che hanno come base la Parola, la comunità e il lavoro. Questi piccoli progetti - seguiti da una comunità di laici dell'Acri e dalla sorella comboniana, Marta Citterio - sono stati segni molto importanti per dire ai poveri di Korogocho che il Papi vuol bene a loro.
Poi, dopo anni di presenza in baraccopoli, abbiamo capito che questi segni, pur fondamentali, non bastano. Perché la baraccopoli è un problema economico, politico, sociale che domanda altrettante scelte precise. Abbiamo riflettuto spesso sul rapporto tra il «personale» e il «sociale» (valori, culture) nella nostra fede. Siamo convinti che, come cristiani, siamo rimasti bloccati sul «personale». È vero che il Vangelo è stato capace di trasformare radicalmente le persone. «La cosa incredibile - come ebbe a dire Denis Hurley quando era arcivescovo di Durban (Sudafrica) - è che in questi 20 secoli di cristianesimo non abbiamo avuto un solo esempio di come il Vangelo possa trasformare un sistema».
Non solo, spesso il Vangelo è andato a braccetto con realtà profondamente antievangeliche. Come nel Sudafrica dell'apartheid. «Se ci son voluti tre secoli, alle chiese sudafricane, per dire che l'apartheid è peccato - ha affermato il teologo sudafricano Albert Nolan - di quanti secoli avrà bisogno la chiesa cattolica per riconoscere che questo sistema economico, l'Impero del denaro, è peccato?».
L'intuizione cristiana coglie nel segno: è la persona che si converte. Ma è altrettanto vero che ogni persona è il prodotto del sistema: ogni persona, man mano che è compenetrata dal Vangelo, deve rendersi conto di dover cambiare strutture sociali, politiche, economiche, familiari, valori culturali, altrimenti sarà portata a comportarsi di nuovo paganamente. Su tutto questo abbiamo riflettuto a lungo, aiutandoci con lo studio e la rilettura della tradizione biblica, da Mosè a Gesù."
A. ZANOTELLI, Inno alla vita, EMI 1998, pp. 115-116
2. DIO LIBERO O PRIGIONIERO?
"Il cuore della rivelazione biblica è l'esperienza di liberazione. Tutto parte dall'esperienza di Dio. Non più però il dio del sistema, il «dio delle pance piene», ma il Dio delle vittime del sistema. Per la prima volta Dio appare come colui che ascolta il grido degli schiavi. Possiamo leggere questa sbalorditiva verità nella storia dell'Esodo. Mosè, dopo aver fatto esperienza di questo Dio, è invitato a tornare in Egitto come portatore di un sogno che è il sogno di Dio.
Dio sogna un mondo dove gli uomini possano vivere davvero come fratelli e sorelle, dove i beni siano a disposizione di tutti, cioè un'economia di uguaglianza. Per realizzare questo, c'è bisogno di una politica di giustizia, che garantisca l'effettiva distribuzione del necessario a tutti. E la politica di giustizia domanda necessariamente una religione del Dio libero, di un Dio, non prigioniero del sistema, che ascolta il grido di chi soffre.
Questo sogno fa a pugni con il sogno del faraone, con l'Impero. Ogni Impero infatti è costruito su un'economia di opulenza (dove pochi hanno tutto) che domanda necessariamente una politica di oppressione (per garantire la supremazia di pochi) la quale a sua volta richiede una religione nella quale Dio è prigioniero del sistema (costretto a benedire il faraone ed il suo Impero).
Questi due sogni si sono scontrati frontalmente. E il libro dell'Esodo proclama che Dio, JHWH, ha vinto il faraone e tutto il suo esercito. Il sogno cavalca la speranza, e questa speranza - dopo una profonda esperienza religiosa di tutto il popolo nel deserto - si concretizza in un'autentica rivoluzione sociale in Canaan. La più recente ricerca biblica sembra indicare che la terra promessa non sia stata conquistata militarmente da Giosuè. Sembra invece che un'insurrezione sia scoppiata contro i regimi oppressivi delle città-stato in Canaan, sotto il grande ombrello faraonico. Questa rivoluzione sociale era in pieno sviluppo - capeggiata dagli hapiru (i fuorilegge), da cui deriva probabilmente la parola «ebrei» - quando arrivò dal sud la tribù dì Mosè, depositaria di un'incredibile storia di liberazione.
