CAPITOLO IV 

 

 

LE CONDIZIONI DELLA MISSIONE NEL XVIIIo SECOLO

 

 

 

 

In questo ultimo capitolo, è nostra intenzione esporre ed analizzare in modo tematico e cronologico allo stesso tempo, alcuni problemi fondamentali della missione moldava per sviluppare più precisamente e trarre delle conclusioni sintetiche sulle condizioni interne ed esterne della missione. Abbiamo pensato che ciò sia utile in quanto, data la scarsità numerica e contenutistica dei documenti e la mancanza di altri lavori sintetici sul XVIIIo secolo della missione moldava, non sarà facile per al lettore farsi un'idea globale su come andasse la missione e neppure trarre delle conclusioni generali soddisfacenti. Questa presentazione sintetica e tematica, appunto, la vogliamo sviluppare nel presente capitolo per coprire le inerenti "carenze" del secondo e in misura minore del terzo capitolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I. CONDIZIONI INTERNE

 

4.1 Le comunità cattoliche nella seconda metà del XVIIIo secolo

 

Per il XVIIo secolo, l'elenco più completo e dettagliato delle comunità cattoliche moldave ce l'offre la relazione di Bandulovi dell'anno 1646, dalla quale sappiamo che in Moldavia si trovavano allora 33 comunità cattoliche con 1.122 famiglie che ne loro insieme formavano 5 mila fedeli. È un periodo marcato da un evidente calo numerico che andrà avanti da allora in poi per un secolo (alla fine del secolo si trovavano solo allincirca 300 cattolici in tutta la Moldavia), fino alla ripresa della missione intorno alla metà del secolo seguente. I principali motivi di questo calo numerico furono le guerre e le difficili condizioni di vita in cui si trovavano non solo i cattolici, ma tutta la popolazione della Moldavia.

 

4.1.1 Le comunità tra il 1745 e il 1762

Per la prima metà del secolo, pochissime sono le informazioni riguardanti le comunità cattoliche moldave e per questo motivo la nostra presentazione inizia con la seconda metà del secolo. Quello che possiamo dire sulla prima parte del XVIIIo secolo, è il solo fatto che vanno avanti le principali otto comunità della missione, cioè le future parrocchie, dalle quali dipendevano le "filiali", o per meglio dire piccole e fragili comunità cattoliche. Tutte quante sono assistite da pochi missionari, per cui non si può parlare né di una pastorale sistematica e neanche di un'organizzazione stabile e matura.

Nel 1745, nella sua relazione inviata alla Propaganda, il missionario Giovanni Ausilia ci presenta 21 comunità con 787 famiglie cattoliche appartenenti all'unico vescovato di Bacau: Iasi (60 famiglie), Cotnari (9 famiglie), Rachiteni (56), Husi (48), Bîrlad (12), Bacau (12), Faraoani (140), Grozesti (Oituz) (30), Calugara (42), Trebes (30), Tamaseni (40), Adjudeni (15), Sabaoani (90), Tetcani (53), Gheraesti (13), Ciubarciu (40), Galati (11), Hotin (60), Sperieti (3), Trotus (11), Baia (12).

I numeri 25-39 della relazione ci presentano un inventario delle chiese della missione con le loro suppellettili. In tutto, ci sono 20 chiese. Tranne cinque, che sono in pietra (Cotnari, "chiesa belissima, che supera ogn'altra Chiesa della Pro-ia, qual per risarcirla vi vogliono cento scudi", due a Baia, una a Sabaoani e rispettivamente a Trotus), tutte le altre chiese sono di legno. A Iasi, la chiesa "minaccia imminente Rovina" e "codesti Popoli han timore, che nel tempo delle Funzioni non gli cadi adosso; per evvittare q-to pericolo si dava coll'aggiuto di Dio principio ad una nova Chiessa di Sasso". Vengono poi elencate le località dove i cattolici vivono insieme con gli ortodossi (come anche il numero delle chiese ortodosse di tutta la Moldavia: cca. 2. 500): Iasi, Cotnari, Rachiteni ("essendovi solamente q-ta residenza di Reketteno senza campana convocandosi il Popolo con batter una Tavola a guisa de Scismatici", f 344), Gheraesti, Baia (dove sono due chiese cattoliche in rovina), Calugara, Bacau, Faraoani, Trotus, Grozesti, Galati, Husi e Bîrlad. Vicino a Sabaoani e Faraoani, a mezz'ora di distanza, si trovano due altre chiese, che servono anche come cappelle per il cimitero ivi presente. A Cotnari, "il bisognevole per potersi celebrare si trasporta dalla missione di Reketteno, così in Baia da Sabovano, così in Baccovia e Trebes da Calugera. In Stoiceno cioè Uttino ogni volta che il P. Missionaro collà portasi"(f 345).

I missionari hanno una casa per abitare soltanto nelle comunità di Iasi, Rachiteni, Sabaoani, Calugara, Faraoani, Grozesti e Husi. Siccome i cattolici rappresentano una piccola minoranza in mezzo ad una maggioranza ostile, le loro chiese non godano di una "entrata particolare, e propria, ma tutte sono state erette senza fondatione sotto la providenza di Dio" (f 345). A Iasi, la chiesa possiede di una vigna (produce 3 o 4 botti di vino all'anno) di sei "pogoni" nella contrada di Copou, donata da Martino Tutuch, con l'obbligo di quattro messe annuali. In più, gode di otto botteghe e di un'osteria sulla "Ulita Mare", cioè la via principale. Date in affitto, si ricava circa 50 scudi all'anno. La chiesa di Husi possiede due pezzi di terreno, donati, uno da Demetrio Patasca e Maddalena Balint, sua moglie, e l'altro da Giorgio Balasca. Per riacquistare uno dei terreni, il prefetto, insieme al missionario Giovanni Vannucci, dovettero fare una "gran lite in Iasi inanzi al Prencipe". "La Chiesa di Gallazzo haveva certe vigne, con certe botege, ma sono state si le prime come le seconde abrugiate... L'altre Chiese non possiedono verun stabile... I Padri della Compagnia di Gesu perche non hanno Chiesa particolare non hanno introito di Chiesa" (f 346 ). Allora, in tutta la missione ci sono solo sette case dove possono risiedere i missionari e beni ne hanno solo le parrocchie di Iasi e Husi, oltre alla misera mensa vescovile di Trebes.

 

4.1.2 Le comunità tra il 1762 e il 1789

Dopo circa due decenni, cioè nel 1762, il prefetto Di Giovanni manda alla Propaganda un'altra relazione sullo stato della missione, dalla quale sappiamo che il numero dei cattolici in tutta la Moldavia è di sei mila all'incirca, cioè è aumentato rispetto alla relazione di Ausilia del 1745, quando erano 787 famiglie; se facciamo una media e ammettiamo che una famiglia era composta di cinque persone, allora due decenni fa la missione numerava circa quattro mila cattolici.

A Iasi, la prima delle otto parrocchie della missione, sono 166, "la maggior parte di questi sono disertori Italiani, Tedeschi, Francesi, e Spagnoli, ed alcuni fuggitivi di diverse nationi", cioè una piccola comunità, tanto cosmopolita, quanto sotto certi aspetti meno edificante. Tutti questi vivono in "quaranta tre case, cioè in quaranta tre povere, e miserabili famiglie". Qui c'è una chiesa di legno, la più grande della missione, benedetta la Laidet sette anni fa, con sagrestia e con tutto il necessario per le funzioni sacre. Accanto c'è la residenza del prefetto, del missionario che lo accompagna (Giuseppe Cambioli, 54 anni) e un alloggio per i missionari di passaggio. La chiesa ha due vigne, una cantina e sette botteghe. A due ore di viaggio si incontra Cocòteni(Horlesti), con 22 case e 121 anime, che sono nella cura pastorale del parroco di Iasi. A quattro ore distante dalla capitale c'è Totoiesti, dove la maggioranza è ortodossa; i cattolici vivono in 5 case e sono 21 anime, assistite dallo stesso parroco di Iasi. Andando verso la città di Roman, "doppo un giorno, e mezzo di cammino", si trova Miclauseni, un villaggio "d'Ungari Cattolici", con 38 case e 171 anime, sotto la cura del parroco di Rachiteni che era "distante un quarto d'ora".

A Rachiteni sono 50 case "dentro una selva", con 238 anime. Qui c'è la chiesa, con tutto il necessario e la casa del missionario, che adesso è Antonio Mauro, di 30 anni. Il prefetto si interessa pubblicamente e in privato se la gente conosce il catechismo e occorre dire che lo conoscono "à sufficienza". Notiamo che dopo la messa, secondo una consuetudine che arriva fino ai nostri tempi, c'era l'esposizione del Santissimo che terminava con la benedizione solenne. Dopo mezz'ora di cammino si incontra Adjudeni, con 30 case e 148 anime, senza chiesa, dipendenti da Rachiteni. Dopo un'altra mezz'ora si trova Tamaseni, con 31 case e 147 fedeli, assistiti anche loro dal missionario di Rachiteni. Hanno una chiesa che "minaccia rovina", con lo stretto necessario. Oltre il fiume Siret, di fronte a Tamaseni, si trova Buruenesti, senza chiesa, con 21 case e 84 anime, in cura allo stesso parroco di Rachiteni. Sulla stessa sponda del fiume, non tanto lontano, si trova la comunità Rotunda, dove sono 58 anime in 12 case, senza chiesa e anche loro in cura del parroco di Rachiteni. Dipendenti da questa parrocchia sono poi i 54 fedeli di Farcaseni (Traeasseno), in 10 case e senza chiesa. Dopo cinque ore di viaggio si incontra Cotnari, con 5 case cattoliche e con "una grande Chiesa di Pietra, ma scoverta e senza speranza di ristorarla à caggione delle miserie di quella poca gente che v'è rimasta". Un'ora distante c'è "una ragonanza di quattro case", con 16 anime, chiamata Linguebagului e ad un quarto d'ora c'è un altro gruppo di 4 case, con 14 anime, chiamato Zlodica. Poi, ad un'ora di cammino ci sono altre 4 case con 13 anime e il luogo si chiama Dàm; e dopo un'altra ora si incontra Gialaluivoda (La collina del principe), con 8 case e 30 anime. Tutti questi posti dipendono parimente dal parroco di Rachiteni, e siccome sono molto lontani, osserva il prefetto, non sono così preparati spiritualmente come quelli della parrocchia.

Il prefetto va poi a Bacau, "una volta sedia del Vescovo Lattino". Qui ci sono 131 anime in 24 case. C'è una chiesa di legno coperta con paglia, che possiede, tra l'altro, un calice antichissimo, del 1105. La comunità dipende da quella di Calugara, ed è ben istruita nella fede. Ad un'ora e mezzo di cammino si trovano altre tre comunità, assistite da Calugara: Fontinel, Margineni e Trebes, con 458 anime in 70 case. Trebes è proprietà del vescovo di Bacau e ha una chiesa coperta con paglia, costruita da poco tempo.

Ad un'ora di cammino si trova in mezzo agli alberi fruttiferi la comunità di Calugara, con 34 case e 204 anime (si osservi la media di circa sei persone per famiglia). Hanno la chiesa con accanto il cimitero "pieno di grandi croci di legno che sogliono mettere ne'sepolcri", e la messa viene cantata "all'uso ungaro cioè dalle donne, e figlie". Dopo la messa, come al solito, il prefetto interroga la gente sul catechismo, e costata che è ottimamente istruita dal missionario Gabriele Mazziotti, coadiuvato da un altro religioso, Carlo Gattinara di 31 anni.

