il "parintele prefectus, preut unguresc" (il padre prefetto, sacerdote ungherese) aveva a Trebes, e che il "postelnicul" aveva preso ingiustamente. Si occupò poi della chiesa di Iasi; con varie elemosine era riuscito a procurarsi le pietre e la calcina per ricostruirla.  

 

2.8.1 La missione moldava provata da una nuova guerra tra le grandi potenze

Ma le condizioni politiche non gli permisero di lavorare tranquillamente nella missione, essendo caratterizzati quegli anni da una nuova guerra tra russi e turchi. Le truppe russe furono aiutate dagli austriaci e i gesuiti dovettero lasciare di nuovo la Moldavia. Nel 1737 essi affidarono tutti i loro beni nelle mani di Ghisen, segretario del principe Gregorio Ghica (tornato sul trono della Moldavia nel novembre 1735) e tornarono in Polonia. Rientrarono a Iasi nell'estate dell'anno 1740, dopo che i moscoviti si erano ritirati, in conseguenza della pace di Belgrado (1739). Il missionario Francescantonio Manzi ci porta delle informazioni dettagliate sullo stato del paese e della missione durante questa guerra. In un combattimento, i turchi risultarono vittoriosi sopra gli austriaci e i giannizzeri misero fuoco alla città di Galati, ed in questa occasione fu danneggiata anche la chiesa cattolica. Poi arrivarono i russi, "i quali volevano prendere la fortezza di Hottino, ed occupare poi la Prov-a di Moldavia tutta, come gli riuscì di fare dal di 15 d'Agosto 1739 sino al di 20 del med-mo mese. Qui si, che mi vorebbono molte penne, per poter descriver tutti quanti li disastri da noi poveri Missionari, e da quei miseri Cattolici sofferti per il ritorno de' Tartari de' Turchi che se ne fuggivano, e per quello de' Moscoviti, Cosacchi e Calbucchi, dai quali venivano con tutta ferocità essi inseguiti". Dopo la pace i russi se ne partirono, prendendo tutto quello che potevano portar via. Anche Manzi fu portato con loro, ma per sua fortuna fu lasciato sulla riva del fiume Nistru, da dove fuggi in Polonia con l'intenzione di non metter mai più piede in Moldavia.

Ritornando al Pesci, dobbiamo dire che nel 1739 venne catturato insieme ad altri missionari dalle truppe moscovite e portato a Hotin. Morì in modo imprevisto all'inizio dell'anno seguente (1740), nella sua residenza di Iasi e a differenza di Cardi, egli si era mostrato molto più pacifico e comprensivo verso i gesuiti.

 

2.8.2 Proposta per la nomina di Manzi come prefetto

Il principe Ghica scrisse alla Propaganda, insistendo sulla nomina di Manzi. Egli fece chiamare Manzi da Camieniec, dove si trovava dopo che scappò dalle mani dei russi. Nella sua lettera, il principe loda le qualità e le virtù del missionario, come anche il fatto che conosceva bene le lingue romena e ungherese: "Nos tamen magis considerantes publicam utilitatem, atque annuentes Subditae Nobis unanimi Comunitati Catholicae maxime autem con Nobis constaret religiosa et exemplaris atque zelozissima ejusdem vita, ingenua indoles, et doctrina summe necessaria tam Moldaviae quam Hungaricae Linguae experientia, et rudes instruendi dexteritas". Inoltre, Manzi si era dimostrato un esperto "in aedificandis Deo Ecclesijs, quas jam septem in hoc Principatu proprio zelo et incitatione extruxit". Egli insiste sulla sua nomina come vice-prefetto, affermando che tutti i cattolici e tutta la comunità di Iasi lo volevano. Per di più, lo voleva anche il gesuita Regarski, ed il vescovo Jezierski lo aveva nominato suo vicario generale, malgrado che finora questo incarico, ordinariamente, fosse stato unito con quello di prefetto della missione. Pur con tutta l'insistenza del principe e di altri, Manzi non fu eletto e ancora prima della morte di Pesci, la Propaganda aveva già nominato il pugliese Giacinto Lisa, che in quell'anno stava per entrare nella Moldavia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.9 Giacinto Lisa (1739-1744)

 

Come abbiamo già menzionato, Lisa egli veniva dalla Puglia. In viaggio verso la missione, passò per Vienna per chiedere delle lettere dal nunzio Paolucci per il vicario capitolare di Transilvania, affinché questi desse ordine ai padri riformati di Ciuc di restituire l'argenteria e tutto quello che prima (nel 1683) il sacerdote indigeno Barcuta aveva depositato in quel convento. Lisa arrivò a Sarfalau (villaggio in Transilvania), dove incontrò il missionario Francesco Maria Madrelli, futuro vice-prefetto. Questi, assieme ad un altro padre vanno a Ciuc e riprendono quello che Barcuta ("ancora vivente" nel ottobre 1740) aveva li portato. Poi Lisa tardò ad entrare nella missione a causa della guerra. Finalmente, tutti insieme, si incamminarono verso Iasi, dove però incontrarono la resistenza da parte di tutti: di Manzi (voluto dai principi Ghica e Costantino Mavrocordat), di vari cattolici e ufficialità. Tra gli oppositori si trovavano anche il vescovo di Bacau, Jezierski, gli altri missionari e il gesuita Regarski. Malgrado tutto questo, Lisa, accompagnato da "tutti li nuovi Miss.i, P. Madrelli, Grizzi e Boloslaj unghero, e con il vecchio P. Ferdinando Boni, e P.re Manzi venuto all'ora da Cameniz", fu ricevuto dal principe "col più mai solito dimostrato amore, massimam.te nel leggere la lett.a scritta dal med.o dal mio P. Vicario Apostolico". Il nuovo prefetto era deciso a fare qualcosa e subito si mise al lavoro. Fece riparare le finestre della casa, mette una stufa nuova e per guadagnare soldi aprì un negozio. Costruì un'altra casa vicino alla residenza, che però andò subito in rovina, essendo malfatta. Va a Bacau per riprendere il terreno appartenente alla missione, e che adesso si trovava nelle mani di "un certo Sig-re Stefano Rossetti".

 

2.9.1 Lisa in buoni rapporti con la contessa Agnese Kálnoki Ferrati

Nella stessa relazione alla Propaganda scritta in gennaio 1740, Lisa, ricevendo la donazione fatta dalla contessa Agnese Kálnoki a Sarfalau, pensa di aprire in questo luogo un centro "per studiare con più sollecitud.e li novi miss.i che vengono da Italia la lingua non solo valaca, ma anco unghera, avendo pensiero di dichiararlo coleggio di q.te lingue p. li miss.i di Moldavia e Valachia, senza che si perda il tempo in vano in Assisi. Q.o mio pensiero spero sarà confirmato da V. Em.a mentre che così frà il termine di sei mesi, ò in un Anno al più, sarano abili di servire le miss.i con l'una e l'altra lingua".