Il sogno di Mosè fa nascere un'autentica rivoluzione sociale: la confederazione delle 12 tribù. La terra è divisa equamente fra tutte le famiglie e i prodotti della terra devono servire per il bene di tutti (economia di eguaglianza); non c'è nessun re e potere centralizzato, nessun esercito stabile (politica di giustizia); Dio rimane colui che ascolta il grido delle vittime (religione del Dio libero).
Questa esperienza è continuata per due secoli. Fu a causa, forse, della pressione dei filistei che gli israeliti chiesero un re. E fu il tradimento del sogno di Dio e di Mosè. E, con Salomone, ritorniamo in Egitto: lo sfarzo della corte regale reso possibile da pesanti tasse sul popolo (economia di opulenza); corvée per costruire i palazzi, l'esercito, l'harem (politica di oppressione); la costruzione del tempio dove Dio diventa prigioniero del sistema.
Di fronte al tradimento radicale dell'esperienza dell'Esodo, i profeti si ribellano. Essi sono la coscienza di Israele, coloro che ricordano al popolo che quella vita non è ciò che Dio ha progettato per loro. I profeti esprimono quel grande grido, quella grande ansia di tornare al progetto iniziale di Dio. Ecco la grande rabbia dei profeti, che esprime la sofferenza immensa dei poveri che tocca il cuore di Dio.
Questa reazione sarà ripresa più tardi nel filone apocalittico, che porterà ad un'altra forma di resistenza nonviolenta, espressa superbamente nel libro di Daniele. Daniele riprende il sogno di Dio: finiscano finalmente questi imperi bestiali (le grandi bestie che escono dal mare: Dan 7) e sorga una società dal Volto d'uomo (il «Figlio dell'Uomo»). La storia non sarà più retta da bestie e bestioni, ma da uno che ha il volto d'Uomo, i volti di una comunità.
Gesù, 150 anni dopo Daniele, riprende e rilancia questo sogno nel suo grande movimento di speranza per i poveri della Galilea. Gesù è stato l'immagine del volto d'Uomo che ha disturbato l'impero di Roma con la proclamazione che il Regno di Dio è vicino. Proclamazione che diventa così una contestazione radicale del sistema del tempio di Gerusalemme che collabora con Roma. Ciò porta alla sua crocifissione, che è una morte politica. Eppure Dio rimane fedele a questo Gesù crocefisso fuori le mura, buttato fuori dal sistema: è la fedeltà del Papi a tutti i cani bastonati della storia. È il loro Dio. E Dio ha vinto la croce, Dio ha vinto la morte: Gesù è risorto."
A. ZANOTELLI, Inno alla vita, EMI 1998, pp. 116-119.
3. IL DIO BIBLICO È IL DIO DEI POVERI
"Guardandomi attorno, mi sembra di poter dire che la Chiesa è oggi lontanissima dai poveri. È una Chiesa, tutto sommato, medio-alto borghese, che ha fatto dei poveri l'oggetto della sua carità, ma dove i poveri non sono il soggetto primario della sua evangelizzazione. E qui vorrei tornare indietro un attimo ad una realtà che forse non era tenuta nella dovuta considerazione. Se c'è una cosa che appare chiara in chiave biblica è che il Dio di Mosè, il Dio di Gesù, il Dio dei profeti, è il Dio dei poveri, dei diseredati, degli schiavi, delle vedove, dei bambini, dei marginalizzati, dei lebbrosi, degli scomunicati: di tutta la gente che è fuori. È il loro Dio. A una tematica talmente chiara e talmente evidente che ha portato lo stesso p. Pieris dello Sri Lanka nel suo libro, tradotto anche in italiano (Una teologia asiatica della liberazione), ad affermare che questa è una delle verità fondamentali della tradizione giudaico-cristiana, che non si trova in nessun'altra delle tradizioni religiose mondiali.
Ecco, questo aspetto biblico dei poveri mi sembra che dobbiamo riprenderlo con forza e proclamarlo alla Chiesa. Se c'è una cosa su cui ho riflettuto in questi anni a Korogocho è proprio su tutto questo filone. E soprattutto su Gesù. Grazie soprattutto ad una serie brillante di studi che, in chiave sociologica, economica e politica, hanno messo in risalto la scelta che Gesù ha fatto dei poveri nella sua Galilea. Gesù non ha lavorato in Giudea, non ha lavorato a Gerusalemme, ha scelto la Galilea, luogo dove la gente soffriva maggiormente. Una Galilea che sperimentava la morsa dell'imperialismo romano, l'indebitamento e tutta una serie di fattori che portava la gente ad uno stadio di impoverimento incredibile. A questa poveraglia della Galilea, agli esclusi, agli emarginati, a tutta la gente messa al bando, Gesù ha proclamato la «Buona Novella».
