CAPITOLO III 

 

 

 

LA MISSIONE E I SUOI PREFETTI

TRA IL 1760 E IL 1800

(Il consolidamento del cattolicesimo moldavo)

 

 

 

 

I. I prefetti tra il 1760 e il 1784

 

Come abbiamo fatto anche all'inizio del secondo capitolo, evidenziando cioè in poche parole gli aspetti principali della missione, della vita e dell'attività dei missionari, lo stesso facciamo adesso, dando una chiave di lettura e interpretazione di questi ultimi quattro decenni del secolo della missione moldava. Per quanto ci risulta dai documenti, gli aspetti principali della missione guidata dai conventuali sono:

-un miglioramento nell'organizzare e gestire l'attività missionaria;

-una crescita numerica delle comunità cattoliche (parrocchie e filiali), grazie soprattutto all'arrivo di cattolici transilvani;

-data la soppressione della Compagnia di Gesù (1773), finiscono i contrasti tra conventuali e gesuiti, in quanto quest'ultimi devono lasciare la Moldavia.

Elencate queste caratteristiche principali, pensiamo che si possono leggere e capire meglio le pagine di questo capitolo.

 

 

 

 

3.1 Giovanni Crisostomo Di Giovanni (1760-1763)

 

Il successore di Cambioli come prefetto fu Giovanni Crisostomo Di Giovanni, greco di origine, nato a Zagora in Tessalia, diocesi di Larissa, da una famiglia ortodossa e convertito al cattolicesimo. Egli arrivò a Iasi nel gennaio 1761 e li trovò il Cambioli. Come abbiamo già menzionato, per motivi di salute all'età di soli 40 anni, nel maggio 1762, chiese di tornare a Costantinopoli, affidando la missione nelle mani di Cambioli, il quale, del resto, si considera giustamente prefetto anche nel 1763; in cui anno scrisse alla Propaganda, firmandosi come tale.

Arrivato nella missione, Crisostomo cercò di mettersi in contatto con il suo vescovo, per avere il suo appoggio e un possibile aiuto finanziario, ma invano; questi neppure gli rispose, così come per sei anni non aveva risposto alle lettere di Cambioli. Per quanto riguardava i missionari e i fedeli, "nel spirituale" non c'era niente per lamentarci. Ma "nel temporali patisco molto", osservando l'estrema povertà in cui vivono tutti, e non arriva nessun'aiuto, né dalla Polonia, né dalla Francia.

 

3.1.1 La relazione sullo stato della missione - 1762

Nei primi due mesi del 1762 Di Giovanni visitò tutte le comunità della missione e mandò alla Propaganda una lunga relazione sui cattolici moldavi e sulla Moldavia in generale. Del 1764 abbiamo un'altra relazione sulla missione, scritta dal missionario Giovanni Frontali da Brisichella, in provincia di Bologna, ex missionario in Moldavia, dove era arrivato nel 1742 e dove lavorò per 22 anni prima di tornare in patria. Completeremo le informazioni del prefetto con quelle del ex missionario Frontali. Nella sua esposizione, il prefetto cerca di fare anche una introduzione storica sulla Moldavia e sui suoi cattolici. Riteniamo la sua idea che durante il regno di "un certo Principe nominato Basilio", (crediamo che si riferisce a Basilio Lupu, principe dal 1634 al 1653), molti dei villaggi dei cattolici siano stati affidati ai monasteri ortodossi e che i cattolici, non volendo restare sotto il dominio del clero ortodosso, col tempo abbiano abbandonato i loro luoghi in cui vivevano da secoli e siano andati in regioni in cui potevano incontrare genti e padroni della loro religione, specialmente in Transilvania, da dove erano arrivati in tempi remoti, contemporaneamente con il consolidamento del potere ungherese ai confini dei Carpazi. I missionari che avevano da sempre curato le anime dei fedeli in Moldavia, erano stati, come lo sono tuttora, i minori conventuali.

 

 

 

a) Un vecchio conflitto: i conventuali non sopportano la presenza dei gesuiti

Siccome lattenzione di Di Giovanni si ferma anche sui gesuiti, pensiamo che sia utile sviluppare un po questargomento per il periodo della sua prefettura. I gesuiti polacchi erano arrivati nella capitale, più di un secolo prima (1655), e avevano ricevuto un loro patrimonio, cioè alcuni terreni in Moldavia e una misera casa vicino alla residenza dei conventuali, da una donna moldava "che morì in Polonia fra le mani di quei religiosi, e che nel far il suo testamento lasciò l'anima a Gesù, e la roba a Gesuiti". Adesso, quest'unico padre della Compagnia, Matteo Cwynarowicz (normalmente erano in due), che al prefetto stava come la spina nel calcagno, voleva costruire delle chiese a Iasi e in altri luoghi della missione e Crisostomo, contro la decisione del vescovo Jezierski che aveva concesso ai gesuiti il diritto di erigere una cappella pubblica a Iasi nell'anno 1761, prega la Propaganda di prendere delle misure contro i suoi progetti, sostenuti dalla sua provincia polacca in Galizia; altrimenti, i gesuiti che "han tenuto i Religiosi conventuali in un Purgatorio, in avvenire certem-te li terranno in un'Inferno".