Questo progetto del missionario rivela due aspetti molto importanti. Uno consiste nella presenza dei cattolici di entrambe le lingue e l'altro nella cura puramente pastorale e non nazionalistica dei missionari italiani, malgrado che quando i missionari ungheresi, oppure altre autorità dell'al di la dei Carpazi vorranno imporre, in nome della religione, gli interessi magiari, gli italiani, per controbilanciare questa propaganda, insisteranno sull'importanza fondamentale della lingua romena.

Però, dietro la disponibilità della contessa di offrire il suo aiuto per il progresso della missione dei conventuali, si debbono mettere in rilievo anche altri aspetti, di non poca importanza. Questo centro, al di là dei Carpazi sarebbe stato un luogo di rifugio dei missionari nei tempi calamitosi, e questi tempi erano frequenti, così che il progetto avrebbe segnato l'inizio dell'abbandono della missione. D'altro canto, costituendosi un centro missionario per la Moldavia, nel territorio della corona ungherese, il fatto avrebbe favorito l'avanzata degli ungheresi, la ritirata degli italiani e una sconfitta della Propaganda in questa sua "primogenita" missione. Forse che pensando a tutti questi aspetti, l'arcivescovo di Iconio, Paolucci, scrive alla Propaganda in data 6 maggio 1741: "Rispetto alla nuova Residenza, che la Sig.ra Contessa Kálnoki vorrebbe stabilire nel suo villaggio di Lemheny, non hò omesso di comunicare al P. Prefetto Lisa, ed al P. Madrelli le savie resoluzioni dell'EE. VV., affinche depongano il pensiero, e non si avanzino a fare intorno ad essa veruna disposizione. Lo stesso hò fatto ancora alla menzionata Sig.ra Contessa, esortandola per ora almeno ad acquietarsi, ed a rivolgere il pio suo animo a beneficare in altra maniera i PP. Missionari".

Per Lisa, la contessa Agnese Kálnoki (era sposata con il conte di origine italiana, Bartolomeo Ferrati), che si considerava "protettrice delle S. Missioni di Moldavia", il 7 ottobre 1740, chiede alla Propaganda il vescovato di Bacau, motivando che la presenza stabile di un vescovo è tanto necessaria per il bene delle anime, che restano per lungo tempo senza il sacramento della Cresima. Lei si impegna di dare a padre Lisa una buona parte di un suo villaggio in Moldavia, Cotofenesti ("comprometto, per la sostentazione del medesimo, donare una buona parte del mio villaggio di Kozofanest nella Moldavia"). La sua lettera è un'apologia in favore del nostro missionario, lodando il suo infaticabile zelo per il bene delle anime, i sacrifici e i pericoli che egli corre per "porre in sistema quei poveri Cattolici, e Chiese, non sparambiando fatiga nel visitare con pessimo incontro de Tartari la detta Provincia intiera, e sorti di gran consolazione a tutte quelle Anime della parola Divina sitibonde, richiamando molti traviati e dispersi da quella Scismatica Gente al retto sentiere del Cattolico Gregge, soccorrendoli, istruendoli, e confirmandoli nell'osservanza della legge da vero Pastore, ed immitatore degl'Apostoli, con levare molti abusi, e superstizioni, che per il continuo commercio de'Tartari, Turchi e Scismatici appresi avevano". Data l'intransigenza e le misure punitive prese dalle autorità ortodosse contro gli "scismatici" che oserebbero incamminarsi sul "retto sentiere", crediamo che Lisa avrebbe riportato nel "Cattolico Gregge" solo delle pecore ex-cattoliche. Nel 1740, Lisa aveva scritto a papa Clemente XII "di aversi anche cattivato l'animo del Prencipe di Moldavia, quale benchè scismatico ha fatti a richiesta dell'Ord: varij favori e beneficij alle Chiese e fedeli Cattolici ivi abitanti".

2.9.2 Il vescovo Jezierski in Moldavia (1741)

Nell'estate del 1741 Jezierski venne per la prima ed ultima volta in Moldavia, per la visita canonica, e in questa occasione prese una serie di misure contro il prefetto Lisa. Cercheremo di scoprire i motivi che causarono le decisioni del vescovo. Intanto, gli ordinò di andare via da Iasi, e di curarsi soltanto delle chiese di Bîrlad e Galati. Con questa misura, il vescovo intendeva di far dipendere Lisa da Manzi, il suo vicario, che rimaneva a Iasi. Le comunità della capitale, insieme con quella di Cotnari, rimanevano nella cura di Manzi e dei gesuiti. Dopo la visita, Jezierski si affrettò a tornare in Polonia, mentre Lisa, "non ostante il contrario sentimento del Nunzio di Vienna", "prese l'inopportuna risoluzione di venire personalmente in Roma" per esporre che "tutti gli asserti gravami fossero derivati dai sediziosi maneggi del d.o P. Manzi"; inoltre, "espose in tale aspetto le sue doglianze, e la condotta del Vescovo, che fece concepire per aggravanti le di lui disposizioni". Due anni dopo, la Propaganda analizzò questo problema e decise che il nuovo prefetto che sarebbe mandato, dovrà ricuperare le suddette chiese, se queste fossero già passate nelle mani dei padri gesuiti. Su ordine della Propaganda, nel 1743, Manzi venne a Roma per rendere conto del suo comportamento.

Della sua visita in Moldavia, il vescovo Jezierski ci ha lasciato alcune lettere e una breve relazione sullo stato della missione. In tutta la diocesi, crede che siano "circiter octo millia" anime. Egli trova un missionario a Faraoani, che viene lasciato nello stesso posto e gli viene raccomandato di imparare la lingua parlata in questa comunità, cioè la lingua romena. Un'altra lettera (del 26 agosto 1741) ci aiuta a capire meglio lo stato della missione. Le chiese si trovano in uno stato deplorevole, e per le undici parrocchie ("possent tamen reduci ad novem unam alteri incorporando, quiae aliquae earum sunt nimis vicinae") servono soltanto tre missionari.

Quanto al padre Lisa, il vescovo non vuole offendere gli pii orecchi dei cardinali col raccontare la sua vita scandalosa. Una anno prima di essere eletto prefetto, egli viveva con una concubina, scandalizzando così i cattolici e gli ortodossi. Per questo motivo fu messo in catene. Egli afferma che ha la facoltà di non portare l'abito talare, per non essere perseguitato dagli ortodossi. Eppure, proprio perché non vestiva la tonaca e perché faceva commercio "Bacoviae fuerit verberatus". Oltre a ciò, il vescovo denuncia mancanze ancora più gravi: "plurimi Catholici sine Confessione infantes sine baptismo decedunt, et ut verbo concludam nullum effectum missionum inveni". La serie delle accuse continua. Il prefetto, senza motivo oppure per cause minori, scomunica i cattolici. Poi, toglie la scomunica in modo arbitrario, così che i poveri cattolici "veluti oves errabundas relinquant". Jezierski si trova nella impossibilità di rimediare non tanto alla situazione religiosa del popolo "quia hunc devotissimum inveni", quanto quella del "exiguo clero". Egli pensa che per sradicare i vizi del clero "oporteret novam immittere Coloniam", (una misura molto dura, che non sarà applicata). Riccorda poi che i missionari in "cura animarum", secondo i decreti della Sacra Congregazione, "debent esse subiecti loci ordinarijs", ma teme che dopo la sua partenza le cose "possunt esse pejora prioribus". Consideranto tutto ciò, il vescovo domanda alla Propaganda se "possum tuta conscientia dare Vicariatum Generalem Patri Praefecto Lisa", visto che se il vescovo non fosse arrivato, il principe era deciso di allontanare tutti i missionari a causa del padre Lisa.

