Il Bambino e l'Acqua Sporca. Coordinamento Genitori-Insegnanti

Parliamo di Educazione

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Prima stazione: il vissuto del bambino

Torniamo nuovamente al "vissuto del bambino" e precisamente alla tappa relativa a "come vive il bambino dentro di sé le singole figure e la coppia genitoriale", della quale ci siamo già occupati nei numeri 9 - 10 - 11 e sulla quale ritengo ci sia ancora molto da dire.

Per capire in profondità il concetto evidenziato dalle virgolette, occorre entrare nel discorso della funzione che hanno le figure genitoriali nello sviluppo psicodinamico del bambino in relazione al compito evolutivo al quale egli, crescendo, deve assolvere.

Cosa vuol dire questo?

Dicevamo, nel numero 11 della rivista, che è di fondamentale importanza la percezione che il bambino ha della coppia nei suoi primi mesi di vita, quando, con la madre, costituisce un'unica membrana che consente loro di vivere la fase della simbiosi (madre e figlio sono psichicamente uniti a formare un unico individuo). Per passare dalla fase di simbiosi a quella della separatezza è necessario per il bambino percepire ed utilizzare la madre come uno specchio per avviare i processi di introiezione, proiezione, identificazione (introdotti e non analizzati nel numero 11). Prima di comprendere cosa significhi introiettare, proiettare ed identificarsi, dobbiamo capire profondamente quale sia l'associazione mentale con la quale leghiamo la madre ad uno specchio..! Niente paura, le parole di Winnicott ce lo spiegheranno.

"...il precursore dello specchio è la faccia della madre...L'enunciato di base è questo: nei primi stadi dello sviluppo emozionale del bambino una parte vitale è rappresentata dall'ambiente che il bambino non ha ancora separato da sé..."

Qui la parola "ambiente" ha il duplice significato di madre-ambiente e di ambiente in quanto tale (la coppia, la famiglia, l'insieme di ciò che generalmente caratterizza un ambiente...).

Già spiegavamo nel numero 9 la funzione vitale della madre-ambiente nella sua capacità empatica di sostenere e contenere il bambino, fornendo cure adeguate al momento giusto.

Aggiungiamo ora che presentare il seno (l'affetto) adeguatamente ed in tempo (inteso come tempo psichico) significa permettere al bambino la "legittima esperienza dell'on-nipotenza", ciò consente al bambino di "usare l'oggetto" (seno o biberon) e "...di credere che questo oggetto sia un oggetto soggettivo e creato dal bambino" (Winnicott).

In altre parole, poiché il seno arriva proprio mentre egli lo desidera, il bambino lo percepisce come oggetto creato da lui (oggetto soggettivo).

Questa è l'esperienza di onnipotenza (definita così perché il piccolo si sente quasi creatore), "legittima", a detta di Winnicott, in quanto tappa necessaria per un equilibrato sviluppo successivo.

Proseguiamo con le sue parole. "Ora, a un certo punto, viene il momento in cui il bambino si guarda intorno. Forse il bambino al seno non guarda il seno. E' più probabile che una caratteristica sia quella di guardare la faccia...Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me, di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge."

Direi io: con ciò che essa "può" scorgere.

Se una mamma infatti è abitualmente in uno stato d'animo di depressione o è chiusa nelle rigidità delle proprie difese, non riesce a contenere il bambino accogliendolo in sé attraverso i propri occhi; in questi casi l'allattamento non costituisce un "rapporto", ma un gesto meccanico in cui la mamma assume quasi uno sguardo "fisso", assorta nel suo stato d'animo, presente con il corpo ma assente ad un livello empatico.

Ma le parole con cui lo dice Winnicott sono molto belle: ascoltatele.

"Molti lattanti devono avere una lunga esperienza di non vedersi restituito ciò che essi danno. Guardano e non si vedono. Ne derivano conseguenze. Prima di tutto la loro capacità creativa comincia ad atrofizzarsi, ed in una maniera o nell'altra guardano intorno cercando altri modi di riavere qualcosa di sé dall'ambiente.

