INTRODUZIONE
La ricerca e l'indagine sulla presenza cattolica in Moldavia sono sempre state scarse anche a riguardo della successiva immigrazione di cattolici dalla Transilvania in Moldavia iniziata nel XVIIIo secolo. Per questo motivo l'argomento di questa dissertazione si è limitato alla presenza cattolica in questo principato dell'attuale Romania e proprio per questo periodo poco conosciuto anche agli stessi cattolici moldavi.
Prima del secolo in discussione nella nostra tesi, la presenza cattolica in Moldavia si era concretizzata nei vescovato di Milcov, o dei cumani (1227-1241)), voluto dalla corona magiara, poi in quelli di Siret (1371-1434), Baia (1418-1525) e Bacau (1607-1818), costituiti nel contesto degli interessi della corona cattolica polacca. Nel quadro di quest'ultimo vescovato, nel 1625 la Congregazione di Propaganda Fide affidò all'Ordine dei Francescani Minori Conventuali i destini del cattolicesimo in Moldavia, costituendo così la missione "primogenita" di questa congregazione.
Fino al secolo cui è interessato il nostro studio, i conventuali avevano faticato abbastanza in una Moldavia sottoposta al dominio ottomano e travagliata da numerose guerre e scorrerie, per poter conservare "nell'ovile cattolico" una piccola minoranza cattolica che alla fine del '600 contava all'incirca 300 anime. Partendo da quel epoca così dura per la storia civile e religiosa dello stato moldavo, la nostra dissertazione accompagna passo per passo i missionari e i fedeli cattolici per tutto il XVIIIo secolo cercando di esporre cronologicamente e anche sinteticamente i principali problemi della missione cattolica, che alla fine di questo secolo contava all'incirca 13.000 cattolici.
Per quanto riguarda i problemi principali della missione, il primo capitolo è da considerarsi come una necessaria introduzione alla storia laica e religiosa nella Moldavia del XVIIIo secolo con riflessi pure nella missione dei conventuali. Con il secondo ed il terzo capitolo, invece, cercheremo di presentare la vita e l'attività dei missionari, le difficoltà nel lavoro pastorale, il loro quotidiano vivere nelle loro piccole e povere comunità che erano come delle isolette in un mare ortodosso. Non mancheranno al momento opportuno degli accenni sulla loro ambientazione nel contesto di una Moldavia che solo verso la fine del XVIIIo secolo comincia a godere un po' di tranquillità e una relativa stabilità politica e sociale. E forse non è senza importanza sottolineare il fatto che i conventuali italiani si adattavano facilmente al contesto locale, accontentandosi di poco, imparando un po' la lingua romena e qualche parola del dialetto ungherese "csángók"; però, sono stati anche parecchi missionari che hanno imparato molto bene il romeno, facendo anche delle traduzioni in questa lingua per l'uso catechistico dei missionari stessi. Si deve aggiungere anche il fatto che date le difficili condizioni di vita ivi presenti, si contano non pochi missionari che hanno desiderato rimpatriare nella speranza di una vita meno travagliata in Italia e nei loro conventi.
Se il secondo e il terzo capitolo tentano di tracciare un quadro cronologico della vita e dell'attività dei missionari, l'ultimo capitolo è riservato ad un'analisi globale delle condizioni interni della missione, partendo dal basso, cioè dalla gente cattolica; osservando poi attentamente il loro tenore di vita, come anche il loro modo di vivere la fede, con i pregi e le inevitabili insufficienze e infine il loro pacifico rapporto con gli ortodossi. Soprattutto per la seconda metà del secolo, cercheremo di tracciare un quadro abbastanza completo sull'evoluzione numerica delle comunità, sulla loro organizzazione intorno ai principali centri missionari, le parrocchie, dando così la possibilità al lettore di capire come e in quale contesto si è andato consolidando il cattolicesimo moldavo alla fine del XVIIIo secolo, un consolidamento che rappresenterà la base di ulteriori lenti ma sicuri sviluppi della missione, sviluppi interni, organizzativi, ma anche pastorali e spirituali concretizzati con l'erezione del vescovado di Iasi nel 1884 e della provincia dell'ordine francescano dei frati minori conventuali nel 1895.