Considerando attentamente la situazione, Jezierski nomina come suo vicario generale padre Manzi, amato dal popolo e dalle autorità, a causa della sua vita esemplare e della sua conoscenza delle lingue romena e ungherese. Aggiunge dicendo che egli ha costruito quattro chiese e due case per i missionari, e in tutte le comunità dove ha lavorato, specialmente a Faraoani, Bacau e Rachiteni, ha trovato la gente preparata nella fede e più devota che in altri luoghi. Nella sua relazione abbiamo presente anche il problema della "villa" di Trebes, appartenente al vescovato, che però fu occupata dall'esercito moldavo, fatto che non sarebbe accaduto se il prefetto avesse trattato il problema con più prudenza. Il vescovo si recò nella suddetta località a vedere come stanno le cose. Il principe Gregorio Ghica accordò al vescovo il privilegio di impiegare delle persone nei suoi possedimenti di Trebes che fossero esenti dal tributo. Poi tornò a Iasi, dove mise la prima pietra per la costruzione della nuova chiesa, per la quale anche il principe aveva promesso una certa somma di denaro. Quella di prima "ut parte ex ligno facta iam totaliter corrujt". L'anno seguente, il vescovo scrisse di nuovo alla Propaganda (Lublino, il 16 luglio), dove erano arrivate delle informazioni sulla vita scandalosa di Manzi e delle accuse al vescovo che aveva limitato le facoltà di Lisa e dei missionari. Jezierski dichiara che lo ha nominato vicario generale perché, essendo conosciuta la vita scandalosa del prefetto Lisa, non c'era una altra persona adatta per questo incarico. In poche parole, tutto quello che è stato riferito al nunzio di Polonia, "sunt merae et attroces calumniae". Ritornando al Lisa, dobbiamo dire che dopo due anni lasciò la Moldavia; nel 1742 si trovava a Roma, da dove scrive a Manzi.

Prima di partire, Lisa incaricò Francesco Madrelli come vice-prefetto. Questi, come abbiamo già accennato, era arrivato in Moldavia insieme a padre Lisa, nel 1740, ma nel 1742 era già malato e desiderava tornare in Italia. Probabilmente, da Manzi aveva imparato bene il romeno, perchè da una sua lettera sappiamo che aveva scritto una grammatica ed un vocabolario di questa lingua, che potevano essere utili ai nuovi missionari. Il 7 agosto 1742, Madrelli invia alla Propaganda una relazione sui beni della comunità di Iasi e di altre comunità. In Iasi, i missionari possedevano "due vigne di otto pogoni, e mezzo. Nove botteghe, due case, un osteria. Un fondo p. edificarsi una casa; ed un'altro p. edificarsi altr'e quattro botteghe....Nel villaggio della Speriezze vi sono due altre vigne". Le altre esigue proprietà e i beni della missione erano a Husi, Galati e Trebes; i beni di quest'ultima rappresentavano la mensa vescovile, ma siccome i vescovi, come lo sappiamo, stavano in Polonia, il frutto della loro mensa lo prendevano i prefetti. Il 25 novembre 1742 Madrelli si trovava gravemente ammalato a Sarfalau, presso la contessa Agnese Kálnoki-Ferrati e qui morì il 19 dicembre dello stesso anno.

 

2.9.3 Continuano le tensioni tra i conventuali e i gesuiti

Sotto il principe Costantino Mavrocordat, nel 1743 assistiamo all'arrivo di tre gesuiti ungheresi. Essendo in corrispondenza con il rettore dei gesuiti di Cluj, Giovanni Szeghedi, il principe gli chiede di mandare in Moldavia alcuni eruditi di quest'ordine per scrivere la storia della Moldavia e della Valacchia e per contribuire al miglioramento del livello intellettuale e anche spirituale della gente, specialmente dei bambini e giovani.

Il provinciale di Austria mandò Carlo Péterfi, che stava nel collegio di Presburgo, Andrea Patai e Giorgio Szegedi, entrambi dal collegio di Cluj. Arrivati in Moldavia all'inizio di giugno, st.n., furono ricevuti dal principe ("linguarum latinae, graecae, italicae, valachicae, turchicae gnarus"). In quanto all'opera storica voluta dal Mavrocordat, già nel 1742, Regarski aveva scritto sessanta quaderni, servendosi della biblioteca del principe. Oltre al lavoro intellettuale chiesto dal principe, gli ungheresi pensavano all'attività missionaria tra i cattolici moldavi. Péterfi rimane a Iasi per collaborare all'elaborazione dell'opera storica; gli altri due, invece, andavano per la Moldavia per l'attività apostolica, ma anche per far sapere alle autorità ecclesiastiche che il numero dei missionari era insufficiente (erano sei in tutto) e, oltre questo, a causa dell'ignoranza dell'romeno e soprattutto dell'ungherese da parte dei conventuali italiani, molti cattolici si trovavano nel pericolo di abbracciare l'ortodossia e quelli del distretto di Hotin, il maomettanesimo. Inoltre, quelli che abitavano a Bacau avevano già dimenticato la loro lingua: l'ungherese, affermazione almeno esagerata, dato il fatto che per tre anni (1739-1742), il missionario Mosè Boroszlay aveva svolto una benefica attività apostolica tra i cattolici ungheresi. Con lui, altri due missionari ungheresi, Andrea Patai e Giorgio Seghedi, svolgevano l'attività apostolica in Moldavia, questi ultimi senza il permesso della Propaganda. Anche il principe Mavrocordat, in una lettera inviata al vescovo di Lwów, Lascari, il 15 luglio 1742, voleva nella Moldavia missionari mandati dalla Propaganda che conoscessero il romeno e l'ungherese.

Nel frattempo, i gesuiti Patai e Szegedi cercavano di esercitare il loro ministero presso i loro connazionali, ma trovarono l'opposizione del vice-prefetto Giovanni Ausilia da Palermo, mandato in Moldavia nel 1742 (vice-prefetto 1744-1746). Questo, però, non perché non voleva Ausilia, ma perché nella provincia di Moldavia potevano lavorare soltanto persone mandate dalla Propaganda e i gesuiti non avevano questo mandato. Per avere la licenza, si rivolsero al rettore del collegio di Camienec, perché questi procurasse loro la dovuta licenza dalla Propaganda. Ma, senza aspettare una risposta, essi volevano andare in una colonia ungherese, vicino a Hotin, dove si trovavano circa 300 fedeli.

