Pier Cesare Rivoltella
Mass media e nuove tecnologie
Opportunità educative in una società che cambia
"Il sistema scolastico italiano ha il compito di riconsiderare i propri obiettivi e processi formativi e di ridefinirli, sia capitalizzando le esperienze acquisite anche grazie alla sperimentazione, sia spingendo oltre linnovazione, affinché lo pongano in condizione di rispondere, nel più breve tempo e al più alto livello di qualità possibile, alle esigenze dello sviluppo sociale ed economico del Paese". Inizia così il recente protocollo ministeriale sulla introduzione delle nuove tecnologie della comunicazione nella scuola italiana, evidenziando lurgenza di un aggiornamento della didattica perché sappia rispondere sempre meglio alle esigenze delloggi. Un programma, quello del Ministero, che "non intende caratterizzarsi come un intervento straordinario" e "tende ad intervenire su tutti gli ordini di scuola" promuovendo "lo sviluppo fisiologico del sistema formativo" peraltro già aperto, continua il documento, "ai nuovi linguaggi dellinformatica e della comunicazione".
Si tratta sicuramente di una presa di posizione importante per tante ragioni, prima fra tutte il fatto che sia listituzione a farsi carico dellintegrazione scolastica dei nuovi media. Ma non è su questo che mi pare importante richiamare lattenzione, quanto sul problema che questo protocollo rilancia: il problema, forse mai sufficientemente discusso in sede istituzionale nel nostro Paese, dellopportunità da parte della scuola di farsi carico di un intervento pedagogico serio non solo in ordine alle nuove tecnologie, ma più in generale in ordine ai media, della cui realtà le nuove tecnologie sono parte. In sostanza mi sembra che il dibattito vada spostato dalla scelta politica (introdurre o non introdurre i media e le nuove tecnologie nella scuola) alle ragioni pedagogiche che dovrebbero ispirare questa scelta.
Una simile attenzione a livello internazionale è da anni sostenuta come necessità storica da un movimento di base che si riconosce nella ipotesi della Media Education e che ha trovato nellUNESCO e nel Consiglio dEuropa gli organismi istituzionali che ne hanno promosso lo spirito e curato la diffusione nella comunità scientifica e nella società civile. Penso che il protocollo sulle nuove tecnologie nella scuola possa costituire, allora, loccasione opportuna per ripensare le linee generali di azione di questo movimento in rapporto alla realtà italiana offrendo spunti per quella riflessione pedagogica della cui mancanza si diceva.
La traccia per questa riflessione mi sembra venga fornita dalle conclusioni di un recente Forum internazionale sul rapporto tra giovani e media. In esse il comitato scientifico del Congresso fissa alcuni elementi irrinunciabili allinterno di un quadro concettuale che voglia definire il movimento della Media Education. Si tratta di otto brevi tesi: 1) Occorre definire il senso di termini come "educazione ai media" e "con i media". 2) Allo stesso modo vanno distinte una "educazione ai media" e "con le nuove tecnologie". 3) Queste ultime richiedono nuove competenze. 4) Oggi un approccio tecnologizzante è dominante nelle pratiche educative. 5) La Media Education è una responsabilità collettiva, non una semplice competenza disciplinare. 6) La Media Education deve tenere presenti aspetti complessi: estetici, linguistici, economici. 7) Vanno modificati i modelli di valutazione. 8) Il fine della Media Education è la costruzione del cittadino.
Provo ad utilizzarle come traccia di questo intervento.
1. Educazione, media, nuove tecnologie
Il termine Media Education, come il suo corrispettivo Media Literacy, è tradizionalmente utilizzato nel mondo anglosassone per indicare linsegnamento relativo ai media. In questo modo, nonostante molti riconoscano anche alla famiglia o ad altre agenzie educative la capacità di "insegnare" i media, questo compito viene pensato come specifico per la scuola che, oltre ad alfabetizzare i soggetti nelle normali competenze letterarie, deve provvedere anche alla loro alfabetizzazione (Literacy) nellambito dei media.
Lurgenza di un simile intervento va posta in relazione a due istanze che, almeno nel mondo anglosassone e latino-americano, sono risultate subito chiare.
Anzitutto va ricondotta alle profonde trasformazioni che la cultura dei media ha imposto e sta imponendo al nostro contesto socio-culturale. Si pensi soltanto ai problemi della violenza e della sua rappresentazione sullo schermo televisivo, o alla rapida integrazione delle nuove tecnologie nel nostro sistema di vita con quanto ne consegue: la scomparsa dei confini territoriali prima mediante il satellite ora grazie ad Internet, il rischio di una eliminazione delle identità culturali nazionali, la creazione di nuove divisioni tra paesi ricchi e paesi poveri in ordine al loro accesso alla comunicazione. Una scuola che voglia essere interlocutrice efficace della società, che intenda mantenere una elevata capacità di risposta alle esigenze di formazione che da essa le provengono, non può non porsi il problema dei media.