Nel gennaio di quest'anno (1762), tutti i conventuali della missione (dieci in tutto) si rivolsero allarmati al cardinale prefetto della Propaganda, implorandolo di impedire ai gesuiti il loro intento, perché questi sono decisi "d'invadere le nostre Missioni" e di "soggiogare tutta la Missione nostra alla loro dispotica Monarchia". Hanno già ottenuto il permesso dalla Porta di leggere la Messa nella loro casa e hanno corrotto il principe, i boiari e il clero ortodosso locale, ottenendo il permesso di costruire la cappella. Essi non devono avere il diritto di esercitare nessuna funzione religiosa nella loro casa, ma solo nella chiesa della missione. "E se vogliono scuoprire Missioni vadino verso l'oriente o nel settentrione, e non cerchino quelle già dalla Sagra Congregazione scoperte e mantenute e col sudore de nostri Religiosi italiani coltivate e cresciute, e non dagli Polachi pocco assegni".

I gesuiti replicarono alla Propaganda con una lettera del loro padre generale in cui si spiegava che la tanto contestata cappella aveva tutte le approvazioni necessarie e non metteva affatto in pericolo i diritti della chiesa parrocchiale. E poi, dall'inizio (1655), i padri avevano avuto annessa alla loro residenza una cappella e quella di adesso rappresenta praticamente una riparazione di quella antica, che adesso è "rovinosa". Subito il Cambioli spedì alla Propaganda altre lettere, confutando l'argomentazione dei gesuiti e sostenendo che essi non avevano mai avuto una loro cappella a Iasi e che hanno sempre celebrato nella chiesa dei convenutali. E se, caso mai, hanno avuto una loro cappella, o oratorio, che mostrassero i documenti. La gente della capitale non ha mai sentito di una loro cappella, e neanche le autorità ortodosse locali. E se il vescovo Jezierski ha dato loro il permesso di costruire una cappella, egli, che una sola volta è stato nella missione, nel 1741, essendo cioè estraneo ai problemi concreti della diocesi, non si è accorto quali guai e quanti danni può aver recato ai conventuali questa sua insensata decisione. Anche il procuratore generale delle missioni dei conventuali si investi della faccenda e scrisse alla Propaganda, confutando l'argomentazione dei gesuiti. Per esempio, nel 1673 non si fa menzione dei padri della Compagnia in Moldavia; ma, ignorava il procuratore, in quell'anno i gesuiti erano scappati in Polonia a causa della guerra. Per quanto riguarda la cappella, egli fa l'ipotesi che i padri avessero avuto un loro oratorio privato, ma non una cappella pubblica; proprio per questo motivo, adesso, si sono dati tanto da fare per ottenere tutte le approvazioni necessarie. Inoltre, in modo diverso dalle affermazioni dei conventuali in Moldavia, egli affermava che i gesuiti "hanno già procurate ed ottenute l'estere opportune facoltà per la fondazione della Cappella e Missione in Jassi".

Il 17 luglio dello stesso anno, la Propaganda rispose a Cambioli, rimproverando il fatto che nell'archivio della congregazione "da un gran tempo mancano notizie di cotesta Missione... Argomento certissimo della poca attenzione de'Prefetti suoi antecessori e del poco zelo de PP. Missionarj per la salute delle anime". Si chiedeva poi una relazione accurata sulla missione (quella del Crisostomo non era ancora arrivata) e si mandava un catalogo "de Dubbj sù cui debbono i Missionarj rispondere". Nella congregazione generale della Propaganda del 17 maggio 1763, il prefetto Castelli affermò che i gesuiti potevano fare scuola, ma per ciò che concerneva le funzioni liturgiche, dovevano partecipare nella chiesa dei conventuali. Il 4 giugno le decisioni furono comunicate al procuratore generale delle missioni dei conventuali, Domenico Rossi, e al padre generale della Compagnia, Lorenzo Ricci, con la preghiera che tali decisioni arrivassero a conoscenza dei contendenti in Moldavia, cioè dei conventuali e del gesuita Matteo. "Così ebbero termine le controversie che si protrassero, sia pure con intermittenze, per un secolo e un quarto, tra i Minori Conventuali e i gesuiti, nelle missioni di Moldavia. La vittoria fu del primo Ordine", e i soci della Compagnia dovettero lasciare Moldavia.