Siccome il vice-prefetto si oppose, essi trovarono una via di uscita. La regione non faceva più parte della Moldavia; dal 1712, i turchi avevano staccato il distretto di Hotin dalla Moldavia e adesso era governato da un pascia. Così, ordinario per queste parti non era più la Propaganda, ma papa stesso ed in virtù dei loro privilegi, qui, essi potevano lavorare tranquillamente. Ausilia non accettò la loro argomentazione e siccome essi non rinunciarono, il vice-prefetto reagì duramente; non trovando altro metodo per impedirli, li scomunicò ed il documento venne affisso sulla porta della chiesa di Iasi in data di 5 giugno 1743 (st.v.). I gesuiti reagirono, considerando ingiusta ed invalida la scomunica. L'Ausilia resistette e non volle togliere la carta dalla porta della chiesa. Forse perché i gesuiti si rivolsero al principe, nel giorno seguente, Mavrocordat intervenne ed il vice-prefetto si vide costretto a togliere la carta.

Intanto, alla corte del principe, il Péterfi continuava a scrivere la sua storia della Moldavia, cosa che conferma come le relazioni tra i gesuiti ed il principe fossero buone. Il fatto viene confermato da una lettera scritta alcuni mesi dopo da Patai al suo provinciale, dove affermava che il principe era d'accordo con la presenza stabile dei gesuiti ungheresi a Iasi, forse soprattutto per scrivere la storia della Moldavia. Ma nel 29 giugno dello stesso anno (1743), Mavrocordat viene chiamato davanti alla Sublime Porta e sostituito con il suo fratello Giovanni, che non aveva nessuna passione per la cultura. Così, tutti i progetti dei gesuiti andarono a fallimento. In breve tempo, Patai e Szegedi si videro costretti a lasciare la Moldavia. Ma essi non abbandonarono i loro progetti di mettere piede stabile in Moldavia, malgrado dovessero trovare altre strade. Con molta probabilità, dietro la richiesta del provinciale d'Austria, l'arcivescovo di Vienna, il cardinale Sigismundo Kollonich scrisse al papa Benedetto XIV, affermando che i pochi missionari italiani, ignari della lingua del paese, non potevano corrispondere alle esigenze della missione. Per rimediare questi mali, l'arcivescovo chiese al papa una particolare licenza, acciocché la provincia gesuitica d'Austria potesse mandare in Moldavia e Valacchia (in realtà, il problema si poneva solo per la Moldavia, perché il cardinale fa menzione solo dei conventuali, "che pretendono avere un privilegio di privativa per dette Missioni") due religiosi ungheresi. Il papa consultò il loro generale, Retz, che era dello stesso parere del Kollonich; inoltre, chiese per i suoi confratelli un documento speciale, affinché non fossero ostacolati dai conventuali, aggiungendo a questo punto che Szeghedi e Patai erano stati scomunicati da Ausilia.

L'11 ottobre 1743, il pontefice approvò le richieste del cardinale e del generale della Compagnia, chiedendo al cardinale prefetto della Propaganda, Petra, di dare via libera a tutte queste proposte: "La S.ntà Sua determinò fin dal passato mese d'ottobre che dal P. Generale della Comp.a di Gesù si mandassero in quelle Parti due sacerdoti della stessa Comp.a di nazione ungara, o pratici almeno di quel linguaggio, i quali potessero scorrere quelle Regioni, catechizando, amministrando Sagramenti, ed esercitando ogni altra incombenza propria de' Missionarij mandati alla coltura di esse; con facoltà inoltre allo stesso P. Generale di effettuare la med.ma spedizione ancora di tempo in tempo; affinché crescendo in quelle parti il numero dè Sagri Operaj, possa sperarsene tanto maggiore la messe; e ciò sino à tanto, che q.sta S. Cong.ne non avesse motivo di ordinare altrimenti", cioè di darle un carattere stabile, oppure di sospenderle. Avendo l'approvazione pontificia, i due gesuiti ungheresi tornarono presto in Moldavia, ottenendo qui anche il consenso del principe Mavrocordat. Del tutto contrario, invece, si mostrò di nuovo Ausilia, che desiderava tanto che questi ritornassero in Transilvania e lasciassero in pace i suoi confratelli.

Infatti, nello stesso anno, oppure l'anno seguente (1745), forse perché il Mavrocordat non li gradiva più, i gesuiti ungheresi devono andar via. É molto probabile che egli temesse adesso che la presenza dei gesuiti imperiali potesse far sospettare la Sublime Porta che fossero delle spie, quello che avrebbe pregiudicato la situazione di Mavrocordat. Infatti, nel settembre 1746, il principe ingiunse al prefetto Manzi di non accettare tali missionari. In più, ordina alle guardie delle frontiere di impedire l'ingresso dei gesuiti imperiali.

Ma nella missione rimanevano i due gesuiti polacchi, uno come superiore e quasi sempre a Iasi, l'altro adempiendo vari incarichi nella capitale ed in altri luoghi. A Iasi, malgrado che non avessero il permesso della Propaganda, avevano eretto un oratorio privato nella loro residenza, ma la congregazione, quando seppe di questo fatto, non si oppose. L'anno seguente (1745), i polacchi chiesero alla stessa congregazione il permesso di dare un carattere pubblico al loro oratorio, con la motivazione di poter predicare e confessare i loro connazionali, a motivo che i conventuali non conoscevano la lingua polacca. Ma il relatore della loro causa, il cardinale Bardi, ricordò ai porporati che i gesuiti polacchi, presenti da quasi un secolo in Moldavia, erano venuti specialmente per far scuola ai bambini e che la missione era particolarmente riservata ai conventuali. E per quanto riguarda l'assistenza spirituale dei polacchi, questa si poteva fare nella chiesa parrocchiale. Di conseguenza i cardinali decisero che nella capitale i gesuiti non potevano aprire un oratorio pubblico.

Nella stessa riunione dei cardinali (20 aprile 1744), fu presa una misura anche in favore dei cattolici di lingua ungherese, pure per controbilanciare le richieste dei gesuiti ungheresi. Due conventuali ungheresi, Basilio Frenk e Urbano Baczoni, furono incaricati per l'assistenza spirituale dei loro connazionali. In più, nel collegio di Assisi vennero riservati due posti per i convenutali d'Ungheria, i quali, finita la loro preparazione, dovevano svolgere la missione in Moldavia.

Tornando ai gesuiti polacchi, verso la fine del 1745, a Iasi arrivano altri due missionari, Francesco Parzechowski, superiore, e Giuseppe Wroblewski, suo collaboratore. Nel agosto dell'anno prossimo, essi si recano in Polonia, a Brzesc, per consegnare alla nobiltà ivi radunata le loro suppliche: la riduzione delle imposte sui beni della missione, l'erezione a Iasi di una chiesa propria, oppure almeno di un oratorio ed un aiuto finanziario per la loro missione e per i polacchi fuggiaschi. Ma le loro richieste rimasero tutte senza alcun esito positivo.