Anzi, per Gesù, questa gente, i poveri, gli emarginati, gli esclusi, i messi al bando, le vedove, erano i soggetti primari dell'evangelizzazione. Sono loro il volto dell'Abbà: «Ti benedico, ti lodo e ti ringrazio, o Padre, perché tu hai nascosto queste cose ai grandi, ai sapienti, ai potenti, alla gente dalla pancia piena, e le hai rivelate ai piccoli, ai poveri, agli esclusi, agli emarginati. Così è piaciuto a te, Papi».
È questo il cuore dell'Evangelo, è questo il cuore di Gesù. E Gesù, proprio perché è stato il profeta della poveraglia della Galilea, e aveva compreso che le radici profonde dell'oppressione in quella terra risiedevano in Gerusalemme (il sistema del tempio collegato con il sistema politico-economico romano), ha compiuto quel suo grande viaggio per portare nel cuore stesso di Gerusalemme il grande messaggio di liberazione, per difendere la poveraglia della Galilea, per dire una parola di verità su quel sistema. E quel viaggio gli è stato fatale: il potere romano e il potere del tempio si sono alleati per eliminare un elemento considerato pericoloso per il sistema.
Abbiamo bisogno di una Chiesa povera, abbiamo bisogno di uno stile semplice: solo così il mondo ci crederà, e solo così potremo fare la battaglia a favore della vita. Ormai il sistema mondiale, a cui le Chiese sono funzionali, non fa altro che portarci tutti inesorabilmente alla morte. Solo una Chiesa capace di fare delle scelte di povertà, chiamiamole pure di stile di vita semplice, potrà mettere in crisi questo sistema.
Oggi le Chiese sono convocate dalla storia ad ascoltare il grido immane dei poveri, che sono il diretto risultato di un sistema economico che non fa che accrescere il loro numero. Ascoltare il grido dei poveri e diventare lei stessa povera: è questa la scelta che la Chiesa ha di fronte: o la imbocca, oppure lei stessa tradisce il Vangelo e diventa complice di un sistema di morte che ci porta inesorabilmente tutti alla rovina."
A. ZANOTELLI, Inno alla vita, EMI 1998, pp. 75-78.
4. SONO I POVERI CHE ANNUNCIANO IL VANGELO DI LIBERAZIONE
"I vescovi, parlando dell'impegno cristiano di coniugare carità e giustizia, parlano di amore preferenziale per i poveri. «Preferenziale» significa «da preferire». Cioè: dobbiamo partire da loro, dobbiamo farli diventare non soltanto destinatari delle nostre esuberanze caritative ma protagonisti del nostro annuncio di liberazione. I vescovi latino-americani parlano del carisma evangelizzatore dei poveri, altri, parlano del potenziale evangelizzatore dei poveri: sono i poveri che annunciano.
Passiamo armi e bagagli dalla parte dei poveri, abbiamo più fiducia in loro. È il Signore Gesù che ci provoca a questo assurdo nel quale noi dobbiamo decisamente entrare. Diamo spazio ai poveri nelle nostre assemblee, facciamoli parlare, non chiamiamo soltanto i notabili della cultura, quelli che sono capaci di prendere la parola. Diamo la parola ai poveri, facciamo più spazio a loro. Faremo forse passi più piccoli, ma senza dubbio saranno passi molto più credibili.
Amore preferenziale per i poveri significa non soltanto diventare poveri ma anche aiutare i poveri. Quando arriveremo alle porte del Regno, il visto sul passaporto può avere due timbri: o «Beati voi poveri perché vostro è il Regno di Dio» (Lc 6, 20), oppure «Benedetti dal Padre mio, perché avevo fame e mi avete dato da mangiare...» (Mt 25, 35). O beati o benedetti: o ci facciamo poveri, o ci facciamo tutt'uno con loro, solidarizziamo con loro e li amiamo al punto da diventare quasi la loro protesi, il loro prolungamento. Senza uno di questi due timbri nessun passaporto vale per entrare nel Regno di Dio."
