Il bambino tra scuola e famiglia
Ancora prima stazione: il vissuto del bambino
Parlando del vissuto del bambino abbiamo messo in evidenza la
necessità di riflettere su alcuni punti che ora riprenderemo
uno alla volta.
Iniziamo dalla collusione della coppia genitoriale, coppia che
il bambino porta a scuola.
Quest'area è molto importante poiché la fantasia
e le aspettative dei genitori, in relazione al bambino, e lo spazio
che egli occupa nella loro mente, saranno strettamente collegate
ad essa.
La letteratura psicoanalitica riguardante la dinamica della coppia
non è molto fiorente, ma seguendo i seminari presso la
Clinica Neuropsichiatrica Infantile, ho potuto comprendere che
l'innamoramento, e quindi l'unione di due persone, non sono mai
casuali.
Riassumendo, in termini semplici e forse inadeguati, alcuni dei
contenuti delle lezioni seguite direi che, condizionato dalla
sua "esperienza" di figlio, l'individuo compie una scelta
o di contrasto o di complementarietà rispetto alla figura
genitoriale di sesso opposto.
La scelta per complementarietà porta le persone a cercare
un partner con caratteristiche simili a quelle del proprio genitore
e ciò gli consente di proiettare sul primo (partner) l'immagine
interna del secondo (genitore). Quando questa cosa avviene per
entrambi i membri, la coppia, generalmente, non si trova ad affrontare
grosse problematiche.
Se la scelta è per contrasto, la persona si sente profondamente
obbligata a scegliere un individuo che contrasti nettamente con
l'immagine interna che egli ha del proprio genitore, trovandosi
evidentemente in una posizione di conflitto con essa; ne consegue
che egli non può proiettarla sul partner scelto. Nella
scelta per contrasto, quindi, c'è già un'area conflittuale,
un'area di rischio che si ripercuoterà sicuramente sugli
eventuali figli (...i nostri alunni!).
Vorrei precisare che il termine "collusione" è
inteso nel senso inglese di "giocare insieme", "fare
un patto segreto" ed è proprio ciò che avviene
nella fase dell'innamoramento. Questa collusione ha lo scopo preciso
di mantenere l'illusione dell'innamoramento.
A questo aspetto il dottore che conduceva i seminari sulla dinamica
della coppia ha dedicato molte lezioni. Tra i tanti messaggi che
ha saputo trasmettere, mi soffermerei con voi solo su quelli che
ritengo focali ed utili nel nostro lavoro.
La vita di una coppia sana è dinamica e non statica, in
quanto deve essere costituita da un processo trasformativo capace
di andare, attraverso vari passaggi, dall'innamoramento alla genitorialità.
Per affrontare tale processo la coppia deve possedere una capacità
elaborativa che le consenta di passare dall'innamoramento all'amore
includendo gradatamente nella membrana dialica l'esperienza di
realtà. In questo senso il partner riesce pian piano a
tollerare che l'altro, pur essendo disposto ad accogliere le sue
proiezioni ed a "corrispondere" o "contrastare"
quell'immagine interna genitoriale, ha una sua propria realtà,
è un individuo con le sue caratteristiche.
Sentire ciò significa passare gradatamente dall'innamoramento
all'amore, dall'illusione alla disillusione e, stringendo di molto
i passaggi intermedi, alla genitorialità. Le coppie che
non riescono a compiere tale processo elaborativo, generalmente,
o rimangono "fuse" nell'illusione di un eterno innamoramento,
oppure, prima o poi, passano bruscamente dalla illusione alla
delusione; questo purtroppo porta alla separazione o al costituirsi
di una membrana dialica porosa (amanti, interferenze continue
dei propri genitori...).
Che le cose vadano bene nella coppia, per noi insegnanti, è
di fondamentale importanza poiché:
le coppie "fuse" non riescono a dare uno spazio al proprio
figlio (questo diventa spesso il figlio dei nonni)
quelle con la membrana "porosa", o comunque difettosa,
lo collocano, per forza di cose, in uno spazio come minimo scomodo
ed inadeguato
inoltre, per passare alla genitorialità, occorre aver sistemato
interiormente la propria coppia genitoriale ed essersi realmente
staccati dai propri genitori.
Propongo solo una "toccata e fuga" che solletichi la
curiosità di chi non vuole tirarsi indietro di fronte alla
possibilità di capire quali dinamiche possono esserci dietro
ad un bambino che non riesce ad apprendere. Per anni ho ascoltato
insegnanti che si lamentavano dicendo "quel bambino non vuole
applicarsi..."; dentro di me sentivo che questo non corrispondeva
alla verità, anche se la situazione intorno a lui era apparentemente
normale. Oggi so che l'alunno, poco o per nulla motivato, in realtà
non "può apprendere" perché qualcosa non
è andato come doveva, magari in un tempo lontano in cui
il verbale si confondeva con il preverbale, magari in uno spazio
confuso in cui egli non era ancora stato pensato e si è
trovato a nascere...
Forse noi, come insegnanti, non conosceremo mai il vero vissuto
di Pierino o di Roberto, poiché affonda le sue radici in
un terreno talmente rarefatto ed inafferrabile, così profondamente
impregnato di messaggi inconsci, che la dimensione verbale è
sicuramente inadeguata perché il bambino o i suoi genitori
possano comunicare con noi a riguardo; ma se nella nostra preparazione
cominciamo a considerare che l'alunno non è una macchina
per produrre bensì un essere vivente già profondamente
segnato da tutti quei processi vissuti dalla coppia genitoriale,
allora saremo realmente saliti su un altro treno. Salire su un
altro treno significa rinunciare alla onnipotente pretesa di modificare
a nostro piacimento le caratteristiche emotive di ciascun alunno
ed il suo stile di apprendimento, mascherandoci dietro false formulazioni
di obiettivi, programmazioni e programmi che tendono ad appiattire
ed uniformare.
Nel suo ostinarsi a "non poter apprendere", di fronte
al nostro "non voler capire", molto spesso il bambino
percorre l'unica strada che gli consenta di salvare ciò
che dentro, profondamente, lo connota e lo caratterizza, ciò
che non riusciamo a riconoscergli. Lo sappiamo che tutto ciò
esiste, e lo sentiamo profondamente, siamo disposti ad accogliere
il bambino per come è, con il suo vissuto inconscio, le
sue ansie, la sua angoscia, ed il bambino lo sa, perché
lo sente. Siamo ad un livello in cui le parole non servono, la
comunicazione passa su binari preverbali ed inconsci, ma il bambino
sa di essere stato accolto interamente per come è, perciò
non deve caparbiamente difendere ciò che ha in sé,
dato che nulla gli viene tolto, il suo vissuto inconscio gli viene
riconosciuto e rispettato... Accade così che egli può
iniziare ad apprendere secondo il suo stile, perseguendo un obiettivo
coniato per lui: qui la programmazione comincia, secondo la mia
esperienza, ad avere un senso (apparentemente poco logico, secondo
alcuni, ma profondamente vero per altri).
In questo spazio riflessivo abbiamo fatto considerazioni sulla
collusione della coppia, sul processo evolutivo della coppia e
sullo spazio che occupa il bambino nella membrana dialica dei
genitori; penso che la prossima volta sarà utile approfondire
l'ultimo di questi punti ed affrontare le fantasie e le aspettative
dei genitori in relazione al bambino.
Un cordiale saluto e "buon lavoro"
Laila Scorcelletti
insegnante elementare - Roma
Articolo pubblicato su Il Bambino e l'Acqua Sporca num.6, novembre 1992.
|