CAPITOLO II 

 

 

I PREFETTI E I MISSIONARI

DURANTE IL PERIODO 1700-1760

(La lenta e lunga ripresa della missione moldava)

 

 

 

 

I. I PREFETTI DAL 1689 FINO AL 1744

 

2.1 Quadro socio-politico della Moldavia nel XVIIIo secolo

 

Nel primo capitolo abbiamo tentato di dare una panoramica alquanto breve e sintetica della storia ecclesiastica della Romania fino al XVIIIo secolo, malgrado la nostra attenzione si sia fermata soprattutto sul periodo medioevale della Moldavia, considerando tutto questo piuttosto come una necessaria introduzione al nostro tema.

Prima di presentare e analizzare il cattolicesimo moldavo nel XVIIIo secolo, crediamo che sia utile tracciare un brevissimo quadro "laico" della Moldavia di questo periodo. Ciò ci aiuterà a capire meglio in quale contesto socio-politico si trovava la minoranza cattolica; questo breve sguardo storico non impedirà comunque il richiamo, lungo il nostro lavoro di altri accenni sulla storia moldava, sia sui rapporti tra i missionari e le forze politiche e amministrative locali.

Dopo la ribellione del principe Demetrio Cantemir, alleatosi con i russi contro gli ottomani, ribellione conclusa con la sconfitta del principe a Stanilesti nel 1711, i russi se ne partirono portando con loro anche il principe. Subito dopo arrivano i tartari e non solo, che saccheggiano spaventosamente una buona parte della Moldavia e anche la missione (fedeli, conventuali e gesuiti, come anche le loro proprietà) ne soffri le conseguenze di queste scorrerie dei "moscoviticis, calmucensibus, kozaticis et latronibus". Nell'anno in cui scoppiò una nuova guerra tra gli imperiali e la Sublime Porta (1716), quest'ultima decise di eleggere sul trono della Moldavia non più un autoctono, ma un greco dal quartiere Fanar (il nome Fanar viene da un faro che aiutava i marinai ad arrivare facilmente al porto del golfo del Bosforo), che poteva essere controllato facilmente dai sultani. Venne eletto Nicola Mavrocordat; nello stesso anno, la stessa persona venne nominata come principe anche per la Valacchia, dopo che a Istanbul erano stati strangolati il principe della Valacchia Stefano Cantacuzino assieme al suo figlio. Così iniziò per i due paesi della Moldavia e della Valacchia l'epoca "fanariota", che durò fino al 1821 con le grandi famiglie di principi tutte di origine greca (Mavrocordat, Moruzi, Sturza, Caragea, Ipsilanti, Ghica), tranne la famiglia Racovita, di origine romena.

Oltre alle conseguenze politiche, il rafforzamento del dominio ottomano ebbe per la Moldavia gravi ripercussioni economiche. Aumentarono in modo spaventoso le tasse e altri innumerevoli contributi che i principi, i boiari, il clero, come anche tutto il popolo dovevano pagare al sultano e ai suoi rappresentanti politici, militari o amministrativi. Nel periodo tra il 1711 e il 1812 tra l'Impero ottomano, da una parte, e la Russia e l’Austria, dall'altra, furono combattute sei guerre per un periodo complessivo di 23 anni, guerre che in gran ebbero luogo sui territori di Moldavia e Valacchia. Tutto ciò portò altre gravi conseguenze per la popolazione locale: impoverimento, esodo di tanta gente verso le montagne o in altri luoghi più sicuri, morti, malattie, instabilità politica (il periodo fanariota contò 40 prìncipi in Valacchia e 36 in Moldavia; uno di essi, molto abile, Costantino Mavrocordat, regnò per quattro volte in Moldavia e addirittura sei volte in Valacchia), ecc.

A causa delle guerre tra le rispettive potenze seguirono anche perdite territoriali: nel 1713 la Sublime Porta trasformò la zona di Hotin, nell'estremo nord della Moldavia, in "raia", cioè territorio controllato completamente dai turchi. Così, l'Hotin diventò una testa di ponte che ai turchi dava maggior voce negli incontri e scontri con la Polonia, ed eventualmente con altre potenze europee. Bisogna aggiungere che nella vicina Valacchia, la parte occidentale della provincia, cioè l’Oltenia e il sud della Transilvania, cioè il Banat, vennero annesse all'Austria, in conseguenza della pace di Passarowitz (1718), che segnò la fine di un'altra guerra tra gli ottomani e l'Austria. L'annessione dell'Oltenia durò solo per un breve periodo di tempo (1718-1739).

In questo contesto di dominazione ottomana, ma anche di avanzata della Russia e dell'Austria, non rare volte i principi e molti dei boiari chiesero ai grandi capi europei il riconoscimento di una certa indipendenza e autonomia della Moldavia, come anche della Valacchia, per il fatto che non facevano parte integrante dell'impero ottomano. Però, la Sublime Porta, oltre a nominare principi non autoctoni, cercò pure in tutti i modi di controllare anche il paese, di riscuotere le tasse, di portar via alimenti, animali, ecc.

Per quanto riguarda l'intervento delle grandi potenze a favore degli ortodossi, come anche della minoranza cattolica, abbiamo già detto che dopo la pace di Karlowitz (1699), la Porta ottomana si obbligò a garantire il libero esercizio del culto cattolico in Moldavia e in Valacchia e confermò alla Polonia il diritto di nomina per il vescovo di Bacau. Dopo la pace di Kutsciuk-Kainargi (1774) invece, che segnò un'altra grande sconfitta della mezzaluna, toccò alla Russia il diritto di protettorato per i cristiani dei Balcani. Nell'ambito civile e politico, la pace del 1744 significò l'entrata giuridica delle grandi potenze europee nei principati romeni (per il periodo moderno, la storiografia romena chiama la Moldavia e la Valacchia col titolo di principati), con l'apertura di consolati a Iasi e Bucuresti: tra il 1782 e il 1803 vennero aperti in queste due capitali i consolati della Russia, dell'Austria, della Prussia, della Francia e dell'Inghilterra. Ciò significò anche una maggiore apertura di questi due principati verso la cultura e la civiltà occidentale, e quest'apertura era assolutamente necessaria, dato il fatto che, globalmente, il periodo fanariota fu contrassegnato da un regresso culturale assai profondo.

Presentiamo adesso la Moldavia durante i regni di alcuni dei suoi principali principi. Dopo Nicola Mavrocrodat, segui Michele Racovita (1716-1726). Durante il suo regno, gli austriaci tentarono di spodestarlo, ma non vi riuscirono perché il principe venne aiutato dai tartari, ma come prezzo per il loro valoroso intervento, quest'ultimi ottennero da Michele il permesso di saccheggiare tutta la zona moldava tra il fiume Siret e i Carpazi a motivo che la popolazione di queste parti fu d'accordo con l'intervento austriaco. Verso la metà del secolo, in Moldavia era di nuovo come principe Costantino Mavrocordat, una persona intelligente, abile, uno spirito intraprendente e deciso che riuscì ad avviare varie riforme nei due paesi. Nel 1749 egli decretò la libertà ai contadini "rumîni" o "vecini" di fronte ai loro padroni, i boiari. Pagando 10 "taleri" al boiaro, un contadino diventava libero di fronte al suo padrone e poteva andare liberamente a lavorare altre terre, di un altro boiaro. Tuttavia si, giuridicamente, il contadino diventò libero, però, di fatto continuò a dipendere dal suo padrone, in quanto il suo pezzo di terra faceva parte dei suoi poderi. La classe ricca del paese, cioè i boiari, entrò anch'essa nelle mire riformistiche del principe. Per poterli meglio controllare, il principe decise che "boier" poteva essere solo colui che aveva un incarico presso la corte del principe; e normalmente, nella corte entravano solo le persone gradite al grande capo, che a sua volta era sottoposto, si intende, al supremo capo dimorante a Istanbul, il sultano. Tutti gli altri boiari senza incarichi principeschi erano di seconda categoria. Mavrocordat emanò varie altre riforme fiscali, amministrative, culturali e di altro genere e per la chiesa ortodossa, ordinò che poteva diventare prete solo colui che sapeva almeno leggere la messa e le altre funzioni liturgiche. Se non riuscì a portare in porto tutte queste riforme, egli rimase però uno dei principali principi di tutto il periodo fanariota.

Dopo di lui, il principe Gregorio Alessandro Ghica pagò con la testa per aver protestato contro l'annessione della Bucovina all'Austria nel 1775. Un anno prima, a Kutsciuk-Kainargi, un paese della Dobrogea, era stata firmata la già nota pace tra la Austria, la Turchia e la Russia, che aveva messo fine ad un'altra guerra tra le grandi potenze europee. Per contrastare i russi, gli austriaci si erano coalizzati con i turchi, riuscendo così a sconfiggere i primi. Nelle trattative che seguirono poi a Istanbul, gli austriaci, presentando una carta falsificata del nord della Moldavia (la Bucovina) e corrompendo con denaro varie persone, riuscirono ad impossessarsi della Bucovina, che rimase sotto il loro dominio fino alla fine della prima guerra mondiale (1918). Siccome il principe Ghica protestò contro un tale furto, gli austriaci convinsero le autorità turche che il principe durante la guerra si era coalizzato con i russi. Fu così che per ordine del sultano, a Iasi fu mandato un "capugiu" (esecutore di un mandato) che uccise Ghica.

Tra gli anni 1787-1792 ebbe luogo un'altra guerra tra l'Austria, la Russia e la Turchia, che si concluse con i trattati di pace firmati a Sistov, in Bulgaria (1791) e Iasi (1792). Questa guerra significò un'altra sconfitta degli ottomani e un rafforzamento degli austriaci e dei russi, che nel complesso politico-militare europeo non potevano fermarsi finché non sconfissero completamente il già tramontato potere della mezzaluna. Ma tutto si complicò con l'arrivo di Napoleone e del suo sogno di creare un'altro impero nella già tanto travagliata Europa. Nel 1806 scoppiò un'altra guerra tra la Russia e la Turchia (la quinta nell'arco di un secolo), che si concluse con la pace firmata a Bucuresti nel 1812. Come conseguenza per la Moldavia, i russi ottennero con questa pace l'annessione della zona tra i fiumi Nistru e Prut, che prese il nome di Basarabia.