A questo riscontro va aggiunta la convinzione degli educatori nel carattere sostanzialmente non trasparente dei media. Questo siginifica respingere lidea semplicistica dei media, della televisione, come "finestra sul mondo", denunciandone invece il carattere di costruzioni, semiologicamente e ideologicamente elaborate. Lo sguardo non attraversa lo schermo se non a partire da un invito che tende a costruire il suo percorso interpretativo e questo invito manifesta una volontà di comunicazione strategica. La conseguenza è la necessità per leducatore di favorire la trasformazione dello spettatore in lettore, cioè il passaggio da uno sguardo ingenuo sulle produzioni dei media ad un processo, quello della lettura, da pensare nei termini di una tematizzazione progressiva del senso.
Per raggiungere questo obiettivo si sono ben presto strutturati due approcci differenti.
Il primo intende i media, i loro testi, come oggetto specifico dellintervento educativo: leducazione è intorno ai media (teaching about the media), come attesta il significato del francese Education aux médias, spesso tradotto nellitaliano Educazione ai media (o, più di frequente, allimmagine). Nellottica di questo approccio i media devono costituire in ambiente educativo sia delle occasioni di riflessione che delle opportunità espressive. Da una parte, infatti, i loro messaggi offrono spunto alla analisi critica, dallaltra il loro linguaggio favorisce la sperimentazione creativa: leggere e scrivere i media, insomma.
Il secondo approccio, invece, comprende i media come strumenti attraverso i quali lintervento educativo può essere svolto (teaching aids): in questo caso leducazione è con i media (teaching with or through the media), come sottolinea il termine Educaciòn para los medios che viene utilizzato per definire la Media Education nellarea di lingua spagnola. In questo caso cambia, evidentemente, il modo di pensare i media che da testi da analizzare divengono semplici supporti per la didattica: la televisione, in sostanza, come riproduttore di video di geografia, di scienze, ecc.
Con lavvento delle nuove tecnologie la dialettica tra queste due prospettive si arricchisce di un ulteriore elemento. La multimedialità, infatti, termine-ombrello con cui si indica oggi lintera realtà neotecnologica della comunicazione, in particolare lavvento della letteratura ipertestuale e il Web, trasforma radicalmente non solo lidea di testo, di autore e di lettore, ma lintero quadro delle relazioni formative così come si erano fissate nel sistema scolastico tradizionale.
Anzitutto il testo abbandona la struttura sequenziale ed il carattere logocentrico che la scrittura gli ha garantito per secoli per ripensarsi secondo uno schema reticolare. Un ipertesto non ha inizio né fine ma solo punti di movenza: è il lettore che decide quando e da dove entrarvi e quando terminare. Facendo questo esso si serve di un approccio più globale alla pagina, caratterizzato da un coinvolgimento tattile (per scorrere un ipertesto occorre cliccare con il mouse sui dispositivi di interfaccia grafica che esso predispone) ed acustico (il carattere multimediale di questi testi prevede lintegrazione del sonoro con il visivo) oltre che visivo in senso più ampio: le parole, infatti, risultano essere "in linea" con immagini fisse e in movimento, in un percorso di reciproca chiarificazione. In virtù di queste caratteristiche la testualità multimediale tende ad espellere la figura dellautore e a portare alla ribalta il lettore: se già la teorizzazione semiotica aveva sostenuto per lui un ruolo attivo nel rapporto con testualità di tipo tradizionale, questo ruolo attivo gli compete a maggior ragione ora che il percorso di lettura ipertestuale dipende dalle sue scelte di navigazione.
Evidenti le conseguenze di questo riorientamento sulle relazioni formative, in particolare in ambiente scolastico. Realtà più progredite della nostra nellintegrazione didattica delle nuove tecnologie autorizzano a parlare al proposito di un nuovo scenario per leducazione, caratterizzato dalla ridefinizione del ruolo docente e di quello discente, il primo marginalizzato e costretto a ripensare al suo intervento come a quello di un tutor, di un facilitatore, il secondo sempre più al centro del sistema formativo e soggetto di apprendimento più che di istruzione.
In questa nuova situazione alla Media Literacy, nella sua doppia opzione di educazione a e con i media, pare affiancarsi (o sostituirsi) la Cyber Literacy, la Educatica (Education Informatique), cioè un approccio le cui modalità di intervento pedagogico risultano profondamente trasformate rispetto a quelle previste per i media tradizionali.
2. Media Education o tecnologia dellistruzione?
Se ci interroghiamo su quanto emerso fino ad ora è facile osservare come dietro alla Media Literacy (nella sua doppia dimensione di educazione a e con i media) e alla Cyber Literacy, si possa leggere la presenza di due diverse epistemologie: la prima prende corpo nel paradigma della Media Education, la seconda in quello delle tecnologie educative. Dalla loro assunzione dipende il modo di intendere la presenza dei media in ambito educativo.
