Il Bambino e l'Acqua Sporca. Coordinamento Genitori-Insegnanti

Parliamo di educazione


Un'autoriforma gentile





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Il tempo dell'esperienza

Testo dell'intervento per il Convegno
"La scuola: un'autoriforma gentile"
Roma, 30 nov-1 dic 1996

L'occasione di questo convegno, mi da modo, seguendo alcune parole-chiave contenute nel suo manifesto, di mettere a fuoco qualche riflessione sul Tempo, che vado accumulando a partire da problemi molto concreti. L'approccio, come nello spirito del convegno, è la pratica del mio lavoro.

Ho insegnato nel Tempo Pieno della scuola elementare, in anni in cui ancora non era esplicitamente minacciato, se non dal suo statuto precario di modello solo sperimentale.

Mi sono ritrovata a difenderlo, in un altro ruolo, mentre si discuteva e si approvava, la legge 148 di Riforma degli ordinamenti elementari. Sempre mi si è riproposto, insistente, il problema di trovare una definizione dei concetti di Tempo e di Esperienza, che ci servissero ad argomentare, su un piano teorico e politico, le intuizioni pedagogiche contenute nel modello di scuola che proponevamo, come antagonista ai Moduli previsti dalla Riforma.

La definizione di Esperienza, forse, più attinente al nostro lavoro nella scuola, è quella che ci viene dalle riflessioni di Fachinelli, non a caso anche lui fortemente preoccupato dal problema del Tempo. L'esperire è accoglimento di una modificazione, è sintesi di pensiero e di azione, è movimento, emozione che non si da altro senso se non quello che emerge mentre si compie. Mi rendo conto che tale definizione sembra ostica e venata di irrazionalità' e molte altre, più tecniche, sarebbero disponibili, per esempio quelle relative agli apprendimenti significativi o alle sintesi di azione corporea e pensiero proposte da Piaget. Ma quello che vorrei tentare è di andare oltre, di allargare lo sguardo, considerando che la "sfida" era, ed è, quella di abbracciare esperienze non solo scolastiche. Tale tentativo rende ancora più complessa la ricerca della definizione del Tempo; essa non è immediatamente disponibile, se ci riferiamo all'esperire di cui ho detto. L'unico modo per trovare il Tempo nella scuola è di coniugarlo con l'atto del valutare e del misurare, attività tipicamente scolastiche . Valutare e misurare che cosa? Le esperienze, per dar loro senso condiviso e l'insegnante si pone come il garante sociale di tale valutazione. Ma l'esperienza che davvero ci cambia, che modifica le mappe della nostra memoria, forse qualcosa di simile al deutero-apprendimento di Bateson, ha un tempo personale che può essere denso e lunghissimo, oppure così lieve da risultare un niente.

Il fatto è che, socialmente parlando, il tempo dell'esperienza che Fachinelli riserva non a caso alle menti estatiche e ai bambini, deve avere un costo e una durata. C'è un tempo per mangiare, per dormire, per giocare. La ritmicità di soddisfazione e frustrazione - ecco i costi- scandita dalla routine quotidiana, è cosa che i bambini imparano durante il primo anno di vita.

La scuola farà il resto: essa è la sede del controllo, della "formazione" come adattamento, della conquista del tempo "regolativo", sociale, la forma più subdola dei processi di sublimazione. Essere autonomi, vuol dire proprio questo: sapersi muovere negli spazi temporali giusti.

