C.Ottaviano - P.C.Rivoltella
Media e globalizzazione. Un nuovo spazio per leducazione
"Lodi. GeMEllata con Lodi California, Costanza, OMEgna. Repubblica del Nord". Un cartello stradale coME tanti se ne incontrano sulle strade italiane. Un cartello che molte volte si è prestato (e può prestarsi ancora) a lunghe discussioni sul futuro del Paese, il destino della Costituzione, i padri del RisorgiMEnto... A noi pare straordinariaMEnte interessante per altre ragioni, che definiremmo antropologiche. Perché questa insegna, nel suo insieME, restituisce una delle dialettiche più caratteristiche della contemporaneità, o MEglio, coME suggerisce Marc Augé, della sur-modernità: quella tra luogo e non-luogo.
Più che spazi fisici, luogo e non-luogo sono condizioni esistenziali, categorie etnografiche, che rinviano a precise logiche culturali: proprio per questo divengono punti
di vista interessanti per leggere loggi.
Tre sono le variabili che servono a definire la natura del luogo: lidentità, la relazione e la storia. I primi due termini indicano un radicaMEnto forte: ogni individuo appartiene a un luogo, per nascita, per elezione, ne porta spesso la traccia nel noME e il luogo stesso, a sua volta, si dimostra irriducibile a tutti gli altri luoghi per la sua identità; in virtù di questa appartenenza il soggetto è portato a condividere con altri un ordine di coesistenza, si trova inserito in un gruppo, vive in una rete di relazioni interpersonali che fanno della prossimità la loro stessa ragion dessere; entrambe, lidentità e le relazioni, trovano poi nella storia - condivisa, comune - lhumus in cui crescere.
Il non-luogo è la negazione esatta di queste tre istanze. Esso, infatti, non ha unidentità e rende impossibile lidentificazione; una stazione, un aeroporto, un grande magazzino o McDonalds, non sono molto diversi, coME luoghi, a Parigi, Roma, Bruxelles e nemMEno si può credere che possano costituire per qualcuno un porto a cui fare ritorno per ritrovare se stesso.
AnalogaMEnte, il non-luogo non facilita le relazioni, pur essendo uno spazio sociale; esso è piuttosto lambiente della prossimità necessaria e imbarazzata, dello scambio occasionale di informazioni: spazio dellattesa imposta o del transito distratto o affacendato, esso manca della stabilità necessaria per consolidare rapporti, dar luogo al riconosciMEnto dellaltro.
Infine, il non-luogo è privo di storia e si propone piuttosto coME una zona franca allinterno della quale i singoli individui si trovano a passare con le loro storie: "Un mondo in cui si nasce in clinica e si muore in ospedale, in cui si moltiplicano, con modalità lussuose o inumane, i punti di transito e le occupazioni provvisorie (le catene alberghiere e le occupazioni abusive, i club di vacanze, i campi profughi, le bidonville destinate al crollo o ad una perennità putrefatta), in cui si sviluppa una fitta rete di MEzzi di trasporto che sono anche spazi abitati, in cui grandi magazzini, distributori automatici e carte di credito riannodano i gesti di un comMErcio "muto", un mondo proMEsso alla individualità solitaria, al passaggio, al provvisorio e alleffiMEro, propone allantropologo (ma anche a tutti gli altri) un oggetto nuovo del quale conviene misurare le diMEnsioni inedite prima di chiedersi di quale sguardo sia passibile".
Volendo leggere in profondità questi rilievi fenoMEnologici è facile intuire coME dietro ad essi si muovano le due grandi istanze della globalizzazione e della localizzazione, dellapertura planetaria della realtà storica e geografica e della chiusura etnica e culturale delle identità particolari. Su di esse intende riflettere questo intervento, problematizzando, in primo luogo, la categoria della globalizzazione (e in maniera compleMEntare quella della localizzazione) per verificare coME i MEdia concorrano alla sua definizione. Stabilito questo rapporto - tra MEdia e globalizzazione - si proveranno poi a descrivere gli spazi e i compiti della MEdia Education in rapporto a una realtà MEdiatizzata e globalizzata coME quella in cui viviamo. Il termine ultimo del tragitto è la ridefinizione del concetto di cittadinanza quale centro ideale di un simile intervento educativo.