Concludiamo questa brevissima presentazione della Moldavia, inquadrata però nel contesto est-europeo con alcune righe dedicate ad un evento verificatosi in Transilvania nel 1700, che ebbe alcune conseguenze poco importanti anche per la missione cattolica moldava. Dopo la pace di Karlowitz (1699), la Transilvania passò sotto il dominio austriaco. In questo principato vi erano tre nazioni che godevano dei diritti politici: gli ungheresi, i sassoni ed i siculi, che avevano i loro rappresentanti nella dieta austriaca. I romeni, invece, che tra l'altro formavano la maggioranza della popolazione, non godevano degli stessi diritti. Approfittando di questa situazione, la corona cattolica austriaca propose loro di passare all'unione con la Chiesa cattolica, promettendo loro in cambio diritti e privilegi. Questo fu uno dei motivi unionisti di una parte del clero e del popolo romeno ortodosso transilvano. Ma, oltre l'aspetto socio-politico, non va dimenticato un altro fattore decisivo per l'unione, cioè il "rinascimento" culturale e religioso promosso dalla "Scoala Ardeleana" (Scuola Transilvana), che più di quanto abbiano detto e dicano i libri romeni (essendo molti filo-ortodossi), contribuì alla riscoperta delle radici latine del popolo e della sua appartenenza per tutto il primo millennio alla Chiesa romana. Volendo ritornare nella "communio" della Chiesa cattolica, pur conservando il rito orientale, il vescovo di Alba Iulia, Teofilo, acetò l'unione con Roma nel 1697. Un'anno dopo, il suo successore Atanasio Anghel firmò l'unione (7 ottobre) e nel marzo 1701 fu consacrato a Vienna come vescovo per la Chiesa cattolica romena di rito orientale. Durante il XVIIIo secolo, per liberarsi dalle pesanti tasse ed altri aggravi, dei cattolici transilvani di rito orientale passeranno in Moldavia, ma qui, non avendo sacerdoti del loro rito, torneranno nel seno dell'ortodossia.

 

Dopo che alla fine del primo capitolo siamo arrivati con la breve e sintetica presentazione del cattolicesimo moldavo a cavallo tra il XVIIo secolo e quello seguente, con il secondo ed il terzo capitolo ci proponiamo, oltre a continuare ad esporre cronologicamente l'andamento della missione per tutto il XVIIIo secolo, una presentazione e un'analisi della vita e dell'attività dei missionari, dei rapporti quasi sempre tesi tra conventuali e gesuiti (normalmente fino alla soppressione della Compagnia nel 1773), lasciando posto nel quarto ed ultimo capitolo ad una presentazione di certi problemi fondamentali del cattolicesimo moldavo (le comunità cattoliche e la loro vita di fede, con gli inerenti pregi e difetti, i vescovi, le relazioni tra i missionari e le autorità politiche locali, il fragile e inefficiente protettorato, i rapporti tra cattolici e ortodossi).

Poche sono le informazioni per la prima metà del secolo. Per la seconda parte, invece, durante certe prefetture, come per esempio quelle di Di Giovanni, Martinotti, Rocchi, Sassano e Gatt i documenti ci permetteranno un'esposizione di certi aspetti e problemi non secondari della missione, tanto dei cattolici, come anche dei prefetti e delle loro relazioni con gli altri missionari e le autorità locali. Intanto, iniziamo il capitolo con l'ultima prefettura de XVIIo secolo.

 

ATTENZIONE!!!

Quasi tutte le note di questo documento devono essere ripassate ancora un'altra volta!!!!! 2.2 Giovanni Volponi (1689-1695)

 

Per tutto questo capitolo come un filo rosso, che possa essere anche una sua chiave di lettura e interpretazione, presentiamo subito le note caratteristiche del periodo 1700-1760 della missione dei francescani conventuali:

a) lunga e difficile ripresa di una missione povera di tutto in una Moldavia dominata dalle guerre, da instabilità politica, carestie e altre disgrazie;

b) i conventuali non sopportano la presenza dei gesuiti.

Iniziamo il capitolo con l'ultima prefettura del secolo XVII, quella cioè del padre Giovanni Volponi da Fiorentino (il ventesimo prefetto della missione), arrivato in Moldavia probabilmente nel 1676. Svolse l'attività di missionario a Baia, Suceava e Neamt, dove lavorò "dieci anni e più". Nel 1682, anno in cui arrivò in Moldavia il nuovo vescovo Dluski, Volponi era a Baia, dove c'era una "chiesa di pietra con torre, campane doppie", ed il padre "vive comodamente", perché "la chiesa gode 4 vigne amministrate da secolari". Quando nel 1685, i cosacchi distrussero "mezza Moldavia", per tre mesi si rifugiò con i cattolici di Baia nelle selve e nei boschi, poi, affamato e scoraggiato, passò in Transilvania, dove venne accolto dal conte Cornis. Non sappiamo in quale città il missionario si sia fermato, ma pensiamo che ciò sia avvenuto nelle vicinanze della provincia, perché Volponi parla di una certa "comodità" per amministrare i sacramenti a "quei semplici cattolici della mia Missione". Gli altri missionari fuggirono pure loro, compresi i gesuiti, che erano polacchi. Le suppellettili delle chiese, che non furono prese dai tartari, finirono nelle mani dei missionari fuggiti in Transilvania, e soltanto molto più tardi alcune di esse furono restituite alla missione di Moldavia.

L'anno 1687 non si mostrò molto più fortunato. Padre Volponi parla di nuove scorrerie dei polacchi, non solo a Baia, Suceava e Neamt, ma ancora "nelli altri luoghi de' Cattolici e Scismatici". Le chiese rimasero solo "nude muraglie".

Il 25 aprile 1688 lo troviamo di nuovo a Baia, da dove voleva ritornare in patria, motivando il suo volere andar via con l'arrivo di nuovi missionari e di due sacerdoti indigeni, ma con un decreto del 16 agosto 1689 la Propaganda lo nomina prefetto. Il decreto lo trova in Transilvania, a Sân Giorgiu. Subito ritornò in Moldavia, a Iasi, cercando di collocare i missionari nei posti adatti. Probabilmente ha visitato la comunità di Galati e altri cattolici trovati nei dintorni, perché l'11 aprile 1690 ne mandò una relazione alla Propaganda. Negli anni che seguirono scrisse più volte alla Propaganda, chiedendo aiuti per i "poveri missionari"; e siccome scrisse tante volte, possiamo presupporre che raramente sia stato aiutato. La missione e i missionari rimasero in uno stato deplorevole. Nel 1693 altri avvenimenti di ordine interno, non troppo belli vengono a render difficile la vita dei missionari. Sono gli intrighi del vescovo di Bacau, Giacomo Dluski (1681-1693) e del sacerdote indigeno Giovanni Barcuta. Il nome di Barcuta si trova spesso nei documenti del tempo. Già nel 1670 era parroco nella città natale, Cotnari. Nel 1674 tornò da Roma con il titolo di vicario del defunto vicario di Bacau Pietro Parcevi_, titolo di dubbia autenticità. Il missionario Vito Piluzio un anno dopo temeva che Barcuta venisse eletto vescovo di Bacau, e che lui avrebbe perduto ogni possibilità. Nel 1677 il prefetto Rossi, trovandosi a Cotnari, informò la Propaganda intorno agli scandali dati da Barcuta e delle stesse cose ne scrisse pure poco più tardi. Il motivo: Barcuta era vicario del vescovo di Bacau, per l'intervento di Parcevi_, ma si trovava di fronte al nuovo vicario Stefano Taplocsay. Forse, determinato da Barcuta, Dluski voleva mettere dei preti nativi del paese al posto dei francescani conventuali italiani. Allora si trovavano 5 preti dalla Moldavia, tre da Cotnari e due da Baia. Nel 1693 morì il vescovo Dluski e Barcuta venne informato del fatto al suo ritorno da Roma.

Per impedire la sostituzione dei conventuali italiani, Volponi si reca subito nelle comunità più grandi della missione (Bacau, Faraoani, Trebes, Manesti, Grozesti, Baia, StanestiCe si unde se afla Stanesti? Vezi Gabor

, Baia) per chiedere alla gente che non lasciasse andare i padri francescani. Lo stesso fa il missionario Francesco Antonio Renzi a Bîrlad e Galati, mandato da Volponi per "esaminare i popoli, se vi fosse almeno qualche suspicione di scandalo, per rimediarvi, per grazia di S. R. Maestà non si conosce scandalo o eccesso alcuno; anzi sentendo i Popoli, che sono stati fatti questi riclami in S. Cong. sono restati confusi, con le lagrime alli occhi pregono non siano rimossi i sacerdoti in tempi tanto calamitosi e miserabili... (tutti presuppongono sia stato l'imposizione di tal infamia R. Gio. Batt.a Berkuzzo di Cottinaro)".

Durante la prefettura di Volponi, nel 1695, due missionari Bernardino Silvestri da Macerata, missionario a Trotus, e Luigi Bevilacqua, missionario a Faraoani, vengono chiamati a Iasi dal prefetto per un'inchiesta intorno all'attività del padre Renzi, accusato presso la Propaganda. Dalle loro dichiarazioni si osserva facilmente l'atmosfera di guerra che domina in Moldavia. I polacchi combattono contro i turchi e per adesso sono più forti, dato che sotto le mura viennesi la mezzaluna fu sconfitta

APF, SC, Mold., v 2, ff 534; 536. Per informazioni sulla popolazione cattolica di Ia_i, vedi: "Cathalogus animarum, quem fidem Romano-Catholicam profitentur in Civitate Iassis...sub cura Fr[atr]is Felicis Antonii Zavolis", Ia_i, 26 ottobre 1696: in APF, Congr. part., vol 31 (1686-1707), ff 472-473v.Nu am vazut vol 31 . Sotto il principe Costantino Cantemir, Sobieski scese una seconda volta in Moldavia per gli stessi motivi: combattere contro i turchi e i suoi alleati, cioè la Moldavia. Ma non incontra ne turchi, ne eserciti moldavi. I suoi soldati trovarono solo "qualche frutto salvatico ne' Boschi". Eppure quello che rimaneva dai villaggi, dai monasteri, dalle città, fu predato e saccheggiato dai suoi soldati.