Da Calugara il missionario si recò a Faraoani, la comunità più grande della missione, dove sono 214 case con 900 fedeli. Il villaggio è prospero, gli uomini sono bottai di mestiere, "ne'buoni costumi poi, e nel santo timore di Dio, e ne'rudimenti della Santa Fede senza eccezzione di età... tanto che rende ammirazione vedere la santità de costumi... fra una gente che geme sotto il duro giogo de'Greci, che l'ha reso Schiavi de' Schiavi". Hanno la chiesa di legno e la casa per il missionario, che adesso è Giovanni Frontali. Prima della messa, il "dascal", "cioè il maestro che suol spiegare il Catechismo in lingua ungara legge dal Pulpito la dottrina in diffuso, ed altri devoti libri pure in ungaro". In chiesa, poi, ci sono molte icone, anche esse "all'uso ungaro". Come fa anche per tutte le altre comunità, dove c'è la chiesa, anche qui, il missionario ci presenta in numero esatto e anche con certi dettagli tutto quello che si trova nel presbiterio e nella sagrestia (le suppellettili). Fuori dal villaggio c'è un'altra chiesa, con accanto il cimitero "pien di grandiss'e Croci". In questa comunità, il prefetto si ferma per dieci giorni e fa notare con tanta soddisfazione che sempre è stato visitato dalla gente per problemi spirituali e materiali, "e tutti si contentavano di ciò che veniva deciso, effetto della pietà di quei Popoli" che riconoscevano l'autorità del missionario in mezzo alla loro comunità. Eccetto la comunità di Iasi, tanto cosmopolita e difficile da controllare, in tutte le altre comunità dove risiede il missionario, si osserva già in questa relazione una crescita della sua autorità spirituale, e non solo, ma anche nelle "cose civili", come nota Crisostomo. Questo significa anche un progresso dell'unità religiosa e umana delle comunità, intorno alla persona del padre. Vicino a Faraoani, ci sono altre quattro piccole comunità formate solo da cattolici, senza chiesa e dipendenti da Calugara: Lunga (18 case con 87 anime), Valea Seaca (53 case, 248 fedeli), Gioseni (24 case, 112 anime) e Prajesti (34 case con 172 anime).

Dopo un giorno di cammino si arriva a Trotus, "piccola città di Moldavi", dove c'è anche la chiesa cattolica di legno accanto alle rovine di un'altra chiesa di pietra. Ci sono 15 case con 59 anime, appartenenti alla missione di Grozesti, dove c'è il padre Giuseppe Zingali, di 52 anni. Qui si trovano 70 case con 359 anime cattoliche, mischiate tra gli ortodossi.

Arrivato ai confini occidentali della missione, Crisostomo ritorna verso il centro della provincia e dopo tre giorni di cammino arriva a Sabaoani, dove trova 75 case con 335 anime, "tutte ungare", con chiesa e una comoda residenza per il missionario, che è Francesco Chiarolanza, di 38 anni. Come al solito, dopo la messa, segue l'esposizione del Santissimo e l'incontro con la gente. Qui si ferma per otto giorni e si dichiara soddisfatto della preparazione spirituale e catechistica del popolo. Successivamente, in due ore di viaggio si arriva a Halaucesti, con 31 case, 233 anime e una chiesa di legno "molto forte fabricata già tre anni". Qui c'è anche il "dascal", che istruisce il popolo nelle cose della fede, oltre al padre missionario di Sabaoani. Non tanto lontano si trovano Gheraesti, con 28 case e 62 anime, e Tetcani, di 28 case e 151 fedeli. Dopo quattro ore di viaggio si arriva a Talpa, "villaggio ultimamente formato da certe famiglie fuggite da varj lochi nell'ultima incursione de Tartari acceduta nel 1759", con 26 case e 111 anime; "nell'anno scorso fabricano una chiesa, che non hanno coperto p. timore di non soggiacere al nuovo Tributo imposto alle Chiese", imposto da quattro anni a tutte le chiese, anche a quelle prive di reddito. Anche qui si trova il "dascal". Nelle vicinanze si trova Bîrgaoani, con 12 case e 53 anime. Tutte queste comunità, si intende, dipendono dalla parrocchia di Sabaoani.

Dopo due giorni di cammino verso nord-est si raggiunge "una picola, e desolata città", Husi, sede del vescovo ortodosso. I cattolici vivono in 65 case e sono in numero di 300. Hanno la chiesa e il missionario, che è Giovanni La Macchia, di 38 anni. La maggioranza dei cattolici vive in un bosco, fuori città. Qui c'è un'altra chiesa con la residenza del missionario. Di domenica si celebra in città; durante la settimana nella chiesa che è fuori, nel villaggio. Da Husi, entrando nella Bessarabia, nel dominio dei tartari, sulle rive del fiume Prut si trova Ciubarciu, dipendente da Husi e dove i cattolici sono 101 anime in 22 case. Hanno una chiesa malmessa e un "dascal" "che istruisce quelle anime nelle cose della Santa fede". Dipende da questa parrocchia anche Bîrlad, dove i cattolici sono 30 in 7 case. Qui, nel 1759, i tartari avevano bruciato la chiesa, insieme con altre chiese ortodosse.

Nel estremo nord della Moldavia, sulle rive del Prut, ai confini con la Polonia si trova Mohilau, con chiesa e residenza del missionario. Ci sono 26 case con 80 fedeli. "Questo villaggio l'è molto sottoposto agl'insulti de Turchi di Hotino, che spesso passano da quella strada e spogliano quella povera gente". Questa missione fu fondata da Giovanni Frontali con delle persone radunate qui da varie regioni. Il principe Costantino Racovita lo aveva mandato espressamente per costruire la chiesa e convincere i cattolici a non andare in terra polacca.

Per sfuggire agli tributi e alle scorrerie dei turchi e dei tartari, ci sono delle persone che vivono nei boschi ed in altri posti lontani dalle città e dai villaggi. Nell'anno precedente un missionario, visitandoli, ha confessato e comunicato 108 persone e ne aveva battezzate sei. Ci sono poi pochi cattolici in alcune città verso il Danubio: a Galati 5, in Ackherman 30 e a Chilia 10. In tutta la missione dunque ci sono cattolici in 40 località. Tranne la comunità di Faraoani, che conta più di 200 case, oppure famiglie (questo se pensiamo che molti degli anziani vivevano insieme con i figli, nella stessa casa, altrimenti il numero delle famiglie sarebbe maggiore), tutte le altre comunità hanno meno di 50 case, tranne quattro. Sono cioè dei piccoli villaggi, la maggioranza di essi esclusivamente cattolici, malgrado nella loro vicinanza si trovassero anche degli ortodossi; ma i cattolici, come risulta anche tuttora, preferivano abitare in un loro determinato territorio. Si deve precisare poi che il nome delle località non appare solo quando vengono menzionati i cattolici. Queste comunità, tranne alcune molto ridotte (Còcoteni, Sperieti, Linguebagului e Zlodica, per esempio) sono presenti molti secoli prima nei documenti delle famiglie dei boiari o dei monasteri, che ricevono questi territori e la loro gente dai principi, oppure sono menzionati in atti di compravendita, o di donazione. Il numero totale delle case sale intorno a 1.150; il numero dei cattolici è di 5.640. Nella relazione di Crisostomo non si trovano più tre comunità presenti in quella fatta da Ausilia (1745): Sperieti, dipendente da Iasi, e nel nord, le comunità di Hotin (nella "raia" turca di Hotin si troverà la comunità di Mohilau) e Baia.

Facendo un paragone con la relazione di Ausilia del 1745 dove troviamo 787 famiglie in 21 comunità, si osserva facilmente che in un arco di meno di vent'anni il numero dei fedeli e delle comunità è cresciuto abbastanza, tanto per le nascite, come anche a causa dell'arrivo di tanta gente dalla Transilvania.

Le nuove comunità formate in questo periodo sono: Cocoteni e Totoiesti, appartenenti alla parrocchia di Iasi; Miclauseni (Butea), formata probabilmente da gente proveniente dalle comunità di Adjudeni e Tamaseni, fuggita di fronte alle scorrerie di diversi eserciti che marciavano sulle strade vicino alle quali queste comunità erano collocate. Buruienesti, che come tanti altri villaggi, anche questo apparteneva ad un monastero ortodosso, a quello di Barboi (Iasi). I primi cattolici sono venuti da Adjudeni e Tamaseni, per gli stessi motivi già descritti. Rotunda, formata con dei cattolici arrivati da Adjudeni, Tamaseni e Miclauseni e stabiliti sul terreno del monastero ortodosso vicino di Doljesti. Questo villaggio di Rotunda è sull'altra sponda del fiume Siret, di fronte ad Adjudeni, così come Buruienesti è di fronte a Tamaseni. Farcaseni, costituito con dei cattolici arrivati probabilmente da Rachiteni. Entrambi questi paesi appartenevano al monastero ortodosso di Iasi, "Trei Ierarhi" (Tre Santi), monastero collocato sull'altra parte della strada che lo separa dalla cattedrale cattolica. Sono poi i tre gruppi di case vicino a Cotnari (Linguebagului, Zlodica e Gialuluivoda). Vicino a Bacau si trovano le comunità Fontinel e Margineni, quest'ultima proprietà della famigia dei boiari Ruset. Appartenenti alla parrocchia di Faraoani c'è la nuova comunità Lunga. Ci sorprende che Ausilia non fa menzione di Valea Seaca, perché questa comunità viene già menzionata anche nel XVo secolo. Gioseni è una nuova comunità formata da immigrati transilvani, stabiliti sui poderi del boiaro Ionita Sturza, e nuova è anche la comunità cattolica di Prajesti. Il territorio di quest'ultima apparteneva ai monasteri Raducanu e Precista di Tîrgu Ocna. Dell'altro, la maggioranza delle comunità cattoliche viveva si territori appartenenti o a boiari, oppure a vari monasteri ortodossi. E questa era una realtà generalizzata nel paese. Le terre, come abbiamo detto nel primo capitolo, appartenevano, tranne quelle poche dei razesi, ai grandi del paese: principi, boiari e monaci. Vicino a Sabaoani c'è Halaucesti, formato con degli immigrati transilvani. Talpa è costituito da cattolici arrivati dai villaggi vicini, come anche con dei cattolici transilvani. Bîrgaoani, formato con gente arrivata dalla Transilvania, dalle zone di Nasaud. Nell'estremo nord c'è Mohilau, le cui origini noi abbiamo già presentato e nel sud della Moldavia venne attestata la presenza di cattolici a Ackerman e a Chilia. Così, dalle 21 nuove comunità presenti nella relazione di Di Giovanni, 5 si sono formate adesso con popolazione cattolica transilvana: Gioseni e Prajesti, nella zona di Bacau, e Halaucesti, Talpa e Bîrgaoani, nella zona di Roman.

 

L'esodo di popolazione transilvana venne attestato anche da Frontali e la maggioranza era formata da cattolici, ma anche qualche luterano e calvinista, che non avendo pastori, passano alla fede cattolica. Tra i cattolici, poi, c'è il problema che qualcuno vuole sposarsi e siccome è stato sposato in Transilvania, qui vive con la sua donna in adulterio, oppure, non ottenendo l'attestato di stato libero, va dal sacerdote ortodosso a farsi sposare.

Al numero 67, Di Giovanni è molto preciso sotto questo aspetto: "Da venti anni in quà (cioè dal 1742, n.n.) il numero de' Cattolici s'è augmentato p-che molti disertori, e Fuggitivi dall'Ungaria, della Polonia, e della Transilvania sono venuti, come spesso delle intiere Famiglie vengono à stabilirsi in questo Principato".