Il paradigma della Media Education
Questo primo paradigma, si può dire, è social oriented. Ciò significa che, secondo le pedagogie oggi più diffuse intende i media come tema (educazione a) dellintervento didattico e riserva una particolare attenzione alluso che ne viene fatto da parte del fruitore. Da questa duplice attenzione derivano i due tipi di attività possibile in Media Education, vale a dire lanalisi dei testi e lanalisi del consumo.
Quanto allanalisi dei testi essa contribuisce al raggiungimento di uno degli obiettivi storici (Masterman) della Media Education e cioè la costruzione dellautonomia critica dei soggetti di fronte ai messaggi mediatici. Confusa erroneamente da tanta pedagogia con lacquisizione di competenze, essa va piuttosto pensata come una categoria metacognitiva di pensiero che presiede ad almeno tre aree della nostra attività cognitiva: la creatività, il problem solving e la decisionalità. Abilità, dunque, più che competenze. La strumentazione che a questo livello viene portata in gioco è di tipo semiotico, tende ad educare nel lettore la capacità di interagire con un messaggio e di collaborare alla produzione del senso di cui esso è portatore e si esprime nella comprensione, cioè in quel processo multidimensionale di cui sono momenti: lanalisi delle strutture elementari del testo (microprocesso), lo studio della sua composizione e del suo assetto narrativo (macroprocesso), lindividuazione di temi e codici (integrazione), linferenza di strutture ideologiche e di mondi di significato (elaborazione).
Lobiettivo che attraverso questa strumentazione si intende conseguire è la formazione del lettore critico, o del bambino-lettore, cioè di uno spettatore capace di scegliere e di divertirsi con le immagini. Naturalmente questo modello di lettore si colloca agli antipodi rispetto al lettore ingenuo che fa del coinvolgimento, e non dellattività critica, la sua normale condizione di fruizione dei testi. I due modelli di lettore si possono opportunamente confrontare in una tabella che ne indichi il profilo di fruizione (cfr. tabella 1).
lettore critico |
lettore ingenuo |
cosciente |
inconsapevole |
oppositivo |
conformista |
creativo |
normativo |
freddo |
caldo |
non trasparenza dei media |
i media finestra sul mondo |
Tabella 1 - Profili di fruizione dei media
Lanalisi del consumo nasce da circostanze diverse e la sua applicazione nel campo della Media Education è sicuramente più recente . Prodotta dai discorsi sempre più presenti, soprattutto in ambito anglosassone, sulla violenza televisiva e più in generale sugli effetti dei media sul pubblico, questa attenzione per il consumo trova conferme anche dagli orientamenti della ricerca, sempre più attenta al problema della ricezione ed interessata a verificare sul campo quali pratiche mediatiche e sociali intervengano nei singoli contesti ad orientare il consumo. Si tratta dunque non di restituire le medie statistiche di consumo del giovane spettatore, ma di disegnare il profilo del singolo fruitore o della piccola comunità interpretativa con cui si sta lavorando (il gruppo-classe).
Per questo tipo di rilievi la tradizionale strumentazione quantitativa non è più sufficiente. Occorre integrarla (o sostituirla) con una nuova strumentazione qualitativa, di tipo etnografico, che consiste nel ricorso alla osservazione partecipante, nella somministrazione di interviste in profondità, nella tecnica del focus-group.
Lobiettivo che si intende raggiungere, in questo caso, è la ricostruzione esatta delle reali pratiche di consumo proprie di un determinato gruppo. In questo modo linsegnante-etnografo si troverà in possesso degli strumenti sufficienti non solo a verificare i livelli di lettura raggiunti dagli studenti della sua classe decidendo di conseguenza come disegnare le tappe del suo lavoro didattico, ma anche (soprattutto) a definire i loro quadri di valore, le loro aspettative, il vissuto che determina le loro precomprensioni. Risulta chiaro in tal senso come un simile tipo di intervento ecceda subito i limiti di una semplice indagine di consumo per divenire un mezzo efficace di diagnosi psico-sociale finalizzata ad ottimizzare (e a valutare) lintervento didattico. In tal modo è possibile realizzare un vero e proprio percorso di educazione al consumo che porti i soggetti ad una autonomia critica allargata di fronte ai prodotti dei media, cioè tale da consentire non solo lapproccio consapevole ai testi, ma anche una maturità nella organizzazione globale del proprio tempo.