T. BELLO, Cirenei della gioia, San Paolo 1996, pp. 127-128.
5. IL VANGELO SPERANZA DEI POVERI
"Non ho studiato lo spagnolo, ma quella frase l'ho capita benissimo e mi è rimasta nel cuore.
La sentii mormorare nella baracca di un barrio poverissimo di Bariloche, in Argentina, da una giovane donna, dagli occhi splendidi e febbricitanti, sulla cui spalla si era addormentato l'ultimo di una nidiata di bambini.
In quella città opulenta, dopo tre giornate trascorse nelle villas miserias della Patagonia, volle condurmi il vescovo di Viedma. «Vieni, mi disse. Lì si concentra la più alta borghesia del paese. Così capirai meglio che cosa vuol dire il papa quando afferma che i poveri diventano sempre più poveri e i ricchi diventano sempre più ricchi».
Nel pomeriggio, poiché il vescovo era impegnato in una riunione pastorale, volli raggiungere la periferia della città. Lui stesso mi aveva detto che c'era una cintura vastissima di incredibile degrado umano e sociale. Tra le tante lussuose fuoriserie che circolavano, fermai un taxi malandato e mi feci accompagnare.
L'autista, con un italiano approssimativo, provava gusto a indicarmi i ritrovi più celebri, i teatri e i casinò, i santuari della finanza e le sedi delle più rinomate holding commerciali, le residenze dei più noti vip sudamericani e le sfarzose abitazioni dei grandi impresari argentini. Mi vide distratto ai suoi discorsi e disse, sorpreso, che era la prima volta che uno straniero gli chiedeva di raggiungere una destinazione così insolita.
Arrivammo nella periferia di colpo: senza gradazioni. Il taxi mi lasciò sull'ultimo nastro di asfalto che divideva spudoratamente due mondi lontani: di qui le geometrie levigate della metropoli, di là l’intrico delle baracche. Faceva freddo. All'orizzonte, si stagliavano le montagne delle Ande, e il cielo chiarissimo di quella sera di ottobre riempiva l’aria di attese.
Frotte di ragazzi si rincorrevano per i sentieri sterrati, e guazzavano a piedi scalzi nelle pozzanghere dell'ultima neve di primavera. Sostenevano il filo di un aquilone, che si librava altissimo, splendido come un gabbiano, e scintillava ai raggi del sole morente, così come scintillavano di stupore i loro occhi rapiti.
Di qua e di là, catapecchie di lamiere, recinti di cartone pressato, tuguri di pietre e di frasche, da cui usciva invariabilmente un filo di fumo e il tubo di un'antenna. Sugli usci di casa le donne infreddolite contemplavano anch'esse il miracolo dell'aquilone, che le costringeva, sia pure per pochi momenti, a sollevare lo sguardo dalle quotidiane tristezze di quaggiù.
Mi si avvicinò una bambina. Le chiesi il nome. Si chiamava Milagro. Solo dopo seppi che Milagro vuol dire miracolo. Ma che quella bambina, nonostante il muco che le si era congelato sotto il naso, fosse un miracolo di tenerezza lo capii subito dal sorriso gratuito che mi regalò. La presi per mano e le chiesi di condurmi a casa sua. La seguirono subito cinque o sei altri fratellini, ed entrammo così in una baracca.
La madre, dal cui collo pendeva un bambino addormentato, mi accolse con un lampo negli occhi, di pudore e malinconia. Sul focolare schiumava una pentola di fave. All'angolo, due sedie spagliate. Per terra, un grande giaciglio. A un filo di corda, i panni dell'ultimo bucato.
Fui incuriosito da un libro aperto sul tavolo, accanto a una pila di piatti e di scodelle. Lo presi tra le mani e lessi sulla copertina: El Santo Evangelio de nuestro Señor Jesucristo.
Ebbi un soprassalto di commozione. Mi sembrò di essere entrato in casa di parenti, e provai a dire alla donna: «Sono molto felice che voi leggiate il Vangelo». Fu allora che lei, rimasta in silenzio fino a quel momento, apri bocca e mormorò con un filo di voce che mi ha rigato l'anima e non si è cancellato mai più: Unica esperanza por nuestra pobreza.