 

b) Le comunità cattoliche e i loro missionari

In tutta la missione, continua Crisostomo nella sua relazione, i cattolici sono all'incirca sei mila, divisi in otto parrocchie: Iasi, Sabaoani, Rachiteni, Calugara, Faraoani, Grozesti, Husi e Mohilau. Il numero totale delle comunità sale adesso a quaranta, dalle quali 21 si sono formate da poco, alcune (cinque in tutto) con popolazione arrivata dalla Transilvania, molte delle altre invece hanno origini nelle comunità cattoliche vicine.

La vita dei missionari, dieci in tutto, dice Crisostomo, è "stentata, ed in estremo laboriosa", perché devono curare tante comunità, in un clima in cui per circa cinque mesi si vive "fra le nevi, e fra giacci, e deve varcar diversi fiumi ne' quali più Missionarj gli p-dettero la vita". Solo quattro di loro ricevono 25 scudi annui dalla Propaganda; gli altri si arrangiano come possono. Dai fedeli ricevono alcuni "bajocchi" (una moneta di quei tempi, in uso in Italia e di poco valore) in occasione dei battesimi, matrimoni e funerali e una misura annua di mais, che "molti p. l'estrema poverta non pagano". "Tutti [i missionari n.n.] parlano in lingua Moldava p. essere un linguaggio faciliss-mo", e nell'attività pastorale "non si usa altra lingua che la Moldava, solo nella dottrina Cristiana in varj villaggi di Ungari si prattica l'idioma Ungaro". Si intende che le celebrazioni liturgiche si fanno in latino. Però, come risulta anche dal numero 8 della relazione di Ausilia, del 1745, la lingua necessaria per i missionari è quella locale. Teniamo presente poi il fatto che siamo già nel periodo in cui dalla Transilvania cominciano ad arrivare nuovi cattolici, che popolano le comunità già esistenti, oppure ne formano altre nuove, come abbiamo incontrato le comunità di Talpa, Bîrgaoani e Halaucesti.

Al numero 67 della sua relazione, Di Giovanni ci dice che da circa vent'anni, cioè dal 1742 in poi, il numero dei cattolici della sua missione è aumentato di molto a causa dell'arrivo di cattolici siculi transilvani, affermazione che conferma la realtà notata già da Ausilia, cioè la necessità di entrambe le lingue per i missionari. Però, tranne quelli arrivati dalla Transilvania, gli italiani, lo sappiamo, palavano solo il romeno. E se questi appena arrivati non sapessero già la lingua romena, come potrebbero i missionari dialogare con loro? È vero anche il fatto che, per aiutare i missionari nella catechesi, ma anche per supplire alla loro poco dimestichezza con le lingue locali, i "dascali", in tante comunità, insegnavano il catechismo ai loro compaesani e guidavano le preghiere in chiesa in lingua ungherese, o per essere più precisi, in un dialetto di questa lingua, il così detto dialetto "csángók".

 

c) I cattolici ruteni

Parlando della vita morale della gente, Di Giovanni, si deve dire che ci sono buoni e meno buoni. Per porre un rimedio, si è convenuto di non assistere mai ai matrimoni in cui i contraenti non sappiano bene il catechismo. Ci sono poi dei cattolici ruteni, preti e laici, arrivati dalla Transilvania o dalla Polonia. Questi non vengono mai nella chiesa cattolica, ma vanno nelle chiese ortodosse, "segno evidente che sono uomini d'una Fede finta, e non vera". Probabilmente, questi non potevano accettare le celebrazioni in rito latino. Interessante è di notare qui che, anche se hanno i loro preti, questi cattolici ruteni preferiscono le chiese ortodosse al posto di quelle cattoliche. Più tardi, come vedremo, ci saranno dei fedeli cattolici di rito orientale che andranno nelle chiese degli ortodossi, ma con la scusa che non hanno sacerdoti del loro rito. Adesso, però, è diverso: sacerdoti e laici vanno dagli ortodossi, probabilmente perché non hanno le loro proprie chiese; però, non vogliono celebrare nelle chiese latine, forse perché l'ambiente: le icone, l'iconostasi, ecc., mancano; e tutto questo era fondamentale per la fede di questi cattolici uniti.

 

3.2 Giuseppe Oviller (1763-1766)

 

Il 20 marzo 1763, la Propaganda nominò un nuovo prefetto, Giuseppe Oviller, da Bagnoregio. Quando fu nominato egli si trovava già in Moldavia e non sapeva di essere stato nominato prefetto, perché nel mese successivo, Cambioli, credendosi ancora prefetto, mandò alla Propaganda una lettera, presentando alcuni problemi della missione, tra i quali anche l'aumento della popolazione cattolica che stava arrivando dalla Transilvania.