Il paradigma delle tecnologie educative
A differenza del precedente questo paradigma è decisamente media oriented. Questo significa che lattenzione dei ricercatori che lo sostengono non va ai testi mediatici, alla cultura di cui sono parte, alle pratiche di consumo di cui sono oggetto, ma ai processi di apprendimento e insegnamento che essi possono agevolare. I media, in questa prospettiva, sono intesi in sostanza come risorse per leducazione, come strumenti per reinventare la didattica in modo da farle superare lo schema obsoleto della lezione frontale e del primato didattico dellinsegnante. Leducazione con i media - fare storia attraverso il cinema, o geografia mediante documentari televisivi - trova in tal senso nelleducazione alla multimedialità (ma forse sarebbe meglio dire con la multimedialità) la sua versione aggiornata: nelluno e nellaltro caso si tratta sempre di sostituire al supporto cartaceo del libro di testo altri tipi di esperienza che consentano di "aprire" la didattica attivando i suoi destinatari.
Secondo Roberto Maragliano sono sostanzialmente tre le modalità attraverso le quali le tecnologie educative (soprattutto le "nuove") possono essere integrate didatticamente.
Il primo modello è quello strumentale. "Il computer prende il posto del libro o del giradischi o anche del proiettore, ma per fare esattamente le stesse cose che si facevano con quelle macchine, al massimo con un po di risparmio e un (modesto) incremento nellefficacia delle azioni. Si sfogliano libri, si entra in brani di film o di musica, si fanno giochetti, o anche si scrivono testi, si organizzano disegni e grafici, ecc.".
A questa ipotesi se ne affianca una seconda, che si può definire tecnologica e che consiste nel pensare alle nuove tecnologie non come ad uno strumento per ma come ad un tema della didattica. In sostanza, si potrebbe dire semplificando, se compito della scuola è di preparare alla vita e se la vita è abitata dalle tecnologie, allora tra i compiti della scuola non potrà che esserci anche quello di preparare alluso delle tecnologie: "Allora, si fa lezione di computer: vuoi per capire e far capire come funziona questa diavoleria, vuoi per difendere bambini e ragazzi reali da altre, ancora più insidiose diavolerie (dominare il computer, dunque, per non essere dominati dalla tv, dal consumismo, dalla caduta dei valori)".
Lidea di Maragliano è che a questi due modelli se ne debba preferire un terzo, che si iscrive nella prospettiva pedagogica delledutainment (education enterteinment) e che consiste nel pensare la multimedialità "come ambiente di lavoro, esattamente come la scrittura è stata fin qui lambiente di lavoro (esclusivo) dellazione scolastica. Cioè ripensare-ridefinire i contenuti e le forme dellinsegnamento in unottica di integrazione piena tra lautorevolezza della macchina del sapere per eccellenza (il libro) e la forza durto delle macchine dello svago e del coinvolgimento (tv e cinema, ma anche videogioco)". Una prospettiva che richiama molto da vicino lipotesi già sostenuta da Freinet di una scuola-laboratorio in cui si impara facendo - la multimedialità, in questottica, altro non sarebbe che il corrispettivo tecnologico aggiornato di ciò che per il pedagogista francese era rappresentato agli inizi del secolo dalla stampa.
Pur nella loro diversa angolatura e finalità didattica (servirsi dei media per insegnare, insegnare ad usarli, considerarli come ambiente formativo) è chiaro come questi modelli risentano tutti di un presupposto tecnologico e finiscano per negare la specificità dellintervento media-educativo risolvendolo nel tema più generale di un quadro pedagogico-didattico necessariamente attento allevoluzione mediale se intende rimanere un interlocutore aggiornato dei mercati e della società civile.
Proviamo da ultimo a fare sintesi dei due paradigmi che abbiamo rapidamente ricostruito mettendo in rapporto dialettico le loro prerogative peculiari (tabella 2).
Tecnologie educative |
Educazione ai media |
media centred |
social centred |
apprendimento, insegnamento |
comprensione critica, consumo |
i media come risorse |
i media come tema |
analisi/produzione |
uso |
efficacia/modernità |
coscienza/ partecipazione critica |
Tabella 2 - I paradigmi delle tecnologie educative e della educazione ai media
3. Tra competenza disciplinare e responsabilità collettiva
Paradigma della Media Education e paradigma delle tecnologie educative costituiscono oggi due programmi alternativi che dicono di politiche culturali ed educative diverse: chi muove dal primo punto di vista tende a considerare le nuove tecnologie solo come nuovi media, con caratteristiche peculiari, che giungono a complessificare la realtà dei media già resa oggetto di studio fino al loro avvento; chi invece assume un punto di vista "tecnologico" pare propenso a considerare la realtà dei new media come un nuovo ambiente che non modifica ma rimpiazza la realtà massmediale precedente. Solo il futuro potrà dire quale delle due ipotesi sarà destinata ad affermarsi.
