Il Bambino e l'Acqua Sporca. Coordinamento Genitori-Insegnanti

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Seconda stazione: il rapporto con l'alunno. La formazione psicodinamica del docente

Già sento nelle mie orecchie i possibili commenti di alcune insegnanti riguardanti l'articolo del numero precedente: ".... io? Io non ho problemi, quale analisi tutte storie....!"

Eppure la quotidianità dell'insegnamento è cesellata di mille piccoli esempi che dimostrano come noi non riusciamo ad entrare in relazione con l'alunno anche perché, spesso, non possiamo accogliere un qualcosa del suo sé, che va improvvisamente a ris-polverare...

Ricordo Y, nel solido modulo quattro su tre: quanto piangeva in prima elementare, ogni mattina, quando doveva varcare la soglia dell'aula!

In genere riuscivo a tranquillizzarla... ma, nel corso di una riunione di programmazione, una di noi iniziò a dire, più o meno, che Y faceva troppi capricci approfittando di chi usava la "linea tenera" e che dovevamo, pertanto, tenere tutti un atteggiamento uniforme, più distaccato, che permettesse ad Y di maturare...

Conoscevo profondamente la disponibilità e le doti relazionali di quell'insegnante: che cosa l'aveva portata a diventare così "rigida" in quella situazione?

Generalmente, lei sapeva essere così severa solo con se stessa.

Questa rapida riflessione mi portò a chiederle se, per caso, il pianto di Y non andasse a toccare un suo vecchio pianto.

La collega si fece rossa in viso e, con tono "arrabbiato" (fu l'unica volta in cui la vidi arrabbiata nei nove anni di lavoro condiviso) disse che le mie parole la offendevano perché mettevano in dubbio la sua professionalità, nel lasciare alle spalle i condizionamenti della propria vita individuale, e la sua capacità di trattare gli alunni in modo equo.

Non aggiunsi nulla, la sua reazione mi fece capire che avevo colto nel segno, sapevo che la sua sensibilità le avrebbe comunque consentito di utilizzare al meglio la mia riflessione in un momento successivo; del resto, se non ne fossi stata convinta, non avrei parlato.

Alcuni giorni dopo, in una occasione apparentemente casuale e scol-legata dal precedente contesto, lei riuscì a verba-lizzare il vivo ricordo dell'angoscia che aveva provato, da piccola, ogni volta che sua madre la lasciava a scuola, e di quanto piangeva.

Non parlammo mai di come le sue parole fossero collegate al suo rapporto con Y; ma lei stessa, avendo elaborato, fu presto in grado di accogliere il pianto della bambina e quest'ultima, sentendo totalmente accolto il suo pianto, potè smettere di piangere ed iniziò ad utilizzare l'esperienza scolastica.

Questo ricordo costituisce solo un piccolo esempio, fra i tanti che potrei "rispolverare", di come, nel nostro lavoro, ciò che siamo ed abbiamo dentro, condizioni inevitabilmente il rapporto con l'alunno. Se a ciò si aggiunge, poi, che nel sistema dei moduli questo rapporto non sempre può essere diretto ed immediato, ma che di fatto spesso è condizionato, più o meno fortemente, dalle dinamiche relazionali presenti all'interno del gruppo modulare docente, allora la necessità di un "equilibrio psichico" diventa, a mio avviso, una condizione indispensabile per "l'incolumità" dell'alunno.

Ma la dimostrazione più tangibile di come l'esperienza analitica sia utile (ho voluto evitare l'uso del termine "indispensabile", anche se ormai sapete come la penso!) l'ho avuta nel rapporto con X di cui parlavamo nel numero 12 della rivista.

E' come se X, in quell'episodio, non avendo avuto la preoccupazione (che in genere i bambini di sei anni iniziano ad avere) di limitarsi nel manifestare ciò che sentiva, avesse potuto esprimere, con il suo comportamento, ed in modo eclatante, quello che agli altri bambini è consentito solo velatamente; "Io,dentro mi sento così, datevi una regolata!".

Infatti X, rispetto agli altri alunni, aveva, paradossalmente un canale di comunicazione preferenziale; la certificazione medica del suo svantaggio gli aveva procurato il diritto (raramente riconosciuto agli altri) di poter essere se stesso.

Spesso i bambini definiti come "caratteriali" si arrogano prepotentemente questo diritto provocando lo smarrimento e la rabbi degli insegnanti; ma nel caso di X, quelle parole scritte in nero su carta bianca timbrata, avevano già disposto le insegnanti al "Vediamo come sei e partiamo da lì" (parole che dovrebbero valere per ogni bambino).

Potremmo rappresentare con il seguente grafico questa iniziale disponibilità al passaggio di una comunicazione (C) che parta dal bambino (nel nostro caso X).

Figura 1: DA, GI, DO, LA e TI sono le cinque insegnanti.