L'attenzione del quarto capitolo si ferma anche sulle condizioni esterne della missione, su quei fattori, istituzioni e personaggi che hanno influito anche se poco notevolmente, lo dobbiamo dire, sull'andamento della missione. Cioè non mancheremo di presentare i vescovi di Bacau ed i loro rari interventi nella vita della loro diocesi. Sarà presentato pure il protettorato delle grandi potenze europee, come la Polonia, la Russia, l'Austria, un protettorato che farà ben poco per la minoranza cattolica moldava, che per loro non rappresentava nella maggioranza dei casi alcun interesse, non potendo trarre alcun vantaggio da una missione il cui numero di cattolici alla fine del secolo XVIII superava non di molto 13.000 anime. Non sarà trascurato poi il rapporto che i missionari avevano con le autorità locali, i principi, i boiari ed il clero ortodosso, e da quest'analisi risulta facile capire che nella Moldavia regnava la tolleranza religiosa (tranne qualche screzio tra i missionari e l'alto clero), tolleranza imposta anche da vari accordi e trattati internazionali firmati tra la Sublime Porta, sotto il cui dominio si trovava la Moldavia e le grandi potenze europee.
Alcuni aspetti particolari della missione sono stati oggetto di studi approfonditi, per esempio le controversie tra i conventuali e i gesuiti, controversie iniziate già al momento dell'arrivo a Iasi dei pochi gesuiti polacchi alla metà del XVIo secolo, e concluse con la soppressione della Compagnia nel 1773
(1).Il lavoro di Pall su quest'argomento presenta con dettagli e particolari tutta la problematica, cioè tutti i conflitti tra i membri dei due oridini presenti nella capitale, cioè a Iasi, dall'arrivo dei soci polacchi della Compagnia, alla metà del XVIIo secolo, fino alla soppressione della Compagnia nel 1773, e per questo motivo crediamo di non poter aggiungere nulla di nuovo sull'argomento. Ci permettiamo però qualche personale osservazione. L'autore è un francescano e qualche volta da troppo credito ad alcuni documenti scritti a loro volta dai prefetti anche loro francescani, cioè con una certa ottica che nel contesto del tempo non riusciva a vedere e capire l'utilità dell'altro ordine. Oppure, coinvolto nella lettura e nella presentazione del contenuto dei documenti, Pall non riesce, crediamo noi, a distaccarsi in modo sufficiente da quello che è stato scritto molto tempo prima per farsi un'imagine imparziale sui fatti in se stessi e sui motivi che hanno generato queste tensioni, tutte inutili se non addirittura nocive al bene spirituale sia dei cattolici moldavi che dei missionari stessi.
Questa visione un po' unilaterale, cioè che sopravvaluta gli interessi propri, il proprio ordine religioso rivolgendo pure delle accuse ingiuste al clero diocesano si avverte subito nell'opera in due volumi di un altro francescano, Pr. Pietro Tocanel
(2). È stato scritto poi uno studio dedicato al delicato tema dell'origine etnica dei cattolici moldavi bilingui, i "ceangai" o siculi, che cominciarono ad emigrare dalla Transilvania verso la Moldavia intorno alla metà del XVIIIo secolo, un processo di emigrazione che finirà solo verso la fine del '800(4). L'autore, un romeno, afferma che inizialmente la maggioranza di questi erano romeni sottoposti in Transilvania ad un processo di magiarizzazione e costretti ad abbracciare il cattolicesimo nella speranza di una vita migliore. La storiografia ungherese invece afferma che essi rappresentano un ceppo della razza magiara. Siccome non rientra nell'assunto del nostro lavoro indagare sull'origine etnica e sulla lingua di questi siculi, ci limiteremo a presentare e ad analizzare brevemente quello che i documenti ci dicono su di loro e fin da ora possiamo dire che tutte le fonti affermano che già dal loro arrivo in Moldavia questi immigrati parlavano entrambe le lingue, un dialetto della lingua ungherese, il cosiddetto csángók ( cioè meticcio) e la lingua romena. Altri invece, pure loro arrivati dalla zona transilvana dei siculi, parlavano solo il romeno, come pure c'erano tra i nuovi arrivati, pochi numericamente, che parlavano solo il sopradetto dialetto. Lasciamo agli etnologi e filologi l'incarico di chiarire sine ira et studio tutta questa problematica; a noi interessa solo l'aspetto ecclesiastico del problema, malgrado che quando incontreremo documenti del genere, ci permetteremo qualche breve e, speriamo, utile riflessione.Per quanto riguarda la bibliografia, dobbiamo dire che sono pochissimi gli studi che trattano espressamente il cattolicesimo moldavo nel XVIIIo secolo. Oltre ai due lavori di George Calinescu (studi con carattere frammentario e che raramente colgono l'essenziale dei fatti e dei periodi in discussione)
(5) che abbracciano un arco di tempo compreso tra la metà del '600 e la fine del '700; l'inizio del primo volume sulla storia del cattolicesimo in Moldavia nell'800 di Tocanel(6) e il già citato libro di Pall sulle controversie tra i conventuali e i gesuiti in Moldavia, non esistono altri studi, né analitici né sintetici sul periodo che interessa il nostro lavoro. Per questo motivo, spesso la presente dissertazione viene costruita ispirandosi direttamente dai documenti, specialmente da quelli raccolti dall'archivio della Congregazione di Propaganda Fide.Nel nostro lavoro abbiamo portato anche molti documenti (frammenti o testo completo) che, normalmente, non sono stati presentati alla fine degli studi sopra menzionati, oppure in altri studi e collezioni di documenti. Abbiamo fatto questo non solo per completare il lavoro con altre informazioni, ma anche per offrire l'opportunità di futuri approfondimenti di questo XVIIIo secolo della missione moldava.
