Pagina prec. Sommario Pagina suc.

Storie d'oggi


Albania
Dell'oggi non c'è bisogno
di Paolo Bonaiuti

Terminata la seconda guerra mondiale, in Albania si instaurò un regime dittatoriale di stampo comunista, che ben presto abolì il pluralismo politico, la libertà di stampa e di espressione, il diritto di espatrio, per avvicinarsi, prima alla Jugoslavia (1945-48), poi all’Urss (1948-61) ed infine alla Cina Popolare (1961-77).
Dopo la cacciata delle ultime truppe tedesche, il segretario generale del partito comunista albanese, Enver Hoxha, diede vita ad un Fronte Democratico, che il 2 dicembre 1945, «vinse» le elezioni (come erano soliti fare allora i cosiddetti «fronti democratici» nell’Est europeo) con una maggioranza del 93% dei voti. Da allora il potere di Hoxha resistette ai colpi del cambiamento politico fino alla morte del dittatore nel 1985. A partire dal 1977 Hoxha scelse la strada del completo isolamento, che durò fino alla sua morte. Hoxha seguendo una politica personalistica, senza controlli, aveva trovato modo di disfarsi della proprietà privata prima nell’industria (1945), poi nel commercio all’ingrosso e al dettaglio (1945-70), infine nell’agricoltura (1955-70) e nell’artigianato (1965-70). La religione, già molto indebolita dall’imposizione dell’ideologia staliniana, venne abolita nel 1967. La nuova costituzione, approvata dal Partito del Lavoro, come venne a chiamarsi dal 1948 il partito comunista, vietava ogni forma di collaborazione economica con l’estero (crediti - finanziamenti - joint venture). La repressione politica e l’annientamento fisico degli avversari caratterizzarono la vita politica all’interno del regime di Hoxha che, chiuso a riccio nei confronti degli altri stati del mondo, riuscì a sopravivere grazie alle congiunture politiche ed al fatto che l’Albania neutrale ed isolata, in un’Europa ancora divisa in blocchi, non dava fastidio a nessuno o faceva comodo un po’ a tutti.
Questo è il rapido quadro storico del secondo dopoguerra di un’Albania che destava e forse ancora desta, nell’ immaginario dell’italiano medio, un grande vuoto, conseguenza di lunghi anni di oblio, per un verso voluto, per l’altro subìto. I ricordi di questo paese sopravvivevano per lo più nelle menti dei padri o dei nonni che avevano vissuto la “campagna d’Albania”.
Il primo contatto avuto con il popolo albanese avvenne nel luglio 1990 e precisamente con l’esodo voluto e organizzato di quei profughi rifugiati nelle ambasciate dei paesi occidentali a Tirana: operazione concertata dall’Italia e da paesi come Francia e Germania. Dopo ferventi trattative con il regime di Alia (il successore di Hoxha), il governo di Roma ottenne l’espatrio dei rifugiati, che avvenne su traghetti messi a disposizione dallo stesso. Con questa operazione, migliaia di albanesi giunsero in Itallia. L’accoglienza riservata ai profughi fu, da parte della popolazione, delle migliori. Con la volontà di riscoprire antichi legami, si scoprì che in Italia meridionale esistevano colonie albanesi fin dal 1400. La solidarietà diventava una gara: offerte di lavoro, alloggio, vestiti, richieste di adozione di bambini e anche proposte di ripopolare i paesi abbandonati ed usare gli albanesi come “cura anti- vecchiaia”.
Il secondo contatto avvenne nel marzo 1991: navi cariche di profughi lasciavano un paese ridotto alla miseria, un deserto totale, per raggiungere un mondo imma-ginario di benessere, immerso nella felicità, conosciuto forse attraverso quella pubblicità che le antenne puntate verso le coste italiane, trasmettevano nelle misere case albanesi. L’impatto stavolta è più simile all’urto. All’inizio è la visualità che colpisce, l’immagine è quella delle faccie disperate dei profughi. La gente è sconcertata ma curiosa, paralizzata ma solidale; ci si continua a chiedere come rapportarsi con questa presenza imprevista di immigrati. Ben presto, dopo momenti iniziali di euforia e curiosità , fa capolino la sindrome dell’assalto, con tutte le paure che ne derivano, fino ad arrivare al secondo grande esodo del 1991, quello di agosto, quello dello stadio di Bari. Da “La Repubblica” del 6 marzo 1991: “Marea di profughi dall’Albania […] Sulla nave giunta la notte scorsa una donna ha dato alla luce una bambina ed insieme al marito hanno deciso di battezzarla Italia, lo stesso nome di quella che per loro è la terra promessa”; la realtà si è dimostrata più dura dei sogni.
La nostra analisi si ferma al “S. Nicola” di Bari perché l’evoluzione della crisi albanese è tuttora sotto gli occhi di tutti (dalla crisi finanziaria a quella politica, fino alla guerriglia, il passo è stato breve). Si poteva evitare l’attuale esito? forse si, anche se può sembrare una risposta retorica. Comunque non è mai tardi per rimediare e l’intervento per riportare la legalità in Albania ci sembra opportuno. 1