GLI ULTIMI PREFETTI DEL SECOLO XVIII 

 

3.9 Fedele Rocchi (1784-1795)

 

Il 4 marzo 1784, Fedele Rocchi da Fanano, provincia di Modena, venne nominato prefetto per la missione moldava. Aveva già lavorato come missionario 13 anni in Bulgaria e aveva sollecitato il vescovato di Nicopoli, ma la Propaganda prese decisioni diverse. Siccome, rispetto ad altre prefetture, sulla sua prefettura abbiamo il più grande numero di documenti (non tutti di grande importanza), possiamo permetterci una presentazione più dettagliata della sua attività e della missione in generale, e non solo per la ricchezza dei documenti, ma piuttosto perché lo sviluppo della missione era molto più forte in quel momento che nel passato. La nomina come prefetto lo trovò a Bologna e subito si incamminò per la Moldavia. Però, si fermò prima in Valacchia, a Bucarest, aspettando nuove disposizioni dalla Propaganda; qui era in buoni rapporti con il principe Nicola Caragià, come lo era stato anche con il suo antecessore, Alessandro Ipsilanti. Il 2 ottobre 1784 arrivò a Iasi, e si mise subito al lavoro; in primo luogo, c'erano i lavori per la costruzione della nuova chiesa, iniziati con tanti sacrifici dal suo antecessore. Il 15 agosto 1789, malgrado non fosse terminata completamente (non c'era il campanile), fu benedetta la chiesa di Iasi, una grande realizzazione della sua prefettura. Poco dopo, il principe russo Potemkin, volle assistere nella nuova chiesa ad una messa solenne, con musica composta dal maestro Giuseppe Carta, presente in persona a questa messa, in cui tutti, missionari e ufficialità vollero sentire, anche se in proporzioni così ridotte il sacro profumo delle grandi messe occidentali. Dopo alcuni anni, nel 1794, il prefetto cominciò a radunare il materiale per costruire il campanile.

Nel 1788, senza tener conto dei diritti ottenuti dalla Santa Sede, il vescovo Karwosiecki minacciò Rocchi con delle censure nel caso in cui avesse amministrato la cresima. Scoraggiato, il prefetto voleva rinunciare a tutto e tornare in Italia; ma la Propaganda lo riconfermò in carica il 18 marzo dell'anno seguente. All'inizio di quest'anno, Rocchi visitò la missione, ma solo le grandi comunità, e trovò tutto "in buon'ordine, e li Popoli ben serviti". C'erano adesso anche due padri ungheresi, "o per meglio dire transilvani" Bialis e Posoni, oltre a Francesco Castellani che "parla ungherese meglio, che il Moldovano"; questa sua familiarità con la lingua ungherese viene spesso espressa nei documenti. Nel 1792, Castellani è già da un po di anni parroco a Husi, il popolo era molto contento di lui, ed egli voleva rimanere li fino alla morte. Caso raro, perché la maggioranza dei missionari dopo il solito novennio desideravano rimpatriare. Gli altri missionari non parlavano ungherese, "ma sono capaci di confessare", per cui, così spera il prefetto, non saranno più ricorsi contro di loro.

Comunque, il prefetto è contento dellattività dei suoi missionari e negli anni 1787 e 1788, rispondendo alle accuse del vescovo transilvano Ignazio Batthyani che i cattolici moldavi sono trascurati spiritualmente, perché i missionari non sanno l'ungherese, Rocchi nega decisamente tale affermazione. Nelle domeniche e feste, prima della messa in tutte le comunità dove c'è la chiesa, prima della messa il cantore, accompagnato dal popolo, recita ad alta voce le principali preghiere e alcuni brani fondamentali (domanda e risposta) del catechismo tridentino. Dopo il vangelo, c'è l'omelia, cioè una spiegazione del testo sacro, qualcosa dal catechismo e un insegnamento, un'esortazione morale, per vivere come buoni cattolici in mezzo agli ortodossi, rispettando i comandamenti di Dio e quelli della Chiesa.

 

3.9.1 La vita e l'attività dei missionari

 

a) I missionari in difficoltà

In quanto ai missionari, da quello che si ricava dalle lettere di Rocchi, si può dire che la maggioranza di essi facevano il loro dovere. Il popolo era molto contento e per molti di loro, quando il prefetto veniva a visitare le comunità, la gente chiedeva insistentemente di non trasferirli ad altre parrocchie. Così è successo con Sassano e Maffei, per i quali i parrocchiani chiesero ad alta voce che fossero lasciati sul posto. C'erano però anche di quelli che venivano meno ai loro doveri e il prefetto non passa sotto silenzio il loro caso. L'abbate Lockman trovava troppo faticoso il lavoro apostolico, per cui nel 1792 partì per Varsavia a trovare un suo fratello. Anteriormente, Rocchi aveva chiesto il suo aiuto nella missione e Lokman gli aveva risposto che "la di lui tenera età, e complessione non li permettevano di andare in villaggi a fatiche, che non puol portare". Fra non molti anni, Lokman farrà carriera in qualità di segretario del nunzio Litta a San Pietroburgo. La povera missione della Moldavia non era per lui; si sentiva chiamato per cariche più alte.

Molto più grave era il caso di un sacerdote ungherese, parroco a Grozesti. Nel 1790, in questa parrocchia, il missionario Tommaso Posoni teneva nella residenza una donna transilvana e la gente del posto era scandalizzata. Rocchi cacciò via la donna, e rimproverò duramente il padre per il suo comportamento. Posoni, però, non diede ascolto agli ammonimenti del prefetto, che vuole lavare il scandalo "a lagrime di sangue", e la riportò in canonica. Verso la fine del 1791, con vari interventi, il prefetto riuscì con l'aiuto del braccio secolare a mandar via il Posoni e così si chiuse questo caso doloroso. Posoni, però, pensava di tornare in Moldavia e si stabilì nel passo di Oituz, vicino alla sua ex-parrocchia, aspettando l'occasione propizia per tornare al vecchio posto, ma non gli riuscì.

Come viene attestato da tanti documenti del tempo, il passo di Oituz era il più adatto per il passaggio dalla Moldavia in Transilvania e viceversa e si intende che su questa strada si erano incamminati i cattolici transilvani ai tempi di Cambioli per stabilirsi nella sua missione.

Al posto di Posoni venne nominato Martino Vignoli, ma l'anno seguente, dopo la visita pastorale nel mese di aprile, prima di Pasqua, il prefetto dirà su di lui parole pesanti. Sembrava che questa parrocchia fosse destinata ad avere solo dei parroci capaci di creare difficoltà. Da quando era arrivato nella missione, nel 1787, fin'adesso, sempre si sono sentite lamentele a causa della sua avarizia e del modo duro di comportarsi con la gente. Siccome era stato già ammonito e non si vedeva alcun cambiamento, il prefetto gli aveva promesso "l'obbedienza" per l'anno successivo, cioè il ritorno il Italia, mentre al suo posto pensava di mandare Stefano Bialis, parroco a Sabaoani. Siccome non era in buone relazioni con il prefetto, Vignoli voleva andare a Costantinopoli, perché li, aggiunge con un po di malizia (giustificata) il prefetto, non avrebbe avuto da fare con "poveri villani, nè con sembria, stola e Croci". Però, dopo pochi mesi Vignoli si trovò a Iasi, perché ammalato e poi parti per curarsi nelle acque termali della Moldavia. Dietro questa malattia si poteva nascondere un problema del tutto diverso. È probabile che il prefetto lo avesse chiamato per verificare se erano vere o false le voci che circolavano intorno ad una sua relazione con una donna non sposata che l'anno precedente Vignoli aveva assunto nella canonica di Grozesti per lavori domestici. Nel 1792, Vignoli fu trasferito a Valea Seaca e la donna lo segui anche in quella parrocchia. Nel settembre dello stesso anno, egli fu di nuovo trasferito a Sabaoani, per sostituire il giovane missionario Longhi, arrivato da poco nella missione. Nel frattempo, la donna partorì e incolpò il Vignoli. Per far passare sotto silenzio il caso, il prefetto s'incaricò di pagare le spese per la donna perche andasse in un luogo sconosciuto, dato che il popolo già era a conoscenza del caso ed era scandalizzato, mentre il missionario avrebbe dovuto lasciare la missione per andare a Nicopoli oppure a Costantinopoli. Prima di prendere una tale decisione, il prefetto considerò opportuno di indagare più in profondità e così incaricò tre padri perché si interessassero del caso. Questi scoprono che la donna aveva avuto una relazione con un laico, da cui aveva probabilmente avuto il bambino. Per questo motivo, in una lettera del marzo 1793, Rocchi dice che tiene Vignoli sotto controllo a Iasi, in quanto non ci sarebbero prove convincenti per incriminarlo di questo grave reato. Nell'agosto dello stesso anno, egli si trovava ancora a Iasi, e il prefetto lo custodiva a letto, dove egli giaceva con una malattia del paese, la febbre, che ogni anno si faceva sentire e non raramente faceva delle vittime. Un'altro motivo della sua presenza a Iasi tuttavia possiamo intuirlo da una lettera di Vincenzo Gatt del 1799. Vignoli sapeva un po di tedesco, e così si rendeva utile per i tedeschi della capitale.