Sotto i prefetti Volponi e Zavoli, cioè fino all'inizio del secondo decennio del sec. XVIII, la missione si trovò in un stato di sopravvivenza.

 

2.3 Felice Zavoli (1695-1714; 1716-1719)

 

Con Felice Antonio Zavoli (o Zauli) da Rimini, che viene eletto prefetto nel 1695, la residenza della missione si stabilisce definitivamente a Iasi, malgrado che la residenza del vescovo sia rimasta a Bacau. Nel 1694 si trovava ad Agria, in Ungheria. Trovandosi ancora in questa località, l'anno seguente ricevette il decreto che lo nomina prefetto; così, attraversando la Transilvania, aspettò il libero passo dal principe moldavo Costantino Duca. A causa delle situazioni difficili in Moldavia, cioè "esser stato d'ordine della Porta privato il Prencipe condotto a Costantinopoli", deve ancora aspettare per entrare nella missione. Dobbiamo dire fin dall'inizio che, salvo una visita ai cattolici di Ciubarciu, il suo cuore era legato piuttosto alla missione della Transilvania (della quale era anche prefetto) e soprattutto al seminario di Estelnek. Li si trovava in un ambiente cattolico; qui, in Moldavia, doveva sopportare "de patimenti et ingiurie sofferte in detti tempi dai Tartari, Turchi e Schismatici".

Pall, Controversie, p 189.

2.3.1 I gesuiti e la loro scuola a Iasi

Approfittando dei miglioramenti apportati con la pace tra i cristiani ed i turchi, firmata a Karlowitz nel 1699, e riaperto il loro collegio di Kamienec, due gesuiti tornano e riprendono i loro vecchi possedimenti: le vigne di Iasi e Cotnari, e i possedimenti di Horlesti, Cîrligatura, Dumesti e Toxobeni, quest'ultimi due situati oltre il fiume Prut. Come attività pastorale, oltre il lavoro spirituale e scolastico a Iasi, i gesuiti si prendevano cura dei cattolici polacchi o armeni, in genere mercanti di bestiame.

Molto importante e apprezzata era la loro scuola di latino, presente nella residenza che avevano sulla strada principale della città, vicino alla chiesa. I figli delle grandi famiglie di boiari, come Niccolò e Giovanni Costin, figli del grande cronista Miron Costin, Mavrodi, Manolachi Hurmuzaki, Elia Catargiu, Giovanni Paladi, Gabriele Costachi e soprattutto Iordache Ruset (o Rossetti) e i suoi fratelli, tutti questi, per menzionare solo i grandi della città, frequentavano questa scuola. Malgrado che si trattasse solo di una scuola elementare, i boiari di una Moldavia immersa nella sua immobile e noiosa arretratezza culturale, la guardavano con tanta ammirazione. Se considera il fatto che Iasi era la capitale del principato, e che, in fin dei conti, in questa scuola c'erano solo due professori che insegnavano in breve le materie delle elementari, possiamo presupporre che veramente il livello culturale della capitale, e per estensione di tutta la Moldavia, fosse assai basso; difatti, la stragrande maggioranza della popolazione era analfabeta.Despre aceasta scoala vezi si cele scrise de mine intr-un articol. Intereseaza-te de Istoria misiunii iezuitilor din Moldova, mentionata in nota 4, pagina 190, din Pal, Le controversie... Din mai multe motive, cred ca trebuie sa acord o atentie deosebita acestei Historia missionis Frequentando questa scuola, un figlio dei Ruset, Nicola, si convertì al cattolicesimo, per cui molti boiari avrebbero preferito avere figli non istruiti, piuttosto di mandarli nella scuola dei padri. Così, essi sarebbero rimasti senza scolari, senza aiuti e sostenitori e condannati a chiudere le porte della scuola.

Ma i registri dei conti della residenza di Iasi ci mostrano un'altra realtà, cioè che i boiari facevano grandi donazioni ai gesuiti e alla loro scuola, e la stessa attitudine favorevole avevano pure i principi Antioco Cantemir, Michele Racovita e Nicola Mavrocordat. Un'altra fonte di aiuti veniva loro da un loro compatriota, il polacco Giorgio Strachocki, che era il segretario della corte del prìncipe per la lingua polacca ed imparentato con una ricca famiglia di Cotnari, Alzner.

Con tutto ciò, nel 1707 il provinciale Wdziemborski era propenso a chiudere la missione gesuita a Iasi a causa degli scarsi risultati. Ma l'anno seguente il padre Martino Massimiliano Kiernozycki, superiore dei gesuiti a Iasi, con una informazione del 25 marzo 1708, lo convinse a rinunciare a questo proggetto. I gesuiti rimasero e l'8 febbraio 1710, quando arrivò (mandato dalla Porta ottomana) il nuovo principe Nicola Mavrocordat, fu salutato dai padri e da tre dei loro alunni in un bel latino, al quale saluto il principe rispose loro anche lui in latino, mostrandosi contento e promettendo la sua protezione per la missione. Di più, poco dopo affidò il proprio filgio Skarlatos, per essere educato, alle mani di padre Feliciano Zoltowski. Poi, quando all'inizio del marzo 1710 i padri chiesero al principe la restituzione della loro chiesa a Cotnari, adesso in rovina, e il permesso di allargare l'edificio della scuola, il principe promette loro tutto, anzi insiste perchè essi si impegnino di più nell'insegnare il latino ed il greco. Ma pochi giorni dopo, il 5 marzo (st.v.) dello stesso anno un incendio distrusse la residenza dei padri gesuiti e il tetto della loro cantina. Subito dopo essi rifanno quest'ultima e ricostruiscono la residenza, ampliandola.

Nel novembre dello stesso anno (1710) era tornato a Iasi il gesuita Cristoforo Wierzchowski, già missionario in Moldavia prima della guerra del 1683 e tre anni dopo aveva ricevuto un incarico diplomatico da parte di Sobieski presso il principe Costantino Cantemir. In base ad un documento falsificato tre anni prima dal segretario del principe, Andrea Wolff, egli riesce a riprendere dai francescani la loro residenza, cioè la casa e la cantina che si trovavano accanto alla chiesa. Malgrado l'ordine del vescovo di Bacau, Stanislao Bieganski, i gesuiti rifiutarono di restituire la casa alla chiesa. Il conflitto durerà parecchi anni, e nel 1706, con un decreto firmato il 20 settembre, il vescovo chiese ai gesuiti o la restituzione della casa, oppure che essi presentassero dei documenti convincenti. I padri polacchi non avevano nessun documento valido da presentare, per cui l'anno seguente, il 3 novembre, il vescovo impose loro, sotto pena di scomunica, la restituzione della casa. Con tutto ciò i padri della Compagnia non si sottoposero all'ordine del vescovoPall, p. 189, nota 5. . Aggiungiamo che a causa dei metodi con cui si concluse quest'affare il popolo rimase scandalizzato. E non è questa la prima volta; al contrario, come diremo più avanti, momenti di tensione e conflitto tra francescani e gesuiti si ripeteranno spesso a causa della residenza e anche per la vendita del vino fatto sui terreni del centro vescovile. Ma il motivo principale della tensione sarà sempre la mancanza di volontà dei francescani ad accettarli nella missione come collaboratori nel lavoro pastorale.

 

2.3.2 La missione stenta a vivere in una Moldavia ribelle ai turchi

La Moldavia non fu risparmiata da nuovi guai, che cominciarono ad arrivare con la calata, questa volta del re di Svezia, Carlo XII. La provincia diventò un campo di guerra tra i turchi, protettori del rifugiato re svedese e i russi dello zar Pietro il Grande, che avevano sconfitto Carlo XII a Poltava nel 1709. Neanche in Ungheria i tempi furono calmi: il sollevamento di carattere nazionalistico di Francesco Rakoczi fu soffocato dagli austriaci nel 1710 e 1711. Molti soldati e nobili ungheresi, come anche soldati svedesi e polacchi, quest'ultimi sostenitori degli svedesi ma anche degli ungheresi, cercarono rifugio e riparo in Moldavia e soprattutto a Iasi. I padri gesuiti assistevano spiritualmente tutti, anche perché conoscevano il tedesco e il polacco, lingue che il prefetto Zavoli ignorava. Questi permise loro di celebrare la Messa per i soldati nella chiesa della città. Durante questi avvenimenti succese un'altro cambiamento al trono. Michele Racovita (1703-1705; 1707-1709) venne sostituito con Nicola Mavrocordat (1709-1710), che cercò di mettere un po' di ordine nel paese. Il nobile polacco Potocki si recò verso Bender e lasciò nel paese tre mila polacchi e tartari "che recarono grandi violenze, grande rovina e indicibili miserie". Mavrocordat non resisté a lungo, e nel 1710 salì sul trono il più dotto tra i principi romeni Demetrio Cantemir.

Nel 1700 il principe Costantino Duca esenta Zavoli e i suoi collaboratori laici, cioè due cantori, due sagrestani e due garzoni da tutte le tasse. Un altro privilegio lo riceve nel 1711 da Costantino Cantemir, con il quale venivano esentati dai tributi i suoi servitori. Ma, con tutti questi privilegi, la vita dura della missione gli toglie già dai primi anni di prefetto lo zelo, lo slancio missionario.