Un'anno dopo, nel 1763, il missionario Cambioli scrive alla Propaganda, portando altri dettagli della stessa realtà. Specialmente da sette anni il numero dei cattolici cresceva "alla giornata", a causa della carestia e per sottrarsi all'arruolamento nel esercito austriaco. Vengono esplicitamente menzionate le comunità di Halaucesti e Talpa. Un anno prima, Di Giovanni aveva trovato a Halaucesti 31 case; adesso, Cambioli ci dice che sono "circa sessanta famiglie". A Talpa, c'erano un anno prima 26 case; adesso ci sono più di settanta e trenta nei dintorni, oltre tanti altre persone, che hanno deciso di costruirsi la casa. Assieme ai loro padroni della terra, questi cattolici chiedevano tramite Cambioli un sacerdote per loro. Fra poco inizierà la costruzione di un'altra chiesa a Cucuteni, un villaggio due ore distante da Iasi dove si trovano trenta famiglie, tutte cattoliche. Questi nuovi arrivati, ci dirà il vescovo Jezierski nel 1765, essendo venuti dalla Transilvania, dove la maggioranza parlava ungherese, dai moldavi non vengono chiamati cattolici, ma ungheresi.

È interessante però di osservare che il vescovo afferma anche l'esistenza di cattolici di nazione "moldava", malgrado nelle loro relazioni alla Propaganda, Di Giovanni e Frontali avessero esplicitamente detto che in Moldavia era molto pericoloso accettare la conversione di un ortodosso alla fede cattolica, a causa del "radicalismo" del clero e della mentalità ortodossa molto "ferma" della gente, specialmente degli anziani. Nella sua lettera del 1763, Cambioli parlava poi di un missionario che risiedeva a Luizi Calugara, Giuseppe Carisi (malgrado fosse nominato prefetto), che "molto contribui alle miserie ivi accadute". È disobbediente e non vuole andar via dalla parrocchia, una delle migliori della missione. L'anno seguente, il prefetto Oviller chiederà di nuovo alla Propaganda tre nuovi missionari, per inviarli a Talpa, a Mohilau, dove però non ci sarà un missionario stabile, e il terzo, "volante", a Iasi, "per poter accorrere, dove bisognerà". In una relazione non datata, ma scritta non molti anni dopo quella di Di Giovanni, del 1762, leggiamo che a Mohilau c'erano 60 famiglie, delle quali 30 erano andate in Polonia, e il principe non era affatto contento di questo, perché a causa della mancanza di un missionario stabile, la gente va via, e così "si destrugge il Paese".

Siccome i cattolici non possono aiutare i missionari, essendo molto poveri e dovendo pagare tributi molto pesanti e poi, molti di loro erano appena arrivati, il Oviller chiede nel 1765 che la Propaganda dia a loro anche un sussidio finanziario, così come lo da (25 scudi annui) alle quattro più povere parrocchie della missione, cioè Husi, Rachiteni, Grozesti e Calugara. In un'altra lettera dello stesso anno, il prefetto Oviller si rivolge di nuovo alla Propaganda, insistendo sulla necessità urgente di tre nuovi missionari, perché il numero dei cattolici cresceva continuamente e si erano formate altre nuove comunità: Vicino a Talpa si trovavano allora le comunità di Vallealba e Omicino, e a sei ore di cammino da Talpa si era formata la comunità di Piatra.

Da una breve relazione sullo stato della missione scritta nel 1777 sappiamo che "in Moldavia si contano da circa dodeci mille Cattolici, e questi quasi tutti oltre la lingua Moldava sanno anche l'Ungara". Nella relazione di Di Giovanni del 1762 risultavano sei mila, all'incirca; adesso, dopo 14 anni, il numero si era raddoppiato, così come si era quasi raddoppiato da quando aveva scritto Ausilia la sua relazione, nel 1745, fino alla relazione del Crisostomo. È una crescita numerica impressionante che può essere spiegata solo accettando quello che i documenti del tempo ci dicono e cioè l'arrivo di tanti cattolici transilvani. Poi, non è senza importanza sapere che quasi tutti parlavano il romeno e l'ungherese proprio, come abbiamo già sottolineato, dal momento del loro arrivo in Moldavia. In un tempo così breve non avrebbero avuto il tempo necessario per imparare il romeno in Moldavia. E poi, formando delle comunità "chiuse", cioè non mischiandosi con gli ortodossi, non sarebbero stati aiutati ad imparare la lingua del posto. È molto più probabile che già al loro arrivo fossero bilingui.

C'erano adesso 11 parrocchie, rispetto alle otto tradizionali. Le tre nuove erano Halaucesti, Adjudeni e Zamosci, quest'ultima "nel cordon tedesco", cioè nella Bucovina mentre non si parla più di Mohilau e neanche di Ciubarciu, nelle zone dei tartari. Nel 1792, Rocchi ci dirà che tutti i cattolici di quest'ultima comunità, a causa delle difficili condizioni di vita, si sono ritirati nella loro parrocchia, cioè a Husi. La parrocchia di Halaucesti aveva 500 anime e come filiale solo "alla lonca" (Luncasi) con 60 anime, tutte e due le comunità costituite di recente con gente transilvana. Adjudeni era diventata parrocchia, con filiali Rotunda, Tamaseni, Buruienesti e Sagna. Zamosci infine era molto grande, avendo 700 anime. C'erano anche altri cattolici in Suceava, Cernauti e altrove, circa 100 anime.

Vediamo adesso le nuove comunità. Alla parrocchia di Grozesti (Oituz) con 450 anime, oltre alla filiale di Trotus con 130 anime rispetto alle 59 nella relazione di Di Giovanni, vengono aggiunte nuove comunità: Hîrja (30 fedeli), Ferastrau (20 fedeli) e poi altre 50 anime in Octara (?) e Moinesti; dunque 4 nuove comunità proprio in questa zona di confine con la Transilvania. Alla parrocchia di Adjudeni, che adesso aveva chiesa e 300 anime, rispetto alle 148 del 1762, appartenevano le filiali Rotunda con 90 anime, Tamaseni, Buruienesti con 250 anime, rispetto alle 84 del 1762 e Sagna, comunità nuova con 90 fedeli. Nella parrocchia di Faraoani c'erano circa 470 fedeli rispetto ai 900 del 1762. È molto probabile che molti fossero andati nei dintorni a formare altre comunità che risultano essere Capsa, Valea Mare, Valea Draga, Nasipeni, Burchila, Pisata e La Zavoi. Poi, c'erano le comunità che già conosciamo Gioseni (112 anime nel 1762 e 350 adesso) e Valea Seaca. Alla parrocchia di Calugara appartenevano Sarata, Dealul Nou, Schineni, Poloboc e Tazlau, tutte comunità nuove. Si aggiungono le comunità di prima Bacau, Trebes (Barati) e Margineni. Alla parrocchia di Sabaoani, che adesso aveva 670 anime rispetto alle 335 del 1762, appartenevano le comunità di La Izvor, Fiumicino e Lancuza (Hanul Ancutei), tutte nuove, e Gheraesti (con 550 anime rispetto alle 62 del 1762), Tetcani (460 anime rispetto alle 151 del 1762), Talpa e Bîrgaoani. Alla parrocchia di Rachiteni appartenevano le comunità di Miclauseni (350 anime rispetto alle 171 del 1762), Iancchochi (Scheia) e Farcaseni. Cucuteni (Horlesti), adesso con 250 anime rispetto alle 121 del 1762, aveva come filiali Popesti con 130 anime e le piccole comunità di Cotnari, Totoesti, Carlevo (Hîrlau), La Iosif (Iosupeni?) e Zlodica, che in tutto facevano 130 anime. Il parroco di Horlesti aveva in cura anche i circa 250 mercanti armeni, la maggioranza dei quali sapeva solo la lingua polacca, per cui di essi doveva curarsi un sacerdote polacco.

Gli armeni e gli ucraini cattolici venivano in Moldavia dall'Ucraina, dalla Polonia e Galizia, o perché perseguitati, o per commercio, e raramente erano stabili in un determinato luogo. Insomma, c'erano 21 nuove piccole comunità formate nei dintorni di Grozesti, Faraoani, Calugara, Sabaoani e Horlesti. Quelle formate intorno a quest'ultima parrocchia non avranno uno sviluppo notevole, contrariamente ad altre come, per esempio, Valea Mare e Sagna. Il numero delle anime, come abbiamo già osservato, si era di nuovo raddoppiato. Viene confermata così quella realtà già nota: specialmente dal 1756 in poi, stava sempre crescendo il numero delle persone, singole o intere famiglie, che attraversavano i Carpazi in cerca di una vita migliore in una Moldavia che aveva tanto bisogno di manodopera.

 

4.1.3 Le comunità nell'ultimo decennio del secolo XVIII

Nel 1789, il prefetto Rocchi manda alla Propaganda una breve relazione sullo stato della missione dalla quale sappiamo che nel distretto di Bacau sono 4 parrocchie: Grozesti, Faraoani, Valea Seaca e Calugara che insieme alle loro filiali contano 5.566 anime. Nel 1791, la chiesa di Bacau era diventata quasi una rovina, "senza recinto, scoperta, piena atorno d'im.ondeze", è "una vergogna alla nostra Religione", e proprio adesso, quando nella zona ci sono tanti soldati austriaci che vorrebbero partecipare alla messa. Il prefetto ordina al parroco di Calugara di fare urgenti riparazioni e di recintarla e poi di aprirla di nuovo per le funzioni sacre; per adesso, nella presenza dei fedeli, il prefetto sigilla le porte. Nel distretto di Roman sono altre quattro parrocchie: Sabaoani, Halaucesti, Adjudeni e Rachiteni che con le loro filiali contano 5.631 anime, cioè una cifra quasi uguale a quella delle comunità del distretto di Bacau. Ci sono poi le parrocchie di Cucuteni (Horlesti) e Popesti, con un solo padre, per cui crediamo che formassero una sola parrocchia con 700 anime. A Iasi ci sono 200 fedeli oltre ad un grande numero di forestieri e nella parrocchia di Husi, 400 fedeli. In questa comunità, già da tanto tempo "pochi Missionari hanno potuto vivere in pace" con il vescovo locale, scriverà Rocchi nel 1791. Allora, in tutta la missione ci sono 10 parrocchie con circa 16.000 anime e così dalla relazione del ex-prefetto Cambioli scritta pochi anni dopo 1762, quando si notavano circa 10.000 fedeli, la missione era cresciuta in circa vent'anni di 6.000 cattolici, un fatto che si può spiegare solo con le nascite, dato che i tempi erano più tranquilli e le comunità potevano condurre una vita abbastanza normale, non essendo cioè costrette a rifugiarsi sempre nei boschi. Possiamo farci un'idea della crescita numerica delle comunità in base alle solo nascite leggendo la relazione di Rocchi del 1792. Visitando le parrocchie, il prefetto ci dice che in tutta la missione i battesimi erano stati 538, e i morti 251, con un aumento cioè di 287 persone all'anno mentre i matrimoni erano stati 95 in tutto. Se questo fatto riflette una realtà costante, per circa due decenni, allora per questo ultimo arco di tempo (1770-1790) non possiamo pensare ad un cospicuo arrivo di popolazione della Transilvania. L'ingresso di popolazione dalle zone sicule transilvane apparterrebbe così al periodo prima del 1770. Però, gente nuova continuava ad arrivare nella missione anche nell'ultimo decennio del secolo. Nelle zone nordiche della Moldavia fino a Iasi, come anche nelle regioni dei fiumi Prut e Nistru arrivavano e partivano dei mercanti armeni cattolici, come anche dei polacchi. Nei distretti di Neamt e Bacau, arrivavano e si stabilivano ancora dei cattolici transilvani. Vicino ai Carpazi, invece, nel passo di Oituz dove c'è la parrocchia di Grozesti, c'erano delle persone che o si fermavano in questa parrocchia, oppure, se l'interesse lo comandava, passavano in Transilvania.