 

2.9.4 La relazione di Ausilia sullo stato della missione - 1745

Oltre a difendere i diritti dei conventuali, motivo di tante e spesso inutili tensioni con i gesuiti, Ausilia ci ha lasciato una importantissima relazione sullo stato della missione, con delle preziosissime informazioni sulla Moldavia, in generale. Rispondendo ad un questionario mandato dalla Propaganda, nel 1745, il vice-prefetto scrisse questa relazione che può essere paragonata, come importanza, a quella fatta da Bandulovi nel 1646. Il governo del paese venne affidato dalla Sublime Porta "alli Greci Scismatici... colla soluzione di 450 borse di tributo annuale".

Al numero 8, il missionario si sofferma su un problema importante: la lingua parlata dai cattolici: "La lingua assolutamente necessaria per esser intesi i P.P. Missionarij è la Valacha ò sia Moldovana, ne qui bisogna la lingua Ungara perché l'Ungari di questa Pro-ia essendo nati in Moldavia prima vengono instruiti della lingua del Paese Moldovana e poi accidentalmente dell'Ungara". E se i missionari ungari venissero a lavorare in Moldavia "sarebbe l'istesso che stabilire un seminario di scandali", ed essi, "essendo privi della lingua Moldava non potrebbero a pieno esercitare il Ministero di Missionario", e non ci sarebbe pace tra i cattolici "per li continovi ricorsi che li uni contro l'altri farebbero". Così, conclude il vice-prefetto, "non esser in q-ta Pro-ia la lingua Ungara necessaria", anche perché "in alcuni Villaggi... la sudetta lingua si và deperdendo per non esser giovani più in q-ta esercitati". Concludendo questo problema, Ausilia suggerisce l'istituzione di un lettore di lingua romena nel collegio di Assisi, "per esser q-ta lingua l'unica lingua necessaria in tutt'il Paese".

Possiamo fare alcune brevi osservazioni. L'insistenza del missionario sulla necessità della lingua romena viene motivata in un modo, crediamo, abbastanza serio e solido. Prima di tutto, gli "ungari" del paese sono nati qui; non è arrivato ancora il tempo, come vedremo in avanti, in cui molti dei cattolici della provincia sono appena giunti dalla Transilvania. La loro istruzione nella lingua del paese non si fa nelle scuole, perché non esistono, tranne quelle delle principali città, oppure presso i principali monasteri del paese; ma in queste scuole entravano solo i figli dei boiari e qualche monaco, prete o vescovo per imparare gli elementi fondamentali della liturgia; si capisce così che i contadini erano tutti analfabeti. Essi imparano il romeno con il contatto con la gente, oppure dai missionari, quando questi sapevano abbastanza il romeno, che li aiutano a imparare le preghiere, gli elementi fondamentali della fede (il catechismo), come anche i tratti fondamentali della liturgia (il rito della Messa, del battesimo, delle esequie, ecc.). "Accidentalmente" vengono istruiti in ungherese dai missionari venuti dalla Transilvania, e che adesso no ci sono, oppure in famiglia. Ma, osserva Ausilia, anche in famiglia, i giovani non vengono più aiutati ad imparare la lingua madre ungherese. In breve, questa sarebbe la situazione linguistica degli "ungheresi".

La relazione non ci offre gli elementi necessari per fare una percentuale dei cattolici ungheresi e di quelli romeni. Comunque, è fuori dubbio che ci sono cattolici solo di lingua romena; altrimenti, il missionario non avrebbe accennato agli "continovi ricorsi" che i romeni farebbero contro gli ungheresi, e viceversa, nel caso in cui venissero accettati i missionari ungheresi.

A questo punto, si impone una domanda: Perché l'arrivo dei missionari ungheresi sarebbe un motivo di conflitti tra i due gruppi linguistici, come anche tra gli stessi ed i missionari italiani? Come vedremo più avanti, i missionari conventuali italiani temevano, e non senza motivo, che gli ungheresi avrebbero preteso che la missione passasse sotto la loro protezione; ciò sarebbe stata una perdita per i conventuali, che non senza ragione difendevano questa "primogenita" missione della Propaganda, a loro affidata nel 1625. Inoltre, per quanto riguarda i conflitti tra i due gruppi etnico-religiosi della provincia, questi sarebbero accaduti solo a causa del nazionalismo dei missionari, che, in somma, vorrebbero che tutti i cattolici, o quasi, si dichiarassero ungheresi. Già nel passato recente (1743) si era verificata una tensione tra i conventuali italiani ed i gesuiti ungheresi, proprio a causa del nazionalismo di quest'ultimi.

Ausilia ci presenta nei numeri 9 e 10 della sua relazione le 21 comunità cattoliche, che insieme formano più di 750 famiglie. Più in avanti, nei numeri 25-39 vengono presentate le 20 chiese della missione e tutti i loro beni, cioè le suppellettili e gli altri oggetti che servono al culto. Insomma, il relatore non trascura niente di quello che la missione possiede; al contrario, si osserva una certa scrupolosità nel elencare tutto questo.

Il paese è governato da un principe (attualmente, Giovanni Mavrocordat), aiutato dagli "ispravnici", cioè Giudici Principali che devono giudicare i letiggij che occorrono rissiedono nelle seguenti Città": Suciava, Neamt, Bacau, Putna, Tecuci, Covurlui, Falci, Vaslui, Putna, Orlei, Soroca, Iasi, Dorohoi, Hîrlau, Cîrligatura, Roman e Cernauti. Al numero seguente (12), il missionario ci fa sapere che nei territori a loro affidati, questi "ispravnici" permettono "sicurissima a nostri Cattolici l'esercitio delle missioni senz'oppositione de schismatici".

La maggioranza dei cattolici sono di rito latino, "altri sono Greci Cattolici uniti, altri sono Armeni Cattolici del Rito Greco", cioè di rito orientale, questi ultimi due gruppi sono arrivati in gran parte dalla Transilvania. Dei cattolici di rito orientale verranno in Moldavia anche nei decenni che seguono, alcuni di loro cercando un posto nelle comunità cattoliche, altri andando direttamente nelle comunità ortodosse. Ma tutti quanti, non avendo qui sacerdoti cattolici del loro rito, passeranno all'ortodossia.