Se c'erano alcune difficoltà e problemi interni causati da alcuni missionari, si deve anche dire che di difficoltà ne creava anche il procuratore delle missioni che non manda un numero sufficiente di missionari; possiamo aggiungere qui anche le lamentele così frequenti dei prefetti per il fatto che non rare volte la Propaganda inviava in ritardo e non a tutti "il solito sussidio", cioè la piccola somma di scudi (25 all'anno), che aiutava i missionari a vivere per un certo periodo con un minimo di comodità.

 

b) Rocchi in buoni rapporti con le autorità politiche

Rocchi era in buone relazioni con il principe Alessandro Ipsilanti, che nel 1788 lo inviò a Cernauti, con delle informazioni politiche per l'agente austriaco von Metzburg, e poi nella Valacchia con lo stesso scopo. Finita la guerra tra Austria e Turchia, Rocchi partecipò al congresso di pace tenutosi a Iasi nel 1792 difendendo la causa dei suoi cattolici, e con risultati molto positivi. Nello stesso anno Rocchi scrisse alla Propaganda che la diocesi è "così miserabile, che non ha un bajocco per il mantenimento del suo Vesc.o". In quest'anno, Rocchi riceve l'incarico dalla Propaganda di indagare su come fosse avvenuta nel passato la nomina del vescovo di Bacau da parte del re polacco. Il prefetto considera che adesso sarebbe una buona occasione per la Santa Sede di prendere in mano la nomina dei vescovi per la Moldavia, ma sembra che la Propaganda dubitasse che le parti interessate, cioè la Polonia in primo luogo, sarebbe stata disposta a lasciarsi sfuggire un diritto che godeva da secoli.

I suoi buoni rapporti con i russi gli fanno sperare in una protezione russa per i cattolici moldavi presso la Sublime Porta, ma come al solito, a Costantinopoli i pochi cattolici della sua missione non avevano nessun peso nella bilancia degli interessi.

In gran parte, la guerra durata quattro anni tra la Turchia e la Russia si combatté sul territorio della Moldavia. In questo periodo, Rocchi ottenne dal comandante turco che i cattolici e le loro chiese fossero risparmiate da qualsiasi pericolo e danno, del quale fatto la Propaganda rimase molto contenta. È vero che i turchi non bruciarono le chiese; però, in molte di esse "tenevano li cavalli, dormivano, e facevano fuoco avvanti l'altare", malgrado il comandante turco avesse giurato "toccandosi la Barba" di non molestare i cattolici e di non fare alcun male alle loro chiese. Nel congresso di pace che si tenne a Iasi nel gennaio 1792, Rocchi mise tutto il suo talento e non risparmiò alcuno sforzo perché i suoi cattolici fossero rispettati e fossero protetti i loro diritti.

Rocchi si impegnò poi per provvedere al buon andamento della missione, insistendo presso i suoi superiori perché mandassero dei missionari, coordinando la loro attività, amministrando la cresima e visitando spesso la missione. Da Pio VI aveva ricevuto la facoltà di impartire la benedizione papale dopo la visita canonica delle parrocchie. Aveva fissato per i cattolici moldavi il tempo del precetto pasquale, dalla prima domenica di Quaresima alla prima domenica dopo Pentecoste e nell'ultimo anno come prefetto aveva stabilito di nuovo i diritti di stola, non riuscendo, però, a far sparire i conflitti che qualche volta nascevano su quest'argomento tra parroci e parrocchiani. Con tutto il suo impegno nell'attività pastorale, con tutto il riconoscimento positivo del suo lavoro da parte della Propaganda e delle autorità locali, Rocchi chiese spesso di essere esonerato dal suo incarico e questo a causa dei suoi oppositori, i filoungheresi, come anche a causa della sua malferma salute e dell'età e ogni volta che chiedeva il proprio esonero, proponeva come successore Michele Sassano.

 

3.9.2 Di nuovo il problema dei cattolici bilingui; il nazionalismo ungherese

Riguardo ai filoungheresi, si deve dire che Rocchi non era uno che ignorava le necessità spirituali delle comunità dove si parlava piuttosto ungherese che romeno. Per esempio, visitando nel 1790 la comunità di Faraoani, la comunità più grande della missione, composta di 500 famiglie, permise al parroco Angelo Cantone di rimanere ancora nella comunità "con patto, e condizione, che impari la lingua Ungarese". Anche nella comunità di Sabaoani si parlava ungherese, ma qui c'era già il padre ungherese Stefano Bialis, molto bravo e amato dal popolo, per cui non c'erano lamentele da parte del popolo, che lo sentiva parlare nella sua lingua. Pochi anni prima il popolo era abbastanza "superbo" e indifferente nella fede, ma lo zelo apostolico del missionario e le disgrazie arrecate dalla guerra lo avevano reso assai docile e zelante; molti partecipavano anche ai vespri domenicali e festivi, cosa che succedeva raramente nelle altre comunità.

Ricordiamo qui che fino a questa data (1791), per quanto ci risulta dai documenti, le comunità dove si parlava maggiormente ungherese erano solo quattro: Faraoani, Grozesti, Trotus e Sabaoani, se dobbiamo dare retta alla supplica dei fedeli di queste comunità, che nel 1778 chiedevano alla Propaganda dei missionari che sapessero la loro lingua ungherese. Aggiungiamo a queste comunità anche Cleja, per la quale all'inizio del 1793 Rocchi aveva scritto che avrebbe inviato il padre Castellani, perché parlava molto bene l'ungherese. Siccome in tutte queste comunità anche il prefetto Rocchi constatava la necessità della lingua ungherese, crediamo che questa lingua fosse veramente necessaria e la supplica dei fedeli avesse una motivazione alquanto valida. Nel 1792, Rocchi ci dice che la maggioranza dei cattolici di Grozesti erano siculi che non sapevano la lingua romena, per cui erano in pericolo di restare privi nei loro bisogni spirituali se non ci fosse qui un missionario della loro lingua. In più, aggiunge il prefetto, data la vicinanza con la Transilvania, questi avevano dei rapporti molto frequenti con questa provincia.