...In tal caso la faccia della madre non è uno specchio. Così la percezione prende il posto di ciò che avrebbe potuto essere l'inizio di uno scambio significativo..." (una percezione precoce, quindi, che lo costringe a recepire quasi violentemente l'altro, il non me). Questo porta il bambino a non poter essere un tutt'uno con la mamma ed a dover separare il me dal non me senza passare per i vantaggi evolutivi forniti da una mamma che permetta al bambino di utilizzarla come specchio.

Dice ancora Winnicott in proposito "Se non vi è là una determinata persona a fungere da madre il compito evolutivo del bambino è infinitamente complicato."

Ora sappiamo che fungere da madre significa non solo essere adeguata nei termini evidenziati nei numeri precedenti, ma anche accogliere il bambino come fa uno specchio: lo specchio rende, a chi vi guarda dentro, l'immagine che in lui si riflette. Il bambino che può guardare, da un punto di vista psichico, la faccia della madre come si fa con uno specchio, riceve indietro, dagli occhi di lei, l'immagine di sé stesso; questo ritorno costituisce, per l'infante, il nucleo del suo sé, sul quale crescerà e si svilupperà la sua personalità.

Ma uno specchio, per restituire l'immagine ricevuta a chi guarda, deve essere in grado di rifletterla: gli specchi appannati, troppo impolverati, non più cromati, concavi o convessi, non sono in grado di restituire l'immagine così come la ricevono, non la riflettono affatto o la deformano, secondo la loro struttura e il loro grado di deterioramento.

Sicuramente sarete "perspicaci" nel decodificare la simbologia che ho utilizzato e nel trasferirla al rapporto madre-bambino.

Cosa accade ad un bambino che non può utilizzare sua madre come specchio, Winnicott ce lo ha fatto intuire...!

Ma perché un docente dovrebbe sapere tutto questo?

Forse che tra i vari "compiti" previsti dai "nuovi strumenti di valutazione" dobbiamo anche inserire un "interrogatorio" rivolto alla madre per indagare sulla sua adeguatezza?

Una risposta a questa mia domanda provocatoria è sicuramente superflua, mi sembra invece utile sottolineare che la conoscenza di questo, come degli altri stadi del processo evolutivo, è necessaria per determinare la consapevolezza e la fluida duttilità che dovrebbero caratterizzare il nostro ruolo.

Sapere che dietro la mancanza di creatività c'è probabilmente un bambino che non ha avuto da sua madre la restituzione dell'immagine di sé, potrebbe esserci utile. E non dimentichiamo ciò che Winnicott dice: "...in una maniera o nell'altra guardano intorno cercando altri modi di riavere qualcosa di sé dall'ambiente."

Un lattante che non riceve ciò che cerca dalla madre, continua a cercare nelle fasi succesive della vita, come per riempire un vuoto sentito "incolmabile"...; e se un bambino per riavere qualcosa di sé dall'ambiente, guardasse proprio noi? Che cosa saremmo in grado di fare?

Certo, con questa "infarinatura" potremmo fare ben poco, ma con un serio cammino d'analisi ed una buona preparazione teorica nel campo psico-dinamico, saremmo capaci di affinare il nostro grado di padronanza. Potremmo così contenere le "vittime" degli specchi concavi, convessi o troppo deteriorati per poi affidarle agli esperti giusti, mentre, forse, potremmo accogliere, consapevolmente, l'immagine di un bambino che ha solo bisogno di riflettersi in uno specchio meno impolverato o meno appannato di quello materno.

Indipendentemente da ciò che saremmo in grado di fare in termini risolutivi, considerando poi che le risoluzioni profonde spettano agli psi-coterapeuti e non ai docenti, sapere tutto ciò serve, a mio avviso, in ultima analisi, a non sentirci spaventati, sorpresi o sprovveduti se un bambino sta guardando nei nostri occhi per vedere sé stesso, se poi riuscissimo a rendergli qualcosa di sé, avremmo instaurato (o forse restaurato?) un rapporto che, per dirla con Winnicott, potrebbe "essere l'inizio di uno scambio significativo.."

Per ora ci fermiamo qui, nel nostro prossimo incontro rifletteremo sui termini evidenziati all'inizio di questo articolo, vi lascio con il solito cordiale saluto.

Laila Scorcelletti
insegnante elementare - Velletri

Articolo pubblicato su Il Bambino e l'Acqua Sporca num.15, marzo 1995.

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