Per ora il movimento internazionale della Media Education sembra spostare lattenzione più sulla realtà globale dei media che non sulla specificità tecnologica e educativa dei new media. In tal senso esso, come già si accennava, si allinea alle linee-guida proposte sia dallUNESCO che dal Consiglio dEuropa, tradizionali interlocutori istituzionali per chiunque intenda porre il problema del rapporto tra media ed educazione: lUNESCO, in quanto una riflessione sui media si declina con i suoi intenti perché ha a che fare sia con lalfabetizzazione che con la difesa dei diritti umani, il Consiglio dEuropa perché nella sua politica di salvaguardia e promozione della identità culturale dellEuropa leducazione (e quindi leducazione ai media) occupa uno spazio privilegiato.
É chiaro che se questa è la tendenza a livello mondiale, estremamente differenziato è poi il panorama tra e nei singoli contesti nazionali.
Così, ad esempio, se nel mondo anglosassone sono i temi della violenza e del sesso ad occupare buona parte dello spazio di riflessione dei ricercatori, nella realtà latino-americana sono i legami tra i media, lindustria e il potere politico ad essere determinanti; in linea con queste attenzioni le finalità degli interventi oscillano tra la volontà di salvaguardare il singolo individuo nella sua libertà di giudizio ed espressione e la lotta contro lesclusione decretata dal nord del mondo nei confronti del sud.
Altrettanto diversificato è il panorama dei punti di vista nei singoli contesti nazionali. Si potrà intendere così la Media Education come un intervento di tutela in favore della scuola come santuario delle libertà, come unico luogo protetto dai media (la cosiddetta "opzione zero"). Ancora, la si potrà pensare come uno strumento di integrazione scolastica per tutte le forme di svantaggio, sdrammatizzando gli effetti negativi dei media e distribuendone lintervento educativo lungo lintera vita delluomo (ipotesi della "formazione permanente"). Oppure - terza ipotesi - si potrà ricomprendere la Media Education allinterno della capacità di reinventare la didattica creativamente, sostituendo la cultura statica del libro a vantaggio di quella dinamica ed in presa diretta con lattualità di cui i media sono portatori.
Sullo sfondo di questa complessità di approcci e prospettivesi ritaglia poi il problema di come integrare lintervento media-educativo nel curricolo. Il confronto ancora una volta con la realtà internazionale indica la presenza di almeno tre soluzioni: quelle dellipotesi disciplinare, mista e trasversale.
Lipotesi disciplinare prevede di considerare la Media Education come una disciplina a sé stante (Media Studies) o come unarea tematica allinterno di una o più discipline "tradizionali" (ad esempio le Lettere o gli Studi sociali). Essa si inserisce nel dibattito, interno ai sistemi educativi contemporanei, relativo alla necessità di introdurre nella scuola i cosiddetti "nuovi saperi" - come leducazione alla salute, leducazione al consumo, ecc. - cioè quelle aree disciplinari che possono essere considerate, per la loro "attualità", idonee a rispondere alle esigenze delleducazione in una società che è cambiata e sta tuttora cambiando. Propria dei contesti nazionali in cui le istituzioni direttamente o indirettamente si sono fatte carico del problema, questa ipotesi presenta lindubbio vantaggio di ricavare uno spazio autonomo per lattenzione ai media, ma si espone anche a dei rischi. La "scolarizzazione" dei media, infatti, può trasformare in "storiografia" il dinamismo e la vivacità che dovrebbero esssere propri dellintervento in Media Education. Il precedente della filosofia, da questo punto di vista, è eloquente: essa non costituisce più, nella scuola, lo studio dellintero o delluomo, ma di come Platone, Tommaso o Kant pensavano lintero o luomo - e in questo senso, mi pare di poter dire, Heidegger sentenzia nella Lettera sullumanismo che quando il pensiero non pensa più allora si inizia a studiare filosofia nelle scuole; non si fa più filosofia, ci si occupa di filosofia.
Laltro rischio a cui la disciplinarizzazione della Media Education si espone è la deresponsabilizzazione da parte delle altre materie: il fatto che esista un insegnamento apposito per i media può cioè insinuare negli altri componenti della comunità educativa il dubbio che in fondo il problema non sia anche loro ma solo del collega responsabile di quellinsegnamento. É a questo rischio che può ovviare lipotesi trasversale. Già proposta da Masterman nei termini di una programmazione transcurricolare, essa consiste nellassunzione da parte di tutte le discipline di una attenzione educativa nei confronti dei media. Tale attenzione, pur nel rispetto delle diversità disciplinari, non può non prevedere lanalisi e la pratica dei linguaggi dei media, le loro funzioni sociali, lo studio dei generi e della loro efficacia simbolica, lapproccio semiologico ai messaggi, il lavoro sullinterpretazione. Come osserva Michel Pichette, dellUniversità di Montreal: "Nei programmi scolastici la Media Education può e deve interessare la totalità degli insegnamenti. Tutte le discipline vanno pertanto pensate come occasioni per trattare i media allo stesso modo in cui da tempo offrono la possibilità di sviluppare le abilità linguistiche. Dallinsegnamento della matematica allo studio della geografia, della ecologia, della storia o della madrelingua, tutte le discipline possono prendere parte alla alfabetizzazione mediale". Si tratta in sostanza dellintuizione di Postman secondo cui i media richiamano lattenzione della pedagogia sul fatto che in fondo leducazione sia, in primo luogo, educazione al linguaggio.
