Il Bambino e l'Acqua Sporca. Coordinamento Genitori-Insegnanti

Parliamo di Educazione

Su un altro treno








This page hosted by

Get your own
Free Home Page

Prima stazione: il vissuto del bambino

Prima il bambino della scuola dell'infanzia

Alla luce di quanto detto nel precedente numero, penso di poter affermare che il gioco a scuola per l'infanzia, non sarebbe lo strumento didattico, ma, il "saper '' potrebbe costituire una finalità, proprio nella misura in cui Winnicott ci diceva che "…quando il gioco non è possibile, allora il lavoro svolto dal terapeuta ha come fine il portare il paziente da uno stato in cui non è capace di giocare a uno in cui ne è capace."

Saper giocare, assume a mio avviso, la dignità di un obiettivo a lungo termine che la scuola dell'infanzia dovrebbe considerare nel curricolo di didattico. Vediamo se, ed in quale misura, ciò è riscontrabile negli Orientamenti del "91". E’ utile a tal fine estrapolare da essi ogni riferimento al gioco.

Nella prima parte, al paragrafo "Infanzia, società, educazione" si fa cenno al gioco sia in relazione alla "insufficiente disponibilità di luoghi e di opportunità di crescita, di gioco e di creatività" caratteristiche degli spazi urbani, sia considerando il bambino come soggetto di diritti, non perché gli venga esplicitamente riconosciuto il diritto al gioco, ma piuttosto in quanto i diritti inalienabili tutelati in una scuola per l'infanzia capace di "un intenso clima di affettività positiva e di gioiosità ludica".

Nella seconda parte dal titolo "il bambino e la sua scuola" analizzando lo sviluppo della competenza, così si esprimono gli Orientamenti: "Fermo restando l'importanza del gioco in tutte le sue forme ed espressioni, il gioco di finzione, di immaginazione e di identificazione rappresenta l'ambito privilegiato in cui si sviluppa la capacità di trasformazione simbolica" ed ancora "... il bambino impara a gestire ruoli e regole di una certa complessità, ad affrontare e risolvere eventuali conflitti, ad attribuire più di un significato simbolico a uno stesso oggetto. Quest'attività si presenta quindi come un potente strumento per lo sviluppo..." (segue elenco delle abilità cognitivo affettive stimolate da gioco).

Nella terza parte si tratta del gioco nell'ambito dei "campi di esperienza educativa" sia in relazione al corpo ed al movimento sia in rapporto ai discorsi e le parole. Il gioco è così considerato quale forma di attività motoria privilegiata che adempia a "rilevanti e significative funzioni di vario tipo da quella cognitiva a quella socializzante a quella creativa" considerandone tutte le sue forme (giochi liberi, con regole, simbolici, con materiali, popolare, tradizionale). Nell'elenco compaiono anche certi "giochi di esercizio" e "quelli programmati". Si afferma inoltre che "opportunità di grande ricchezza linguistica sono presenti nel gioco simbolico, che consente ai bambini di concentrare l'attenzione per arrivare ad una identificazione e progettazione comune della finzione da condividere, e in tutte quelle attività... che l'adulto presenta positivamente come collaborative."

Nella quarta parte, riguardante la didattica e l'organizzazione, al punto "la valorizzazione del gioco" cosi si legge "il gioco costituisce in questa età una risorsa privilegiata di apprendimento e di relazioni. Esso, infatti favorisce rapporti attivi e creativi sul terreno sia cognitivo che relazionale.." "L'insegnante, evitando facili improvvisazioni, invia al bambino, attraverso la ricchezza e la varietà delle offerte e delle proposte di gioco, una vasta forma di messaggi e di stimolazioni utili alla strutturazione ludiforme dell'attività didattica, nei diversi campi d'esperienza".

Penso di aver evidenziato tutti i riferimenti al gioco espressi negli Orientamenti, ora è il caso di avviare le opportune riflessioni.

Sicuramente da tutte queste parole si evince che l'attenzione al gioco è fondamentale e determinante nella scuola materna, ma nonostante ciò, è come se egli non godesse di una sua autonomia. Il gioco è sempre considerato come attività e strumento di sviluppo. Può essere utile visualizzare il concetto con lo schema di sintesi sopra rappresentato.

Dire che l'attività ludica si presenta come un potente strumento è poco ed è troppo al tempo stesso.

Mi spiego.

I termini attività e STRUMENTO, per definire il gioco, sono infatti riduttivi. Inoltre se "strumento" il gioco può essere, è solo al servizio del "saper giocare", considerando quest'ultimo un obiettivo a lungo termine, altamente raffinato, da conseguire nella scuola per l'infanzia. Un simile argomentare restituisce al gioco quella dignità che gli è negata, negli ultimi dieci, quindici anni dalla massiva urbanizzazione della vita quotidiana, sia dalla corsa frenetica alla "produzione" caratteristica delle scuole dei vari ordini, senza escludere gli Orientamenti della scuola dell'infanzia. Parlare di "struttura ludiforme dell'attività didattica" è un adultismo Nel momento stesso in cui l'insegnante "invia al bambino (. . .) una vasta forma di messaggi e di stimolazioni utili alla strutturazione ludiforme dell'attività didattica (...)" il gioco del bambino cessa di essere tale.