Nel 1799, Vicenzo Gatt, futuro prefetto, ci dice che in Moldavia "la linuga puram.te Ungara si restringe per pochi Siguli instabili e giranduloni". Rocchi aveva affermato prima che la maggioranza dei cattolici di Grozesti non conoscevano il romeno. Gatt invece dice che sono pochi quei siculi che parlavano solo la loro lingua. Crediamo che la verità sta in mezzo. Cioè, a Grozesti erano questi siculi instabili, che non erano fissi né in Transilvania, né in Moldavia e che non sapevano la lingua romena. Ritornando alla testimonianza di Rocchi del 1792, egli parla del missionario Bialis, che era stato appena trasferito da Sabaoani a Valea Seaca, e conferma di nuovo la necessità della lingua ungherese a Sabaoani e probabilmente anche a Valea Seaca: "Sempre dirò, e proverò che colla lingua Moldavana frà gl'Ungari poco profitto si fà". Alla fine del 1792, Bialis si trovava a Grozesti e il prefetto, arrivato per la visita pastorale, lo trovò "confinato nel letto a cagione della sua podagra". Il fatto dispiacque tanto a Rocchi, in quanto aveva l'intenzione di portarlo con se in tutta la missione per farlo predicare in ungherese. Però, siccome la gente comprendeva anche il romeno, la sua mancanza venne supplita da lui e dagli altri missionari.

Il fatto conferma ancora una volta la dichiarazione ferma e decisa di Rocchi, fatta pochi mesi prima, che era "falsissimo" credere che in Moldavia sono villaggi interi di cattolici che parlano e capiscono solo l'ungherese. La realtà delle due lingue parlate dalla gente cattolica venne attestata di nuovo dallo stesso Gatt: "Benché la maggior parte del popolo parla la lingua Ungara, parla altresì la lingua della Provincia, e come si deve".

Con tutto ciò, dalla Transilvania si facevano pressioni tanto a Roma, come anche presso altre autorità ecclesiastiche e civili per avere la possibilità di mandare in Moldavia più missionari ungheresi, in quanto, affermava il vescovo di Alba Iulia, Batthyani, i cattolici moldavi erano ungheresi e perdevano la fede per la mancanza di missionari della loro lingua. In una lettera del 29 ottobre (st.v.) del 1792, Rocchi scriveva alla Propaganda che "è falso falsisimo darsi in Moldavia intieri villaggi d'Ungari che ignorino la lingua Moldava". Poi, si sapeva che molti di loro vivevano da secoli in Moldavia e che avevano imparato bene la lingua del paese. C'erano anche di quelli che non sapevano il romeno, i siculi della diocesi del vescovo Batthyani, ma su questi Rocchi aveva da dire cose molto pesanti. Erano "infami, scandalosi, traditori", perché molti di loro avevano una moglie in Transilvania e un'altra in Moldavia. Però, i missionari si erano dati da fare per rimandare molti di loro nelle loro terre. E il vescovo di Alba Iulia avrebbe dovuto preoccuparsi dei suoi fedeli e togliersi il pensiero di prendere sotto la propria giurisdizione anche i cattolici moldavi, perché qui c'erano i missionari italiani e i loro cattolici erano spiritualmente ben assistiti, e in caso di necessità tutti i missionari potevano confessare anche in ungherese. In più, i missionari avevano convertito molti luterani e calvinisti, un fatto che non era stato presentato a Roma, ma che veniva attestato dai registri parrocchiali. In quanto alla fede, i luterani erano meno attaccati alla loro chiesa, rispetto agli ortodossi e ai cattolici. Così erano anche in Transilvania, adesso sotto il dominio della corona cattolica austriaca, dove fra di loro e nei rapporti con altre religioni regnava una forte tolleranza.

Tornando alle richieste di Rocchi di essere esonerato dalla carica di prefetto, la Propaganda, come abbiamo già detto sopra, tenendo conto dei risultati tanto positivi del suo impegno, non gli da ascolto, e perciò il prefetto dovette rimanere in carica fino all'8 settembre 1795, cioè sino al termine della sua vita, quando morì in età di solo 54 anni nella residenza, a causa di tante fatiche, sofferenze e dell'epidemia che da poco era scoppiata nella città e venne sepolto nella chiesa di Iasi da lui costruita. Subito dopo la morte, l'agente austriaco Timoni elogiò la sua bontà, la sensibilità per i poveri, la sua vita esemplare.

 

3.10 Michele Sassano (1796-1799)

 

Dopo la morte di Rocchi, viene costituito come vice-prefetto Michele Sassano, napoletano, tante volte raccomandato dal predecessore come suo successore. Come prefetto, venne nominato il 14 giugno 1796, malgrado avesse voluto rimpatriare dopo undici anni di attività missionaria in queste terre. In agosto ringraziò la Propaganda per la nomina e presentò alcuni problemi, per esempio i debiti contratti per la costruzione della nuova chiesa di Iasi, cioè 9.300 piastre turche. I beni della missione di Iasi erano una vigna, probabilmente quella di Miroslava, una volta appartenente ai gesuiti e passata in proprietà dei conventuali dopo la loro soppressione nel 1773; poi due pezzi di terra, otto botteghe, un'osteria ed "alcune casete". Tutti questi beni servivano per il mantenimento del personale (prefetto, l'altro missionario, i servi e qualche sacerdote di passaggio), della residenza e della chiesa. Però, non si riusciva mai a coprire tutti i debiti e Sassano chiese il permesso di vendere alcune vigne che la missione di Iasi possedeva e che producevano poco denaro.

Nella stessa lettera parlava anche dell'elezione di un nuovo vescovo di Bacau, Schanoviky, da parte del re polacco Stefano Augusto. Però, Roma o non aveva saputo di questa nomina, oppure aveva pensato più opportuno di non confermarla, per non entrare in conflitto con altre due potenze che volevano interferire sugli interessi dei cattolici moldavi e cioè l'Austria e la Russia, pur riconoscendo l'opportunità della protezione russa, che accanto all'Austria, aveva partecipato all'indebolimento (la spartizione) della Polonia nel 1795. Dall'altra parte, l'Austria, che aveva occupato il nord del vescovato di Bacau, la Bucovina, pretendeva anche essa un certo diritto alla nomina del vescovo di Bacau. Però, Roma adottò la tattica classica, di ritardare le cose, finché non troverà la soluzione migliore; e si dovrà aspettare fino alla nomina di Carenzi, nel 1808. In quel momento, tutto rimase come prima, cioè senza vescovo, malgrado Sassano già si preoccupasse del caso e si interrogasse come dovessi comportare con il nuovo eletto. Però, dopo qualche tempo si chiariscono le cose e nel 1799, Sassano sapeva benissimo che la sede di Bacau era vacante dalla morte di Karwosiecki già da dieci anni. Per supplire alla mancanza del vescovo, già da così lungo tempo, la Propaganda aveva concesso ai prefetti, come vicari generali del vescovo, tutte quelle facoltà necessarie per un buon andamento della missione, come la consacrazione dei calici, la benedizione delle pietre sacre per l'altare, l'impartire la cresima (quest'ultima facoltà venne esercitata effettivamente dai prefetti dopo la morte di Karwosiecki nel 1789), ecc.

Non si deve poi dimenticare che i missionari erano obbligati a prestare obbedienza sempre e in tutto al loro prefetto. E Sassano, come anche i suoi antecessori, sarà sensibile ai loro bisogni, chiedendo alla Propaganda "il solito sussidio", cioè i pochi scudi che venivano loro mandati raramente, i vestiari, messali, rituali, ecc. Poi, era stata concessa la facoltà di impartire la benedizione papale durante la visita canonica, già a Rocchi, estesa poi ai suoi successori.

Nella missione, che alla fine del secolo numerava oltre 14.000 fedeli, divisi in nove parrocchie, Sassano aveva iniziato la sua prefettura con 9 missionari, numero cioè insufficiente, e così le parrocchie di Cleja e Rachiteni rimasero senza parroco, come pure la nuova parrocchia al nord, per i polacchi, Cogiasca. Per la chiesa di Iasi, chiese qualcosa di nuovo e cioè un religioso organista. La bellezza della nuova chiesa e l'organo gli fanno pensare all'utilità di un organista, per accompagnare delle messe solenni con musica di alto livello e per dilettare le orecchie dei rappresentanti delle grandi potenze. Ma oltre a ciò, specialmente nella capitale, il prefetto si confrontò con il vecchio problema dei matrimoni misti. Siccome c'erano anche casi in cui non si voleva aspettare la dispensa, le coppie andavano in Transilvania, dove c'era una grande tolleranza. Qui venivano unite in matrimonio con facilità, alle volte anche da ministri acattolici. Poi ritornavano in Moldavia, sposati, e così erano motivo di scandalo per i cattolici. Per questo motivo, il prefetto chiese di essere munito delle dovute facoltà, per porre fine a questi casi.