Mentre i turchi si stavano preparando per la guerra, il principe Cantemir passo dalla parte russa e diede l'ordine ad alcuni soldati russi di spogliare, uccidere e battezzare con la forza i turchi trovati nella capitale, a Roman, oppure in altre città. L'avvicinarsi ai russi non fu però di buon augurio per i cattolici. Quando, nel giugno 1711, lo zar Pietro venne a Iasi, prima che arrivasse, tutti e specialmente i gesuiti corsero verso le foreste.

Questa paura dei gesuiti si spiega a causa delle amicizie fatte da essi con l'esercito polacco, nemico dei russi. Entrando nella capitale, il principe concesse ai russi di poter arrestare gesuiti e polacchi perchè alleati del re Carlo XII. Il Kiernozycki riuscì a scappare a Kamieniec, nel collegio del suo ordine, da dove ritornò in Moldavia nell'anno seguente, quando non regnava più Cantemir, ma di nuovo Mavrocordat. Il missionario gesuita non stette a lungo in Moldavia; nello stesso anno 1712 l'ambasciatore polacco a Costantinopoli, Chomentowski, passando per Iasi, prese Kiernozycki con se nella capitale ottomana, dove per due anni si prolungarono i lavori di questa ambasceria, che tra l'altro ottenne la conferma delle capitolazioni firmate con la pace di Karlowitz (1699). Di più, dietro richiesta "legatus magnus Poloniae, necnon ablegatus eorum" la Porta ordinò nel 1714 al principe moldavo di proteggere i sacerdoti cattolici.

Tornando alla ribellione del principe Cantemir contro i turchi, dobbiamo menzionare che a Stanilesti, nel 1711, l'alleanza russo-moldava fu sconfitta dalle truppe ottomane. Immediatamente seguirono le vendette dei tartari che assunsero degli aspetti orribili. I turchi presero tutto, senza pietà. La missione di Galati fu spietatamente saccheggiata; perfino i cadaveri furono dissepolti e spogliati. La città di Bîrlad fu rasa al suolo; la gente spariva di nuovo nei suoi nascondigli. Adesso fugge anche il prefetto della missione, Zavoli, in Transilvania, a Esztelnek, nella zona dei siculi (Trei Scaune), dove c'era un seminario che preparava missionari per la Moldavia, per quelle comunità moldave che avevano bisogno di missionari di lingua ungherese. Questo seminario era stato eretto nel 1681, per iniziativa del minore conventuale italiano Bonaventura Guerrini, mentre il sacerdote transilvano Moise Nagy aveva messo a disposizione una certa somma di denaro per iniziare l'opera. La Propaganda diede autorizzazione per l'erezione del seminario e nel 1681 nominò il primo rettore, il conventuale Giuseppe Luccioli. Più tardi, il seminario fu trasferito nel villaggio vicino, Vassarelli (Vasarhei).

Negli anni seguenti i missionari godono di una relativa pace, di un periodo di calma, che permise loro di fare qualcosa per la missione ridotta in condizioni disastrose. Zavoli era ritornato dalla Transilvania, ma essendo scoppiata nel 1716 una nuova guerra tra austriaci e turchi e costatando che questo paese era praticamente distrutto da tante guerre e disgrazie, perse ogni coraggio e chiese di essere sostituito. Il 4 agosto 1716 Zavoli scrisse da Rimini, chiedendo il titolo di visitatore apostolico per la Moldavia. La Propaganda, invece, lo nominò di nuovo il 7 settembre dello stesso anno come prefetto per le missioni della Moldavia e Transilvania. Probabilmente, questo titolo lo ha conservato fino al 1720, anno nel quale lo troviamo in Transilvania, nel seminario di Vasarhei, per il quale chiede qualche "caritativo sussidio". Nel 1727 era guardiano del convento di Rimini. Possediamo ancora altre lettere che si riferiscono a lui.

 

2.4 Alessandro Fischer (1714-1716)

 

Zavoli presenta come prefetto Alessandro Fischer , oriundo di Colonia, e che aveva conosciuto nel collegio (oppure seminario) di Esztelnek. Il 2 ottobre 1709 viene esaminato ad Assisi, rispondendo "adequatamente", a due esami "circa le materie della trasmessa [Propaganda, n.n.], e qui congiunta carta, et anco circa tre punti Dogmatici, del Primato del Romano Pontefice, della Processione dello Spirito Santo dal Verbo Divino, e della reale presenza di Cristo nel Sacramento". Divenne poi professore nel seminario di Esztelnek. Fischer giunse in Moldavia nel 1711 e vi rimase fino al 1716. Dall'inizio si lamentò con la Propaganda dei disordini ("andamenti cattivi") causati da Zavoli, disordini che non possiamo identificare e dei quali non è al corrente neanche il generale dei francescani conventuali. Nella stessa lettera, Fischer ci informa anche sulla casa in cui dimora, che "di gia caduta d'una parte sono intimorito non venga una notte più presto sepolto che morto", ed il suo "Antecessore di venti anni che hà seduto in essa, non mi ha lasciato un sol cutiaro, il tutto è andato a spasso, Iddio gli perdoni. La chiesa ancora sta cosi male, che non può star peggio". È già dall'"anno 1714 che attendiamo dalla Sagra Congregatione li necesarij sussidij senza li quali e impossibile di trattenersi in q.ti paesi"Gesuiti a Iasi .

 

2.4.1 Contrasti tra il prefetto ed i gesuiti

Approfittando della partenza per Costantinopoli del padre gesuita Casimiro Twardochlebowicz, missionario a Iasi, lo Zavoli, vicario del vescovo di Bacau, insieme a Fischer, avevano occupato la cantina dei gesuiti e la chiesa della città, dopo aver ottenuto il 20 maggio 1713 (st.v.) il permesso del principe Nicola Mavrocordat (1711-1715). Tornando, Twardochlebowicz ricorse al principe; fu fatto un nuovo processo che si concluse nel 28 agosto 1715 (st.v.) con una sentenza favorevole ai gesuiti, che riprendono il possesso dell'immobile e poi Casimiro scrive alla Propaganda, chiedendo che non sia preso alcun provvedimento contrario nel caso che Fischer avesse fatto ricorso e conclude la lettera con la supplica che: "non s'innovi cosa alcuna senza esser prima citato et inteso il P. Pier Francesco Orta Procurator Generale da Comp-a di Gesù". Ma Fischer non si da per vinto e scomunica Casimiro e poi nel 24 ottobre (st.v.) scrive alla Propaganda, inviando una copia della risoluzione del vescovo di Bacau, Stanislao Bieganski, del 3 novembre 1708, con la quale si ordinava ai gesuiti, sotto pena di scomunica, di restituire alla chiesa di Iasi una cantina posseduta da essi illegalmente. Il 17 dicembre 1715, la Propaganda, tramite il segretario Silvio de' Cavalieri, vuole chiarimenti su questa faccenda dal generale della Compagnia di Gesù. Cavalieri, però, manda solo il 18 marzo 1716 una copia del decreto del vescovo Bieganski con delle spiegazioni aggiunte. Ma, perché dalla Moldavia non arriveranno altre notizie, su quest'affare la Propaganda non sentì più niente. Forse, contro sua voglia, il destino e la fine della vita di Twardochlebowicz sarano determinate dalle vicende della famiglia ungherese di Transilvania, Bercsenyi, molto vicina agli antiimperiali Rakoczi, che si era unita agli ottomani, per poter sollevare la Transilvania e l'Ungheria contro l'Austria. Passando per Iasi, la moglie di Bercsenyi ed il suo seguito di soldati ungheresi, presero con loro il padre gesuita come cappellano; per questo avevano anche un ordine dal pascia di Hotin. Nel loro avventuroso e diremmo, sfortunato viaggio, i ribelli ungheresi passarono per Isaccea, Cernavoda, la regione di Riusciuc, Varna, arrivando nel 1718 alla capitale ottomana. Non potendo stare a lungo nella capitale, nel 1720 i Rákóczi si stabilirono a Rodosto, sulla costa del Mar di Marmara. Due anni dopo, qui il Twardochlebowicz mori di peste.

Ritornando a Fischer, dobbiamo dire che poche sono le notizie riguardanti la sua vita e attività nella missione. Nel 1716, Zavoli, che all'epoca si trovava a Rimini, sente pure lui degli "andamenti cattivi" su Fischer, così come due anni prima succedeva il contrario. Il prefetto veniva scacciato dalla missione "à causa d'hauer spedito lettere in Transiluania con avvisi di quei luoghi p. certi contadini Ungheri, i quali in una terra distante da Iassis 30 miglia furono presi e posti nei ferri, e condotti dal Paese di Bendera ed egli istesso trasportato ai confini in Tatros. So che in quei popoli Cattolici ci sarà gran costernatione". Non molto dopo Fischer "mori affogato e fu sepolto in un campo". Nel 1726 il prefetto Bossi lo seppellì nella chiesa di Iasi.

La Propaganda inviò tre nuovi missionari, uno dei quali era polacco. Come prefetto fu nominato di nuovo Zavoli, che fece una visita di tutto il territorio della missione, riferendone poi alla Propaganda sul suo stato. Dopo tre anni (il triennio come prefetto) tornò in Italia, avendo lavorato in Moldavia 24 anni. Su Zavoli abbiamo un'altra notizia, questa volta di ordine pastorale-letterario: possedendo una buona conoscenza della lingua romena, aveva tradotto in romeno un catechismo e i vangeli. Adesso chiede alla Propaganda, alla quale li aveva fatti pervenire, che venissero stampati, perché molto necessari "per bisogno, ed istruzione di que' popoli".