Ma, per quanto ognuna di noi fosse partita con il "Vediamo come sei...", nessuna poteva figurarsi una angoscia così profonda; la dinamica delle reazioni immediate di ogni insegnante si potrebbe rappresentare così;

Figura 2

DA: sfiora l'angoscia di X, non cerca il contatto perché si sente smarrita (del tipo "Qui che si fà? Aiuto!");

GI: stabilisce un contatto di tipo materno ed in quel momento libero dall'angoscia, poiché raramente una madre teme il figlio nel momento in cui è bisognoso (del tipo: "Non preoccuparti, ci sono qui io, stai tranquillo che non è niente";

DO: rinuncia momentaneamente al contatto anche perché ha fatto tesoro delle "istruzioni" della psicopedagogista: dove un comportamento è "regolamentato" sfuma l'opportunità del contatto (del tipo "Io faccio come ha detto lei, poi, fate voi");

TI: stabilisce un contatto, rendendo disponibile il suo corpo ad un attacco sul quale X possa veicolare l' angoscia (del tipo "So che hai bisogno, fai pure e non preoccuparti di me");

LA: il suo contatto è di tipo psichico (probabilmente per le analisi che ha intrapeso), l'impatto con l'angoscia è totale ed il confine tra le due entità psichiche (insegnante-alunno) quasi sfuma, in alcuni momenti (del tipo "Devo andare a vedere cosa significa per me ciò che sto provando, poi torno da te").

Se questa posizione iniziale fosse rimasta immutata e non si fosse evoluta in una dinamica di relazione, sicuramente avremmo perso X. L' esperienza scolastica non può avere la pretesa di "guarire" un bambino, ma la quallità del rapporto (con l'alunno e tra i docenti) è fondamentale nel determinare quella concreta finalità del processo formativo che oscilla, a mio avviso tra due fattori estremi:

1- non essere nelle condizioni di offrire all'alunno l'opportunità di maturare, secondo le sue possibilità, attraverso esperienze positive, il che equivale a:

per l' alunno ---> vivere in negativo

per noi ---> perdere l'alunno

2- garantire all'alunno una esperienza scolastica positiva che gli consenta una evoluzione proporzionata alle sue possibilità, il che equivale a:

per l' alunno ----> vivere in positivo

per noi ------> trovare l'alunno

Non mi metterò ora ad analizzare il significato profondo dei termini "perdere o trovare l'alunno" perché uscirei dall'argomento sul quale stiamo riflettendo; tornerei piuttosto al nostro X e direi per come era lui, ed essendo stato inserito in un modulo 4 su 3, aveva tutte le carte per rientrare nel caso 1, mentre, in realtà, dalla sua esperienza scolastica, egli potè trarre il massimo sotto ogni punto di vista rientrando egregiamente nel caso 2.

Una delle cause fondamentali, nel conseguimento di ciò, fu, secondo me, il modificarsi dell'iniziale dinamica delle relazioni.

Figura 3

La relazione, qui, diventa circolare; in questo modo, ogni sensazione derivante dalla comunicazione può "passare" nel rapporto, proprio attraverso un movimento, utilizzando, in questo modo, le capacità e le possibilità di ciascuno.

La posizione assunta da ognuno, unita alla presenza di un'insegnante fornita di esperienza analitica, consente il passaggio dell'angoscia ed evita quell'ingorgo che avrebbe provocato la perdita dell'alunno. In altre parole, l'angoscia prodotta dalla comunicazione passa e non si ferma perché:

1) la relazione è di tipo circolare

2) l'esperienza analitica consente a LA di elaborarla (l'angoscia) restituendo così, nel passaggio circolare un messaggio alleggerito ed equilibrato.

Prova ne sia il fatto che, nei primi mesi di scuola, X dimostra di accettare "proposte lavorative" solo da LA.

L'esperienza analitica e la conoscenza psicodinamica forniscono opportunità di rapporto che sono difficili da definire per la loro peculiarità: questo elemento fu comunque percepito dalle persone del gruppo, a vari livelli di profondità, tanto che anche DA decise di intraprendere il suo cammino d'analisi e TI fu seriamente tentata a farlo anche se per noi non ne ebbe il coraggio!

Concludendo, X visse una positiva esperienza scolastica, raggiungendo gli obiettivi per lui programmati sia per quanto concerneva la sfera della socialità che quella dell'apprendimento; mi sembra importante evi-denziare che, nel primo ciclo, privilegiò il rapporto con DA e LA per le attività didattiche; mentre si rivolgeva a TI quando, arrabbiato, aveva bisogno di mordere o tirare i capelli; andava da GI se voleva essere coccolato o se cercava una madre morbida da "palpare"; si dirigeva verso DO quando voleva essere assecondato in qualche caso che le altre non gli avrebbero consentito.

Sono riuscita a dimostrare la tesi da cui ero partita qualche numero fa?

(Un serio cammino d'analisi dovrebbe essere, per ogni docente, una tappa propedeutica all'insegnamento.)

Spero di sì. Il solito cordiale saluto.

Laila Scorcelletti
insegnante elementare - Roma

Articolo pubblicato su Il Bambino e l'Acqua Sporca num.14, dicembre 1994.

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