 

3.10.1 I missionari

I missionari che lavoravano in Moldavia a questo fine secolo erano: Giuseppe Borioli da Piacenza (era arrivato per la seconda volta nel 1794), Luigi Maffei da Ferrara (1779), Placido Porcelli (1779), l'ungherese Stefano Bialis (1784), Fedele Rocchi da Fanano (1784), Michele Sassano da Napoli (1785), Francesco Castellani dalle Marche (1786), Angelo Cantone da Torino (1786), Martino Vignoli da Torino (1787), l'ungherese Tommaso Posoni (1788), Vincenzo Gatt da Malta (1790), il polacco "vecchiarello" Ambrosio Wolski (1790), Francesco Longhi da Benevento (1791), Giuseppe Berardi da Ravenna (1791), Remigio Silvestri da Bologna (1791), Domenico Brocani dalle Marche (1794), Luigi Landi da Bologna (1794), Giovanni Barbieri da Bologna (1796); per tutti l'anno tra parentesi è quello dell'arrivo nella missione. Nel 1794, Bialis si trovava così bene nella missione, che chiese di rimanere un'altro novennio. Un'altro che si era ambientato benissimo nella missione fu Castellani che a Cleja si dette da fare per finire i lavori della nuova chiesa e pensava alla costruzione della canonica. Angelo Cantone era continuamente di salute cagionevole e desidera rimpatriare, nella speranza di riprendersi meglio con l'aria nativa; in Moldavia aveva fatto del suo meglio. Adesso, Rocchi parla anche di Borioli, la cui memoria era ancora viva nella missione, come uno che, insieme ai padri Minotto e Montaldi, faceva parte del gruppo che ha "complottato" contro il prefetto Martinotti, del quale lui invece aveva un'ottima idea. Egli non aveva conosciuto Borioli, però sapeva che era stato cacciato dal principe Moruzzi.

 

a) L'attività missionaria e la lingua romena

Quando arrivavano nella missione, i missionari passavano di solito un breve periodo di tempo a Iasi, vicino al prefetto, oppure presso qualche missionario arrivato prima e questo per imparare da loro le consuetudini del posto e la lingua, dato che in Italia non imparavano prima il romeno, malgrado nel convento missionario di Assisi parecchie volte si sia parlato di un corso stabile e serio di lingua romena per i missionari, prima di andare in missione. Ma, data l'affinità delle lingue, come anche la trascuratezza delle autorità responsabili, non si è mai riuscito ad attuare un tale progetto. Però, i missionari, arrivati in Moldavia, riuscivano in breve tempo a dialogare con la gente. Per esempio, Remigio Silvestri, arrivato in missione verso la fine del 1791, si fermò prima a Iasi e il prefetto "li feci coppiare, ed imparare la grammatica", e il missionario "si aplica sempre più per impararla a fondo". Però, non gli fu concesso tanto tempo per imparare la lingua, perché dovette andare presto a Valea Seaca, da dove doveva curare anche la parrocchia di Faraoani, perché il padre Angelo Cantone, era "già agonizante", malgrado nel 1793 si trovasse a Sabaoani, ripreso abbastanza dalla sua malattia, mentre dopo Pasqua Rocchi pensò di trovargli una parrocchia meno impegnativa.

A Halaucesti, invece, il maltese Vincenzo Gatt si interessa poco per imparare il romeno. All'inizio di febbraio 1796, Gatt chiese alla Propaganda il permesso di lasciare la missione, sia perché non si era tanto ambientato, e inoltre, perché, data l'età, non si sentiva più in grado di affrontare le difficoltà della missione, e soprattutto la peste che devastava il paese. Nel 1799, lo stesso Gatt afferma che tutti i missionari sanno bene il romeno, ma questa la imparano col tempo sul posto, e non prima. Era una carenza continua e non conosciamo nessun caso di qualche missionario, che prima di venire in Moldavia, abbia imparato qualcosa del romeno in Italia o altrove. Il più delle volte, i nuovi arrivati si fermavano a Iasi, presso il prefetto, dove, come Silvestri, facevano un breve noviziato sulla lingua e prendevano anche un contatto più serio con il rituale romano, per imparare meglio ad amministrare i sacramenti, essendo questa, oltre il celebrare la messa, la loro principale attività. Tornando a Silvestri e al suo apostolato, Rocchi racconta un fatto che ci fa capire meglio le difficoltà del lavoro pastorale dei missionari: dovendo Silvestri attraversare il fiume Bistrita, il carro cade nel fiume insieme al missionario; per fortuna, la corrente lo portò ad un albero da dove viene salvato dal cantore.

Oltre al Posoni e il Vignoli, tutti gli altri missionari erano delle brave persone sulle quali il prefetto non aveva da dire niente di grave. Abbiamo visto come per Sassano e Maffei il popolo di Tamaseni e Calugara aveva chiesto ad alta voce di lasciarli sul posto. Nel 1794, Rocchi parla di altri di loro: "Il P. Stefano Bialij terminò il corso dei 9 anni, e desidera il Decreto p. il s.do novenio, e lo merita, ed è necessario, perchè affatica come si deve". L'anno seguente, Bialis è a Grozesti, e il popolo si solleva contro di lui "per esser troppo rigoroso", così come è stato anche a Sabaoani. Però, Rocchi pensava che questa gente sicula, un po disobbediente e di dura cervice meritava proprio un tale pastore. E non è l'unico caso in cui le comunità dove si parla di più l'ungherese vogliono un missionario della loro lingua. Ma siccome questi erano più esigenti degli italiani, la comunità non lo voleva più e si rivolgeva al prefetto per avere un missionario italiano, cioè meno esigente, lasciando perdere l'argomento della lingua. Nel 1796, Bialis era ammalato e il prefetto chiese per lui il permesso di tornare in patria. Due anni dopo, egli non era più in Moldavia e a Grozesti si trovava Luigi Maffei. Il padre Francesco Castellani era da otto anni nella missione, e si trovava qui come se fosse a casa sua. Angelo Cantone fù gravemente ammalato, poi si riprese; lavorò ancora e anche lui, come Castellani, chiese la dispensa di un anno che mancava al novennio, e il decreto di laurea. Il padre Sassano, malgrado avesse passato per il decimo anno nella missione, non aveva ricevuto il decreto di laurea. Nello stesso anno parla anche di Vignoli che era parroco a Valea Seaca, e il prefetto sembra contento della sua attività e del suo comportamento. Però, se per Castellani e Bialis, Rocchi chiese oltre al decreto di laurea, anche quello per un altro novennio, per Vignoli chiese il decreto di rimpatriare. Ma due anni dopo, nel 1796, Vignoli chiese dall'Italia alla Propaganda di confermarlo per un altro novennio per la missione moldava, però, la Propaganda non accettò la sua richiesta; del resto, in quest'anno anche Sassano lo presenta in una luce poco positiva.

Cantone si era rimpatriato, ma a caro prezzo. In Moldavia si era ammalato e tornato a casa, oltre alle sofferenze fisiche, soffriva anche moralmente per non essere riuscito a farsi eleggere prefetto, come vedremo fra poco, durante la prefettura di Brocani. Il suo malcontento potrebbe essere l'unico motivo che lo ha spinto a mandare alla Propaganda un lungo scritto, non datato, sul prefetto e sui missionari: Nei suoi confratelli missionari non vedeva niente di buono e bello; tutto è dipinto in grigio e nero: la vita e l'attività di Rocchi e dei missionari. La dura vita nella Moldavia gli aveva costato la salute e così si sfoga con questo scritto che non può essere preso in considerazione, anche perché le gravi accuse, mancanze e reati dei missionari non vengono confermati da nessun altro documento. Alla fine del 1799, Barbieri, che aveva lavorato solo tre anni in Moldavia, chiese alla Propaganda il permesso di ritornare a Bologna. Non poteva adattarsi al clima e già sentiva i sintomi minacciosi della malattia e non voleva lasciare la pelle in queste parti.