Per poter meglio controllare il paese e tenendo conto del fatto che i prìncipi moldavi potevano allearsi con i russi, che diventavano sempre più forti, contro la Sublime Porta, quest'ultima decise nel 1716, come abbiamo detto prima, di non accettare più dei romeni sul trono della Moldavia. Così, per il paese cominciò adesso la così detta "epoca fanariota", e questo significòSunt necesare explicatii suplimentare anche un'altra guerra tra imperiali e turchi. I primi occuparono la Valacchia e pensavano di fare lo stesso con la Moldavia, ma vi si oppose il principe Michele Racovita (1715-1726). Un piccolo esercito entrò in Moldavia per le strette di Casin, saccheggiando e distruggendo tutto quello che incontravano e mettendo i loro uomini nei monasteri e nelle fortezze. Così arrivarono vicino a Iasi, dove gli aspettava il principe. Le truppe imperiali furono sconfitte e il loro capo, Ferenz, fu decapitato. Questa volta Racovita, unito ai tartari, aveva vinto, ma i suoi alleati, arrivati in numero più grande di quello richiesto, nel loro passaggio fecero quello che erano abituati a fare, cioè distruggere, saccheggiare, ecc. "Non rimase villaggio o monastero lungo il Siret, il quale non depredassero", e così fecero fino a Baia.

2.5 Silvestro d'Amelio (1719-1721)

 

D'Amelio da Foggia fu nominato prefetto nel 1719, ed era missionario in Moldavia dal 1713. Conosceva bene la lingua del posto. Egli è l'autore di un "Breve vocabulario italiano-muldavo", di un manuale con delle omelie domenicali: "Conciones latinae-muldauo" (1725), e di un catechismo:"Summa Envaezaeturi Krestinezty" (1719).Informatii suplimentare

Nel 1720, scrisse alla Propaganda, informandola sulla situazione della missione dopo l'ultima scorreria dei tartari. Il principe avrebbe contato a 90 mila le persone portate in schiavitù e le persone anziane non si ricordavano di aver mai vissuto tale desolazione. I lupi attaccavano la gente già afflitta dalla peste e d'Amelio stesso aveva visto come gli abitanti macinavano la corteccia dell'olmo o del tiglio per farsene farina. Bevevano l'acqua infetta, e la peste continuava ad uccidere questo popolo disperato. Il prefetto non godeva condizioni molto migliori, neanche i missionari. E poi, come fare apostolato tra questa gente impaurita, nascosta nei luoghi più impenetrabili per timore dei soldati, dei ladri, dei tributi che dovevano pagare.

All'inizio di ottobre 1721, D'Amelio scrisse di nuovo alla Propaganda: "Più e più ho scritto a Vostra Em.a ed alla Sacra Congreg.ne di Propaganda Fede lo stato miserabile in cui si trova questa povera Missione dall'ultima scorreria de Tartari è mai ne ho avuto una minima risposta...qui è necessario grandissimo d'altri Missionarij, come il Pane, mentre Pueri petierunt panem, et non erat qui frangeret eis, mentre nella Baia un nostro Cattolico doppo aver vessuto con la moglie diecisette anni, ad avendo fatto figli e figlie s'è fatto Monaco schismatico p. causa del tributo". Rivolgendosi al giudizio del principe con "lacrime de sangue", la moglie ed i figli "che periranno di famme", questi ha risposto "che non si puol far contro la giusta nostra legge". D'Amelio conclude amaramente con un detto di Agostino: "Non puol essere giusta giustizia, dove non vi è una fede sana", e si domanda: "A che fine a servito quel puoco, che abbiamo studiato? Mentre qui in un dubbito, in un momento si decide un caso di morte?" "Si che dunque Em.o Sig.e p. le viscere di Gesù Christo abbi compassione si di noi come di questi miserabili Cattolici in soccorrerci, si d'altri Missionarij, come del caritativo sussidio, che sono due anni, che non abbiamo avuto niente e nemeno i Cattolici possono darci niente mentre il Tributo é formidabile e sono spogliati da Tartari".

Il 27 luglio 1726 d'Amelio scrisse da Foggia al prefetto della Propaganda, card. Giuseppe Sacripanti, chiedendo di "avere qualche titolo sopra li Vallachi di Ungheria e Transilvania sotto il dominio del nostro Imperadore, non p. ambizione mà solo p. il servizio di Dio, e della S-ta Chiesa essendo espertissimo di quella lingua".

 

 

2.6 Giovanni Bossi (1721-1729)

 

D'Amelio fu sostituito da Giovanni Francesco Bossi, di origine milanese e che partì da Milano nel febbraio 1722 per la Moldavia. Arrivando nella missione, tanto egli, come pure il superiore dei gesuiti, Kiernozycki, chiesero alla Propaganda di stampare la "Summa Envezaturi Krestinesztji; cioè Summa della Dottrina Christiana R.P. Canisij S.J. interpraetatum in Moldavicam linguam varijsquis exemplis ex probatissimis Authoribus Ecclesiasticis desumptis". Il nuovo prefetto fa una visita nel territorio della missione e dobbiamo subito dire che Bossi, come D'Amelio e Manzi, sarà un missionario operoso e impegnato con tutte le sue forze per la missione dove era stato mandato. "Gionto in Moldavia e data un occhiata al stato spirituale di quella Provincia scoprij puoca osservanza, se meglio dico nissuna in ordine à precetti divini ed ecclesiastici". Dopo questa amara costatazione, Bossi continua: "decisei di voler saper la quantità e qualità dell'anime subordinate al mio offitio; onde in primis ordinai a PP. Missionarij, che facessero tutti esattamente e secondo ciò vien prescritto dalle nostre SS. Leggi, il stato dell'anime, qual pur feci io stesso nel luogo di mia Residenza". Poi, su richiesta del segretario della Propaganda, Bossi spiega il suo metodo di schede applicato a questi cattolici per controllare l'adempimento del precetto pasquale secondo una prassi molto diffusa nella Chiesa post-tridentina.

 

2.6.1 I gesuiti

Oltre questi problemi, pur volendo mantenere la pace e le buone relazioni con i gesuiti, Bossi, persona prudente e moderata, deve affrontare di nuovo il loro caso. Secondo il suo parere, essi dovevano svolgere in Moldavia soltanto un'attività didattico-religiosa e nient'altro. Nel febbraio del 1723 si rivolse al segretario della Propaganda con una lettera, dove afferma che nella missione, malgrado che i gesuiti sono presenti dal secolo precedente, non c'è bisogno del loro aiuto. In un altra lettera della stessa data, Bossi si rivolge anche ai cardinali, precisando che con il breve Coelestium munerum thesauros (1699), Innocenzo XII aveva deciso che i francescani osservanti potevano esercitare il loro ministero dovunque, salvo le regioni dove anteriormente si erano stabiliti missionari appartenenti ad altri ordini, mandati dalla Propaganda, cioè si rimette in discussione il problema dei gesuiti. "Questi introdotti nel Paese per le scuole, non sò come... esercitano certi offitij spettanti signanter al medemo (al parroco n.n.), come sarebbe il confessare e predicare nella propria Chiesa senza preocupata permissione del detto, il sacramentare l'infermi con la stessa, suppongo, arrogata autorità". Tacitamente, Bossi vorrebbe che questi se ne andassero via, oppure di "passarsela in questa loro residenza da Religiosi bene considerati dalla Provintia natia, che li dà tutto il bisognevole ed ultra".Rindurile anterioare si cele posterioare sunt inspirate din PALL, pp. 194 su.

Analizzando le lettere di Bossi e la relazione della visita di Parysowicz in una delle sue congregazioni generali, il 27 luglio 1723, il segretario della Propaganda, dietro l'ordine dei cardinali, scrisse al procuratore generale della Compagnia, ricordandogli che i missionari gesuiti dovevano essere sottomessi al vescovo ed al vicario apostolico in tutto ciò che riguardava il loro lavoro apostolico con la gente. Dopo uno scambio di lettere tra il padre generale della Compagnia ed il provinciale della Polonia, toccò a Martino Kiernozycki di giustificarsi (15 luglio 1724). Forse esagerando un po’, il superiore dei gesuiti di Iasi dichiarò di essere stato sempre subordinato al vescovo di Bacau e al suo vicario, prefetto dei conventuali. Invece è del tutto vero che nel passato, come allora, nella loro attività, i gesuiti avevano ottenuto dal vescovo di Bacau le dovute facoltà. Ribadendo che la Propaganda affidò dal inizio la missione alla cura dei conventuali e che i gesuiti non favorivano tanto il bene spirituale della missione, con rammarico Bossi si deve sottomettere alla decisione del vescovo.Documentul publicat de Calinescu si citat in aceasta nota, reprezinta o relatare despre starea misiunii, datata Iasi, 3 mai 1725. Poate fi citat ceva atunci cind este vorba despre catolicismul moldovean la aceasta data. Comunque, analizzando a fondo i documenti riguardanti questa tensione tra Bossi ed i gesuiti, non si può scoprire nessun aspetto grave nel comportamento dei padri gesuiti. Forse che tutto il "conflitto", per quanto riguarda la prefettura di Bossi, risiede nel fatto che i gesuiti insistevano un po’ troppo sulla loro dipendenza dai loro superiori e su una certa autonomia nello svolgere le loro attività a Iasi, malgrado che, come Bossi stesso afferma, i gesuiti erano d'accordo con il metodo che il prefetto adottava per convincere i fedeli a fare la comunione pasquale. Dall'altra parte, anche Bossi esagerava: secondo quella prassi assai diffusa nelle missioni, del colonialismo religioso, egli avrebbe voluto che i due gesuiti fossero in tutto sottomessi alla sua volontà, o meglio, che lasciassero per sempre la Moldavia, anche perchè essi si avevano guadagnato la simpatia del principe Michele Racovita, dei boiari e pure anche del metropolita Ghedeone.

 

2.6.2 I cattolici bilingui (csángók = meticci)

Oltre al palese e, tra l'altro, inutile conflitto tra francescani e gesuiti, Bossi fa accenno a un altro problema che richiede la nostra attenzione, quello cioè dei cattolici bilingui. Già da molto tempo e in varie occasioni, i missionari italiani furono e sarannoExemplifica cind anume au loc aceste acuze. accusati di ignoranza nella conoscenza della lingua del paese, il romeno, e dell'ungherese, in quanto nelle comunità cattoliche si parlava l’una o (e) l'altra di queste lingue.