Unica speranza per la nostra povertà!
Dunque, quella baracca non era un rifugio di disperati! Lì, al centro di quel tugurio, accanto alla fiamma del camino, crepitava un fuoco ancora più robusto: la speranza dei poveri. Dunque, in quella miserabile dimora non aveva domicilio la rassegnazione. Lì, nelle fibre della più nera povertà, vibravano le attese di un mondo nuovo, affrancato dalle ingiustizie.
Dunque, in quella catapecchia di gente senza nome non si tirava a campare. Lì, nella fatica delle tribolazioni quotidiane, prendono corpo le calde utopie della rivoluzione cristiana e si alimentavano i sogni di cieli nuovi e terre nuove.
Avrei voluto abbracciare quella donna. Mi limitai a baciare il bambino che le dormiva sulla spalla e forse sognava anche lui. Fuori i ragazzi continuavano a correre. Nel cielo si librava, altissimo, l'aquilone. Mi parve allora, per incanto, che fosse stato ritagliato dalle pagine del Vangelo, e andasse ad annunciare la speranza cristiana alla città opulenta, giunta al crepuscolo della felicità.
Avrei voluto dire a quei ragazzi di legare il filo a un'antenna, e lasciarlo nel cielo per sempre, quell'aquilone. Ma era già tardi. E forse non mi avrebbero capito.
Il taxi mi attendeva sull'ultimo nastro d'asfalto.
Milagro mi accompagnò, fermandosi sul fango dell'ultimo tratto sterrato. Addio, piccolo prodigio di luce.
Quando dovrò parlare delle speranze dei poveri, penserò a te!"
T: BELLO, Scrivo a voi, EDB, pp. 85-87.
6. INVITO A PORTARE CONCRETI SEGNI DI LIBERAZIONE
NELL’OGGI DELLA STORIA
"Non abbiate paura! Non lasciatevi sgomentare dalle dissertazioni che squalificano come fondamentalismo l'anelito di voler cogliere nel "qui" e nell’"oggi" della Storia i primi frutti del Regno.
Sono interni alla nostra fede i discorsi sul disarmo, sulla smilitarizzazione del territorio, sulla lotta per il cambiamento dei modelli di sviluppo che provocano dipendenza, fame e miseria nei Sud dei mondo, e distruzione dell'ambiente naturale.
Fin dai tempi dell'Esodo, non sono più estranee alla Parola del Signore le fatiche di liberazione degli oppressi dal giogo dei moderni faraoni. Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata "orizzontalismo" la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l'amore per lui.
Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la politica dei blocchi è iniqua, che la remissione dei debiti del Terzo Mondo è appena un acconto sulla restituzione del nostro debito ai due terzi dei mondo, che la logica del disarmo unilaterale non è poi così disomogenea con quella del vangelo, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena... se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali."
T. BELLO, Il sogno di Isaia, Meridiana, pp. 73-74.
AA.VV. (a cura di G. Colleoni), Liberazione nella terra degli afflitti – Chiesa e terra in Brasile, EMI 1988.
BOSIO R., Una pietra al collo, EMI 1998.
KUNZ F., All’ombra di Nabucodonosor, EMI1998.
SALVOLDI V., I volti di Dio, EMI 1994.
SALVOLDI V., Per le strade del mondo, EMI 1982.
ZANOTELLI A., Sulle strade di Pasqua, EMI 1998.
Testi per comprendere:
"Libertà": in Dizionario enciclopedico di teologia morale – pagg.521-532 – G.Piana – Paoline 1979.
"Libertà cristiana": in Nuovo dizionario di spiritualità – pagg.847-861 – Paoline 1985.
"Liberi e fedeli in Cristo" – B.Haring – vol. I: cap.IV (creati e ricreati dalla l. …) – Paoline 1987:
"Il passaggio dalla schiavitù alla libertà è un passaggio dall’egocentrismo e dall’ostinazione, alla conformità con la volontà amorosa di Dio. ‘E questo fu il risultato, che non volli fare ciò che io volevo e volli fare ciò che tu volevi’. E’ l’esperienza di sant’Agostino a riguardo della nuova libertà come dono di Dio, cioè della libertà derivante da Dio, per Dio e per amore dei con-fratelli in Dio. Del tutto diversa è la visione che Jean Paul Sartre ha della propria libertà: ‘Se l’esistenza veramente precede l’essenza, le cose non si spiegano con il riferimento ad una natura umana fissata o data. In altre parole, non c’è alcun determinismo. L’uomo è libero, l’uomo è libertà. Siamo soli, senza scuse’. Sartre ha ragione di respingere un determinismo globale, ma sbaglia nell’asserire una libertà illimitata.