Sarebbe interessante ed utile sapere di più sul come si trovavano i missionari dopo il rimpatrio; ci mancano però i documenti al riguardo. Ci possiamo fare solo un'idea. Come Rocchi, che spesso chiede di essere esonerato, non pochi altri nel passato aspettavano di finire il novennio e di ritornare in patria, dove potevano vivere più comodamente e tranquillamente nei loro conventi. L'11 ottobre 1796, morì a Iasi, assistito da Sassano, il vecchio Ambrosio Wolski (aveva 65 anni), che per sei anni si era curato dei suoi polacchi e degli armeni cattolici, mercanti di bestiame, malgrado per quest'ultimi non fosse stato tanto utile, in quanto cercavano più le chiese ortodosse che il missionario latino. Sassano chiese alla Propaganda un altro missionario per gli armeni cattolici, proponendo l'anziano Gaetano Krauski, che aveva già lavorato per nove anni in Moldavia. Ma probabilmente la sua richiesta non era stata esaudita, perché dopo due anni dovrà rifare ai cardinali la stessa domanda.

I missionari, specialmente quelli delle parrocchie più povere, venivano aiutati non regolarmente, come abbiamo già detto, dalla Propaganda, con una piccola somma di scudi annui. Era una somma insignificante e i padri si servivano anche dei pochi soldi delle tasse stolari, come anche delle decime e dei contributi benevoli della gente. Oltre alla missione di Iasi, nessun'altra parrocchia aveva alcun provento. Portavano sempre l'abito talare e vivevano da soli nelle loro residenze, aiutati qualche volta nei lavori domestici da alcuni giovani o altri uomini (non donne) della comunità; pensiamo che fosse un grosso problema per loro cucinarsi, lavarsi i vestiti, fare la pulizia, tenere in ordine la canonica, ecc., in quanto tutti questi lavori sono più adatti alle donne e perché il lavoro pastorale prendeva loro così tanto tempo, da non lasciare tempo sufficiente per risolvere tutti questi problemi. Oltre ai missionari Posoni e Vignoli, non conosciamo nessun'altro che abbia avuto delle perpetue per i servizi domestici della canonica. E se questi due avevano assunto delle donne per questi servizi, abbiamo già visto come era finita questa storia, cioè male. Per la loro vita esemplare e per la loro carità e scienza vengono "venerati e rispettati" dai cattolici e anche dagli ortodossi, essendo i loro sacerdoti, ma anche dall'alto clero "all'intutto ignoranti", afferma Sassano nella sua relazione.

 

b) La catechesi e i "dascali" (cantori)

Oltre al loro apostolato, chiamiamolo "sacramentario", che richiedeva loro di fare tutto quello che è previsto dal messale e dal rituale, data la loro non familiarità con la lingua locale, i missionari sentivano la necessità di essere aiutati nel lavoro pastorale catechistico da persone che conoscessero bene la lingua del posto, cioè la lingua romena e quella ungherese, o meglio dire, il dialetto ungherese csángók, parlato dalla maggioranza dei siculi arrivati nelle loro comunità, siculi pure loro chiamati "csángók", cioè meticci, in quanto non sono ungheresi puro sangue. Questo, pensiamo che sia stato il principale motivo per cui i missionari hanno incaricato degli uomini zelanti e praticanti la fede (i dascali) non solo a dirigere le preghiere prima della messa, ma anche ad insegnare al popolo la dottrina cristiana; un secondo motivo, altrettanto importante, sta nel fatto che i missionari erano pochi e le esigenze della pastorale molte.

L'insegnamento catechistico si faceva in preparazione ai sacramenti: battesimo, eucarestia, confermazione e matrimonio. Facciamo questa affermazione non tanto in base a delle informazioni precise tratte dai documenti del XVIIIo secolo, quanto in base ad una tradizione che si è prolungata fino ai nostri tempi. Però, date le circostanze del tempo, cioè il numero insufficiente dei missionari, ciò significando che a loro rimaneva poco tempo per una catechesi organizzata dei fedeli prima di ricevere questi sacramenti, crediamo che generalmente la catechesi si svolgeva in occasione della messa, essendo fatta o dal missionario, oppure dal "dascal", e consisteva nella recita comunitaria delle principali preghiere, dei comandamenti di Dio e della Chiesa e delle principali verità della fede. Poi, durante la predica o con altre occasioni (funerali, battesimi), il missionario insegnava e approfondiva altri aspetti e concetti della fede e della morale cattolica. Nonostante verso la fine del secolo XVIII, la vita della gente nei villaggi sia diventata più stabile, diminuendo il numero delle guerre e delle scorrerie dei tartari, però, la maggioranza del tempo i cattolici lo impegnavano nel lavorare i campi e nel curare i loro bestiami, per cui rimane ancora valida quel tipo di cura pastorale provvisoria e poco organizzata, descritta in poche parole dal prefetto Bossi già nel 1723: Spesso, ai missionari non rimaneva altro che "a fare il cacciatore, curando di cogliere l'ucello (il fedele n.n.) al volo".

Siccome abbiamo già visto le traduzioni abbreviate del catechismo tridentino fatte dai missionari Vito Piluzio (1677) e Silvestro D'Amelio (1719), possiamo dire che i "rudimenta fidei" venissero insegnati ai fedeli dai missionari e dai "dascali" verbalmente e cioè sotto forma di domanda e risposta, oppure durante la predica. I "dascali" insegnavano" i rudimenti della fede, per lo più in ungarese", "essendo la maggior parte de Cattolici ungari". Dal pulpito, prima delle funzioni liturgiche, i "dascali" leggono ad alta voce brani del catechismo di altri libri religiosi (contenenti le preghiere, devozioni, ecc), per lo più in ungherese. Però, "la lingua Moldovana è l'usuale", cioè la capivano tutti, tranne forse una parte della comunità di Grozesti e di Sabaoani (e forse anche persone delle comunità di Trotus, Faraoani e Cleja), dove per lo più avevano lavorato i missionari ungheresi Bialis, Posoni e Castellani. Ma siccome dopo di loro erano arrivati dei missionari non pratici di questa lingua, pensiamo che la gente comprendesse anche il romeno. Altrimenti non ha senso la presenza in queste comunità dei missionari che non sanno l'ungherese. Nel 1799, Sassano ci dice che tutti i missionari parlavano la lingua del paese, il romeno, perché, come lo avevano affermato tanti altri prima di lui, è facile per un italiano di impararlo, in quanto è una lingua neolatina. Per la lingua ungherese, c'era adesso solo il padre Castellani. Gli altri missionari ne conoscevano poche parole, per potersela cavare nel confessare qualche persona che non sapeva niente di romeno.

3.11 Vincenzo Gatt (1799-1802)

 

Questo era, in generale, lo stato della missione alla fine del secolo, quando questa aveva ancora come prefetto il Sassano, persona della quale possiamo dire che ha fatto in tutto il suo dovere oltre che come prefetto, anche come semplice missionario a Tamaseni e Adjudeni. Prima che scadesse il triennio di Sassano come prefetto, nel giugno, da Padova, il pro-prefetto della Propaganda, Stefano Borgia, il 12 marzo 1799 firmò il decreto di nomina come prefetto di Vincenzo Gatt, ex missionario in Oriente e poi in Moldavia, malgrado durante il breve periodo che fu qui si sia dato poco da fare per imparare la lingua del posto. Nella scelta della sua persona come prefetto influì notevolmente la corte imperiale di Vienna e fu così che il decreto e le solite istruzioni furono inviate con ritardo, tanto a Vienna, quanto anche in Moldavia, dove Sassano non sapeva niente e che il 25 marzo, come abbiamo già visto, mandò a Roma una sua relazione sulla missione, considerandosi ancora prefetto. Quando poi, gli arrivò la notizia sul nuovo prefetto, si mostrò contento e promise di aiutarlo in tutto, purché questi accettasse il suo aiuto. Già si intravedeva in questo il dubbio di Sassano sulla disponibilità di Gatt di accettare i suoi suggerimenti, e non si sbagliava. Da oltre un anno, Gatt non aveva risposto alle sue lettere e adesso non lo aveva avvertito della sua nomina, dei suoi progetti, quando pensava di incamminarsi per la Moldavia, ecc. Perciò, volendo evitare contrasti aperti con il nuovo prefetto, Sassano sperava che al più presto gli alleati avrebbero vinto Napoleone e riportato la pace in Italia, così egli avrebbe potuto tornare tranquillamente a Napoli.