Poco dopo il 1775, in un documento anonimo ci si racconta che a Valea Seaca, nella messa vespertina arrivano "alcuni Moldovani", ma erano "dei fugiti da Transilvania", e il relatore li chiama moldovani perché parlavano solo il romeno. Il missionario chiese loro di frequentare regolarmente la chiesa cattolica. Ma essi risposero "che anche in Moldavia conserverebbero l'unione, se avessero un Prete del loro rito, e tanto mi dissero in altre occorenze alcuni dei Russi" (probabilmente ucraini uniti). Siccome il missionario non li può aiutare per avere dei loro sacerdoti, essi risposero che in tal caso non sono disposti a rimanere nella Chiesa cattolica, "e tutto ciò si può attribuire alla loro insensibilità circa il spirituale, ed ignoranza, che è grande, come è anche grande quella dei nati scismatici".

a) Vescovi e loro residenza

I numeri 40-46 della relazione (ff 346-347) espongono il problema del vescovo, che ha una chiesa cattedrale in Bacau, ma senza residenza. All'anno, i beni della chiesa cattedrale salgono a 30 scudi romani. Siccome il vescovo, "per se non ha nessuna abitazione in q-ta Provincia... ne rendite non può permanere ne abitare in q-to suo Vescovato", per cui sta "continovamente in Polonia senza che mai si facia vedere da queste sue pecore per riceverne quel conforto spirituale... a riserva dell'anno 1741 nel quale lodevolmente e con tutta sodistafione de popoli visitò q-ta sua Diocesi". Poi, "essendo distante da q-to suo Vescovato non s'ingerisce negl'affari publici, politici, ed di stato della Pro-ia, ne in altri interessi non corrispondenti al suo officio".

Se "la Mensa Episcopale certamente non ha beni stabili", la chiesa vescovile possiede "alcuni stabili in Trebes ed in Calugera che ascendono a n-o di 820 pogoni... alcuni delli quali sono frutiferi, altri sono prati; in q-ti si falca il fieno, in quelli si racogliono noci meli ed altri frutti, si notifica che non sono coltivati". A Trebes, la chiesa vescovile ha 200 pogoni "di terra libera", affidati ai cattolici, ma, ne la chiesa, ne i cattolici hanno qualche beneficio, a causa dei "gravissimi tributi che devono contribuire molte volte l'anno al Principe". La posizione precaria dei cattolici si può capire anche dal fatto che cinquant'anni prima, 600 pogoni di Trebes sono stati arbitrariamente venduti da un ortodosso ad un figlio della famiglia dei boiari Ruset, "dai quali si possono ricuperare con ristituirli 110 scudi Romani". A Calugara, si verifica la stessa realtà: 15 pogoni sono stati presi "senza nessun titolo" da un boiaro, "Raducano Hatman, cioè p-o Duce della Pro-ia". Per tenersi il terreno, "ha formato molte scriture false con testimonianze bugiarde".

b) I clerici regolari

Nei numeri 47-81 della relazione (ff 347-350), Ausilia ci presenta la vita e l'attività dei missionari, che sono i conventuali ed i gesuiti, quest'ultimi appartenenti alla provincia della Polonia e "colla facoltà di confessare dal Vescovo di Baccovia". Essi hanno una residenza a Iasi e una casa a Cotnari, "da loro inabitata". I conventuali "non hanno conventi, ne ospitij, ma solamente una residenza in Iassi, ed alcune case ne luogi delle missioni". Solamente i due conventuali di Iasi (stanno in due "per esser in facia del Principe e nella capitale di Iassi e per decoro della S-a Missione") ed i gesuiti possono permettersi di avere un servitore. Gli altri missionari devono arrangiarsi da soli, a causa dei tributi che devono pagare per i servi. Per questo motivo, Ausilia chiede ai cardinali che intervengano "presso del Visirio che ordini a q-to Principe di concedere com l'altri Principi li nomini sopradeti p. il servizio esenti dal tributo". I Conventuali "non hanno coro, ne meno impiegansi in divertimenti", sono "impiegati in gran fatiche spirituali", "vivono all'apostolica, e con somma povertà". Il padre Ferenk, da tre anni nella missione, dall'inizio ricevette dal principe l'incarico di "Maestro di scuola per istruire nella lingua latina la gioventù scismatica", ma siccome l'attuale principe è "pocho amante degli studij q-ta scuola e quasi totalmente perduta, avegnache prima erano quaranta e più Discepoli, or son rimasti sei o otto in circa, essendo q-ta scuola situata in Iassi ove parimenti sono l'altre situate in un Monastero de Greci scismatici" (f 350).

I gesuiti hanno tre proprietà nella vicinanza di Iasi e sei vigne a Cotnari, ma "perche non hanno pecuglio" (soldi, denaro; dal latino pecunia, ae) si mantengono "col soccorso del suo Padre Provinciale, che d'in anno in anno ci somministra, come pure detti Padri annualmente due o trè volte si portano in Polonia alle case de Grandi, e suoi benefatori dalli quali ricevono large limosine".

In molte comunità cattoliche, i missionari vengono aiutati dal "Maestro di Chiesa" (il cantore), che deve essere "alquanto pratico della lingua latina", e il "Figlio di Chiesa" (fecior de biserica); i suoi compiti sono di pulire la chiesa e di "procurar da Popoli il risarcimento e bisogni della Medemma" (f 342).

L'attività pastorale, come pure tutte le celebrazioni liturgiche si fanno nella lingua romena e in latino. Nei giorni festivi, prima della Messa, i missionari spiegano "ad litteram in lingua Moldovana il corrente Vangelo, a mezza messa la predica doppo la Messa si publicano i giorni festivi, vigilie, e quatro tempi... il dopo pranzo con tanto progresso della S-a Fede insegnano il Catechismo, si portano a visitar gl'infermi", e giorno e notte, col caldo o col freddo, corrono per tutti i luoghi della missione, "celebrando più delle volte due Messe... nell'istesso giorno". Durante l'anno, più volte i missionari lasciano le loro comunità, dove di solito risiedono, e "si stendono negl'altri luoghi lontani per aggiutare tutte quell'anime, che son prive del sussidio spirituale trasportandosi anche ne monti dove son nascosti alcuni Cattolici per non poter pagar il tributo". Per il sostentamento dei missionari, la gente da "due staia per casa consistente in qualche pocho di grano, gran Turcho, miglio, ed altre vilissime biade", e quello che rimane "si vende rarissimo ed a vilissimo prezzo" (f 349).

 

In seguito vengono presentate le diocesi vicine alla missione; queste sono Camieniec, in Polonia ("sei giorni distante da Iasi"), e la diocesi di Alba Iulia (Carolina), in Transilvania ("distante giorni 10": f 351). I paesi confinanti sono: la Polonia, la Pocuzia, la Transilvania (dove sono "quantità di Calvini, Luterani, Ariani, e Greci Schismatici": f 351), la Tartaria e la Valacchia. In Tartaria lavorano i gesuiti; in Valacchia, invece, sono i conventuali osservanti appartenenti alla provincia di Bulgaria.

Per quanto riguarda i gesuiti, Ausilia non dice niente su quelli ungheresi, caso che fa pensare che in quest'anno fossero tornati in Transilvania. Non li voleva il vice-prefetto, e anche i sentimenti del principe Mavrocordat erano cambiati nei loro riguardi. Arrivati in Moldavia due anni prima (1743), già devono lasciare il paese e anche la Propaganda non era favorevole ad una loro stabile presenza perché la congregazione aveva già mandato due missionari per assistere i cattolici che non capivano il romeno.