Se accettiamo la nostra libertà limitata come dono di Dio e usiamo con gratitudine di tutte le sue potenzialità, possiamo dire con Kasemann che ‘il potere della risurrezione di Cristo diventa una realtà qui e ora nella forma della libertà cristiana, e solo in essa. A tale realtà qui sulla terra si oppone tutto ciò che si oppone alla libertà cristiana’. Ma non va mai dimenticato che noi possiamo com-partecipare alla libertà del Signore risorto solo se accettiamo anche il compito di ‘mettere a morte il nostro io egoistico’. In altre parole: noi rinunciamo alla libertà come furto e l’accettiamo come dono dell’amore di Dio …".
"Liberi e fedeli in Cristo" – B.Haring – vol. I: sintesi (l., fedeltà e adorazione) – Paoline 1987.
"La libertà dell’uomo": in Catechismo della Chiesa Cattolica – nn.1730-1748.
Diritto per ogni uomo alla libertà religiosa:
"Dignitatis humanae" – Dichiarazione del Concilio Vaticano II – in particolare n. 2:
"Questo concilio dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa … la libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana …
A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto persone, dotati cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di responsabilità, sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità. Però gli uomini non possono soddisfare a questo obbligo in modo rispondente alla loro natura se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell’immunità dalla coercizione esterna …"
Cercare Dio nella libertà:
"Varcare la soglia della speranza" – Giovanni Paolo II – cap.29 (ma credere a che serve?).
"Varcare la soglia della speranza" – Giovanni Paolo II – cap.35 (entrare nella speranza).
"Anche Dio è infelice" – D.M.Turoldo – pagg.183-187 (in quale Dio credere) – PIEMME 1991.
Percorsi catechistici:
"Io ho scelto voi" – catechismo dei giovani I – CEI
. cap.4 "Liberi per amare":
interrogare la vita: orizzonti nuovi di libertà
ascoltare Dio che parla: sentieri di libertà
incontrare Gesù Cristo: Gesù libero nella fedeltà al Padre
"Venite e vedrete" – catechismo dei giovani II – CEI
. cap.1 "Che cercate?"
. cap.4 "La pasqua"
Incontri di liberazione:
"Incontri di liberazione" (dal vangelo di Marco) – G.Calcagno – SANPAOLO 1997.
"Piedi di cerva sulle alte vette" (dal cantico dei cantici) – H. Hurnard – Gribaudi 1982.
Per camminare nella libertà:
"Psicologia e formazione" – A.Cencini e A.Manenti – pagg.136-138 e pagg.312-314 – EDB 1985.
"Antropologia della vocazione cristiana" – L.M.Rulla –
vd. Indice analitico: liberazione e libertà umana – PIEMME 1985.
Per pregare:
"Salmi d’oggi" – S.Carrarini – vd.Indice analitico: libertà/liberazione – Mazziana 1995.
Articoli …
"Chi ha il monopolio di Dio?" in: Dimensioni Nuove – ottobre 1996 – pagg.22-26.
"Dio, il vuoto, il male, la vita" in: Dimensioni Nuove – gennaio 1997 – pagg.16-19.
Altri testi …
"Siddartha" – H.Hesse.
"Umano troppo umano" – F.W.Nietzsche – parte III: la vita religiosa – un passaggio:
"Anche l’asceta cerca di rendersi la vita facile: ossia, di solito, subordinandosi totalmente a una volontà estranea o a leggi e rituali di carattere generale; pressappoco come il bramino non rimette assolutamente nulla a una decisione propria e si determina in ogni minuto in base ad una prescrizione divina. Questa subordinazione è un potente mezzo per divenire padroni di se stessi: si è occupati, quindi non ci si annoia, e tuttavia non si prova in ciò alcuno stimolo della volontà e delle passioni. Ad azione compiuta manca il senso della responsabilità e, con esso, il tormento del rimorso. Si è rinunciato una volta per tutte a una volontà propria, e questo è più facile che rinunciarvi solo una volta ogni tanto; così come è anche più facile rinunciare completamente a un desiderio che mantenere in esso una misura …".