A Vienna, Gatt riceve il decreto di nomina e pensa alla partenza. Però, prima di partire gli arriva una lettera da alcuni fedeli di Calugara, Sabaoani e Rachiteni, che si lamentavano dei missionari italiani e, indirettamente, anche di Sassano. Gatt, nella lettera di risposta alla Propaganda, aggiunge anche lui qualche accusa contro il prefetto, ma prende una posizione decisa contro i filoungheresi, che, dietro il motivo della necessità della lingua ungherese, volevano allontanare i missionari italiani e sottrarre la missione al controllo della Propaganda e metterla probabilmente sotto la giurisdizione del vescovo di Alba Iulia. Gatt si mostrò molto deciso contro tali progetti e chiese alla Propaganda le facoltà necessarie per porre rimedio una volta per sempre a questi tentativi dei filoungheresi. Egli era convinto che non erano i cattolici moldavi a chiedere con tanta insistenza dei missionari che sapessero l'ungherese, bensì, dietro le quinte, altre persone interessate a sottrarre la missione ai conventuali italiani. Infatti, quando arrivò in Moldavia, Gatt andò nei rispettivi tre villaggi, domandando alla gente per quale ragione avevano chiesto dei missionari ungheresi. La gente rispondeva di non sapere niente di una tale richiesta e le previsioni di Gatt trovarono conferma.

Essendo ancora a Vienna, Gatt stese la sua prima circolare ai missionari. In dieci punti brevi, sintetici e categorici ricordò ai suoi missionari i loro doveri, specialmente quello che riguardava la predicazione e l'insegnamento catechistico. Poi, quando giunse nella missione, nel novembre 1799, si mise a scrivere un'altrettanta chiara e categorica circolare ai fedeli, ordinando loro di pagare i diritti di stola ai missionari.

Nel mese di giugno, Gatt lasciò Vienna e si incamminò per la Moldavia, dove arrivò in piena estate. Incontrò Sassano a Tamaseni, dove questi si era ritirato a causa della peste, ma poco dopo entrambi si trovavano a Iasi. Sassano consegnò tutta l'amministrazione nelle mani del nuovo prefetto, contento di liberarsi di questo peso e di chiudere i conti con Gatt, con il quale ancora una volta non prevedeva dei buoni rapporti.

 

3.11.1 Gatt in conflitto con i missionari che lasciano la missione

Gatt era arrivato in Moldavia senza avvisare nessuno, considerando che non era obbligato a questo. Poi, non si era presentato al principe e alle principali autorità della capitale, così come già da secoli erano soliti a fare i prefetti. Invece si era subito recato per la missione, ove minacciare i missionari e a trasferirli secondo dei criteri che questi non capivano e non accettavano. In più, aveva permesso i "bîlci", la festa del titolare nei villaggi senza chiesa, contro la quale i missionari si erano sempre opposti.

Con Sassano non andava d'accordo perché credeva che non potesse offrirgli nessun utile consiglio o suggerimento. In questo clima teso, alcuni missionari chiesero subito il permesso di andar via. Barbieri disse di essere ammalato; Longhi chiese il decreto per la laurea e il permesso di andar via, non potendo sopportare il dispotismo di Gatt, e "la rovina" della missione. Sassano, pure, voleva rimpatriare, ma il prefetto affermò di essere disposto ad andare in una parrocchia e di lasciare l'ex-prefetto a Iasi, caso che non ci sembra vero. Nel mese di aprile 1800, Sassano lascerà la missione, addolorato e con il rammarico di non aver avuto dei buoni rapporti con Gatt e con la nostalgia dei posti dove aveva dato tutto di se stesso, nelle parrocchie di Tamaseni e Adjudeni. E anche come prefetto, come ci risulta dalle sue lettere, scritte poi con tanta cura ed eleganza stilistica, Sassano ha cercato sempre di essere "super partes" e di non voler altro che il bene delle anime e dei suoi missionari. Così dava l'addio alla missione uno dei grandi missionari di questo fine secolo, sempre elogiato dall'antecessore Rocchi, anche lui figura di rilievo della missione moldava. Gatt, invece si sentì contento della partenza di Sassano e sicome intuiva bene che i missionari stimavano di più Sassano, poteva finalmente affermare che era arrivata l'ora di sentirsi prefetto davvero.

 

Nel novembre dello stesso anno, 1800, lasciava la missione anche Longhi, dopo aver compiuto il novennio; anche lui aveva dei contrasti molto forti con il prefetto e aveva chiesto di lasciare la missione, cosa che glie era stata concessa. Arrivato a Vienna, egli scrive alla Propaganda di aver lasciato la missione non per motivi di salute o per l'età avanzata, come si era espresso in un altra sua lettera, ma perché non poteva più sopportare il modo di comportarsi del prefetto e le sue decisione affrettate e dispotiche. Però, al prefetto arrivò l'opportunità di prendersi la rivincita su Longhi. Gli capitò fra le mani una lettera nella quale Longhi tramava per essere eletto prefetto, essendo sicuro che Gatt non sarebbe arrivato a compiere il suo triennio. Gatt mandò la lettera alla Propaganda, aggiungendo anche che costui era già stato ammonito dal prefetto Rocchi per le sue grave mancanze, e per questo adesso era stato allontanato dalla missione. In questo modo, le possibilità di Longhi di tornare in Moldavia erano tutte sfumate.

Nel gennaio 1801, assistito da Landi, morì a Botosani il padre Castellani, un altro bravo missionario sulla cui vita e attività non abbiamo mai trovato alcunché da ridire. Anche il padre Barbieri, ammalato, si preparava a rientrare in patria, così che nelle parrocchie della zona di Roman rimaneva solo il Landi. Il padre Borioli, stava a letto, ammalato di apoplessia e non si poteva muoversi se non accompagnato da due persone e non si riprenderà più. Gatt chiese nuovi missionari, ma il procuratore delle missioni gli rispose che non era così facile trovarli, in quanto era chiuso il collegio missionario San Antonio di Assisi. Gli promette che si interesserà altrove, ma che bisognava aver pazienza.

Adesso, quattro missionari non c'erano più; uno, Castellani, era morto e tre erano andati via. Si avvertiva una grave crisi di sacerdoti per le comunità moldave che, secondo una breve relazione scritta da Gatt nel 1800, contavano circa 16.000 anime. Forse, temendo che a Roma potessero arrivare ancora altre informazioni riguardanti la tensione che esisteva tra il prefetto e i missionari, Gatt assicurò la Porpaganda che nella missione regnava la pace e la concordia.