Visitando le comunità, il prefetto impartisce anche la cresima (non essendo più il vescovo che non li permetteva l'esercizio di questa facoltà concessa dalla Santa Sede), ma, osserva lui "sempre mancano la metà in tutti gl'anni". Di solito, i prefetti visitavano le comunità nei primi mesi dell'anno, per trovare a casa più gente. Ma anche adesso, molti ragazzi sono con gli animali nei boschi, perché qui le bestie possono trovare ancora qualcosa da mangiare. Se invece facevano la visita in primavera, allora la gente era già uscita in campagna per i lavori agricoli che iniziano al più presto possibile. Nel 1790, Rocchi visitando le comunità della zona del fiume Siret, da una multa a tutti quelli che mancano per la cresima; in questo modo sperava, ma forse non si faceva illusioni, di avere presenti tutti i cresimandi. Invece, l'unica possibilità di cresimarli era quella di amministrare il sacramento più volte nelle stesse comunità, non solo perché mancavano all'appello tanti giovani, ma anche adulti, perché "in servizio delle armate". In più, data la guerra tra russi e austriaci, la gente era costretta a tenere in casa due o tre soldati. Nelle zone ad est della Moldavia stavano ancora i russi; in quelle ad ovest stavano gli imperiali e così la gente doveva dividere ancora con più persone la loro povertà.

Le informazioni di Rocchi sul numero dei fedeli non concordano del tutto con quello che ci dice il suo successore, Sassano, nel 1799; però, le differenze non sono troppo grandi, per cui possiamo farci un'idea abbastanza precisa su questo problema. Se nel 1791 Rocchi aveva detto che la missione numerava 16.000 anime, nel 1799 la comunità cattolica della Moldavia contava oltre 14 mila fedeli, divisi in nove parrocchie, "nelle quali si conserva decentem.te il SS.o Sacram.to". Da circa vent'anni, diceva Sassano nel 1799, il numero dei cattolici era cominciato ad aumentare con dei polacchi fuggiti dai loro territori dopo le spartizioni del loro paese tra le grandi potenze: Russia, Austria e Prussia. Oltre ai polacchi di rito latino, c'erano ucraini e armeni di rito orientale, commercianti, oppure mercanti e allevatori di bestiame, specialmente di cavalli. Dalla Transilvania, poi, arrivava gente che non voleva arruolarsi nell'esercito imperiale. E la popolazione continuava ad aumentare, malgrado nel 1784, col permesso della Sublime Porta, molte famiglie della Moldavia fossero state condotte dagli austriaci nella Bucovina, per formare qui delle nuove colonie sotto il dominio della casa imperiale di Vienna.

 

 

Le comunità cattoliche erano: Iasi, con le filiali Cucuteni (Horlesti) e Popesti. Husi, con cinque filiali: Vale con chiesa e residenza del missionario; Jeporeni, Corni, Benta e Galati con solo 5 famiglie. Nel 1798 un terribile incendio ridusse in cenere una buona parte della città di Husi. La chiesa cattolica fu bruciata e l'anno seguente vi si trovava una sola famiglia cattolica. Negli anni seguenti, molte famiglie torneranno ai vecchi paesi e con molte difficoltà riusciranno ad avere il permesso del vescovo ortodosso locale per costruirsi una chiesa. Sabaoani, con le filiali Tetcani, Gheraesti con chiesa, Pildesti e Rosiori. Halaucesti, con non meno di quattordici filiali: Lunga, Mogosesti, Cozmesti, Luncasi, Zapodia, Talpa, Bîrgaoani, David, Valeni, Valea Alba, Mircesti, Scheia (Ianaccacchi) con chiesa, Farcaseni e Cotnari. Nel 1792, Rocchi affermava che a Halaucesti si deve costruire un'altra chiesa, in quanto in quella esistente entrava solo un terzo dei fedeli. Siccome la chiesa era costruita da poco, ciò significa che in pochi anni si erano qui stabiliti tanti altri cattolici, la maggioranza probabilmente dalle zone dei siculi di Transilvania. Però, qui non si parla della necessità della lingua ungherese. Tamaseni con dieci filiali: Adjudeni (parrocchia di nuovo nel 1789), Rachiteni con chiesa, Rotunda, Buhonca, Macinesti (Maxinesti), Oteleni, Cacaceni, Miclauseni, Buruenesti e Sagna. Non venne menzionata la città di Roman, dove nel 1799, Vicenzo Gatt ci dice che si trovasse "qualche vagabondo" cattolico. Calugara, con 14 filiali: Bacau con chiesa in rovina, Barati con chiesa, Margineni, Schineni, Ladoftor, Dialu Nou, Sarata, Cusbic, Secatura, Prajesti, Tazlau, Solont, Poduri e Poloboc. Valea Seaca con sei filiali: Albeni, Vale, Floresti, Buchila, Lunga e Timaresti. Faraoani con sette filiali: Cleja, Valea Mare, Valea Draga, Modioros, Valea Rea, Zamosca e Gioseni. Dal 1793, Cleja diventa parrocchia, benché che qui si conserva un registro Status animarum del 1784. Nella visita pastorale del 1794, Rocchi ci dice che la chiesa non è ancora terminata. Parroco è Francesco Castellani e la comunità va molto bene. Grozesti con sette filiali: Trotus con chiesa, Dial, Bahana (Bahna), Chiresteu (Ferastrau), Herza (Hîrja), Moinesti e Berzunti. Sassano, nella sua relazione, fece menzione di Mohilau, adesso nella Bucovina, territorio soggetto agli austriaci e nel quale ai moldavi era severamente vietato entrare. Il parroco di questa comunità gli chiedeva di occuparsi anche degli armeni cattolici, sparsi per la sua missione, ma appartenenti a questa parrocchia. Prima si era occupato di loro Wolski, adesso deceduto, e Sassano rispose al parroco di non poter prendersi cura di loro senza uno speciale permesso della Propaganda. Del resto dobbiamo notare che se questi cattolici volevano sacerdoti del loro rito e lingua, per loro c'era bisogno assolutamente di un "libero passaporto dall'Imperial Governo di Russia". Il prete ruteno, decano di Mohilau, Giovanni Cekan, non voleva entrare nell'ortodossia, così come avrebbe voluto il governo russo. Adesso si trovava a Iasi, ma aspettava il tempo favorevole per trasferirsi a Lwów, nella speranza di una vita migliore presso il suo superiore. Le parrocchie più grandi, con oltre due mila anime, sono Sabaoani, Tamaseni, Calugara e Faraoani. Nella relazione del 1777, nella missione c'erano circa 12.000 fedeli. Adesso, dopo 22 anni, era cresciuta con solo di due mila anime, cioè poco; forse a causa della guerra tra russi e turchi, conclusa nel 1792, molte famiglie erano andate in Transilvania.

Nella relazione di Ausilia del 1745, erano circa 3 mila anime in tutta la Moldavia; Di Giovanni, nel 1762, ne trova 6 mila; nel 1777 erano 12 mila e adesso, 14 mila. Cioè, fino alla relazione di Mauro, ogni vent'anni la comunità moldava duplicava il numero dei suoi cattolici; negli ultimi due decenni, invece, questa crescita aveva abbastanza rallentato il ritmo.

Rispetto al 1777, il numero delle comunità era aumentato notevolmente. I cattolici delle piccole comunità Iepureni e Benta si erano trasferiti altrove. Però, troviamo molte altre comunità che rimangono tuttora, la maggioranza di esse sono parrocchie ai nostri giorni. Mogosesti si formò con dei cattolici dei villaggi vicini; Cozmesti ebbe una simile origine. Zapodia (Nisiporesti) non è altro che Lancuza (La Ancuta) del rapporto del 1777. David, con dei cattolici dei paesi vicini. Valeni ha la stessa origine di David, come pure Mircesti. Buhonca, formata con dei cattolici dei villaggi presenti sulle rive del fiume Siret; più tardi vi arriveranno famiglie cattoliche dai villaggi vicini al fiume Moldova, specialmente da Sabaoani e Traian. I cattolici di Oteleni provengono dai villaggi di Adjudeni, Tamaseni, ed altri vicini. Davanti alle incursioni dei russi, essi si erano ritirati in questo luogo, allora pieno di alberi, cioè una foresta. Maxinesti rappresentava una piccola comunità, vicino a Oteleni, che si estinguerà poco dopo, così come dopo mezzo secolo si estinguerà pure la piccola comunità di Poloboc, situata vicino al paese Socea. I cattolici di Berzunti si trovavano sul territorio del monastero ortodosso dallo stesso nome e non sappiamo di preciso da dove provenissero; probabilmente da un paese cattolico della zona. I cattolici di Floresti (chiamato fino ai nostri tempi anche Tescani, dal paese vicino chiamato con questo nome) provenivano anche essi da qualche comunità cattolica vicina. Insomma, è facile capire che tutte le nuove comunità provenivano da quelle già esistenti. Per quanto riguarda il numero dei fedeli, riportiamo un'informazione del 1805, dove si legge che in Moldavia ci sono circa 20.000 cattolici, una cifra un poesagerata, se si prendono come relativamente esatti i dati riportati alcuni anni prima da Rocchi e Sassano. Comunque, se non possiamo avere una statistica scrupolosamente precisa, le cifre indicano una crescita demografica abbastanza forte dovuta a due fattori: il tasso di natalità e l'arrivo di altri cattolici, specialmente dalla Transilvania e dalla Polonia. Nell'arco di un secolo, il numero dei cattolici in Moldavia era salito da 300, all'incirca, quanti erano alla fine del XVIIo secolo, a circa 18.000 mila, ma la crescita più evidente e più forte appartiene agli ultimi quattro decenni del secolo, come abbiamo avuto già l'occasione di osservare.

 

a) I cattolici di rito orientale

Nel 1791, c'erano in Moldavia cattolici transilvani di rito orientale, come anche degli armeni e ucraini uniti con Roma. Per loro venivano anche dei sacerdoti, per assisterli spiritualmente e, in prospettiva, per costruire anche delle chiese. Ma i responsabili degli distretti ( gli "ispravnici") dove si erano stabiliti questi cattolici non permettono ai loro sacerdoti di svolgere l'attività pastorale; e, caso mai, se volevano costruirsi delle chiese, caso che non succederà, dovevano avere prima il permesso del divano. È interessante osservare che le autorità ortodosse permettevano, beh, con qualche riserbo e smorfia del naso, la libertà di culto ai cattolici di rito latino, ma non facevano altrettanto con i cattolici del loro rito. Molto probabilmente consideravano già allora il loro passaggio alla Chiesa romana come un atto di tradimento della religione tradizionale, della Chiesa dei loro avi. E da parte dei fedeli, come già si è visto, questi non amarono molto andare nelle chiese dei latini; al contrario, siccome non avevano sacerdoti del loro rito, andavano tranquillamente nelle chiese ortodosse. Il missionario Wolski vuole assisterli spiritualmente, ma essi lo rifiutano perché celebra in rito latino, e vanno dagli ortodossi. L'arrivo di cattolici uniti viene confermato anche nel 1794. Come al solito, vanno nelle chiese ortodosse e il prefetto Rocchi vorrebbe per loro un sacerdote del loro rito, mandato dal vescovo unito di Lwów. Di fronte a questi cattolici, il prefetto non intende ad avere alcuna autorità, in quanto sono di rito diverso. C'erano poi gli armeni venuti in gran parte della Galizia e che per lo più vivevano nel territorio della missione moldava. Nel 1799, Sassano parla di nuovo degli armeni, che non hanno un pastore del loro rito. In più, vengono menzionati "i Russi di rito Greco (ucraini uniti con Roma n.n.), e questi ultimi, secondo i supremi ord.ni ultimam.te emanati vengono costretti a ribattezzarsi, ed unirsi alla religion dominante". La Russia "cesaropapista", la grande potenza che comandava in Moldavia, malgrado questo paese rimanesse sotto il dominio ottomano, costringeva questi uniati ad entrare nell'ortodossia, così come lo faceva anche in altre parti del suo impero, dove voleva controllare tutto, incluso le nomine dei vescovi cattolici di rito latino e orientale.