Tra disciplinarizzazione e trasversalità si colloca infine una terza soluzione che consiste nel mediare i due punti di vista ritenendoli adatti a caratterizzare lapproccio dei diversi livelli di scolarità al problema dei media. Ne costituiscono un esempio le Guidelines pubblicate dal Dipartimento di Educazione Pubblica scozzese (1990) che prevedono per le classi dai 5 ai 14 anni un approccio transdisciplinare ed istituiscono i Media Studies come disciplina autonoma nella High School (dai 15 ai 18 anni).
Al di là dei singoli modelli, con i loro limiti ed aspetti positivi, laspetto da sottolineare è le necessità che sia lintero gruppo-docente a farsi carico dalla Media Education in un concetto allargato di responsabilità che non intenda il farsi carico dei media riduttivamente come un tema da affrontare, ma come una mentalità da condividere.
4. Le dimensioni dellintervento educativo sui media
In Teaching the media Len Masterman indicava sette ragioni per le quali gli sembrava essenziale fare Media Education nella scuola. Senza tornare sulla sua proposta mi sembra opportuno precisare a quali esigenze possa oggi rispondere un intervento educativo e didattico sui media e sulle nuove tecnologie, facendo sintesi dagli spunti che provengono dal dibattito recente sugli obiettivi e le funzioni della Media Education.
Larea cognitiva: sviluppare il senso critico
Lo sviluppo del senso critico, cui già si è accennato, è sicuramente lobiettivo per eccellenza che la Media Education si è sempre proposta di raggiungere e di fatto buona parte dei programmi insiste su questo aspetto. In essi si chiarisce la necessità da parte della scuola di costruire uno spettatore attivo, un esploratore autonomo ed un attore della comunicazione mediatica, cioè capace di diventare creativo nel suo rapporto con i media appropriandosi dei loro contenuti a partire da una visione personale delle cose. Soprattutto questultimo aspetto è di particolare importanza. Infatti, nellapproccio cosiddetto della lettura critica, uno dei rischi che più sovente si sono corsi (e si corrono) è di ritenere che la formazione del senso critico consista nel sostituire il punto di vista ingenuo e superficiale dellallievo con quello avveduto e smaliziato dellinsegnante: è facile accorgersene se si pensa a come spesso viene condotto il lavoro educativo sullimmagine configurandolo come un processo di progressiva approssimazione, da parte degli allievi, del punto di vista del loro insegnante (un processo ben visibile anche nello schema di domanda-risposta che ha sempre caratterizzato il dibattito del cineforum in contesti extrascolastici). Ora, costruire uno spettatore critico significa renderlo capace di interagire attivamente con i media a partire dal suo capitale culturale e dalle sue precomprensioni. Questo compito implica due attenzioni: una attenzione tematica, che integri la prospettiva testuale con lanalisi del discorso politico da un lato (produzione) e della audience dallaltro (ricezione); una attenzione metodologica, che faccia evolvere lapproccio ai testi oltre la dimensione del detto e pensi allintegrazione di nuove strategie pedagogiche centrate sullo sviluppo delle attitudini dei soggetti alla valutazione e della loro capacità di trasferire competenze ad altre situazioni.
Lo spazio delletica: sesso e violenza
Tra i temi che preoccupano genitori, politici, educatori in genere, soprattutto nel mondo anglosassone, trovano posto sicuramente la rappresentazione del sesso e della violenza. In alcuni paesi il dibattito sulla violenza televisiva è diventato addirittura un elemento-chiave per leggere la situazione sociale autorizzando a porre il problema se sia la violenza sullo schermo a produrre la violenza nelle strade o viceversa. Tutto questo ha condotto e sta conducendo, da parte della società civile e delle istituzioni, ad un potenziamento dei sistemi di regolamentazione ed autoregolamentazione dellemittenza televisiva e, più in generale, dellindustria della comunicazione. In particolare si va affermando il criterio della introduzione di indicatori (labelling) che consentano alladulto di riconoscere un programma inadeguato al minore per contenuti e scelte espressive, se non addirittura di sistemi informatici deputati al riconoscimento ed alla criptazione di alcuni programmi - come nel caso del v-chip.