Dopo due anni di prefettura, Lisa non vuole più stare in Moldavia. I destini della missione sono nelle mani di Francesco Madrelli, vice-prefetto, che, però, alla fine dellanno 1742 morì a Sarfalau. Nel 1744, la missione era governata dal vice-prefetto Giovanni Ausilia, di Palermo, arrivato nella missione due anni prima assieme ai padri Giuseppe Zingali e Bonaventura Giovaninetti. In Italia, Ausilia era stato eletto otto volte come superiore di alcuni conventi siciliani, per cui, prima di morire, Madrelli non poteva pensare ad altra persona per la propria sostituzione. Lui è l'autore dell'interessantissima relazione sullo stato della missione, presentata sopra.

 

II. I PREFETTI TRA IL 1744 E IL 1760

 

2. 10 Francesco Manzi (1744-1748)

 

2.10.1 Manzi, grande costruttore di chiese e canoniche

Nel 1744 fu nominato prefetto Francesco Antonio Manzi da Longiano, destinato missionario per la Moldavia nel novembre 1721, all'età di solo 26 anni, e arrivato nella missione in aprile dell'anno seguente. Dato il suo lungo e tanto fruttuoso impegno missionario, soprattutto nel costruire chiese e case per i missionari, pensiamo che sia necessaria una brevissima presentazione della sua attività fino al momento in cui fu nominato prefetto, in quanto era stata più importante la sua attività come semplice missionario che come prefetto.

Quando arrivò in Moldavia, era vice-prefetto Silvestro d'Amelio, che lo inviò nella parrocchia di Faraoani. Qui lavorò per sei anni, durante i quali riuscì a costruire la casa per il missionario e anche la chiesa per la quale fece arrivare dalla Transilvania varie icone e un organo. Dopo venne inviato a Husi e Ciubarciu dove, per due anni, si impegnò con lo stesso zelo nella pastorale e nell'arredare le chiese. Nel 1730, il prefetto Cardi lo mandò di nuovo nella sua prima parrocchia, a Faraoani, per rifare la chiesa che era andata distrutta a causa di un incendio. Manzi, però, decise di costruire un'altra chiesa, più grande, dedicata a Sant'Antonio di Padova. Mentre si trovavava in questa parrocchia, raccogliendo elemosine, costruì anche la chiesa di Bacau, essendo la vecchia chiesa completamente in rovina. Dopo tre anni andò a Galati, dove rimase solo pochi mesi perché venne chiamato a Grozesti, dove rimase per tre anni, tempo in cui riuscì a costruire la chiesa e la casa parrocchiale. Come aveva fatto alcuni anni prima a Bacau, anche a Trotus costruì una chiesa però più piccola della precedente, che era completamente rovinata. Nel 1736 venne mandato alla missione di Rachiteni, ma per poco tempo, perché nello stesso anno il nuovo prefetto, Pesci, lo rimandò a Faraoani, dove rimase fino al 1738. In quell'anno scoppiò una nuova guerra tra turchi e russi e nei pressi della sua parrocchia ci fu una battaglia tra turchi, tartari e austriaci, dopodiché, il missionario insieme ai suoi fedeli andò sul luogo della disgrazia e in un gesto di carità cristiana, celebrò la messa e seppellì i defunti.

I russi erano adesso i padroni della Moldavia e lo saranno fino all'anno seguente, quando si ritirarono razziando tutto quello che si poteva prima di partire. Anche i poveri missionari vennero portati via e lasciati dai russi sulla riva del Nistru. Manzi andò in Polonia da dove ritornerà in Moldavia nel febbraio dell'anno seguente, chiamato dal principe Ghica, che lo voleva prefetto, dopo la morte di Pesci, senza però riuscire a farlo nominare. In questa circostanza, il principe riconfermò il possesso alla chiesa di Iasi di una vigna a Sperieti. Poi andò a Rachiteni e Tamaseni, restaurando chiese e case, spogliate dai russi. Nel 1744 si trovava a Roma, per riferire al papa Benedetto XIV e alla Propaganda sulla missione in Moldavia e sul paese in genere. Le sue relazioni, per la quantità di informazioni e la loro importanza, sono pari a quella di Ausilia.

Come abbiamo detto, all'inizio del 1744 Manzi venne nominato prefetto, mentre si trovava ancora in Italia. Partì verso la Moldavia, ma dovette fermarsi a causa della grande neve e del movimento delle truppe. In primavera era a Venezia, dove aspettava una nave per andare a Costantinopoli. Erano passati già 23 anni da quando, giovane e pieno di energia e di tante buone intenzioni, aveva messo piede per la prima volta in Moldavia. Malgrado che il suo cuore battesse ancora per quella gente per cui si era sacrificato, adesso, però, cominciò a pensare di dover andare altrove, in cerca di una vita un po più tranquilla e più comoda; questo forse perchè le sue forze non reggevano più alle esigenze di una missione tanto travagliata, come era quella di Moldavia.

 

2.10.2 La dura vita dei missionari

Le difficili condizioni di vita dei missionari e della gente si leggono anche in una lettera del missionario Giovanni Frontali indirizzata al suo ministro generale: "Sono già passati cinque anni di quando siamo in Moldavia, creda V: E: R.ma, che sembrano cinquanta per le grandi miserie e disgusti che si trovano in codesta patria; tanto piu che tutti si sono dimenticati di noi". In Moldavia c'è una "grande penuria di tutto p. la mortalità dei Bestiami, per le locuste, e p. la siccità". A Trotus non si trova "ne Chiesa, ne campana da cinquanta anni in qua, perché i tartari l'avevano incendiata, ma che ora è stata rifabricata la d.a Chiesa, e rimessa la campana, con aver fato ancora cingere di un assiepe il Cemeterio per garantire le ossa dei fedeli defonti dagli Animali". Come abbiamo detto già, fu il Manzi a costruire la nuova chiesa.

Dalle parti della Tartaria, l'anno seguente (1748), il padre Giovanni Battista Vannucci ci presenta altri dettagli della stessa realtà. Già da otto anni i principi hanno abolito i privilegi delle chiese cattoliche, e per quanto riguarda la sua persona, leggiamo che "sono scorsi otto anni che sono nell'impiego di Missionario Apostolico in questa Provincia di Moldavia e Tartaria, neli quali tempo non ho ricevuto sussidio, se non che d'un anno e mezzo dal P.re M.ro Manzi... qual dice che ha scritto molte volte alle V: Eminentissima e Rev.dissima Signoria senza vederne risposta, siccome io. Molto pregiudizio apporta ciò all'Onorevole Ministero Ap.lico. Ritrovandosi la mia povera persona opressa del tutto il bisognevole, avendo vissuto din'ad ora quattro infermità di morte senza... potenza di sostentarmi d'un cibo ordinario...Nell'anno 1743 mi assaltarono i Turchi e i Tartari, mi straparono la barba strascinandomi p. terra con bastonate così grandi che la mia faccia non si cognosceva piu. Fui portato d'alcuni Armeni nella città di Barlata quasi morto tre giorni che non potevo respirare... mi sostentò p. lo più con Farina di Gran Turco fatta bollire nell'acqua semplicemente. Tre e quattro Mesi sto senza poter gustare Carne o altro cibo p. le gran miserie che sono in queste parti". A Husi, egli aveva in cura 94 famiglie e 36 nelle zone oltre il Prut, che vivevano in uno stato di povertà quasi estrema.