I cattolici di rito orientale, la zarina Caterina e i suoi uomini cercavano con tutti i mezzi di costringerli a farli entrare nell'ortodossia, religione di stato e controllata dalla zarina tramite il Santo Sinodo. Questo era il principale motivo, per cui tanti hanno imboccato la via dell'esilio. Ma anche prima del 1795 la Polonia aveva sofferto altre due spartizioni tra le sopranominate potenze; nel 1773 e 1775 molti polacchi cattolici, come anche ucraini e armeni dall'Ucraina, dalla Polonia e dalla Galizia, avevano cercato un rifugio in Moldavia, oppure vi si erano trasferiti per motivi di commercio. Alcuni si erano stabiliti a Iasi ed erano i polacchi, altri invece (ucraini e armeni) erano rimasti provvisori, perché commercianti o allevatori di bestiame, specialmente di cavalli. Arrivati a questo punto occorre precisare che i cattolici di rito orientale scappati dai territori controllati adesso dalla Russia, non erano andati via solo per poter conservare la loro fedeltà alla Chiesa cattolica e il loro rito. Se fosse stato così, arrivati in Moldavia, non sarebbero andati così facilmente nelle chiese ortodosse, così come attestano parecchie volte i prefetti nelle loro lettere mandate alla Propaganda. Ci sembra invece, che per questi cattolici, come anche per gli uniati arrivati dalla Transilvania, importante era il rito, che poi non era diverso da quello degli ortodossi moldavi, e il trovare un posto per abitare e i mezzi per vivere.

I cattolici di rito latino, invece, erano lasciati in pace; anzi, la Russia voleva proteggerli, cioè intervenire e interferire quando l'interesse lo suggeriva. Si deve dire che meno intransigenti sotto il profilo confessionale si mostravano gli ottomani. Questi permettevano l'esercizio di qualsiasi culto, purché si pagasse il tributo.

Siccome anche tra i cattolici moldavi si era introdotto il calendario gregoriano, con le rispettive ripercussioni nell'ambito dell'anno liturgico, nel 1791, il prefetto Rocchi si interroga se questi armeni potessero mangiare carne il mercoledì, cosa che veniva loro vietata dal loro calendario non gregoriano. Nel mondo ortodosso, invece, rimaneva in vigore il calendario giuliano e nel contare gli anni, si riportavano al primo anno della fondazione del mondo, o "da Adamo", come si soleva dire.

Nei rapporti con gli acattolici, il prefetto e i missionari dovevano affrontare il problema dei matrimoni misti. Malgrado da Roma le venissero indicazioni di non accettarli, Rochi afferma che "per forza bisogna lasciarli correre", altrimenti, queste coppie si portano nelle regioni della Bucovina, occupata dagli austriaci e dove venivano tollerate, oppure la parte cattolica "si pervertirebbe, se non altro per dispetto", si intende ai missionari e al loro rifiuto di accettare tale matrimonio.

 

b) I "dascali" (cantori e catechisti)

Abbiamo già avuto l'opportunità di incontrarci con questi cantori e catechisti dei quali si servivano i missionari tanto nelle funzioni liturgiche, come anche nell'insegnamento catechistico. Per farci un'idea più precisa e completa su di essi, pensiamo che sia utile aggiungere altre informazioni su questi personaggi che hanno svolto un ruolo non minore tra la gente cattolica.

Già nei primi decenni del secolo, i missionari venivano aiutati dai "dascali", però qualche volta questi non svolgevano bene i loro compiti, per cui, nel 1725, il prefetto Bossi deve prendere delle misure contro i "dascal" di Ciubarciu. In quanto le celebrazioni liturgiche, nelle quali interveniva anche il "dascal", si svolgevano in latino, nel 1745 Ausilia ci dice che questi deve essere "alquanto pratico della lingua latina... di cantare in tutti gl'officij divini, e di servire finalmente in tutto quello che spetta al possibil decoro dell'Ecclesiastice Cirimonie".

La relazione di Di Giovanni del 1762 aggiunge che il "dascal" è esente dal tributo, pagando la gente per lui, e riceve una insignificante somma di denaro nella ricorrenza delle principali feste e soprattutto per il giorno dei morti. Il missionario è più preciso nel descrivere i suoi doveri: "Per minorare la fatiga del religioso" e per lasciarli più libertà nel compiere i suoi doveri, "fu introdotto il costume di tenere un dascalo", in tutte le comunità, anche dove non risiede il missionario. Questi deve essere pratico delle lingue ungherese e latina e i suoi compiti sono quelli di insegnare il catechismo alla gente, di guidare la recita delle preghiere, di cantare durante la messa solenne e durante le altre funzioni liturgiche. Per quanto riguardano le preghiere, oltre quelle fondamentali, verso la fine del secolo, nel 1790, il prefetto Rocchi ci dice che il "dascal", per esempio a Grozesti, recita con il popolo, "come costume", le preghiere "ed atti di fede, Speranza, Carità e contrizione". Siccome poi in occasione dei pranzi che si facevano dopo i funerali si verificavano vari abusi ed inconvenienti, alla fine del secolo si prese la decisione che il "dascal" doveva essere presente a questi pranzi per fare la preghiera e per mantenere il carattere religioso e caritatevole dei pranzi, una usanza che si conserva tuttora.

Oltre ai "dascali", agli inizi dell '800, nelle comunità comparvero anche altre persone con incarichi stabiliti dai missionari di comune accordo con la gente. Avremo così i figli della chiesa (presenti anche nel '700, ma non in tutte le comunità e con un ruolo meno stabile e preciso), cioè delle persone anziane e di una vita esemplare, nominati dal prefetto e più tardi dai parroci, con l'incarico di fare la colletta durante la messa, di fare la pulizia nella chiesa e nel cimitero, di curarsi degli arredi della chiesa, di fare da pacieri tra le persone e le famiglie in conflitto, di vigilare sulla moralità della gente. Viene poi il "vataf", un giovane bravo ed esemplare che doveva vigilare sulla condotta della gioventù, quando si radunava per ballare durante le domeniche e le feste e in occasione dei matrimoni. In più, doveva vigilare cosa facessero i giovani dopo il tramonto, e, caso mai, se fossero dei trasgressori, doveva riferire tutto senza imparzialità al "dascal", oppure al prete. Però, molti, soprattutto giovani, non sono daccordo con lintroduzione di questo personaggio "scomodo". Vediamo questo da una lettera scritta dal prefetto Rocchi nel 1778. Nella missione, si era presa la decisione di eleggere in tutte le comunità cattoliche una persona, nominata dal prefetto, "che invigilasse sopra il buon ordine". La gente non è tanto d'accordo con una tale persona perché le deve pagare il tributo, come lo paga per il "dascal". Essa aveva anche l'ingrato incarico di riscuotere la decima (in romeno simbria) per i parroci, per evitare così "l'aversione, che hanno li cristiani alli missionarj, costretti di farsela pagare alcuni colla forza, e colla giudizio secolare". Particolare abbastanza interessante che ci aiuta a pensare i rapporti tra fedeli e sacerdoti anche in questa luce non tanto idilliaca. La povertà di tutti, laici e clerici, marcava anche le relazioni tra il pastore e il suo gregge, relazioni tese quando si chiede al povero di dividere con un altro il suo minimo necessario per la vita. Nella lettera, il missionario parla anche del digiuno che osservano cattolici e ortodossi nel terzo giorno di Pasqua e Natale, perché in questi giorni "la Religione Dominante non permetterebbe le opere servili".

Ci accorgiamo così che contemporaneamente con il consolidamento delle comunità, i missionari volevano introdurre quelle strutture esistenti al tempo nelle comunità cattoliche occidentali, cioè allargare gli spazi del loro apostolato anche nell'ambito civile e morale della gente, controllandone il ritmo e l'andamento e, se fosse possibile, prendendo delle misure contro i trasgressori. Viene poi la figura del campanaro (clopotar); suona le campane per le sacre funzioni, quando vede avvicinarsi la tempesta per disperdere le nuvole pericolose e la grandine; in più, anche lui terrà pulita la chiesa e il campanile. Però, per questo fine secolo, la figura del "vataf" e del "clopotar" non compaiono ancora nei documenti, ma forse che i missionari avvertivano già la loro necessità per un migliore andamento delle comunità.

 

 

 

4.2 La vita sociale e di fede della gente cattolica

 

Dopo questa presentazione delle comunità cattoliche, presentazione durante la quale abbiamo voluto evidenziare la loro organizzazione intorno ai centri parocchiali, la loro crescita numerica, l'aumento del numero dei fedeli soprattutto nella seconda parte del secolo, e le persone con un certo incarico pubblico affidato loro dal missionario, passiamo adesso ad un'analisi di alcuni aspetti della vita sociale e di fede della gente cattolica, per avere così un'idea più chiara e completa sulla missione moldava guardata dal basso, malgrado non si possa capire l'andamento della missione, del gregge, ignorando i pastori, cioè i missionari; ma su questi, sulla loro vita e attività ci siamo soffermati abbastanza nel secondo e nel terzo capitolo.

Alla fine del XVIIo secolo, sotto la prefettura di Volponi, e poi all'inizio del seguente, durante la prefetture di Zavoli e Fischer, oltre a varie scorrerie dei tartari (la più tremenda fu quella del 1716), la Moldavia fu teatro di quattro guerre tra turchi, russi, svedesi e polacchi che ebbero come risultato per questo paese una desolazione e un disastro come raramente si sono verificate durante la sua storia. Nel 1720, il missionario D'Amelio ci descrive la triste e desolante situazione in cui si trovava il paese: la gente soffriva la fame o moriva di peste e i lupi infestavano i villaggi quasi deserti; i ladri erano presenti dappertutto e i tartari si facevano sempre minacciosi e portatori di morte e disgrazie, malgrado l'intervento energico del principe Gregorio II Ghica del 1727 di confinare questi tremendi nemici entro un territorio già concesso loro per il pascolo.

In poche parole, questa era la situazione generale della Moldavia quando nel 1722 il nuovo prefetto Bossi scrisse alla Propaganda che arrivato in Moldavia e visitando di sfuggita la missione aveva riscontrato tra i suoi cattolici " puoca osservanza, se meglio dico nissuna in ordine à precetti divini ed ecclesiastici". Nel 1725, scrivendo alla Propaganda, tra altri problemi esposti ai cardinali, offre anche dettagli così vivi e realistici sul miserabile stato di vita della gente, rimarcando però che questi suoi miseri fedeli erano attenti a quello che diceva il missionario ed erano disposti a non commettere più certi peccati, un fatto che consolava un po l'anima del missionario: "Quest'anno (1725, n.n.) nelle confessioni hò scoperto miglioramento sensibile poiché già osservai che certi peccati non li confessavano p. verun conto, o con ostinatione li tenevano occulti; molti poi s'accostavano al sacerdote p. mer'usanza e non già che sapessero l'importare del sagramento della penitenza, ora veggo lodato il Cielo, mutata sciena, e in diversi altri particolari...osservo altro sistema in puoco più concernente alle n-re Sagrosante leggi". Se le sue pecorelle ubbidiscano al pastore e vengono a confessarsi, insomma, non sono ostinate e di dura cervice, il missionario nota altri aspetti nel profondo dell'anima dei suoi fedeli, più precisamente delle superstizioni, incantesimi ed altre cose del genere

CALINESCU, G., Alcuni missionari, p 156.