Problema trebuie dezbatuta cu cartea lui Martinas. Nella loro strategia militare difensiva, le autorità ungheresi avevano già da secoli rafforzato i passi che attraversano i Carpazi, con dei castelli e con una popolazione di origine magiara (ungheresi e magiaro-sekleri) e tedesca (i "sasi", sassoni), per proteggere i confini del loro stato dagli attacchi dei tartari e di altri nemici. Oltre a questi progetti militari che risalgono al XIIIo secoloAdauga completarile textuale si bibliografice de rigoare. Vezi articolul lui Tocanel referitor la limba romina in partoratia din Moldova, publicat in Buna Vestire , partendo dalla seconda metà di questo secolo in poi, ripetutamente sono arrivati dalla Transilvania in Moldavia vari coloni (romeni e siculi) che si sono fermati sia nella vicinanza dei Carpazi, sia sulle rive dei fiumi Moldova, Bistrita e Siret, fermandosi nelle comunità cattoliche già esistenti. Aggiungiamo che oltre a queste comunità, gli immigrati transilvani hanno ricevuto dalle autorità locali (i boiari, i capi de monasteri e i principi) il diritto di fondare nuove comunità, con l'obbligo di lavorare la terra di questi capi religiosi e laici del paese. La maggioranza di queste comunità (le vedremo nei capitoli seguenti) si conservano tuttora interamente cattoliche, ma è vero anche che alcune comunità di siculi o ungheresi sono state assimilate dal punto di vista etnico e religioso dagli moldavi ortodossi. Esistono così in Moldavia fino ai nostri giorni le comunità di Secuieni e di Ungureni, dove si parla solo il romeno e la gente è tutta ortodossa, conservando però nel nome delle località le origini transilvane.

Per quanto riguarda l'origine etnica e la lingua dei "csángók" (chiamati in romeno "secui" [sekleri, siculi] o "ceangai", cioè meticci), è difficile dare una risposta soddisfacente, non soltanto perchè anche la storiografia ungherese, per quanto ne sappiamo, non è riuscita a chiarire del tutto il problema, ma anche perchè, quando si parla di questi cattolici abitanti della Moldavia, si scontrano gli interessi diversi delle autorità laiche, e non solo, della Romania e dell’Ungheria, e così la maggioranza degli studi su questa popolazione soffre di una certa parzialità.

Al momento del loro arrivo in Moldavia, cominciando dalla metà del XVIIIo secolo e proseguendo per più di un secolo, questi siculi erano bilingui, parlando il dialetto csángók e il romeno. Il fatto del loro bilinguismo si spiegherebbe accettando l’opinione che "essi sono di nazionalità e di origine etnica romena, benché abbiano subìto [in Transilvania, prima di venire in Moldavia, n.n.] un processo più o meno profondo di seklerizzazzione", cioè sono stati costretti ad imparare con tanti sbagli la lingua ungherese e oltre a questo, per avere una vita migliore, hanno dovuto farsi cattolici.

Nel nostro lavoro si presterà una particolare attenzione a tutti quei documenti in cui appare anche questo problema e, attenendoci rigorosamente a quello che le fonti consultate ci dicono, si potrà osservare con facilità il fatto che al momento del loro arrivo in Moldavia i siculi erano bilingui, e così ai missionari italiani non era difficile parlare con loro nella lingua del paese, cioè in romeno. Poi, per quelle poche comunità in cui si sentiva veramente la necessità della lingua ungherese, i prefetti accettarono alcuni conventuali ungheresi dalla Transilvania che potessero corrispondere alle aspettative di queste comunità.

Ritornando a Bossi, egli afferma che i missionari italiani sono i più adatti nella missione, in quanto è facile per loro imparare la lingua del paese, il romeno, ed è significativo il fatto che il prefetto non alluda neanche alla necessità della lingua ungherese. Tanto Bossi, quanto il vescovo Parysowicz, che visitò la diocesi verso la fine dell'anno 1722, assicurano la Propaganda ed i cardinali che, da questo punto di vista, i missionari italiani svolgono bene il loro lavoro nella missione.

 

 

 

2.6.3 Problemi generali della missione

Nell'ottobre del 1724 Bossi firmò un atto di acquisto di una vigna sulla collina Copou (nella città di Iasi) con il titolo di "prefectus et vicarius episcopalis Illustrissimi ac Reverendissimi episcopi baccoiensis".

Da una sua relazione del 3 maggio 1725 vediamo che egli intendeva di convocare un sinodo diocesano. Non vi riuscì, e lo dichiara lui stesso perché: "in Novembre fui malamente carcerato p. essere capitate alle mani del Gran Pascià di Ottino certe mie lettere che scrivevo a Monsig. Ill-mo e Revd-mo Vescovo di Baccovia". Però, siccome le sue lettere, esaminate a Costantinopoli, non contenevano nulla contro la politica di stato, fu rimesso nel libertà in febbraio del 1725. Dascalii

Dalla sua relazione alla Propaganda sappiamo che già all'epoca i missionari venivano aiutati nell'attività catechistica e nelle celebrazioni liturgiche dai cantori ("dascali"). Qualche volta però, le relazioni tra i missionari e questi "dascali" non erano delle migliori. Succedeva che questi, conquistandosi l'appoggio di almeno una parte della gente delle comunità, oppure con altri mezzi poco lodevoli, tenteranno di essere indipendenti dai missionari, di fare i propri interessi, oppure di fare propaganda per la lingua ungherese, contro le disposizioni dei missionari e a danno delle comunità. Ma, ripetiamo, questi aspetti negativi appartengono ad un periodo che non entra nel nostro lavoro, cioè al XIXo secolo. Intanto, presentiamo adesso il caso del cantore di Ciubarciu: "Avendo sentito in stato di rendere l'anima al Creatore il Dascalo di Ciuberciu in Tartaria homo pessimo che mai ho potuto sradicare da quella Missione p. le difficoltà d'esercitare autorità in quelle parti, e, che a causa d'esso non ho puotuto collocare e fissare colà un Miss-o necessarijssimo in quel paese, hò stimato proprio spedir subito a d-o luogo il P. Miss-o Dosi[?]...accio movendo occupi il luogo ne p-metta che altro vagabondo si captivi l'animo di quelli miseri Cattolici, idolatri di q-ti benedetti Dascali". "Circa li Dascali continuo con lo stesso rigore".

La stessa relazione ci fa capire che la Propaganda gli aveva chiesto spiegazioni sul fatto del perché i vescovi di Bacau non amministravano la cresima e specialmente perché il vescovo Parysowicz (1717-1732) non ha adempiuto questo suo dovere. Bossi risponde: "Le difficoltà incontrate dall'antecessori del presente e d-o Ill-mo Vescovo di Bac-a nell'amministratione del sagramento della Cresima a quelli che abitano nelle selve, monti, e luoghi deserti, non le so, ne posso averne esata notitia, mentre qui non trovo verun registro in ordine a tal affare ed esaminati li vecchij non p. anche cresimati, altro non mi hanno saputo dire in diversi incontri se non che essi mai hanno visto faccia di Vescovo; ma che solo hanno sentito dire, che molte volte sono stati in visita in Moldavia".

Oltre a queste spiegazioni, dalla sua relazione possiamo trovare altri aspetti non meno interessanti: "Sappino dunque L'EE..VV. che un Vescovo visitatore non puote, se non col longo tempo di dimora qui, e con fatica estraordinaria stendersi in ogni luogo; sono poi molti luoghi situati in ditioni diverse, avendo q-a provintia sei confini, ove non sempre, ed in ogni tempo p. le grandi gelosie con le g-ti si vive qui, può ne meno il Miss-o accostarsi ad essi, essendo sucesso...l'anno scorso nel giorno dell'Assonta di M.V. ad un povero Religioso, che andiede p. visitare li puochi Cattolici, dispersi ne confini della Valachia verso q-a parte, una disgratia di qualche rimarco, fu esso preso p. spia, carcerato in un luogo detto Focsian, ed ivi fu malamente trattato, spogliato nudo, visitato minutamente, e battuto, anzi volevano sottoporlo a tormenti; ma il Ciel providde col mezzo d'un Turco capitato a caso e conosciuto già dal d-o Religioso, quale s'interpose e usò più pietà esso, che quei battezzati di puoco peso".

La relazione, così ricca nei dettagli e nel descrivere fatti significativi, come questo sopra riferito, ci da una chiara idea sui rischi che correvano continuamente i missionari; inoltre, ci offre delle informazioni preziose sullo stato di vita degli abitanti, sulle loro abitazioni, su cosa mangiano, ecc., informazioni brevi ma sufficienti per capire che i suoi fedeli, come dell'altro, anche gli altri contadini del paese vivevano in uno stato di vita di quasi sopravvivenza.

Siccome d'inverno fa molto freddo ed essi stanno rinchiusi nelle loro abitazioni ("sotterannee tane"), e quando arriva il caldo vanno sui campi o con i loro bestiami, i vescovi non li trovano mai per poterli cresimare, e Bossi spiega ai cardinali che sono questi i motivi che hanno impedito ai vescovi di Bacau di compiere i loro doveri, motivi per i quali i missionari devono "fatticar molto, convenendoci p. così dire a fare il cacciatore, curando di cogliere l'ucello al volo". Per raggiungere i cattolici del sud della Moldavia, Bossi suggerisce l'idea che il vescovo di Sofia, quando viene in Valacchia,Introdu aici articolul lui Tocanel, Laboriosa..., precizind in ce consta jurisdictia episcopului de Sofia in Valahia. potrebbe andare un po' più in su per arrivare a questi cattolici ed amministrar loro così la cresima. Sotto l'aspetto economico, si apprende che sia lui, come gli altri missionari, stanno male. Di più:"ora siamo sottoposti a gabelle, dovendosi contro il pratticato nel passato, pagare tributo al Prencipe p. li cavalli...e già si susurra che in appresso oltre il d-o tributo chiamato Vacarito, dovrassi pure pagare altro detto fumarito, ch'è il dire un tanto p. ogni camino di casa". Sui missionari polacchi, forse perchè erano gesuiti, Bossi ha da dire cose non tanto belle ed edificanti: "Sogetti di q-a Natione piena di vino, quando vengono qui, attendono più a coltivare le vigne madri di tutti li vitij, che la vigna del Sig-re".