 

Nel Tempo Pieno, nelle sue versioni migliori, il problema del tempo di lavoro degli adulti, delle donne soprattutto, è diventato l'occasione per una riconquista del tempo infantile. L'allungarsi della permanenza a scuola dei bambini, ha consentito di scardinare l'ordine scolastico "campanella- lavoro- campanella", insieme alla sequenza "prestazione-tempo debito-valutazione", e di ridare dignità al tempo infantile, e agli aspetti di cura.Soprattutto alcuni momenti prendono spessore pedagogico: l'accoglienza, il pranzo, il gioco, il laboratorio. Essere accolti significa disporre di un salvacondotto per passare dal contenitore-casa a quello aula, spazio socializzato per eccellenza. Una fitta rete di comportamenti messi in atto dagli insegnanti per garantire il distacco attraverso un "tempo sospeso", fra saluti e racconti che rendono l'ospite qualcuno che si attendeva. Mangiare insieme, come nella più antica delle tradizioni di ogni popolo, serve a consolidare legami, a disporsi a superare i conflitti, a portare in pubblico segreti e riservatezze della vita personale. A scuola, nel Tempo Pieno, sono rinati i giochi che senza la strada e il cortile, erano impraticabili: la palla, la corda, le filastrocca per modulare il movimento. Non fare "come se", ma fare davvero, provare, provarsi, toccare gli oggetti , dare risposte senza preoccuparsi di quello che si aspettano gli adulti, ma mettere a fuoco i saperi infantili, fra magia e intuizione scientifica. Parlo di quattro categorie di esperienze accomunate da un aspetto: ci vogliono tempi distesi e relazioni significative per renderle davvero praticabili.

Nel Tempo Pieno non si sono mai imparate più nozioni e più abilità in funzione di un tempo più lungo di lavoro, ma si sono fatte più esperienze sulle capacità di base, si è dedicato tempo allo scaturire della motivazione, alla possibilità di trasferirla da un campo all'altro dell'attività infantile. Sfatiamo le "fantasie" di molti detrattori sugli scopi solo socializzanti che si era data la scuola, dimenticando la necessita' di essere produttivi(?). Quello che è chiaro a chiunque si occupi di apprendimento, è che il mondo è tutto attaccato, e che il gruppo è garante di ciò che si impara, solo se può essere veramente tale, nella qualità delle sue relazioni interne. Nei Moduli a 27, 30 ore, si imparano più nozioni, ogni insegnante corre sul filo delle ore destinate alla sua disciplina, non si perde in rituali, l'organizzazione non li prevede. Nei Moduli si mangia in fretta, si gioca organizzati per fare prima, non si chiacchiera e non c'è il tempo di calibrare il gesto della mano sull'oggetto. E si dimentica molto più facilmente. Vero dramma attuale registrato dagli insegnanti : i tempi di attenzione si accorciano, la divergenza appare difficile, le informazioni si aggregano nelle menti dei più giovani come un tutto opaco e inservibile nel quotidiano. Sicuramente incideranno molti altri fattori, ma mi pare che tutti peschino nello stesso sfondo culturale, quello della fretta, dello scorrere rapido, similtaneo, delle immagini.

Perché rinviare una discussione sul Tempo e sulle relazioni, quando poi dobbiamo, amaramente, tornarci, nei lavori di sostegno e di recupero per chi non si è adattato?

Abbiamo sempre avuto attenzione al kairos, al Tempo debito, pensavamo andasse insegnato ai bambini. Inizio e fine, tempi divisi necessari a poter raccontare le esperienze e a farne memoria collettiva. Ma non siamo riusciti a proteggere i bambini da quello che lo scrittore danese Hoeg, in uno spettacolare romanzo di formazione, chiama il complotto adulto sul tempo.

Tra l'altro un aspetto paradossale di cui poco si parla, è di come i giovani, educati ai tempi rigidi e opachi della scuola, stiano riprendendosi il Tempo attraverso le esperienze più estreme. Penso alle feste "rave" , alla musica trip-hop, molto banalmente al consumo di droghe: durate non valutabili con gli strumenti socialmente a disposizione, sospensioni delle routine e del rapporto veglia-sonno, inconcepibili con i "vecchi" tempi della produzione. Gestione di un tempo libero-liberato di cui niente sappiamo e che rischia di renderci osservatori timorosi e bigotti, educatori e maestri posti di fronte allo scacco del proprio progetto formativo.

   Renata Puleo

   Direttrice didattica - Roma

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