 

Intanto, l'atmosfera politica della Moldavia, dopo le terribili guerre e scorrerie menzionate prima venne turbata nella seconda metà del quarto decennio da un'altra guerra tra i russi, turchi ed austriaci, e il prefetto Manzi ci descrive la nuova desolazione in cui si trovava il paese, inclusi si intende i cattolici e i loro pochi missionari. Il quadro della missione può essere completato con le informazioni portate dal vescovo Jezierski, dopo che visitò la diocesi nel 1741; però, in queste sue lettere non possiamo trovare altri particolari sullo stato di vita della popolazione, sulle sue usanze, pregi e limiti nel vivere la sua fede, ecc.

 

4.2.1 I cattolici nella relazione di Ausilia - 1745

Più ricca di dettagli è la relazione di Ausilia del 1745. Dopo una breve presentazione geografica, il missionario fa sapere che in questa provincia, "mediocre di vitto", c'è "quasi sempre" presente il pericolo di un'invasione dei turchi, malgrado il paese fosse tributario alla Sublime Porta, dei tartari, oppure "de Ladri e Nemici della Fede".

Per quanto riguardano i "mali" spirituali che Ausilia trova tra i suoi fedeli, da una lettura attenta del suo scritto, si possono scoprire due i motivi che l'autore crede che siano all'origine di tante mancanze, abitudini ed abusi da sradicare: a) il bassissimo tenore di vita e b) l'influsso degli ortodossi, e come vedremo più avanti, anche l'ex missionario Giovanni Frontali considerava che una delle cause dei mali spirituali della gente cattolica veniva proprio dagli ortodossi, non perché questi avrebbero voluto "contaminare" i cattolici con le loro usanze, superstizioni, ecc., ma perché questo era il contesto "spirituale" in cui vivevano, non essendo istruiti, affermano i missionari, dai loro sacerdoti.

I cattolici "non hanno errori formali nella nostra S-a Fede", ma, dice Ausilia, "pare qualche volta framischiarsi le spine d'errori materiali". Per esempio, i cattolici credono che "lo Scismatico nella sua Religione potersi salvare", perché soltanto "Iddio sà come sijno gli'affari della Fede spettanti". Anche allora i fedeli erano meno intransigenti dei sacerdoti, i quali credevano fermamente che "extra Ecclesiam (cattolica, si intende), nulla salus". Si può osservare poi non tanto l'indifferenza religiosa del popolo, quanto un certo fatalismo e mancanza di volontà nel dare un senso e valore morale all'attività umana. Di più, l'uomo è incapace di capire il valore e il significato delle sue azioni; basta rispettare le leggi divine che il missionario ci insegna e non domandarsi più se quello che facciamo è bene o male: "Iddio sà se noi uomini facendo un opera mala sia ben fatta, ò pur mal fatta; Iddio hà ripartito le leggi, e chi tien la sua legge non lo falla".

Di fronte ai precetti divini, di fronte alla Chiesa e alle sue leggi, di fronte alla vita stessa, l'uomo non deve mai domandarsi perché è così e non altrimenti. Tutto è stato stabilito da Dio e a noi non rimane altro che rispettare la volontà divina: "Iddio è in colpa, Iddio così ha voluto, Iddio così hà determinato per le dette leggi". Poi, pensando con i criteri solo materiali ed anche a causa del suo rifiuto di capire, di approfondire il contenuto della fede, il cattolico moldavo, influenzato da una mentalità ortodossa, assai radicata e diffusa, vuol rimanere nella sua incertezza, nel suo mondo ambiguo e poco impegnativo; non si mostra tanto entusiasta di fronte a quello che il missionario gli fa sentire; di conseguenza, la sua parola (come messaggero di Dio) ha un valore relativo: "il P-re Missionario non è stato appresso alla Corte di Dio, perciò veruno sà nulla dell'Ordini suoi, e delle cose di Fede".

In seguito, presenta alcune delle superstizioni più diffuse tra i cattolici, stregonerie, incantesimi, credenze, usanze e abitudini poco cattoliche e costata con tanto dispiacere che tutti i mezzi pastorali non hanno alcun effetto nell'estirpare questi mali. Vorrebbe utilizzare i mezzi coercitivi, ma "non habbiam nessun braccio... non possiamo correggere le nostre pecore dopo le buone moralità colli soliti rigori adoprati da nostri Antecessori, perche tall'uni per la pessima vita che menano non si possono impedire perche il Principe l'hà proibito... a caggione che queste sono cause di coscienza". Il missionario si mostra sdegnato contro questo provvedimento del principe di vietare qualsiasi pena, tranne quelle spirituali, per correggere la vita dei fedeli. Egli esprime ai cardinali tutta la sua inquietudine, ma siccome il principe non ha cambiato idea, egli teme "che a pocho, a pocho crescendo l'iniquità sempre più saran restij a non ascoltare l'avisi salutari di chi li dirigge". In più, i missionari non vengono più esentati dalle tasse, così come "l'Imperator Turcho ci concede in virtù del suo FermanoDevi precisare di quall'anno è questo firman che habbiam in q-ta Residenza havendone ridotto in tal stato di miserie che non habbiam ne M-ro di Chiesa ("dascal", n.n.) ne Servi in serviggio dell'anime" così che i poveri missionari sono costretti a "passar dalla Chiesa alla stalla". Poi, dai fedeli, i missionari non possono aspettare nessun aiuto, nessuna elemosina, perché "non hanno per se medesimi".

Il numero 20 ci lascia un po sconcertati. Ausilia crede che il rimedio più adatto per sradicare questi abusi e disordini sarebbe "quell'istessi che adesso si stan adoprando dichiarandogli nelle Prediche, ed esortazioni d'astenersi da simili abusi, ed errori sudetti". Se il missionario si riferisce ai conventuali, allora significa che qui vale il detto "medice, cura te ipsum". Oppure, è possibile che Ausilia abbia voluto soltanto mettere in guardia i suoi missionari di stare attenti a non cadere negli stessi errori che egli condannano.

Da più decenni, osserva il missionario, "stante l'invasione de Tartari per le guerre de Moscoviti ed altre potenze", i cattolici, per non esser fato schiavi, si nascondevano spesso nei boschi e così rimanevano tiepidi nella fede ed "immitatori delle superstizioni e massime scismatice" (di nuovo si osserva la sua convinzione che gli ortodossi influiscono negativamente sul comportamento dei cattolici). Al tempo della relazione, grazie ai tempi di pace e all'attività dei missionari, molti cattolici vengono alla Messa non solo di domenica, ma anche nei giorni feriali. In più, i missionari hanno convertito alcuni cattolici passati all'ortodossia con il matrimonio, come pure hanno convertito molti calvinisti e luterani, "come ancor un Cattolico fatto Turcho". Questi, però, per salvarsi la pelle, era stato mandato dal vice-prefetto in Polonia (f 350).

 

4.2.2 La prassi sacramentale

Vivendo in mezzo agli ortodossi, osserva l'ex missionario Frontali nel 1764 nella sua lunga ed importante lettera mandata alla Propaganda, i cattolici subiscono il loro influsso religioso "supersticioso". Senza entrare nei dettagli di questo influsso, il missionario ci da delle brevi notizie sulla pratica dei sacramenti.

In occasione della nascita, alcuni cattolici tengono i bambini più mesi senza battezzarli, dicendo che così sarebbero cresciuti più in fretta. C'è poi il problema dei padrini ortodossi richiesti dai cattolici o per amicizia, o per altri motivi e interessi.

La comunione, alcuni volevano che fosse amministrata presto per i loro figli, vedendo che nella chiesa ortodossa vengono battezzati, comunicati e cresimati in una sola celebrazione. Invece, i missionari preparano i bambini per la prima comunione quando hanno 11 o 12 anni di età, seguendo il principio che dovevano imparare bene il catechismo ed essere coscienti di quello che avrebbero ricevuto nell'Eucarestia.

Per quanto riguarda il sacramento della penitenza, molti si confessano per Pasqua e a Natale e per la festa del titolare della loro chiesa. Altri rimandano la confessione perché non riescono a far pace con i loro contendenti, e così, non riconciliati con il fratello, non possono riconciliarsi con Dio; ma i motivi per rimandare la confessione non sono solo spirituali, ma anche di altro genere, ed il missionario riesce ad individuarli molto bene, come uno che per decenni aveva condiviso l'esistenza di questa povera gente. Si osserva facilmente che in fondo questa gente non è né ostile, né indifferente alla Chiesa e a tutto quello che dice il missionario. Sono piuttosto i tributi e la grande miseria in cui vivono i motivi di questo star lontani dai sacramenti. Senza dare giudizi affrettati, Frontali afferma nel 1764 che per capire questa gente "bisognerebbe colla ritrovarsi".

Alcuni anni più tardi, nel 1769, il prefetto Carisi ci porta altre informazioni sulla prassi della penitenza dei suoi fedeli. Egli chiede alla Propaganda per i suoi fedeli la dispensa di confessarli e comunicarli anche il Venerdì Santo, perché così sono abituati, e "l'uso e l'ignoranza gli rende insensibili ad ogni persuasione" di venirsi a confessare prima; loro vengono a confessarsi "quando gli salta in capo". Altrimenti, molti rimarrebbero senza adempiere il precetto pasquale. Fu chiesta poi la licenza di considerare come adempimento del precetto in chiesa solo di domenica, perché erano impegnati nel lavoro. Se non si fosse accordata questa licenza, "si perderebbero molte anime, che per essere ignoranti, abitare come le Bestie ne Boschi distanti dalle Chiese, poco si cura di confessione e Comunione se non sono stimolati o da Parenti, o Amici". Durante l'Avvento, la Messa si celebrava prima dell'alba, perché questi contadini (villani) dopo tornavano a casa, mangiavano in fretta e andavano a lavorare. Andando a messa, si confessavano, si comunicavano e poi non si vedevano più per tutto l'anno a confessarsi, "ne se ne fanno scrupolo, non ostante si dica in Chiesa". Si chiedeva di considerare questa confessione e comunione come adempimento del precetto pasquale, altrimenti si corre il pericolo di dichiarare scomunicate non poche persone.

Per quanto riguarda l'estrema unzione, si osserva che la realtà era allora, come ancora oggi tanti pensano che sia questo sacramento: Se lo ricevi, devi presto morire, benché "nauseati dal male, o delle miserie, la dimandavano per morir più presto". Però, lavorando sodo, i missionari sono riusciti a migliorare la pratica di tutti questi sacramenti. Per esempio, ricevendo l'unzione degli infermi, alcuni giovani "si guardano dal ballare per l'indecenza dell'uncione, che anno avuto alli piedi, benché fosse cosa indifferente", e altri l'hanno ricevuta più volte.

 

 

 

a) I funerali

Arrivati con il defunto in cimitero, cera unusanza, quella di mettere in mano al defunto una moneta, con cui avrebbe dovuto pagare l'entrata nell'altra vita; oppure si buttava nella tomba del vino affinché il defunto non dovesse soffrire la sete. Parimenti, durante il funerale, si portava sopra la tomba qualche animale, oppure una gallina, che poi venivano cucinati e distribuiti ai partecipanti al funerale. Se queste usanze sono sparite da tempo dalle comunità cattoliche moldave, sono sopravvissute invece alcune superstizioni, incantesimi e sortilegi, arrivati addirittura fino ai nostri tempi.