Da quando era arrivato e fino a questo momento il nostro missionario poteva riscontrare un piccolo progresso spirituale. Anche i missionari avevano migliorato un po’ la loro attività. Si erano fatti progressi nel rispettare l'immunità ecclesiastica, nel non celebrare nelle case private, dove c'è la chiesa, di non celebrare due S. Messe nei giorni festivi, di non amministrare i sacramenti della confessione e della comunione a quelli che con un po' di sacrificio potevano riceverli in chiesa.

Nel 1727, quando regnò per la prima volta Gregorio II Ghica (regnante tra gli anni 1726-1733; 1735-1739; 1741; 1747-1748), i tartari, scontenti del Kan e anche del principe moldavo, si ribellarono. Ghica li aveva costretti a stare nei loro posti concessi per il pascolo, e a pagare i tributi. Prima che arrivassero, la principessa si chiuse nella fortezza di Hotin, mentre il principe con i "boierii" (i signori locali, padroni della terra) si unirono al pascià di Hotin. I cittadini cercavano rifugio nei monasteri fortificati e perché la chiesa cattolica, di legno, era vicina ad un monastero, per non estendersi il fuoco anche al monastero, il principe dette l'ordine di spianare questa chiesa. I contadini sparirono, come al solito, "in certe selve considerabili".

2.7 Romualdo Cardi Damioni (1729-1736)

 

All'inizio del 1729, Bossi venne nominato da Benedetto XIII vescovo di Sira e poco dopo arcivescovo di Naissa (Naxos), nel Mar Eggeo. Su sua proposta, nel febbraio dello stesso anno, la Propaganda nominò il napoletano Romualdo Cardi Damioni, come nuovo prefetto. Questi era missionario in Moldavia fin dal 1716; Bossi, invece, arrivato a Vienna scrisse nell'agosto dello stesso anno (1729) ai porporati della Propaganda: "instalaì immediatamente il nuovo Prefetto, lo munij di tutto cio conobbi necessario p. una saggia e profitente condotta". Dalla lettera si osserva la sua "premura alla partenza", ma deve aspettare ancora cinque giorni per avere il salvacondotto dal principe e per lasciare tutte le fatiche e le preoccupazioni sulle spalle del suo "povero successore". Il missionario ci fa sapere che pochi anni prima la Porta Ottomana aveva emanato un decreto contro i missionari presenti nei suoi territori, che però non era stato applicato. Il principe si mostra contento con il nuovo nominato Cardi che si era bene ambientato in Moldavia, ma Bossi dubita di questa disponibilità del principe, e si dichiara contento se almeno il principe lascerà i missionari a lavorare in pace: "Promessa grande, e da Principe l'esecuzione della quale sarà maggiore se dovrò vederla espressa nel darci al meno pace". Si può capire poi, che il principe desiderava come prefetto un nativo del paese, malgrado che il Cardi fosse da 12 anni in Moldavia ed era noto per la sua conoscenza della lingua e della vita del popolo. Subito dopo la sua nomina, Cardi volle "aprir la visita di queste sagrosante Missioni... ma non mi é mai riuscito, ultimamente mi riusci visitarle e... l'ho trovate in buon stato e ben coltivate da Rev. Padri Missionarij". In Faraoani, "senza sapersi il come", la chiesa, costruita da pochi anni, bruciò. Visitando la comunità, Cardi animò "tutto quel devotissimo Popolo a rifarla in altro luogo piu congruo, e verrà assai più bella, e più grande".

 

2.7.1 Nuovi contrasti tra conventuali e gesuiti

Durante la prefettura di Cardi si faranno più forti i dissensi, i conflitti tra i francescani ed i gesuiti di Iasi. Prima della partenza di Bossi, Kiernozycki era andato via, e al suo posto vennero mandati due padri polacchi: Giuseppe Bielicki, superiore, "un giovanastro inesperto totalmente e nato, come si vede, per cagionar disordini, quale ha un compagno di pari età (Gasparo Niezolynski n.n.), ma, secondo mostra, di miglior conseglio". Tutti e due non volevano obbedire al prefetto. Essi avevano costruito clandestinamente una loro cappella dove celebravano la Messa e amministravano i sacramenti, così impedivano il controllo della parrocchia in tutta la sua attività. Di più, si vantavano che avrebbero costruito anche una loro chiesa. Per 165 anime, quante ne contava la comunità di Iasi, c'erano "solo novanta tre di communione, come puol vedersi dal stato dell'anime", per cui non c'era bisogno di due chiese, e se i gesuiti continuavano a comportarsi così, "la Moldavia verrebbe ad esser del canto loro un altra China". Durante la Settimana Santa dell'anno 1730 Cardi vuol inviare il padre Giuseppe a Husi, dove "vi sono da due cento Cattolici e più di communione", ma "nell'istesso giorno se ne partì per Cotnari, dove non vi sono più da cinque o sei uomini, che custodiscono le vigne di questi Nobili". Cardi si senti obbligato ad informare la Propaganda sul comportamento dei gesuiti. Nella sua lettera, tra l'altro, egli afferma: "detto Padre Gioseppe è stato ricercato molte e molte volte di dover far fare scola per ammaestrare molti figliuoli de nostri Cattolici. Mai ha voluto condescendervi, con grave pregiuditio della gioventù. Tutti dicono: questi Padri Gesuiti à che fine qui dimorono? Anzi il non far scola controvengono al lor istituto e fanno contro la volontà di chì gli ave dato i fondi e beni e rendite in Polonia".

Questa loro condotta non era gradita neanche al giovane principe moldavo Gregorio Ghica, buon conoscitore della lingua italiana e latina e che si interessava molto dell'insegnamento, soprattutto in campo religioso ortodosso. Per farli cacciare dalla Moldavia, Ghica approfitta di un incidente successo per l'epifania. Nella vigilia di questa festa i capi religiosi dovevano presentarsi al principe nei loro paramenti liturgici della festa, per rendergli omaggio. I padri gesuiti si presentano, ma senza la croce, senza l'acqua benedetta e senza i paramenti liturgici. Questo fu interpretato come una offesa, come un disprezzo della fede e del paese ospite. I gesuiti, insieme al Cardi, furono carcerati nella prigione del metropolita Antonio. Dopo quattro giorni, convincendosi il principe che Cardi non era colpevole, lasciò libero quest'ultimo, i gesuiti invece furono costretti a lasciare il paese entro cinque giorni. Cardi intervenne perché potessero restare, ma invano. Il 12 gennaio 1731, stile greco (st.v.), i due gesuiti, affidando i loro beni e la loro residenza alla cura del segretario polacco del principe (probabilmente Giuseppe Ghisen), tornarono in Polonia. Il principe si discolpò di questo fatto, dichiarando che sarebbe stato d'accordo a riaccettare i gesuiti, se essi si mettessero a lavorare seriamente nella scuola, a compiere bene i loro doveri spirituali e pastorali e di vivere in pace con il prefetto. Di questa sua posizione, il prefetto Romualdo Cardi informa la Propaganda che il principe intende farla sapere anche al provinciale dei gesuiti in Polonia.

La notizia dell'espulsione dei gesuiti arrivò anche alle orecchie dei nunzio a Varsavia, Camillo Paolucci, arcivescovo d'Iconio. Egli chiese informazioni sull'accaduto, probabilmente a Bielicki, arrivato a Lwów. Questi riferì all'arcivescovo che non era tutta colpa loro; che una parte la portava anche Cardi. Subito dopo aver ricevuto queste informazioni, il nunzio scrisse alla Propaganda in data di 21 marzo, e con un'altra lettera si rivolse a Cardi.

La Congregazione gli rispose il 14 aprile, mostrandosi sorpresa "nell'intendere che della loro espulsione sia stato in colpa il Padre Prefetto di quelle Missioni de Conventuali, mentre egli ha sinora goduto il concetto di religioso savio, retto e prudente" e degno perciò di tutta la lode, e chiese "di trasmettere qua i riscontri, che ne avrà ricevuti per maggior lume e governo" dei cardinali. Nel luglio Paolucci ricevette la risposta di Cardi, con la quale il missionario si mostrò indignato per le accuse di Bielicki circa la loro espulsione. Il 11 luglio Paolucci scrisse alla Propaganda: "Nell'esposizione mi fa il medesimo (Cardi n.n.) del successo intende di purgarsi da qualunque colpa e di rifonderla interamente sulla condotta non del tutto regolare de' Padri espulsi; come a quest'ora mi avvisa d'avere pienamente riferito all'E.E. V.V, alle quali su questo riflesso non la invio, per non moltiplicare loro inutilmente l'incomodo, immaginando, che le averà rese intese di quanto ha stimato di significare a me per suo discarico". Dalla parte di Cardi si mise anche l'arcivescovo di Nassia, Giovanni Francesco Bossi (che si trovava a Milano), che ne approvò pienamente la condotta. Bossi raccomanda alla Propaganda di far si "che li RR. PP. Giesuiti si compiacessero delegare per quelle Missioni uomini sensati, di qualche esperienza e capaci di moderazione", mancando tutte queste qualità nel padre Bielicki, che è quasi un minus habens. Contro queste accuse, i gesuiti non rispondono alla Propaganda, fatto che fa pensare a quest'ultima che il Cardi non sia così colpevole come è stato presentato dai padri polacchi. A nome dei gesuiti espulsi scrisse al principe Ghica, Giuda Taddeo Krusinski, che al momento dell'espulsione era il loro provinciale. Nella lettera, Ghica venne minacciato con l'intervento dei gesuiti presso la Corona e la Porta contro di lui. Il 20 ottobre (st.v.) il principe scrive alla Propaganda, affermando che i gesuiti, a causa del loro comportamento, non erano ne utili, ne necessari, e non "per intrighi del P. Prefetto, ma da moto proprio li hò fatto partire". Protettorato