Dai documenti, poi, nelle note oppure nel corpo del testo, ci siamo fermati su quelle parti, su quei frammenti che abbiamo considerato più rappresentativi per illustrare la realtà viva della missione in tutta la sua complessità. Non perdendo di vista l'analisi globale e sintetica dei problemi e un giudizio storico imparziale con spunti di partenza per altri approfondimenti, spesso abbiamo considerato utile ed importante anche dar voce ai documenti stessi, per far "rivivere" voci e tempi del passato. Cioè, ci è sembrato utile ed importante il tentativo di portare nel presente per quanto possibile un tempo e una realtà del passato così come era allora, lasciando però spazio, ripetiamo, a futuri lavori, partendo proprio dalla base documentaria. Insomma, ci sembra che in questo senso, il nostro lavoro, per un periodo ed una zona ben determinate, sia un lavoro in una certa misura pionieristico.
Non diciamo tutto questo per coprire le mancanze, peraltro inevitabili, del nostro lavoro. Pensiamo già ad altri spunti di future indagini e approfondimenti, come ad esempio un arricchimento del nostro tema, servendoci dei documenti della missione moldava, purtroppo non ancora catalogati, presenti nell'Archivio di Stato di Iasi, documenti confiscati dalle autorità comuniste dall'archivio del vescovato cattolico di Iasi e dei quali nel 1997 è stata iniziata la catalogazione. Ci sono poi molti documenti nell'Archivio della Curia Generalizia dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali a Roma, riguardanti il cattolicesimo moldavo. Ne abbiamo consultati alcuni; però, sfortunatamente, anche questi documenti non sono ancora catalogati e si trovano peraltro ancora in un archivio a carattere privato. Siamo certi che una consultazione attenta dei documenti presenti in questi due archivi porteranno delle novità per la storia del cattolicesimo in Moldavia, per cui non possiamo dire che il nostro lavoro esaurisca l'argomento in discussione; d'altra parte, crediamo che in grandi linee, quello che sarà presentato nelle nostre pagine può essere considerato come sufficiente per farci un immagine chiara, anche se non completa nei dettagli, sui missionari e sulla loro missione moldava nel secolo di cui ci occupiamo.
Siccome l'autore non possiede la conoscenza della lingua ungherese, è stato abbastanza spiacente per lui non poter servirsi di alcuni lavori su i cattolici moldavi bilingui (ceangai), specialmente articoli più o meno scientifici. Abbiamo provato di coprire questa mancanza servendoci del libro di D. Martinas, menzionato prima, che prende in discussione e valuta tutto quello che è stato scritto su questi "ceangai".
Come novità, fermandoci soprattutto ai documenti consultati, la tesi puntualizza e contestualizza nel terzo capitolo, il problema del bilinguismo dei cattolici chiamati "ceagai", un fatto che, pensiamo noi, apporterebbe un chiarimento a tutti quelli che (debitori ad una mentalità abbastanza diffusa) considerano questo gruppo quasi di pura origine romena, oppure a quelli che, soffrendo di identico male, considerano loro come un ceppo dello stesso albero dei magiari. Insomma, su questa minoranza etnica si sono scontrati e si scontrano ancora interessi politici e anche religiosi (da parte magiara soprattutto) che non hanno portato niente di buono ed utile a questi "ceangai". Oltre a questo problema, per il cui chiarimento sono chiamati a dare il loro contributo gli etnologi ed i linguisti, nel quarto capitolo, abbiamo tentato una panoramica globale e sintetica dei principali problemi interni ed esterni al cattolicesimo moldavo, soprattutto per la seconda metà del XVIIIo secolo e speriamo che con la lettura di quest'ultimo capitolo si possa arrivare a farsi un'immagine alquanto soddisfacente per il tema in discussione.
Il metodo che sta alla base della nostra ricerca è piuttosto analitico che sintetico per il secondo ed il terzo capitolo, e questo per l'unico motivo che, come abbiamo detto, l'argomento globale della nostra tesi non è stato oggetto di alcuno studio approfondito. Per il quarto capitolo, invece, abbiamo tentato di utilizzare la modalità sintetica di affrontare ed esporre i problemi della missione moldava.