"Anima mundi" – S.Tamaro.
"C’è nessuno?" – Gaarder.
"Persona e libertà" – R.Guardini. – vd. Sezione Terza.
"Il cammino dell’uomo" – Buber.
"Ogni giorno è un’alba" – L.Evely – Borla 1990.
"Alla finestra la speranza" – A.Bello.
Una favola: "Topi di chiesa" in: "Altre storie" – B.Ferrero – Elledici 1991.
Musica …
"Liberatemi" – B.Antonacci – Liberatemi:
"SIOR CAPITANO
MI LIBERI LE MANI NON HO FATTO MAI DEL MALE A NESSUNO
SONO PIEGATO DI FRONTE A QUESTA VITA IO SONO SOLO UN PRIGIONIERO
E POI NON VEDE NON VEDE LA MIA PENA NON CAPISCE I MIEI PENSIERI
NON VEDE COME VIVIAMO NON VEDE CHE NON AMIAMO
SIOR CAPITANO
DOVE SONO LE RISPOSTE ALLE TANTE LETTERE SPEDITE
E POI MI DICA MI DICA DOVE SIAMO E CHI STIAMO ANCORA ASPETTANDO
NON VEDE COME VIVIAMO NON VEDE COSA FACCIAMO NON VEDE NON CREDE
LIBERATEMI LIBERATEMI DALLA NOIA E DALLA CONFUSIONE
LIBERATEMI LIBERATEMI LE MIE MANI DEVONO APPLAUDIRE
LIBERATEMI LIBERATEMI DALLE MILLE E PIU’ DI MILLE PAURE
SIOR CAPITANO
I SOGNI TRA LE MANI NON HO FATTO MAI DEL MALE A NESSUNO
DOMANDE FACILI DIFFICILI RISPOSTE
QUANTO FALSO E QUANTA INDIFFERENZA
E’ DAI PICCOLI DIAVOLI SONO QUELLI CHE FANNO PIU’ MALE
NON VEDE NON RESPIRIAMO NON VEDE STIAMO MORENDO
NON VEDE NON CREDE
LIBERATEMI LIBERATEMI LE MIE MANI DEVONO APPLAUDIRE
LIBERATEMI LIBERATEMI QUI C’E’ BUIO E NON SO QUANDO E’ DOMANI
LIBERATEMI LIBERATELO LIBERATEMI LIBERATELO LIBERATEMI
BISOGNA DIRE LA VERITA’ NESSUNO DICE LA VERITA’
HO UNA GRAN VOGLIA DI VIVERE DESIDERARE E DECIDERE
MI HANNO RUBATO LA LIBERTA’ E A POCHI METRI LA LIBERTA’
SONO INNOCENTE E’ UN EQUIVOCO
FATEMI USCIRE DA QUI … FATEMI USCIRE DA QUI
LIBERATELO LIBERATELO LIBERATELO LIBERATELO
LE MIE MANI DEVONO APPLAUIRE
LIBERATELO LIBERATELO
QUI C’E’ BUIO E NON SO QUANDO E’ DOMANI
LIBERATEMI LIBERATELO LIBERATEMI LIBERATELO LIBERATEMI …
DICIAMO LA VERITA’"
"I still havent’t found what i’m looking for" – U2 – The Joshua Tree.
"The wanderer" – U2 – Zooropa.
"Nomadi" – F.Battiato – Fisiognomica.
"A mezza via" – E.Ramazzotti.
"E ti vengo a cercare" – F.Battiato – Fisiognomica.
"La pace sia con te" – R.Zero – Amore dopo amore.
"La linea d’ombra" – Jovanotti – L’albero.
"Voglio un dio" – Magoni – Sanremo 1996.
"Solo cielo" – G.Grignani – Il giorno perfetto.
"Padre nostro" – E.Ruggeri – L’isola dei tesori.
"Qualcosa cambierà" – M.Di Cataldo – Siamo nati liberi.
"Paleobarattolo" – R.Zero – Sulle tracce dell’imperfetto.
Spettacolo … (recital)
"Liberi liberi" – Musical per adolescenti – T.Lasconi – Paoline AUDIOVISIVI.
Film …
"Le ali della libertà" – Darabont.
"Francesco" – L.Cavani.