Unaltra usanza sempre combattuta dai missionari è quella dei pranzi ("praznic" in romeno) che si fanno dopo i funerali. Capita che muore un povero, afferma Frontali nel 1764, che lascia in eredità solo una mucca e due bovi. È capace la moglie, che rimane con una famiglia poverissima, di ammazzare la vacca, e vendere un bue per fare un grande pranzo, dove alcuni bevono troppo, e chiamare anche delle persone che non hanno tanto bisogno (segno che non tutti erano proprio poveri). Alla fine, come ancora oggi, si da un panino e una candela accesa a tutti "come fanno li sismatici, senza saper il perche", e capita che non rimane niente da dare al missionario per la sepoltura e per la messa. Questo uso è soprattutto nelle comunità dove i cattolici vivono insieme con gli ortodossi e invano i missionari li esortano di non fare "tale dimostracione", ma di distribuire quello che possono ai più poveri; essi rispondono che "cosi è l'uso". Tra i cattolici e gli ortodossi c'era poi un'altra usanza, che tra la gente cattolica è sparita, come risultato del lavoro apostolico dei missionari. La sera prima del funerale, ragazzi e ragazze si radunavano alla casa del defunto e nel cortile si accendeva un fuoco davanti al quale, per tutta la notte, ballavano e gridavano, "avanzi al gentilismo, e perche vedevano li scismatici", osserva il Frontali. Crediamo che sia una reminiscenza pagana, come dell'altro sono rimaste tuttora tante nel folclore romeno, ma non fanno parte del nostro lavoro, per cui non diciamo altro. È interessante però l'osservazione del missionario: i giovani cattolici facevano tutto ciò per essere visti dagli ortodossi, come se avessero un senso di colpa o di inferiorità di fronte ad una gente che aveva certe abitudini che essi non avevano ereditato dai loro antenati. I morti si seppelliscono in terra, in casse di legno, e sopra la tomba si mette una croce di legno o di pietra, alle volte con il nome del defunto. Nella ricorrenza delle grandi feste (Pasqua, Natale e soprattutto per il giorno dei morti, i parenti e i famigliari si radunano nel cimitero, alla tomba, accendono una candela, mettono un pane e danno una moneta (para, in romeno, "al valore di 7 quattrini papali") al missionario. Un terzo del valore di questa piccola offerta, il missionario lo da al "dascal", che, come abbiamo detto, è esente dal tributo, pagando la gente per lui.

 

 

 

Contro le esagerazioni dei pranzi che avevano luogo subito dopo la celebrazione religiosa della sepoltura si scaglieranno in futuro tutti, prefetti e missionari. In tale occasione si beveva troppo e si chiacchierava; insomma, si perdeva il carattere religioso dell'incontro. Invece dei pranzi, i missionari insistevano sulla partecipazione alla Messa e ai sacramenti della Confessione e della Comunione, sulla preghiera e sulle elemosine. Queste sono opere che giovano all'anima del defunto. Ma tanto Rocchi, quanto i suoi successori, non riuscirono a sradicare completamente queste abitudini, che tuttora sussistono. Esse fanno parte di quel "patrimonio" del popolo che ha radici profonde nella loro anima, nella loro mentalità. Per quanto riguarda i funerali, i pranzi che si facevano trovano una spiegazione nello stesso desiderio dei parenti di mostrare a loro stessi e agli altri contadini del villaggio che in fin dei conti, non erano così poveri come poteva sembrare a prima vista. Per bloccare gli abusi e gli inconvenienti, come abbiamo già detto, negli ultimi anni del secolo si prese la decisione, approvata anche dalla Propaganda di ordinare al "dascal" di essere presente a questi pranzi per fare la preghiera prima e dopo il pranzo e per vigilare affinché non si perdesse il carattere religioso dell'incontro. Sintetizzando, crediamo che gli abusi tanto condannati, e forse anche in modo esagerato dai missionari trovavano una spiegazione nel basissimo livello di vita di un popolo che, almeno qualche volta all'anno, per breve tempo, voleva dimenticare le difficoltà e le sofferenze che lo affliggevano.

Le tasse stolari, sono in rapporto con il basso livello economico del popolo. Le messe cantate sono rarissime; sono poi tanti i funerali, per i quali i parenti non possono pagare niente, perché molto poveri. Qualche benestante porta per le grandi feste al missionario un pane o quattro uova. Le donne, dopo il parto, danno una gallina e così la gente divide con il missionario la loro vita povera (quando hanno il latte e la polenta per mangiare, si considerano felici), ma dignitosa, in quanto non troviamo né in questa relazione, né in altre, nessun indizio che i contadini cattolici abbiano delle brutte abitudini.

 

b) I matrimoni

I matrimoni "anormali" a Iasi

Se verso i poveri cattolici dei villaggi, i missionari, malgrado condannassero e combattessero gli errori in cui vivevano, mostravano sempre un sentimento di compassione per loro la povertà, ci sembra che un'impressione non tanto positiva facevano a loro i "disertori" e i "forestieri" della capitale, malgrado che "alcuni vivono alquanto civilmente". Qui succedono delle cose che non possono verificarsi nei villaggi. Per esempio, nel 1791, Rocchi ci racconta il caso di una giovane cattolica di origine tedesca, Lucia Schabert, che si sposò a Iasi con un luterano russo. Dopo sole due settimane i genitori e tutti i parenti della giovane sposa, cacciano via lo sposo. Probabilmente i contraenti avevano poche cose in comune e le diversità di lingua, cultura, mentalità e religione erano così forti da far fallire subito il matrimonio. Abbiamo menzionato questo caso anche per sottolineare un altro aspetto di non poca importanza. Se qualche volta vengono riferiti dei casi di matrimoni fuori della norma (tra i fuggiaschi transilvani), non succede così nel ambito dei villaggi cattolici, dove la stabilità del matrimonio viene favorita anche dal comune e uniforme di vita. Nelle lettere e nelle relazioni dei prefetti non si parla tra di loro di divorzi, di convivenze o di concubinati. Casi del genere, invece, si verificano qualche volta solo tra alcuni dei fuggiaschi transilvani. Nelle compatte e chiuse comunità cattoliche, la mentalità e la forte tradizione cattolica, con cui la gente era venuta dalla Transilvania, tradizione difesa con tanto zelo dai missionari, l'unità e l'indissolubilità del matrimonio rimanevano una cosa sacrosanta.

Ritornando alla piccola e cosmopolita comunità di Iasi, Rocchi ci fornisce nel 1792 altre informazioni sui polacchi cattolici capitati qui. In tempo di guerra, questi "o erano offiziali, o giocatori di carte, che non si accostavano mai alla Chiesa, che li scandali loro erano troppo palesi, che vendevano, e s'imprestavano le Metresse, e che alcuni ubriachi gli avevo dati fuori di Chiesa una volta venuti colle loro Metresse a fare il Mercato". Due anni dopo, Rocchi parla di un altro polacco, Antonio Jacobaski, che convive con scandalo pubblico con una certa Lucia Jacobi, originaria di Odorhei, calvinista. Il prefetto chiede la facoltà di dispensa, per poter celebrare il loro matrimonio. Non è stato possibile di separarli, e in una lettera successiva, del 28 agosto 1794, esprime il suo malcontento per non aver riuscito a separarli: "Presentemente, si vive senza Timor di Dio, e senza legge; e tutti li scandali provengono dai forestieri, che al presente qui si adunano da tutte le parti, e specialmente dai confini vicini". Parla poi di un'altra cattolica, vedova di un luterano, che adesso vuol sposarsi con un altro luterano, "più disgraziato del primo". E questi casi di matrimoni misti e che danno filo da torcere al prefetto, non finiscono; altre lettere successive riflettono la stessa realtà poco cattolica della capitale. Nel 1794, lo stesso Rocchi racconta il caso della vedova del defunto luterano, Pietro Lune, prussiano, fabbro di mestiere. La vedova, rimasta con due bambini, vuole sposare un altro prussiano, luterano, che aveva lavorato col suo marito. La vedova si impegna di educare i figli nella religione cattolica. In una lettera alla Propaganda del 28 agosto 1794, il prefetto ci dice che la vedova è rimasta incinta, "ed il luterano sparì da Iassi".

Nel 1799, il prefetto Sassano è allarmato di nuovo dai "perniciosi abusi" legati al matrimonio, abusi che si verificano come al solito sotto "il suo naso", cioè a Iasi. Sotto l'influsso degli ortodossi, che ammettono il divorzio, c'era il pericolo che anche i mariti cattolici lasciassero le loro mogli e andassero con altre. Siccome in Moldavia era difficile avere l'attestato del libero stato, andavano dai sacerdoti ortodossi che, come al solito, li univano in secondo matrimonio senza difficoltà.

A questi si aggiungevano poi tanti polacchi e tedeschi della capitale, "peggiori degl'aspidi", che vivevano in concubinato o in adulterio senza farsi tanti scrupoli. E non valevano un bel niente gli ammonimenti dei missionari; al contrario, sentendosi infastiditi dalle prediche e dai rimproveri dei loro pastori, come le altre pecore smarrite, andavano pure loro dai popi che li ribattezzavano e li univano in seconde nozze.

I missionari non potevano accettare in nessun modo la richiesta di qualche cattolico di benedire le seconde nozze, questi andavano con la loro donna da un sacerdote ortodosso che benediva facilmente la nuova coppia. E la legittima moglie, "stuffa di vivere in tal stato", seguiva l'esempio del suo marito, e alle volte anche i suoi figli passavano all'ortodossia. In seguito, il prefetto conferma quello che aveva detto prima Rocchi. C'erano degli immigrati "fuggitivi e disertori", che volevano sposarsi in Moldavia, e siccome era difficile avere l'attestato del libero stato, andavano dai sacerdoti ortodossi che, come al solito, li univano in secondo matrimonio senza difficoltà. Poi, sfacciatamente, tornavano trionfanti nella comunità, fieri della loro bravura, essendo così di scandalo per tutti. Per tali persone, il prefetto avrebbe voluto che i rappresentanti delle grandi potenze intervenissero e li mandassero fuori della Moldavia, perché qui erano uno scandalo e una vergogna per la fede e per la nazione.

In tale affermazione si può leggere un aspetto della mentalità religiosa dell'Occidente di allora. Malgrado fosse cronologicamente passato l'"Ancien régime", con la rivoluzione francese, le mentalità e le convinzioni nell'ambito del clero cattolico continuavano a sognare una compagine sociale e religiosa in cui tutte le persone avrebbero dovuto regolarsi secondo i dettami evangelici e della Chiesa. In caso contrario, il braccio secolare, secondo l'agostinismo politico, avrebbe dovuto sentire il dovere davanti a Dio e alla Chiesa di intervenire per ristabilire nella società uno stato di vita voluto da Dio e per cui la Chiesa ha faticato per lunghissimi secoli.