Evidentemente il controllo della produzione e dellemittenza non è sufficiente a garantire una adeguata soluzione del problema. É qui che lintervento media-educativo può risultare importante. Esso avrà come obiettivo, soprattutto, la valutazione della rappresentazione del sesso e della violenza in relazione al sistema di occorrenze cotestuali entro il quale avviene. In altre parole si tratterà di trasmettere labilità a riconoscere se quella rappresentazione è richiesta o non richiesta dalleconomia del racconto, se è indispensabile o meno alla comprensione del senso: infatti, come recenti ricerche hanno dimostrato, è proprio la rappresentazione gratuita di violenza o di sesso a sollevare le maggiori preoccupazioni sul piano psico-pedagogico. Insegnare a distinguere tra violenza e violenza, significherà in questo modo insegnare a comprendere come sul piano delle scelte realizzative si possa conseguire lo stesso risultato anche rinunciando alle scene violente: "Quando la violenza è assolutamente necessaria per il plot, questo stratagemma mitiga i danni provocati dalle scene brutali. Ci siamo chiesti: quali sono le alternative alla violenza? Il punto non è solo se un uomo che impugna una pistola e spara è funzionale al contesto; il punto è: è assolutamente necessario che questuomo impugni la pistola? Bisogna studiare altre alternative. In molti casi leccessiva violenza sembra essere il frutto della mancanza di idee creative".
Larea del sociale: la elaborazione del disagio
Buona parte del dibattito attuale sulla Media Education è assorbito dalla possibilità di ricorrere ad essa come strumento di elaborazione del disagio in scuola, sia esso di tipo motivazionale che legato ad handicap psico-fisico.
Nel primo caso studiare i media, lavorare con essi, può fornire allallievo dotato di uno scarso capitale culturale, riluttante allapprendimento concettuale o proveniente da un contesto socio-culturale povero, loccasione per riattivare interessi e comportamenti che nel quadro scolastico abituale resterebbero sopiti. Spostando il baricentro della didattica sulle relazioni, sul dialogo tra i giovani (studente-studente) e tra le generazioni (studente-insegnante e studente-genitore), il lavoro educativo sui media può realmente favorire il recupero, prima psicologico e poi culturale, di soggetti altrimenti persi. Si tratta di un modo concreto di fronteggiare la dispersione scolastica, di svincolare la scuola dal ruolo di riproduttore dellordine sociale e culturale che spesso ha giocato, senza per questo cadere nel fraintendimento dellugualitarismo a tutti i costi che, appiattendo le differenze, in fondo non è né equo né educativo. In definitiva se uno dei punti centrali di una pedagogia del cambiamento è linteresse del sistema scolastico a moltiplicare le esperienze valorizzanti dei singoli soggetti, allora la Media Education si può considerare come una di queste esperienze valorizzanti.
Lo stesso discorso rimane valido nel caso dellintegrazione scolastica dellhandicap. Lasciatasi alle spalle il modello delle classi speciali (pensate a suo tempo per proteggere i portatori di handicap dallaggressività della vita sociale creando per loro condizioni di apprendimento personalizzate), la scuola ha ormai capito che ogni percorso educativo non può che passare, nel caso dellhandicap, che dal lavoro sulla relazione, sulla socializzazione e sulla condivisione tra soggetti normo-dotati e non normo-dotati. Ora, lavorare con i media facilita indubbiamente questo tipo di esperienza perché contribuisce a creare un clima di scambio e collaborazione e soprattutto ad evidenziare lo sguardo del soggetto portatore di handicap come uno sguardo "altro" sulle cose: su un programma televisivo, su una scelta di montaggio, sul modo di esprimere un contenuto o un sentimento. Il risultato è la delineazione di una pedagogia della diversità di cui la costruzione condivisa del senso, il valore della differenza e il pluralismo sono sicuramente gli elementi portanti.
La dimensione politica: la lotta allesclusione e la tutela dei valori democratici
Unultima grande dimensione della Media Education è quella che, per evidenti ragioni storiche e culturali, ha portato soprattutto in Sud America ad intendere la costruzione di uno spettatore critico e consapevole come una forma di educazione degli individui alla cittadinanza.
Il punto di partenza per questa considerazione è lanalisi dellattuale realtà economica e dei suoi riflessi sulle politiche culturali, una realtà economica "globalizzata", dominata dalle grandi concentrazioni trasversali delle imprese, caratterizzata dalla frattura sempre più marcata (a livello di investimenti, di mercati, di sviluppo) tra il nord e il sud del mondo. Questa frattura nel caso della comunicazione è particolarmente evidente, dato che Stati Uniti, Giappone e Paesi Europei controllano insieme il 90% della produzione di beni e servizi di informazione del pianeta. La conseguenza è che chi detiene la comunicazione finisce in questo modo per esercitare una egemonia che si traduce in un controllo simbolico sulla audience: il rischio che ne sortisce è lo strutturarsi di un "piensamento unico" che, omogeneizzando i gusti e i bisogni, deprima la libertà di espressione e manipoli il consenso. Lurgenza dellintervento educativo in un simile contesto è chiarissima e non riguarda solo il problema di un rapporto critico tra il consumatore e i prodotti dei media ma, più in generale, tra il cittadino e i poteri economici e politici che governano la società.