 

2. 11 Carlo Leonardi (1748-1749)

 

All'inizio del anno 1749 arrivò in Moldavia il nuovo prefetto Carlo Leonardi, che trova ancora Manzi, cui affida alcune lettere da portare a Roma. Abbiamo poche notizie su di lui, perché morì nell'autunno dello stesso anno

 

2. 12 Clemente Laidet (1749-1755)

 

Il 17 novembre 1749 venne nominato prefetto un alsaziano, già missionario a Costantinopoli, all'età di 43 anni, Clemente Laidet. Arrivato nella missione, subito cerca di sottomettersi i gesuiti, controllando in tutto la loro attività. I membri della Compagnia di Gesù, cioè i due polacchi, non potevano esercitare alcuna funzione spirituale né a Iasi, né in alcun altro posto della Moldavia senza la previa approvazione del prefetto. In più, il prefetto non permise ad essi neanche di ospitare alcuna persona nella loro residenza per compenso, ma soltanto per pura carità. Nella capitale, essi volevano costruire un oratorio per poter celebrare liberamente la messa, progetto contro il quale i seguaci di san Francesco saranno sempre molto decisi.

Siccome i gesuiti cercavano di conservare un loro spazio di libertà,e non rinunciarono al loro oratorio già progettato, il prefetto si appellò al tribunale del principe Costantino Racovita, il quale, per non essere più disturbato da questi litigi interni tra i religiosi cattolici, decise semplicemente che tutti i cattolici della Moldavia, laici o no, dovevano essere sottoposti in tutto al prefetto e persistendo le tensioni tra i religiosi, i francescani chiesero l'intervento della Propaganda, del vescovo Jezierski e perfino dell'ambasciatore francese presso la Porta, insomma di tutte le autorità alle quali potevano rivolgersi, contro i padri della Compagnia.APF, SC, Mold., v 4, f 429..

 

 

Per quanto riguarda i conventuali, Laidet si mostra contento del loro lavoro. Essi predicavano in lingua romena e nella stessa lingua svolgevano anche le loro attività pastorali. Uno di loro, Donnolo Donnoli, morì annegato nel fiume Bistrita all'inizio di settembre 1750. Questi aveva lavorato per parecchi anni nella missione di Rachiteni, poi era andato a Sarfalau, presso la contessa Kálnoki; tornando, è fu mandato nella missione di Calugara, dove morì. Laidet intervenne presso il principe e presso l'ambasciatore francese a Costantinopoli per ottenere il permesso (fermano, oppure ordine o editto) di erigere una nuova chiesa a Iasi, anche con lo scopo di rendere inutile gli sforzi dei gesuiti di costruire una loro cappella, in quanto non c'era bisogno di due chiese per i pochi fedeli della capitale. Già nel 1745 i conventuali erano al lavoro per la costruzione della nuova chiesa.APF, SC, Mold., v 4, ff 420-421.. Nel 1753, il prefetto ricevette il fermano e dopo due anni i lavori erano finiti. Nel 1755, egli benedisse la nuova chiesa di legno che accanto alle due case dei missionari, rallegrava l'anima dei padri e dei fedeli.

 

2.12.1 La sede del vescovo di Bacau trasferita a Sniatyn - 1752

Abbiamo già menzionato il vescovo Jezierski. Nel suo tentativo di trovare una sistemazione canonica, cioé di non andare contro il volere del pontefice e della Propaganda di stare nella sua residenza, cioé a Bacau, nel luglio 1752 egli scrisse al papa Benedetto XIV. Gli chiese di spedire una lettera breve all'arcivescovo di Lwów, che aveva promesso di dare al vescovo di Bacau un terreno nella città di Sniatyn, ai confini con la Moldavia, per sua stabile residenza. Nella stessa città, il pontefice avrebbe dovuto incoraggiare l'arcivescovo ad erigere un seminario per i giovani della diocesi moldava .APF, SC, Mold., v 4, ff 422-423.. Con un breve del 2 agosto dello stesso anno, il pontefice separò la città di Sniatyn dall'arcivescovato di Lwów e la assegnò come residenza stabile ai vescovi di Bacau. I motivi di questa decisione che, peraltro, sanciva una realtà di fatto (i vescovi stavano in Polonia e non nella loro sede) sono: i beni della mensa vescovile erano stati usurpati dal boiaro Rossetti e la casa del vescovo si trovava in condizioni pietose. Così, il vescovo era con la coscienza a posto e poteva vivere in santa pace nella sua terra.

 

 

A Costantinopoli, Laidet non era ben visto dall'ambasciatore francese, che lo considerava una spia dei russi e voleva allontanarlo dalla Moldavia. Con tutto ciò, il vescovo Jezierski lo nominò suo vicario generale il 20 marzo 1756.

 

2. 13 Giuseppe Cambioli (1755-1760)

 

Il 22 settembre 1755, la Propaganda nominò al posto di Laidet come prefetto il siciliano Giuseppe Cambioli, sulla cui prefettura abbiamo pochissime informazioni. Nel 1758 egli cedette ad un certo Antonio Fergmann una casa, mediante una rendita annua. Più tardi, nel 1763, i cattolici di Iasi scrissero alla Propaganda, ringraziando per averlo richiamato in Italia. Durante il periodo passato in Moldavia non ha imparato la lingua del paese ("neque unum verbum potuit addisere de nostra vallatica lingua"). Vecchio irascibile e poco pratico delle cose della gente e di quelle di chiesa, ignorante e ammalato per cui "debebat manducare semper carnem". I cattolici della capitale dimenticando forse di presentare anche i suoi pregi, ne facciano un ritratto, di certo non positivo, elencando solo difetti e limiti.

 

 

Durante il periodo tra 1742 al 1765 conosciamo i nomi di diciotto missionari .APF, SC, Mold., v 5, ff 20-21., in quel momento quasi sufficienti come numero, dato che già, come verrà presentato nel seguente capitolo, il numero dei cattolici stava sempre aumentando con l'arrivo di tanta gente dalla Transilvania. Con la prefettura di Cambioli chiudiamo questo capitolo. Il motivo è che da adesso in poi la vita della missione prenderà aspetti diversi, proprio a causa dell' ingresso di cattolici transilvani, per cui crediamo più adatto presentare l'attività dei missionari per questi ultimi quattro decenni del secolo in un capitolo separato.

1