 

3.11.2 Gatt e Silvestri in conflitto con i cattolici di Sabaoani e Tamaseni

Per supplire a questa crisi di missionari, Gatt lasciò Iasi e andò come parrocco a Sabaoani. Il suo segretario, invece, Silvestri, lo inviò a Tamaseni e così sperava di coprire almeno in parte le necessità pastorali di questa zona. Però, con il suo carattere impetuoso, Gatt si scontrò anche con la gente di queste comunità. E Silvestri, probabilmente, si era lasciato prendere dall'esempio e dal modo di fare del suo superiore. Le loro prediche, specialmente quelle di Gatt, erano piene di rimproveri e minacce, insistevano sempre sulle tasse che i fedeli dovevano pagare ai missionari, non avevano pazienza con gli ammalati, non predicavano bene in romeno, erano contrari ai "bîlci", ecc. In più, in queste comunità c'erano anche dei filoungheresi che non si dichiaravano affatto contenti dei missionari e volevano preti della loro lingua. Per risolvere il caso, essi volevano un altro prefetto, Luigi Landi, che avrebbe risolto tutti i loro problemi.

Dobbiamo precisare che tutte queste accuse venivano riferite alla Propaganda tramite il medico del vescovo ortodosso di Roman, Beniamino Costachi, cognato del principe Ipsilanti, con il quale il prefetto si era scontrato duramente poco prima; avevano litigato e Gatt gli aveva rivolto parole offensive. Per questo motivo, crediamo che le accuse abbiano trovato delle circostante attenuanti, essendo nota l'antipatia che il prelato ortodosso portava al padre Gatt. Costachi, oltre a non poter sopportare il prefetto, non poteva sopportare neanche i cattolici della sua zona. C'erano dei cattolici dimoranti sui suoi poderi; ebbene, a tutti questi il vescovo ordinò di lavorare nelle domeniche, di andare a caccia, ecc. In più, se qualche cattolico avesse apostato, avrebbe dovuto essere ribattezzato per entrare nell'ortodossia; infine, quando sarà metropolita a Iasi, farà tutto il possibile per impedire la permanenza del vescovo cattolico in questa città.

Comunque siano andate le cose, è certo che un gruppo di rappresentanti filoungheresi delle comunità di Tamaseni e Sabaoani si rivolsero due volte al tribunale del principe contro il loro prefetto. La risposta del tribunale fu semplice: Se non erano contenti del loro superiore e con altro missionario, potevano passare all'ortodossia e così tutto sarebbe risolto, e ci fu veramente il pericolo per alcuni gruppi di persone di cambiare fede, ma tutto fu risolto con l'intervento energico e molto prudente allo stesso tempo del missionario Landi.

Nel frattempo, Gatt e Silvestri furono costretti a lasciare questi villaggi e a tornare a Iasi. Nelle sopranominate comunità la tensione rimase, ma almeno fu scongiurato il pericolo che alcune famiglie passassero all'ortodossia, caso che avrebbe costituito uno scandalo ed un'occasione di altri grossi ed imprevedibili guai. Dopo la partenza di Gatt, il nuovo prefetto Brocani indagherà sulle cause del dissenso e scoprirà che tutto partiva dal gruppo dei filoungheresi, che volevano missionari della loro lingua. Però, anche se il nuovo prefetto voleva coprire gli errori del suo antecessore, per essere imparziali dobbiamo dire che mai prima, almeno a Tamaseni, si erano sentite voci di malcontento del loro missionario italiano. A Sabaoani, è vero, che per molti anni c'era stato il padre transilvano Bialis, ma a Tamaseni c'era stato a lungo Sassano, che non conosceva l'ungherese e la gente era molto contenta di lui. Mettendo insieme tutti questi ragionamenti, crediamo che oltre al fatto che alcuni dei cattolici, specialmente a Sabaoani, avessero voluto un missionario ungherese, il conflitto con i due padri e specialmente con il prefetto era scoppiato a causa del carattere impulsivo di quest'ultimo.

 

3.11.3 Gatt rimosso dall'incarico di prefetto

È interessante osservare che nonostante tutte queste tensioni e conflitti che Gatt ha già avuto con i missionari e con i fedeli, da Iasi siano state inviate alla Propaganda delle informazioni favorevoli al prefetto. Anche il principe Ipsilanti loda le qualità di Gatt, il suo impegno per fare e ristabilire dovunque la giustizia e l'ordine, lo zelo nel ministero, la rigidità nei costumi, ecc. Propaganda si interessava del caso anche tramite altre persone. Incaricò l'arcivescovo di Apamea di indagare sul comportamento di Gatt e sullo stato reale della missione. Nonostante all'inizio della sua prefettura, rispondeva questi, il prefetto "si lasciò trasportare dal suo naturale subitaneo ed impetuoso... pure adottò poi maniere più moderate e più dolci, onde sembra che ora tutto in quella comunità sia tranquillo".

 

Arrivate a Roma queste risposte favorevoli, Gatt pensava che poteva proseguire tranquillo nel suo apostolato. Ma la Propaganda non era convinta che tutto sia rimesso in ordine e santa pace, per cui ha chiesto informazioni supplementari ai padri Brocani, Landi e Barbieri. E questi hanno riferito semplicemente che la missione sente fortemente la mancanza di missionari e che sarebbe molto utile la nomina di un altro prefetto. Il prefetto della congregazione, il cardinale Gerdil, malgrado non conoscesse bene lo stato reale della missione, ma conoscendo la risposta franca e chiara dei tre missionari sul carattere e il comportamento di Gatt, come pure anche le minacce di alcuni filoungheresi di Sabaoani e Tamaseni di passare all'ortodossia se il prefetto non fosse stato rimosso, prese la decisione di chiudere questo caso. Gerdil chiese allora al nunzio di Vienna di esporre alla corte, che lo aveva proposto, i motivi per cui non poteva più rimanere come prefetto. La corte dichiarò subito di non avere niente in contrario alla decisione della Propaganda e che non avrebbe interferito in nessun modo nelle sue decisioni. Forse anche a Vienna si sapeva dei conflitti che il prefetto aveva a Iasi con i tedeschi e come avesse destituito il loro organista.

Ricevendo la risposta della corte imperiale, il segretario della Propaganda, con il decreto del 3 ottobre 1801, nominò come vice-prefetto Domenico Brocani, allora parroco a Calugara. In un primo momento, Gatt rimase del tutto scontento della decisione dei suoi superiori, ma poi consegnò tutto nelle mani del Brocani. Scrisse alla Propaganda, cercando di discolparsi da tutte le accuse, ma a Roma le sue lettere non potevano più cambiare nulla. Scrisse anche Brocani, dicendo di non essere la persona più adatta a quest'incarico, ma che si sarebbe sottomesso alla decisione dei superiori. Chiese poi altri 4 o 5 missionari, assolutamente necessari, in quanto c'erano tante parrocchie vacanti.

Al inizio del 1802, il ministro generale dei conventuali, in concordanza con la Propaganda, mandò a Gatt l'obbedienza, cioè l'ordine di lasciare la Moldavia e il 2 giugno dello stesso anno, questi si incamminò per Malta, la sua patria, pensando poi di andare a Costantinopoli. Così finiva, non in gloria, la prefettura di Gatt, che per certi aspetti assomiglia a quella di Martinotti, un altro prefetto, consumato di zelo per la casa del Signore, ma che in pratica non aveva saputo sempre agire nel migliore dei modi e non aveva neanche le doti necessarie per un tale incarico. Martinotti si era sentito addirittura perseguitato da tre dei suoi missionari, uno dei quali, Borioli, come abbiamo detto, era morto a Iasi nel 1803, senza che qualcuno lo abbia considerato un attentatore all'autorità del prefetto. Gatt, invece, in stile autoritario impartiva ordini sopra ordini a tutti, missionari e laici, e temeva che qualche missionario non fosse sufficientemente consapevole e convinto dei suoi poteri e delle sue responsabilità. Da quello che abbiamo ricavato dai documenti, questi pensiamo che siano stati i loro lati deboli, malgrado, in fin dei conti, tutti e due si fossero sentiti in bona fede nelle loro azioni e decisioni. Nei loro casi, però, si era verificato il fatto sempre valido che non basta la buona intenzione per essere all'altezza di un incarico ricevuto.