Il 9 dicembre 1765, Oviller, che probabilmente non si trovava a suo agio in Moldavia, si rivolse alla Propaganda con un'altra lettera nella quale presentava il caso di un protestante sposato con una della stessa fede (luterana) in Transilvania. Arrivato in Moldavia, aveva sposato una cattolica davanti ad un sacerdote ortodosso. Alla fine della lettera aggiungeva: "Essendo poi io giunto al termine della mia Prefettura, ne faccio memoria a V: E: acciò ne possi per tempo sostituirne un'altro". In quest'anno, il coadiutore del vescovo di Bacau, il conventuale Francesco Ossolinski, raccomandò come nuovo prefetto Antonio Gavet, insegnante di teologia (lector) nel collegio missionario di Assisi e da due anni missionario in Moldavia. Però, la Propaganda raccomanda ad Oviller di aspettare almeno un anno per finire almeno il suo triennio come prefetto, malgrado nel frattempo fosse stato già nominato provinciale. Nel 1765 arrivò probabilmente da Costantinopoli Gaetano Caioni. In quell'anno, oppure al principio dell'anno seguente vennero destinati per le missioni moldave Francesco Rottiglio e Giuseppe Martinotti, futuro prefetto. Riguardo al Caioni, consigliato dal Nagni, il principe gli trovò un lavoro interessante. A Chiperesti(si chiamava anche Filipenii Noi), Gregorio Calimachi aveva fatto costruire una fabbrica di panni per i suoi boiari. La manodopera era rappresentata da tedeschi, cattolici e luterani. Il principe mandò Caioni non tanto per assisterli spiritualmente, essendo la maggioranza luterani, ma piuttosto a dirigere e a sorvegliare i lavori. E il missionario fu così bravo, che alla corte si acquistò la simpatia di tutti. Però, il prefetto non era d'accordo e malgrado i successi materiali del missionario, chiese al segretario di toglierli questo incarico, non proprio adatto ad un sacerdote missionario e così Caioni tornò a Iasi.

 

 

 

 

 

3.3 Antonio Gavet (1766)

 

Il 28 aprile 1766, Antonio Gavet venne nominato prefetto

APF, SC, Mold., v 5, f 59.. Ma dopo pochi mesi, il 24 luglio (st.v.), dopo aver costituito come vice-prefetto Bonaventura Giovanninetti, Gavet morì nella sua residenza di Iasi. Giovanninetti, che era arrivato nella missione nel 1742, assieme a Zingali e Ausilia, non era gradito alla corte del principe Gregorio Ghica, e specialmente non lo voleva come prefetto il segretario del principe, Pietro Nagni. Questi scrisse alla Propaganda perché mandasse un prefetto che sapesse il francese e il greco. Anche il principe voleva un tale prefetto, ma la Propaganda non prese in considerazione le richieste arrivate dalla corte del principe, che voleva come prefetto un ex-missionario in Moldavia, Antonio Tozzetti. Verso la fine di quell'anno, il viceprefetto Giovanninetti diede notizia dell'incendio che aveva divorato il tetto di legno della chiesa, con la residenza, ed un quarto della città, fino al monastero di San Spiridone. Il vice-prefetto e i cattolici furono accusati davanti al divano (il raduno dei grandi dignitari della corte per analizzare problemi importanti e per prendere delle grandi decisioni) di essere stati la causa dell'incendio, in quanto, si affermò, il fuoco era divampato proprio dalla loro chiesa. La indagini, invece, portarono alla conclusione che il fuoco si era sparso "da un vicino camino vallaco", e il principe si mostrò indifferente per la costruzione della nuova chiesa dei cattolici, affermando che avrebbe dovuto consultare i boiari e l'alto clero. Dopo, il Giovanninetti cercò ancora tramite il segretario Nagni di ottenere dal principe il permesso per la costruzione di una nuova chiesa in pietra, ma per questo ci voleva un fermano dalla Sublime Porta. Il nuovo prefetto, Crisostomo, affronterà anche questo problema ed il 21 dicembre 1776, il principe Gregorio Ghica darà il permesso per la costruzione di una nuova chiesa. Nel frattempo, le funzioni liturgiche si celebravano "in una piccola Casetta... con miserabili arnesi, e suppellettili con non tropo stima... Si affligevano i PP. e piangevano la desolazione della destrutta Gerusalemme".