La facilità con cui i sacerdoti ortodossi benedicevano i cattolici in secondo matrimonio si spiegava, crediamo, non solo con la prassi del divorzio, presente nella loro Chiesa, ma dietro stava anche quella tensione che esisteva tra il clero ortodosso e i missionari, considerati come stranieri, cioè intrusi in una nazione e in una maggioranza religiosa diversa. E quando un cattolico si rivolgeva ad un pope, per questo rappresentava una vittoria per la fede e la sua chiesa accettarlo, essendo questo un segno di sconfitta dei cattolici. Cioè, tutto entrava in quella intransigenza e intolleranza religiosa caratteristica del tempo. Una maggioranza religiosa considera come un corpo estraneo (da estirpare e buttar via) la presenza di altra gente, diversa come nazionalità e religione. In questo contesto si spiega anche il quasi continuo conflitto con i monaci di "Trei Ierarhi". Intransigenti con il clero ortodosso erano anche i missionari cattolici. In faccia non crediamo che avevano coraggio di dirglielo, ma nelle lettere abbiamo già visto parecchie volte la loro convinzione per quanto riguardava la formazione religiosa del clero ortodosso e la sua condotta morale. Tutti erano ignoranti, oziosi, ipocriti e assetati di potere e denaro, dicevano i missionari.

Però, non è senza importanza precisare che intolleranti si sono mostrati i conventuali anche nei confronti dei religiosi cattolici, come i gesuiti. Come maggioranza e primi arrivati in Moldavia, non si sono dati pace finché non hanno riportato la vittoria sui soci della Compagnia, cioè finché non hanno annullato il loro progetto di costruire una cappella nella loro residenza, vicino a quella dei conventuali. Ai conventuali non li passava neanche per l'anticamera della mente che una certa stabilità dei gesuiti poteva giovare in fin dei conti al bene della missione; ma quella era solo la "loro missione" e basta.

 

I matrimoni nei villaggi

Eccetto quelli della capitale, tutti i cattolici sono gente di campagna e vivono da quello che la terra e il loro esiguo bestiame le possono dare. Se, per esempio, sposandosi, i genitori possono dare alla loro figlia due bovi ed una mucca, già danno molto. C'è poi gente che potrebbe avere di più, ma deve cambiare posto in cerca di un tributo meno gravoso, o di un padrone meno avido, e così non può prendere radici profonde in un determinato posto, non possono allevare molto bestiame, perché più ha, più deve dare al padrone e ai grandi del paese. Nel loro sforzo di superare il peso di tutti questi tributi, che non finiscono mai e diventano quasi come un incubo per i contadini, la gente dei villaggi fa un patto: Secondo le posibilità di ognuno, tutti devono concorrere a raccogliere la somma di denaro imposta per tutto il villaggio dal principe. Però, questo metodo "sindacale" crea dei conflitti, in quanto alcuni pensano che pagano troppo, e altri troppo poco. Una volta, però, raggiunta la somma, ritorna la pace fra di loro, finche il mese prossimo non arriva un altro tributo da pagare. Ogni anno, le famiglie pagano il loro contributo, chiamiamolo per il sostentamento del clero, consistente in "due cassette [in romeno stamboala n.n.] di frumentone" (mais), oppure una misura di grano, oppure 10 parale. E questo contributo non lo pagano tutti e oltre questo, il missionario, per averlo, deve andare "moltissime volte" alle loro case.

I giovani si sposano molto presto, molti tra 16 e 18 anni, a differenza degli ortodossi, che si sposano più tardi. Nelle piccole comunità in mezzo agli ortodossi, si da dispensa in terzo e quarto grado di parentela, per favorire i matrimoni solo tra cattolici, che vengono ben preparati nelle cose della fede prima di contrare il matrimonio. Interessante è la descrizione del giorno in cui si sposano. Dopo il matrimonio in chiesa, lo sposo va a casa sua e la sposa a casa sua. Soltanto alla sera, lo sposo va con la gente alla casa della sposa, per portarla da lui, in mezzo ai canti e alle danze. Segue poi il pranzo nuziale e a mezza notte tutti i commensali danno qualche soldo alla sposa, che offre loro "un miserabil fazoletto". Prima c'era un'altra abitudine che adesso è rimasta solo tra gli ortodossi (chiamati sempre scismatici, ma no con senso di ironia). Quando la sposa non era trovata vergine, era portata indietro a casa sua e qui i suoi "agiustavano le cose, ò con denari, o con bestiami e cosi poi la ripigliavano". Caso mai, se succede una tal cosa tra cattolici, lo sposo "la bastona fortemente, e vol sapere il complice, e poi per lo più vivono come cani, e ciò serve anhora ad avversi riguardo".

In mezzo alla loro grande povertà e a tante miserie, si osserva così come questa gente conserva un forte senso della morale, che è una prova anche della dignità della persona, conservata con tanta gelosia. E i trasgressori vengono puniti pubblicamente ad ammonimento per gli altri e per conservare intatta la comunità nei suoi principi, nelle sue regole di vita che non ammettono eccezioni.

 

4.2.3 Altri aspetti positivi e negativi nella pratica della fede negli ultimi tre decenni del secolo XVIII

Soprattutto dalle lettere dei prefetti Rocchi, Sassano e Brocani si possono scoprire altri aspetti nella pratica della fede, che ci aiutano a completare il nostro quadro sintetico sullandamento della vita cristiana tra i cattolici moldavi per questo fine secolo.

Già come semplice missionario e poi come prefetto, Rocchi si confronta con i soliti problemi e difficoltà, generati dall'instabilità di alcuni che erano costretti a cambiare posto in cerca di un padrone meno avido. Ma più di questo, erano le condizioni stesse della vita dura e povera, che non permettevano una pastorale organizzata, efficiente. Con tutto ciò, alcune forme di pietà e di manifestazione pubblica della propria fede sono già in atto durante la sua prefettura. Per esempio, nei loro villaggi, i cattolici erigono croci e più ancora, si fanno delle processioni lungo le strade, ed il popolo canta "ad alta voce". Nelle chiese, poi, il prefetto aveva introdotto il battistero, per ordine probabilmente della Propaganda e per l'avvento del 1792, in preparazione al Natale, Rocchi pensa di organizzare in tutte le parrocchie tre giorni di missioni popolari, con delle prediche, l'insegnamento catechetico, le confessioni e le comunioni, per le quali missioni chiede anche la facoltà di impartire l'indulgenza plenaria. Insomma, vuole introdurre anche in questa sperduta missione le usanze pastorali esistenti nel suo paese.

C'è in uso poi una pratica già da tanto tempo introdotta dai missionari, quella cioè dei biglietti pasquali. A tutti quelli che si confessavano per soddisfare il precetto pasquale, veniva rilasciato un biglietto che veniva ritirato dal sacerdote quando faceva la comunione. Questo metodo di numerare le persone che si confessano e si comunicano era adoperato non solo nel periodo pasquale, ma anche in occasione delle missioni popolari e delle visite pastorali del prefetto. C'erano tanti fedeli che si confessavano e si comunicavano durante queste missioni popolari, oppure quando il prefetto veniva per la visita pastorale, però per Pasqua questi non si confessavano e non facevano più la comunione, considerando che era sufficiente la confessione e comunione fatte in precedenza. Per tutti questi, Rocchi chiede nel 1794 alla Propaganda che dichiarasse tutto questo come adempimento del precetto pasquale, altrimenti tanti sarebbero caduti in un peccato grave contro un precetto della Chiesa. Si può dedurre facilmente che i suoi fedeli non erano proprio un esempio di zelanti praticanti. Per esempio, quando inizia la sua visita pastorale a Grozesti nella primavera di quest'anno, arrivando nella filiale di Trotus, deve passare oltre perché la chiesa e quasi vuota, essendo i fedeli troppo indaffarati con i lavori sui campi. Nella sua sollecitudine pastorale, Rocchi chiede nel 1793 alla Propaganda il permesso di introdurre in varie chiese la via crucis, essendo stato richiesto di questo.

 

a) I "bîlci" (festa del titolare)

Restando a quello che ci dicono i documenti, possiamo affermare che le superstizioni e le usanze non gradite dai missionari sono poche, ma molto radicate nel popolo. Ma oltre a queste, verso la fine del secolo i documenti cominciano a parlare di una festa di cui non avevano mai accennato prima, cioè del "bîlci", oppure festa del titolare della comunità, come anche della chiesa, tanto gradita e amata dal popolo, ma non vista di buon occhio dai missionari. Senza il suo permesso, nei villaggi privi di chiesa, il prefetto vietò tali feste. Nei villaggi con chiesa, la festa era permessa solo per gli abitanti del villaggio, essendo esclusi i fedeli dei paesi vicini. Però, il popolo, ricordandosi delle abitudini transilvane, prendeva le croci e gli stendardi e senza badare tanto agli ammonimenti dei preti si incamminava verso il villaggio dove c'era la festa, per partecipare alla messa e guadagnarsi l'indulgenza plenaria. Oltre all'aspetto religioso, come è da aspettarsi, la gente doveva anche divertirsi, soprattutto i giovani, e questo aspetto i missionari non potevano accettarlo, e dobbiamo dire che, siccome la gente aveva poche possibilità di divertirsi e per dimenticare il peso quotidiano, per quali motivi era tanto legata a questa festa, la "lotta" dei missionari contro le esagerazioni che accadevano in tale circostanza sarà lunga e con pochi risultati.

Questi usi ed abusi, cioè i matrimoni misti o i concubinati e adulteri che succedevano a Iasi, i "praznic" che si facevano dopo il funerale, gli eccessi in occasione dei "bîlci", certe superstizioni e credenze popolari, la pratica non regolare ai sacramenti, soprattutto della confessione, ecco i grossi problemi con cui si confrontavano i prefetti e i missionari anche agli inizi del XIXo secolo.

Ma a parte questi aspetti che in fin dei conti, consideriamo noi, non rappresentavano proprio una tragedia oppure una grave minaccia per il buon andamento della missione, la gente si mostrava attenta agli insegnamenti dei missionari e disposta a vivere come buoni cattolici. Dalle lettere soprattutto di Rocchi si può osservare questa loro capacità di ascolto e di ubbidienza ai missionari, il loro attaccamento e fedeltà alla chiesa.

Daltra parte non si può negare o passare sotto silenzio il fatto che la vita di questi poveri cattolici dipendeva completamente dal loro pezzo di terra, dalle stagioni, favorevoli o no e per questo motivo non andavano tanto spesso in chiesa. E poi, se non erano tanto praticanti, unaltro motivo è che finadesso, date le circostanze politiche (le frequenti guerre e scorrerie) come anche linsufficiente numero dei missionari, essi non avevano avuto lopportunità di essere catechizzati in misura sufficiente e conoscevano solo alcuni aspetti fondamentali della fede e qualche preghiera insegnata loro dai missionari, spesso di sfuggita in quanto avevano tante comunità da gestire, oppure dai "dascali". E i conventuali, per altro non troppo esigenti con i loro fedeli, capivano tutto questo, amavano il loro gregge, portando avanti così un legame spirituale e di amicizia tra pastori e fedeli che rimase molto forte fino anche ai nostri giorni, soprattutto nei paesi compatti cattolici.

In breve, dalla lettura dei documenti, questi sarebbero i "tratti" fondamentali della vita interna delle comunità cattoliche nel 700 e pensiamo che siano quasi sufficienti per capire questa missione moldava che, a partire dalla seconda metà del secolo, conobbe un costante processo di crescita e di maturazione. Quello che abbiamo voluto trovare nei documenti e non labbiamo trovato, è unanalisi più profonda e matura dellanima e della vita di questi cattolici, una inquadratura più completa della minoranza cattolica in mezzo ad una maggioranza ortodossa e in una Moldavia così travagliata dalle guerre, dallinstabilità politica e dal giogo ottomano. Però, tutto questo è spiegabile; i poveri e semplici missionari conventuali, nelle loro lettere e relazioni sullo stato della missione si limitavano alle cose essenziali ed interne alla missione e così non hanno saputo informarci di più, per cui non ci rimane altro da fare che accontentarci con quello che si trova nei loro scritti.

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