 

3.12 Domenico Brocani (1802-1806)

 

3.12.1 Lo stato della missione e la mancanza di missionari

Come abbiamo già detto, nell'ottobre 1801, Brocani fu nominato vice-prefetto e un anno dopo prese l'incarico di Gatt, come prefetto. Quest'ultimo se n'era andato, ma la missione rimaneva con un grave problema da risolvere: la mancanza di missionari. Brocani chiedeva senza stancarsi nuove forze; nell'estate del 1802 gli venivano inviati due missionari, Angelo Cantone, che si era ripreso abbastanza per poter ritornare nella missione, e Francesco Barattani. Ma tutti e due creano dei problemi al prefetto. Cantone, che era andato a Grozesti, aveva sempre qualcosa da dire contro il prefetto e i missionari, e Barattani, invece di andare in qualche missione, stava a Iasi con suo nipote che si era portato dall'Italia.

Dalle dodici parrocchie, cinque rimanevano completamente scoperte; in più, c'erano i romeni uniti con Roma (greco-cattolici), gli armeni e i ruteni che non avevano preti del loro rito, per cui, come di solito, molti andavano dagli ortodossi. A Iasi c'era anche il padre Golini, che, invece di andare in qualche parrocchia sprovvista di missionari, si trovava al suo agio a dare delle lezioni di pianoforte alle figlie del principe e di altri signori e boiari della capitale. Si sentiva così un certo profumo di arte occidentale e i grandi della città si opponevano al volere del prefetto di mandare questo missionario in qualche parrocchia per curare le anime dei cattolici e non i gusti dilettantistici e altri "capricci" delle ricche e spensierate ragazze. Infine, con grandi sforzi, Brocani riuscì a mandare Golini a Husi, ma questi sognava l'ambiente musicale della capitale e le lezioni di pianoforte e volentieri tornava a Iasi per fare il cicerone musicale, aggiungendo che il prefetto avrebbe dovuto essere contento in quanto i soldi ricavati dalle sue lezioni li versava tutti nel conto del convento.

A Iasi, c'erano rimasti sospesi i lavori per la costruzione del campanile della chiesa, e in più, c'era anche una piccola fabbrica iniziata da Gatt con l'intenzione di estinguere con i suoi introiti i debiti che la missione aveva, fabbrica provvisoriamente affittata e che Brocani avrebbe dovuto condurla a buon termine. Sprovvisto di soldi, il prefetto si rivolse all'imperatore tramite il padre Longhi, che si trovava a Vienna, per avere il permesso di una questua in Transilvania e Ungheria, permesso che gli venne concesso dopo poco tempo, ma una lettera ulteriore della Propaganda ci dice che la missione doveva sostenere ancora gravi debiti finanziari. Con tutto ciò, Brocani impegnava tutto il suo zelo e le forze per finire la detta fabbrica e il campanile, ma un forte terremoto del 22 ottobre 1802 produsse ingenti danni alla chiesa, come anche a tutta la città, e così la missione di Iasi venne a trovarsi economicamente peggio di prima.

Sul piano pastorale, oltre alla già nota mancanza di missionari per i cattolici latini, rimanevano senza pastore anche gli armeni e i greco-cattolici romeni; i ruteni, invece, avevano un sacerdote a Iasi. Questo ci sembra che fosse il problema più grave della missione, e Brocani non poté fare altro che chiedere senza stancarsi forze nuove.

Aggiungiamo poi, che tra lui e gli otto missionari esistenti all'ora in Moldavia correvano dei rapporti sereni e di fiducia, malgrado capitasse qualche screzio tra il prefetto e l'eterno malcontento Cantone, "l'artista" Golini e il comodo Barattani. Ritornato in Moldavia nell'estate del 1803, Longhi scrisse alla Propaganda che nella missione tutto era tornato alla normalità e non c'erano più quelle tensioni tra prefetto e missionari che invece avevano caratterizzato i tempi di Gatt. I fedeli erano contenti, malgrado non ci fossero missionari sufficienti, e tutto era dovuto al saggio e prudente governo di Brocani, che era anche in buoni rapporti col principe e le autorità della capitale. Informazioni positive sulla condotta di Brocani e sulla missione giungevano alla Propaganda anche dal console inglese Summerer, dal vicario apostolico della Valacchia, Dovanlia, e dall'agente austriaco a Iasi, Timoni. Dopo tutte queste testimonianze positive su Brocani, tanto il nunzio a Vienna, quanto anche il cardinale prefetto della Propaganda rimasero molto soddisfatti e si convinsero che nella missione moldava, dopo la bufera dei tempi di Gatt, era tornata la normalità e la pace, rimanendo però aperto e urgente il problema di nuovi missionari, per i circa 20.000 cattolici quanti contava la missione nel 1805.

 

3.12.2 Proposta per la nomina di un nuovo vescovo di Bacau

Dobbiamo dire che il prefetto era in buone relazioni anche con il nuovo principe Alessandro Moruzzi, che lo ricevette in udienza alla fine del 1802 e gli promette tutto il suo aiuto. Brocani approfittò della situazione e scrisse alla Propaganda affinché a nome del papa o del cardinale prefetto della suddetta congregazione si mandasse al principe una lettera gratulatoria con la domanda anche di prendere sotto la sua protezione la missione moldava, dato che per il momento non c'era nessun'altra autorità disposta a fare qualcosa per i cattolici. Arrivate a Roma tutte queste notizie, la congregazione pensò che forse era arrivato il momento di nominare un vescovo per la sede di Bacau, ristabilendo così, senza l'intervento della Polonia, un vescovato che dal 1789 era vacante. Ma si dovrà aspettare fino al 1808, quando sarà nominato, come abbiamo già detto, l'ex vice-prefetto di Moldavia, Bonaventura Carenzi. Siccome le difficoltà politiche impedivano il suo ingresso, egli nominò il missionario Landi come suo vicario generale. In quanto a Brocani, la Propaganda, dando ascolto alle sue richieste di essere esonerato dall'incarico di prefetto, il 12 luglio 1806 nominò al suo posto Luigi Landi, già da 13 anni in missione.

Nel 1815 fu nominato l'ultimo vescovo di Bacau, Giuseppe Berardi, che era l'ex prefetto della missione. Questi riuscì ad andare in Moldavia, ma a causa delle alte autorità ortodosse, specialmente del metropolita Costachi, e del Divano, che erano contrari alla sua presenza a Iasi, Berardi poté stabilirsi nella capitale per poco tempo, dove morì il 13 aprile 1818. A causa della stessa opposizione, Berardi aveva rinunciato al titolo di vescovo, accontentandosi di quello di visitatore apostolico e poi anche di prefetto, e la diocesi di Bacau venne trasformata di fatto in un Vicariato Apostolico. Fino al 1884, quando venne fondata la diocesi di Iasi e nominato il suo primo vescovo, il conventuale Giuseppe Camilli, i destini dei cattolici moldavi sono stati diretti da vicari apostolici, tutti italiani, tranne il tedesco Fedele Dehm, e dell'ordine dei francescani minori conventuali.

 

Con questa prefettura, la missione dei conventuali in Moldavia era entrata già in una nuova fase del suo sviluppo e della sua maturazione. Non ci sono più i vescovi polacchi per la sede di Bacau, questa essendo vacante già dal 1789. I prefetti e la Propaganda pensano perciò alla nomina di un nuovo vescovo, non più polacco, ma italiano conventuale; però per adesso il contesto politico-religioso locale non lo permette. A causa poi del contesto politico della Moldavia, meno tumultuoso e con meno guerre, come anche a causa dell'arrivo di molti siculi cattolici transilvani, le comunità moldave aumentano numericamente, diventano più stabili e i missionari possono svolgere il loro lavoro in un modo più organizzato e più sistematico.

Siccome la missione non è più come quella di una volta, cioè come lo era all'inizio del XVIIIo secolo, fragile e sprovvista di tutto in una Moldavia travagliata da tante guerre e scorrerie dei tartari, crediamo che, dal punto di vista cronologico, sia opportuno fermarci qui con il nostro lavoro, anche perché sul XIXo secolo della missione moldava si è scritto abbastanza.

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