 

3.4 Giovanni Crisostomo Di Giovanni (1766-1768)

 

Trovandosi a Pera, dove era prefetto per le missioni dell'Oriente, Giovanni Crisostomo Di Giovanni, ricevette una nuova nomina di prefetto per la missione della Moldavia il 24 novembre 1766, mentre iniziava il regno del principe Gregorio Calimachi, amico di Di Giovanni. Nella capitale, egli trova l'ostilità del segretario del principe, Pietro Nagni, e dell'alto clero ortodosso e scrisse alla Propaganda di aver trovato l'opposizione dei nobili e del clero ortodosso per la costruzione di una nuova chiesa e in generale parla dell'antipatia che i "greci" avevano per i "latini". Di fronte a queste difficoltà, egli voleva rinunciare alla carica di prefetto, però, non mollò facilmente. Tramite il segretario Nagni, riuscì ad avere la licenza del principe per la costruzione della nuova chiesa, non più di legno, ma in pietra. Ma questo permesso non bastava e così il prefetto venne consigliato di rivolgersi al re polacco affinché questi intervenisse presso la Sublime Porta, per ricevere un fermano che garantisse anche davanti ai principi successivi la validità del progetto per la nuova chiesa. La Propaganda intervenne presso il re polacco, il quale si rivolse alla Porta con la richiesta moldava. Ma proprio adesso, probabilmente a causa degli intrighi dei boiari e specialmente dell'alto clero della corte all'inizio del 1768 il Di Giovanni venne catturato e portato in carcere a Costantinopoli. Nagni, vedendo che l'intervento polacco presso la Porta aveva avuto come risultato la carcerazione del prefetto, scrisse di nuovo alla Propagando chiedendo un intervento presso la regina d'Ungheria, tramite l'ex-nunzio il Polonia, Visconti. Nel giugno 1768, Crisostomo si trovava ancora in carcere nella capitale del impero ottomano e da qui inviò alla Propaganda la rinunzia alla carica di prefetto in Moldavia. Dopo che fu liberato andò a Roma dove nel 1770, Clemente XIV lo nominò arcivescovo. Rimase nel collegio S. Atanasio dell'urbe e qui morì nel 1795.

 

3.5 Giuseppe Carisi (1768-1770)

 

Giuseppe Carisi da Correggio, già da otto anni missionario in Moldavia, venne nominato vice-prefetto nel gennaio 1768 e poi prefetto il 21 novembre dello stesso anno. Gli anni della sua prefettura non furono tranquilli, nè facili. Nel 1769, i russi occuparono la Moldavia e il fatto attirò la rabbia dei turchi, che fecero delle scorribande nel paese per riconsolidare il dominio con saccheggi e varie scorrerie. Quando arrivarono i russi (21 settembre), più precisamente i cosacchi e gli arnauti, i missionari di Iasi Carisi, Caioni e Martinotti vennero arrestati e portati fuori città per essere decapitati, però, all'ultimo momento venne loro risparmiata la vita. I russi erano contro i missionari cattolici perche avevano ospitato per un certo periodo il generale polacco Potoski, loro nemico. Dopo, i poveri missionari finirono per sette giorni nel carcere del metropolita, "consumati dai pidocchi ed altre miserie". Subito dopo seguirono altre disgrazie per i missionari e per la loro residenza, che venne saccheggiata, tutte organizzate "in odium religionis" dal metropolita e da altri grandi della corte. Il Caioni, per salvarsi la pelle fu più furbo: cercò di conquistare la simpatia dei russi, ma venne scacciato e così andò dai turchi, poi si riparò a Costantinopoli. Più tardi vuole tornare in Moldavia, ma il vescovo di Nicopoli (l'ex missionario in Moldavia, Giacomo Riccardini) lo presentò alla Propaganda sotto una luce non troppo positiva.La gente si nascondeva nei boschi e il missionario Chiarolanza dopo un po di esitazione e di paura venne a Iasi, perché i suoi parrocchiani di Sabaoani erano spariti nella selva per paura dei turchi. Ma presto queste disgrazie cessarono e tornò la pace.

Da Carisi abbiamo poche informazioni. Nel 1769 vennero presentati alla Propaganda alcuni problemi (ladempimento del precetto pasquale soprattutto) per i quali il Carisi chiese le dovute licenze e dispense. Il 18 maggio 1770, egli morì di peste a Sabaoani.

 

3.6 Antonio Mauro (1774-1777)

 

Antonio Mauro di Locarno, dalla provinica di Milano viene ricordato come vice-prefetto nel 1772 e nel 1774 la Propaganda lo nominò prefetto, mentre nel 1771 arrivò nella missione Francantonio Minotto. Poche sono le informazioni sulla sua attività come prefetto. Sappiamo che lui fu incaricato dal vescovo Jezierski di prendere in possesso i beni dei gesuiti in Moldavia, dopo la loro soppressione nel 21 luglio 1773 da parte del papa francescano Clemente XIV con il breve Dominus ac Redemptor. Il nunzio in Polonia, Giuseppe Garampi, scrisse al vescovo di Bacau comunicandogli la notizia della soppressione e chiedendogli di seguire le istruzioni della Propaganda per ciò che riguarda il patrimonio dei gesuiti, cioè di utilizzarlo per il bene della missione. Jezierski trasmise al prefetto Mauro le disposizioni ricevute dal nunzio e il prefetto li attuò, forse contento di poter chiudere completamente con i gesuiti e con il loro misero patrimonio che avevano in Moldavia

PALL, F., Le controversie, pp 202-204.. I beni che i gesuiti avevano erano una vigna a Miroslava, tre pezzi di terra e una casa a Cucuteni (Horlesti), un terreno a Tocsobeni, vicino al Prut, e un'altro a Dumbrava Rosie, nel distretto di Hîrlau. Oltre a questi beni, avevano la casa e l'osteria di Iasi, vicino ai conventuali. Così, per lungo tempo, cioè per più di un secolo, i soci della Compagnia non avranno più posto in Moldavia.