Verso l'estate del 1732, Gasparo Niezolynski fu mandato di nuovo a Iasi, e subito ricominciarono i dissensi con Cardi. Questi voleva che tutta l'attività sua e degli altri gesuiti, che sarebbero venuti, si limitasse all'insegnamento ai fanciulli e nient'altro. Siccome i dissensi tra di loro davano fastidio anche al principe Ghica, nell'udienza che questi accordò a Gasparo subito dopo il suo arrivo, gli vietò espressamente qualsiasi attività apostolica, tranne quella di insegnare ai bambini delle famiglie cattoliche. Tutta l'attività pastorale, afferma il principe, spetta ai conventuali in virtù del decreto della Propaganda del 1 ottobre 1731, affermazione che in realtà non corrisponde al decreto. A buon ragione, padre Gasparo non poteva accontentarsi di questa decisione del principe e del prefetto, che limitava tutta la sua attività all'insegnamento dei pochi bambini cattolici della città, per il quale motivo scrisse al suo provinciale della Polonia. A sua volta, il provinciale, in data 20 luglio 1732, scrisse al generale della Compagnia, Francesco Retz, perché presenti le lagnanze del gesuita al giudizio della Propaganda. Nel frattempo i cardinali si radunarono per analizzare le lamentele dei gesuiti, e nella prima parte di novembre la Congregazione rispose ai gesuiti (7 novembre) e il giorno seguente il prefetto della Propaganda, card. Vincenzo Petra, scrisse a Cardi, rimproverandogli l’errata interpretazione del decreto e incoraggiandolo a vivere in pace con Niezolynski e con qualsiasi gesuita che potesse arrivare in Moldavia.

Ma, questi tentativi della Propaganda, come anche dei superiori gesuiti, per creare un clima pacifico e che giovasse alla "Maggior Gloria di Dio e la salute delle anime", come si esprimeva Petra nella sua lettera, non avranno alcun esito positivo. Cardi conservava immutate le sue posizioni mentre l'11 settembre 1733, arrivò a Iasi il padre Giovanni Regarski; a lui e al suo compagno Niezolynski, Cardi diede soltanto il permesso di confessare i polacchi ed i tedeschi, motivando che non conoscevano la lingua del paese e così non potevano confessare la gente autoctona. Nella stessa lettera, Cardi accusa poi i padri della Compagnia che, malgrado la volontà espressa dei genitori cattolici di insegnare ai loro figli, i gesuiti preferivano avere in scuola i figli dei boiari moldavi, tutti ortodossi, con l'intenzione di acquistarsi la loro simpatia, fatto che avrebbe causato ancor altri disagi ai conventuali. Il prefetto ebbe da fare ancora altri due gravi rimproveri ai gesuiti: Subito dopo il suo arrivo, nell’incontro con il principe, Niezolynski aveva tentato di riacquistare la cantina; e secondo rimprovero: un "gesuita polacco" aveva ostacolato i suoi tentativi per avere la protezione francese, affermazione del tutto errata.

Il nuovo principe Costantino Mavrocordat regna in Moldavia per la prima volta tra l'aprile 1733 e il novembre 1735. Dall'inizio egli fu favorevole tanto ai francescani quanto ai gesuiti, con uno scopo preciso e cioè per intavolare buoni rapporti con la Polonia e in generale con l'Occidente e per essere informato su quello che accadeva di importante in Europa. Mavrocordat mandò degli aiuti anche ai gesuiti che si trovavano fuori dal paese, a Kamienec, Lwów, Stanilawow e Jaroslaw. In compenso, i rettori di questi collegi mandavano delle informazioni politiche ai due compagni di Iasi, che poi li trasmettevano al principe. Uno dei gesuiti presenti nella capitale, Niezolynski, lavorò nel 1733, per qualche settimana, nella cancelleria del principe come interprete delle lettere in lingua polacca. Lo stesso atteggiamento favorevole ai gesuiti c'è l'aveva il vornic Costantino Ruset, suocero del principe.

Tornando ai rapporti tra i due ordini religiosi, il procuratore generale dei minori conventuali, Salvatore Solandari, scrisse a Cardi di ricorrere al vescovo di Bacau per risolvere il problema. Nel mese di maggio del 1734, la Propaganda mise di nuovo in discussione lo stesso problema: i gesuiti dovevano andare d'accordo con i conventuali, cioè dovevano essere in tutto sottoposti ai loro ordini e fare soltanto quello che loro gli permettono, "di fare la scuola ai figli di quei cattolici"; i problemi materiali, cioè a chi appartenesse la casa e la cantina, questo doveva essere risolto dal nuovo vescovo di Bacau, il domenicano Stanislao Raimondo Jezierski, malgrado che alla Propaganda fossero spedite "le copie de' decreti emanati ne' tempi addietro in favore della Chiesa, così dal Vescovo di Baccovia, che è l'Ordinario di Moldavia, come da due Prencipi". Oltre a questo, il segretario della Congregazione, Nicola Forteguerri, venne incaricato di prendere contatto con il padre generale della Compagnia, Retz, per risolvere le altre difficoltà delle quali i gesuiti si lagnavano. Ma la situazione non migliorò affatto. Nel 1735 il nuovo superiore dei gesuiti a Iasi, Regarski, scrisse a Retz, rimproverando il comportamento di Cardi e dei missionari conventuali. Scrive che lui e il suo compagno, Tommaso Kozicki, venivano sistematicamente impediti nella loro attività e malgrado la loro disponibilità veniva loro permesso soltanto la confessione dei polacchi e dei tedeschi. Aggiunse che a causa dei conventuali la gente aveva uno stato di preparazione religiosa e di vita cristiana deplorevole e che molti dei fedeli, per qualsiasi motivo, erano disposti a passare all'ortodossia. Concluse con la richiesta che Cardi venisse richiamato in patria, anche perchè aveva già concluso il suo sessennio come prefetto, e fece capire al suo superiore che si poteva trovare un altro campo di apostolato, dove non saranno impediti dai conventuali, nel nord della Moldavia, tra le famiglie dei nobili polacchi. Cardi aveva già chiesto il permesso di tornare in Italia un anno prima, ma per motivi che non hanno niente a che vedere con la tensione esistente tra i conventuali e i gesuiti. Possiamo presupporre che lui abbia considerato il suo modo di agire come giusto e che i soli colpevoli fossero i gesuiti e i documenti sembrano mostrare questo suo atteggiamento verso i padri della Compagnia di Gesù. Lui voleva come successore il padre Manzi, amato dal popolo e dalle ufficialità locali e conoscitore della lingua romena e ungherese, "necessarie per colà spargere la semenza Evangelica". Però, la Propaganda respinse tale proposta a causa delle tropo strette relazioni che Manzi aveva con i due figli del principe Antioco Cantemir, che era implicato nell'assassinio del missionario Renzi e con un altro nobile locale Stefanita Rossetti, che aveva preso alcuni territori appartenenti al vescovo di Bacau, territori che si trovavano a Barati e che costituivano la sua mensa vescovile.

All'inizio dell'anno 1736 (16 gennaio) la Propaganda, considerando la domanda del procuratore generale dei conventuali di rimpatriare Cardi e una copia della lettera di Regarski in cui il padre gesuita chiedeva la sostituzione del prefetto, decise di chiamare Cardi e di mandare come prefetto Francesco Pesci, che aveva lavorato come missionario a Pera di Costantinopoli.

 

2.7.2 Il fallito intervento di Cardi per il protettorato francese

Prima di concludere la sua prefettura facciamo nota di un intervento di Cardi a favore dei suoi cattolici e della missione in generale. Con la lettera scritta alla Propaganda nel 20 settembre 1731, Cardi tentò poi di ottenere il protettorato del re di Francia, in quanto il protettorato polacco dopo la pace di Karlowitz del 1699 era praticamente nullo per la sua missione, limitandosi solo alla presentazione di un nuovo candidato per la sede di Bacau quando questa rimaneva vacante.

La sua richiesta venne analizzata dalla Curia il 1 ottobre 1731. La Congregazione prende una serie di provvedimenti per la missione:

"Ad Primum:" Che si scriva al vescovo di Transilvania che si occupi della retrocessione dei calici, dei paramenti e di altri oggetti sacri spettanti alla missione di Moldavia e che adesso (a causa del dolo di Giambattista Barcuta) si trovavano nel convento dei francescani di Ciuk in Transilvania.

"Ad 2-um: "Revocetur P. Franciscus Maria Manzi"; si scriva al nunzio in Polonia perché si informi circa l'età e lo stato di salute del vescovo di Bacau, "eidemque insinuet suum reditum ad Civitatem Moldaviae".

"Ad 3-um": É proibita l'erezione di altari nelle case dei fedeli; viene approvato il metodo delle schede pasquali proposto da Bossi; i gesuiti devono occuparsi seriamente dell'insegnamento e andare d'accordo con i francescani.

"Ad 4-um": Si provvede qualche aiuto finanziario per la missione, e oltre questo, Cardi è confermato come prefetto per altri tre anni. Il problema del protettorato francese non fu risolto, in quanto i francesi non trovavano alcun vantaggio nel proteggere la minoranza cattolica moldava; in più, non c'era neanche tanto bisogno di essere protetti perché non erano molestati in alcun modo dalle autorità moldave.

 

2.8 Francesco Pesci (1736-1739)

 

Dopo che nel 1736 la Propaganda decise di chiamare Cardi in Italia, una decisione motivata anche a causa dei suoi forti contrasti con i gesuiti, fu mandato come prefetto Francesco Pesci, nominato in tale carica nello stesso anno, 1736.

Arrivato nella missione, si mise subito al lavoro. Nel 1737 ebbe un processo con il "postelnicul" (cancelliere) Costantino Rossetti (o Ruset), a causa di un terreno che

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