Ho vissuto i primi sei anni della mia vit cortili delle case popolari: nessun adulto ci aveva mai insegnato a giocare, eppure sapevamo giocare, in gruppo, da soli, a coppie...Ricordo quella meravigliosa sensazione di benessere quando stanca, guardavo il cielo che si faceva rosso e capivo che era quasi ora di andare a casa.... E giocavo più intensamente per godere bene quegli ultimi minuti di luce. Con profonda soddisfazione ci si salutava e con la coda dell'occhio ognuno riguardava il cortile, le stradine interne alberate (che oggi si chiamerebbero piste ciclabili) e poi ancora uno sguardo al cielo che si faceva bruno, prima di infilarsi nel portone del proprio palazzo, cantando una filastrocca o ritmando una "conta", che nessun adulto ci aveva insegnato e si provava un senso di infinito benessere, quello star bene con se stessì che il "saper giocare" sa dare ad un bambino. Ciascuno era certo che il giorno avrebbe potuto trovare in uno dei cortili uno spazio di gioco e le persone con cui giocare. "....pii, pii... chi vuol giocare con me

mette il dito qui sotto! " Nessun adulto all’orizzonte: eppure un gioco finiva ed un altro iniziava; si litigava, ci si accapigliava e poi si giocava ancora insieme. Si cadeva: un po'

di saliva sulle ginocchia sbucciate e la corsa riprendeva....!

Oggi "I'allarme bambino", invece è continuo.

Quando i bambini litigano o si picchiano nella loro dinamica relazionale, sono considerati dei

violenti fin dalla scuola dell'infanzia, mentre se cadono giocando è "pronto" il pronto soccorso con referto medico corredato da relazione stilata dall'insegnante presente e

protocollata nel giorno medesimo per tutelarsi dal risarcimento danni eventualmente richiesto dalla

famiglia...

Ora potete tirare un sospiro.

Comunque, non mi venite a dire che nella scuola dell'infanzia, un'insegnante possa

convincere un bambino del fatto che sta giocando mentre gli propone di drammatizzare una

favola letta da lei, o mentre cerca di fargli inventare il finale di una storia. Non mi venite a dire che tanti bambini mentre cantano o

mimano una filastrocca sotto lo sguardo vigile dell’insegnante, in quei momenti stanno giocando.

E' possibile che si stiano divertendo, giocare è un'altra cosa.

Giocare veramente significa investire nel "saper giocare", ma il saper giocare si fonda su spazi di gioco, tempi di gioco e possibilità

Di interazione gestiti dai bambini.

ricordo che, quando frequentavo la scuola materna capivo bene, dentro di me, se stavo lavorando, oppure se stavo giocando. Il

"lavoro" del punteruolo sul cartoncino, con il feltro sotto, era molto divertente e gratificante, mi dava soddisfazione, ma non l'avrei mai potuto considerare un gioco. Neppure il girotondo era un gioco quando lo facevamo per esplicita richiesta dell'insegnante.

E' nella richiesta dell'insegnante che il bambino percepisce profondamente che quello non è il suo gioco.

A questo punto mi direte che sto configurando una scuola dell'infanzia in cui ogni bambino fa caoticamente quello che vuole mentre gli insegnanti smettono di programmare e formulare curricoli, all'insegna dell'improvvisazione.

Non è così.

Penso piuttosto a una scuola in cui il bambino possa orientarsi tra le richieste di un adulto capace di distinguere la produzione dal gioco.

Il gioco non produce, ma inventa e crea liberamente: non è programmabile, né circoscrivibile in uno degli elementi del curricolo.

Il gioco basta a se stesso nell'andare verso il saper giocare. Ogni altra definizione del gioco stesso diventa un raggiro di parole con cui l'adulto tenta di nascondere il nocciolo della questione. Fin dalla più tenera età solo il prodotto tangibile tranquillizza l'animo delI'adulto. Ma dire chiaramente ad un bambino che in quel momento sta lavorando per sviluppare le sua capacità sembra brutto (forse per le leggi sul lavoro minorile?) ed allora gli diciamo che sta giocando e lo scriviamo anche nella programmazione e negli Orientamenti. Ma se riusciamo a convincere di ciò gli adulti, non crediamo di incantare i bambini: loro ci restituiscono dei manufatti splendidi fin dalla più tenera età ed hanno intelligenza ed intuizione, ma nel loro corpo c'è frenesia e nei loro occhi c'è la malinconia di chi non sta investendo sul "vero Se" perché non può curare lo sviluppo del "saper giocare".

A presto.

Laila Scorcelletti
Insegnante elementare - Velletri

Articolo pubblicato su Il Bambino e l'Acqua Sporca num.24, marzo 1998.

1