Malgrado sotto la sua prefettura si risentissero le gravi conseguenze di una nuova guerra tra i russi e i turchi, una relazione del 1777 ci dice che in Moldavia si trovano dodici mila cattolici in undici parrocchie; ciò significa un notevole aumento del numero dei fedeli, inclusi quei pochi presenti nella zona settentrionale della Moldavia, cioè la Bucovina, dove gli imperiali permettono ancora l'ingresso dei missionari italiani.

Nella parte nord della Moldavia, sul fiume Nistro, ai confini con la Podolia, si trovavano alcune piccole comunità cattoliche, adesso occupate dagli austriaci (nel cosiddetto cordone austriaco). Per queste la Propaganda nominò quattro missionari, ad beneplacitum Sacrae Congregationis. Due erano gesuiti polacchi: Alessandro e Floriano Woycikoski, e due dalla provincia ungherese, i conventuali Maurizio e Raffaele Scheffler. Nel 1773 si trovavano nella missione anche due missionari tedeschi, uno però andò via e al suo posto arrivò Adam Hartmann, che troviamo a Iasi anche nel 1782. Nello stesso anno (1773) arrivò in Moldavia Bartolomeo Montaldi e dopo due anni Ignazio Trigona e poi Filippo Bellingeri, mentre nel 1777 arrivò Bonaventura Carenzi, futuro vice-prefetto. Abbiamo prima accennato al padre Minotto. Il 23 maggio 1775 scrive al segretario della Propaganda, Stefano Borgia, di aver imparato in breve tempo la lingua romena ("questa mista e bufala lingua che è veramente curiosa"). "Gli spedirò la Grammatica manoscritta, quando l'avrò terminata di copiare. Tengo ancora un libro stampato in lingua Moldavica per V. S. Ill.mo e Re.mo ne so come trasmeterglielo, perche quivi la posta assai costa". Minotto oltre a sviluppare un lavoro letterario, non abbandonava neppure il proprio gregge nascosto nei boschi. Adesso "i tedeschi sono ed occuparo buona parte di questo Principato (l'occupazione della Bucovina n.n.), i Moscoviti sono nei confini, il Turco ariva. Iddio ce la mandi buona". Ogni giorno è sul cavallo in cerca delle sue pecore impaurite ed è disposto ad offrire la vita per la fede, considerandosi felice di una tale grazia. Nella stessa lettera si lamenta poi dei tre missionari ungheresi, desiderando che questi fossero richiamati e al posto loro mandati altri italiani

APF, SC, Mold., v 5, ff 157; 164-165..

 

3.7 Giuseppe Martinotti (1777-1779)

 

Il procuratore generale delle missioni dei conventuali, l'11 agosto 1777 propose come prefetto Giuseppe Martinotti, già da undici anni missionario in Moldavia e vice-prefetto sotto il suo antecessore.

 

3.7.1 Le difficili relazioni tra Martinotti e i missionari; i cattolici bilingui

A causa del suo carattere impetuoso, poco flessibile, ma anche duro e qualche volta ironico, i rapporti con i suoi missionari non saranno facili e neanche tanto sereni, in un periodo in cui la missione sentiva tanto la necessità di unire tutte le forze per far fronte alle nuove esigenze di un numero sempre crescente di cattolici. E uno di questi problemi, in quanto ci risulta da una lettera mandata alla Propaganda nel 1778 dai cattolici di Faraoani, Grozesti, Trotus e Sabaoani è quella della lingua. Essi, "tristissimi, et dereliti Hungari", chiedono al segretario della congregazione di provedere la missione di missionari che "sciunt Moldavice et linguam nostram Hungaricam Vernaculam... cum Moldavica lingua non est Vernacula nostra". Ci sono anche giovani di vent'anni che non sano la lingua romena.