Senza condividere necessariamente un simile punto di vista - è fortemente condizionato dal vissuto di colonizzazione che in America Latina è lungo oltre cinque secoli e rimette in gioco categorie interpretative marxiste forse un po obsolete - è indubbio che il problema in esso evidenziato è cruciale. Come fa osservare Pierre Bourdieu, i media sono realtà che possono diventare strumenti di democrazia diretta, come anche mantenere e riprodurre lordine simbolico di una società. Si può aggiungere che i media, soprattutto i new media, possono oggi diventare strumenti di integrazione degli individui in unarena culturale allargata allintero pianeta (si pensi a Internet), come anche riprodurre la separazione tra poveri e ricchi declinandola nel senso di una separazione tra chi può avere accesso alla tecnologia (per ragioni economiche, ma soprattutto alfabetiche) e chi no. Dipende anche dalla Media Education se i media potranno favorire la difesa della democrazia, se la lotta allesclusione avrà successo.
5. Conclusioni: cittadini di una società che cambia
Questultimo rilievo permette di introdurre alcune considerazioni conclusive che consentono di allargare la prospettiva fino a questo momento seguita - centrata sul sistema scuola - a comprendere un quadro dazione sensibilmente più vasto.
Cè un dato, sicuramente certo, da cui partire, ed è il bisogno sociale di interventi educativi e di formazione in ordine ai media. Questo bisogno si manifesta esplicitamente nei molti corsi di aggiornamento per insegnanti che assumono ad oggetto i media e le nuove tecnologie e nellofferta esponenziale di pubblicazioni, pacchetti didattici e "esperti" pronti ad intervenire "sul campo" che ha letteralmente alluvionato la scuola negli ultimi due anni. Ma il bisogno - e le risposte, spesso spontanee, ad esso - si intuiscono anche nel sottobosco di tutte quelle sperimentazioni riguardanti i media che presidi illuminati o insegnanti particolarmente creativi da tempo realizzano sul territorio, senza peraltro che alle loro esperienze, spesso pregevoli, venga garantito un minimo di visibilità.
Questo dato chiede di essere interpretato. E lo si può fare in due modi.
Anzitutto, sul piano della riflessione socio-pedagogica, questo significa che i media, la comunicazione non sono qualcosa di cui le agenzie educative possono o non possono occuparsi. Essi sono un settore fondamentale di attività economiche, uno spazio di circolazione di uomini, informazione, sapere, un isieme di pratiche sociali che costituiscono lambiente nel quale viviamo: abilitare i soggetti a muoversi in questo ambiente non è dunque né opportuno né necessario, ma semplicemente naturale per chi pensi con serietà ai compiti delleducazione.
Questo si traduce, a livello politico e organizzativo, in una duplice esigenza di formazione e coordinamento.
Quanto alla formazione, si tratta probabilmente di ridefinirla pensandola, nel contesto scolastico, nei termini di un intervento di riqualificazione della posizione docente, e nellextrascuola, nellottica di una formazione permanente ("lungo tutto larco della vita", come suggeriscono francesi e anglosassoni) che abbia a riferimento leducatore-adulto nei suoi diversi profili e contesti: la famiglia, le micro-organizzazioni, gli operatori socio-culturali, ecc.
Il coordinamento invece deve prendere corpo nella realizzazione di una rete che sappia collegare sul territorio le tante idee sicuramente presenti, ma inefficaci e poco profetiche perché prive di confronto, di dialogo.
Entrambe le prospettive mi sembra convergano nel loro obiettivo di fondo, cioè quello di costruire attraverso il lavoro critico con i media e sui media una nuova idea di cittadinanza, costruita sul dialogo tra il locale e la globalità, centrata nel valore della partecipazione, educata ai valori della democrazia e della diversità. Ecco perché mi pare urgente che dalla ricerca si passi agli interventi.
ABSTRACT
La recente pubblicazione del programma di integrazione della multimedialità in classe da parte del Ministero della Pubblica Istruzione offre lo spunto per una riflessione sociologica e pedagogica sul rapporto tra educazione e nuove tecnologie della comunicazione, più in generale, tra educazione e media. Questo intervento si propone di indicare in proposito alcune linee di lettura che consentano di contestualizzare la realtà italiana in un ambito internazionale. Il risultato è una definizione della Media Education, dei suoi modelli teorici, dei temi e delle scelte di metodo che la caratterizzano, nonché delle ipotesi operative che potrebbero guidare lintervento educativo in questo campo.
Pier Cesare Rivoltella
Docente di Teoria della Comunicazione
UC - Facoltà di Scienze della Formazione
Corso di Laurea in Scienze delleducazione