Un anno prima, la relazione che abbiamo brevemente presentato, scritta da un italiano, cominciava con questa dichiarazione: "quasi tutti oltre la lingua Moldava sanno anche l'Ungara". È una affermazione proprio opposta, che rispecchia un contrasto tra i missionari italiani e quelli arrivati dalla Transilvania o dall'Ungheria. Gli italiani, anche perché li era più facile e comodo imparare il romeno, difendono la necessità della lingua romena; gli ungheresi, al contrario, asseriscono che la lingua ungherese è quella assolutamente necessaria. Non sono necessari, si afferma nella lettera, questi padri italiani "qui nec Moldavicam, et magis Hungaricam sciunt, et sic plurime animae manent sine confessione". E questo è uno dei motivi per il quale, adesso, Martinotti sarebbe molto contento se i superiori chiamassero in patria i suoi due missionari ungheresi. In una lettera del 24 novembre 1778, Fedele Rocchi, che adesso si trovava a Iasi "solo, e Paroco, e Prefetto", parla di Martinotti come "del mio Antecessore", malgrado dopo alcuni mesi questi sia di nuovo nella missione, per lamentarsi dei suoi missionari.

Alla fine di questo anno (1778), Martinotti era di nuovo nella missione e scriveva al segretario della Propaganda una lettera che riprende gli stessi problemi che un anno e mezzo prima aveva presentato al procuratore generale dei conventuali per i quali però non aveva ricevuto alcuna risposta, perché, pensava il prefetto, "siasi infastidito di me, o che le occupazioni del tavolino lo distolgono dal pensar a noi, ed alle cose nostre". Martinotti presenta i suoi problemi, "persuaso che Ill.a sarà per accogliermi, se non con piacere, almeno con indifferenza". Per primo, chiede la laurea per i quattro missionari (i gesuiti polacchi Floriano e Alessando Woycikoski e i conventuali ungheresi Raffaello Scheffler e Maurizio Marronfi), che avevano passato il loro novennio in Moldavia. Poi, chiede il permesso della Congregazione di poter vendere la vigna di Miroslava (vicino a Iasi), perché non può né pagare le tasse al padrone del terreno, né avere dei lavoratori che la coltivassero. Vuole, inoltre, che la Propaganda mandasse in Moldavia una "piccola Circolare" che ricordi ai missionari i loro doveri e il loro obbligo di obbedienza verso il prefetto. Si lamenta inoltre dei padri Minotto, Montaldi "e qualche volta del P.re Borioli, come religiosi incorreggibili". Infine, non vuole più sentire dei padri ungheresi.

Il prefetto parla dei "due piccoli villaggi rimasti nel Cordone Austriaco terreno di nuovo acquisto dovessero riputarsi soggetti a queste Missioni, o no". In quei villaggi, il suo antecessore aveva mandato un padre ungherese per la cura spirituale di quei cattolici. Però, Martinotti è dell'opinione che il missionario deve ubbidire non a lui, ma ad altri superiori; possiamo capire così che il prefetto vuole rinunciare a questa missione nel territorio occupato da poco dagli austriaci.

Adesso, egli si trova "ingolfatto negli affari senza soccorso, dibbattuto dalle ingiustizie di questi tribunali, e quel che più mi tormenta, e disturba, dalla cativa condotta, temerità, ed insolenze dei sudd.i Religiosi, senza esser da nessuno udito", per cui chiede di essere sostituito per potersi godere "la quiete del Chiostro", perché da dodici anni "provo il bene ed il male di q.te Miss.ni". Viene poi il caso del signore Lokman, che era contrario al prefetto, perché questi aveva rifiutato la benedizione del matrimonio di una sua figlia con un luterano. Nell'agosto del 1779, da Adjudeni, i tre missionari che Martinotti non poteva sopportare (Montaldi, Borioli e Minotto), si rivolgono alla Propaganda, per discolparsi dalle accuse portate contro di loro dal prefetto. Essi si lamentano inoltre che Martinotti li accusava e li rimproverava delle colpe che non avevano mai commesso e quello che è peggio, il prefetto lo faceva in pubblico, davanti alla gente (i villani), così che oltre ad essere delle accuse infondate e molto gravi, era anche uno scandalo per i fedeli e non faceva altro che diminuire la loro autorità di fronte a questi villani.

 

3.7.2 L'ultimo vescovo polacco di Bacau (1782-1789)

Martinotti era andato a Lwów "per affari della Missione e per conferir eziandio con M-r Karwosicki Vescovo di Bakovia". Dopo la morte del nonagenario Jezierski, nel 1782, Karwosiecki succedette come vescovo di Bacau, e lo fu fino alla morte, avvenuta nella residenza di Sniatyn, l'11 marzo del 1789; fu l'ultimo vescovo polacco proposto dalla corona polacca. Come i suoi antecessori, anche lui rimase quasi sconosciuto al il suo vescovado, tanto che in Moldavia solo dopo alcuni mesi si seppe della sua morte, senza sapersi di preciso nè quando, nè dove fosse morto. Per supplire alla sua assenza, già da tanto tempo la Santa Sede aveva affidato al prefetto anche l'incarico di vicario generale del vescovo. Con la morte dell'ultimo vescovo polacco e con l'occupazione della Bucovina da parte dell'Austria nel 1775, "la missione francescana di Moldavia iniziava un nuovo ed ultimo periodo della sua storia". Fu un periodo nuovo, in quanto la missione si liberò dalla tutela ecclesiastica polacca, che poi non era stata neanche così significativa, da creare problemi e difficoltà alla missione. I vescovi erano stati sempre tranquilli nella loro Polonia, dove erano "uffiziali di quel regno", come si legge in tanti documenti, si vedevano a distanza di decenni in Moldavia, per amministrare la cresima, ed erano contrari al fatto che i prefetti chiedessero questa facoltà, per supplire alla loro lunga assenza nella diocesi. Quando poi venivano in Moldavia, visitavano di sfuggita la missione, riscuotevano poi le esigue e misere prebende della loro mensa di Barati (magari le lasciassero ai missionari, che tante volte facevano la fame) e tornavano a casa. Da adesso in poi, essendo la missione completamente nelle mani dei conventuali italiani, si osserverà subito un miglioramento in tutti i campi. È una fase nuova questa anche per il motivo, già accennato, che il crescente numero dei cattolici richiedeva urgentemente una migliore organizzazione del lavoro pastorale e un crescente numero di missionari, in un tempo che diventerà meno calamitoso di prima, giacché ci saranno meno scorrerie dei tartari, dei cosacchi, dei russi, dei turchi e meno guerre combattute spesso dai potenti su terreno neutro, cioè in Moldavia e non solo.

Tornando a Martinotti, dobbiamo dire che tornato nella missione, trovò "nuovi sconcerti, nuovi scandali" causati dalle stesse tre capre nere del prefetto, Borioli, Montaldi e Minotto. Questi si erano lamentati in tutti i modi possibili del loro prefetto ed uno di loro era molto geloso per non essere stato nominato prefetto. In più, afferma Martinotti, il Borioli ("contumace, insolente, incorrigibile") ha in servizio "una donna torbida, insolente, e di cativa fama", che è stata concubina di Minotto. In un linguaggio molto acerbo, il prefetto chiedeva alla Propaganda di interessarsi e di leggere le sue innumerevoli lettere ammonitorie scritte ai rispettivi missionari, che sempre sono stati un cattivo esempio per la missione e adesso erano diventati "indemoniati persecutori". Chiese inoltre che fossero interrogati tutti gli altri padri della missione, per accertarsi se lui non fosse un missionario esemplare. Chiedeva che venisse interrogata pure la gente che lo conosceva, e tante altre persone che lui conosceva all'estero.

 

3.8 Antonio Mauro (1779-1784)

 

In risposta a tutte queste sue patetiche suppliche, concluse con il desiderio "a Dio rimettendo la vendetta de'miei nemici", la Propaganda decise essere meglio di inviare come visitatore apostolico Antonio Mauro, con il diritto di succedere a Martinotti, come prefetto, dopo che questi avesse compiuto il suo triennio. Nel 1780, Mauro partì per la Moldavia, probabilmente insieme ad un altro missionario, Luigi Ralli. All'inizio dell'anno troviamo Martinotti a Vienna, intervenendo alla corte imperiale e presso il nunzio perché si facesse qualche passo presso la Sublime Porta per ottenere il fermano per la costruzione della chiesa di pietra a Iasi. Ma la corte viennese non si mosse, perché considera questa parte della Moldavia sotto la speciale protezione della corona polacca. Mauro andò due volte in Polonia, cercando aiuti finanziari per la costruzione della chiesa, ma con lo stesso risultato di Martinotti a Vienna. Allora cercò di iniziare con le forze proprie, avendo anche la licenza del principe Alessandro Mavrocordat. Vendette una casa ad un certo Gregorio Blanarul e l'osteria situata sulla via principale (Ulita Mare) a Benedetto Lokman; con i soldi raccolti comprò un po di materiale e nel 1782 diede inizio alla nuova costruzione, che i monaci dell'altra parte della strada (Trei Ierarhi) non vedevano affatto di buon occhio. Nel 1783 vengono destinati per la missione Giovanni Antonio Pollonera ( 1789) e Michele Sassano, futuro prefetto. Mauro era arrivato nella missione nel 1760, poi era tornato in Italia e nuovamente in Moldavia dove fu due volte prefetto; impegnato con tutte le forze nel suo lavoro apostolico, e al suo tempo non si parlò più dei contrasti con il prefetto dei due missionari (Minotto e Montaldi; Borioli era stato scacciato dal principe), che per Martinotti non solo erano inutili, ma erano addirittura pericolosi. Prima di partire (1783), Mauro lasciò come vice-prefetto il parroco di Halaucesti, Bonaventura Carenzi, che sarà il primo vescovo italiano di Bacau (non confermato), che a causa delle difficoltà politiche non potrà mai venire in Moldavia come vescovo.

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