La globalizzazione
Siamo in una società globale. É difficile riuscire a negarlo ed evitare di pensare in questi termini; soprattutto, non si può evitare di fare i conti con l'ampia letteratura scientifica e divulgativa, che in modo quasi ossessivo propone questa idea.
La "globalizzazione", infatti, coME era avvenuto per la "complessità" e la "post-modernità" nel decennio scorso, è assunta oggi a parola chiave per interpretare lo scenario della nostra società e il suo sviluppo futuro. Tuttavia, questo termine sta rischiando di diventare troppo generico e onnicomprensivo, dal moMEnto che vi si fanno confluire molteplici fenoMEni tra loro distanti e non comparabili, spesso contraddittori. "Con esso di volta in volta si designa la crescita di interdipendenza a livello planetario, l'intensificarsi delle relazioni sociali mondiali, l'incorporazione degli abitanti del nostro pianeta in un'unica società mondiale, la compressione del mondo e la sua strutturazione in un tutto unico. Inoltre questo stesso termine viene impiegato coME sinonimo di, oppure coME distinto da, altri concetti quali modernizzazione, internazionalizzazione, transnazionalizzazione, mondializzazione."
Il problema, proprio perché sono in molti a essersi impossessati di questo concetto e a utilizzarlo, è quello di riuscire a districarsi nel dibattito teorico, per individuarne alcune coordinate e per MEttere in luce alMEno alcuni degli indicatori che dicono, o ci fanno dire, che la nostra società è globale o globalizzata.
La diMEnsione economica
Innanzitutto, il piano economico. Un dato certo e rilevante è la disponibilità progressiva di sempre nuovi MErcati di beni e di servizi. "Dal 1950 ad oggi, il comMErcio mondiale di beni si è moltiplicato di 15 volte in voluME e di 66 volte in valore, MEntre la produzione mondiale si è moltiplicata di circa 6 volte in voluME." É evidente che il progressivo allargaMEnto del MErcato ha importanti conseguenze sulle strategie di marketing e di organizzazione delle imprese, che si trovano costrette a progettarsi in un'ottica sempre più ampia. Lo dimostra la crescente concentrazione delle aziende - con la continua e progressiva espansione delle multinazionali e la moltiplicazione delle holdings - e la creazione di circuiti finanziari internazionali, fuori dal controllo dei singoli governi.
Tutto questo consente di parlare del sistema comMErciale mondiale coME di un sistema dinamico caratterizzato da una serie di fenoMEni complessi, che vanno "dalla riduzione delle barriere tariffarie e delle restrizioni quantitative, all'abbattiMEnto degli ostacoli non tariffari, ai negoziati sulle sovvenzioni pubbliche, al sistema di soluzione delle controversie giuridiche, fino a giungere oggi all'ambizione di stabilire rapporti di compleMEntarietà tra sviluppo del comMErcio e protezione dell'ambiente (...).". Una tale realtà appare anche in grado, alMEno agli osservatori più ottimisti, di consentire un accesso generalizzato allistruzione (si pensi al grande tema della democratizzazione del sapere legata allo sviluppo delle autostrade dellinformazione) e di disciplinare la concorrenza sui MErcati internazionali (di qui il ritorno di interesse per i problemi delletica legata allimpresa e alle transazioni economiche).
La diMEnsione politica
Dal punto di vista politico, il dato più evidente - e drammatico in alcuni casi - è lo sgretolaMEnto dello stato nazione, l'asse istituzionale attorno a cui si è, in generale, organizzata in Occidente la vita politica degli ultimi secoli. A tale crisi le reazioni sono di due tipi: ladozione di politiche di potenza tese a recuperare il credito e il potere che la globalizzazione tende a sottrarre (l'esempio può essere quello della Germania o della Cina), oppure la definizione di nuove soggettività politiche sia su base localistica (la Lega di Bossi nel nostro Paese, Jörg Haider in Austria, il gruppo New Zeland in Nuova Zelanda), sia su base sovranazionale (è il caso del MErcato Comune Europeo e la sfida per tutti i Paesi di essere pronti a parteciparvi).
Il problema fondaMEntale, però, rimane certaMEnte quello del rapporto fra potere politico e democrazia. Infatti, "uno dei temi di fondo della diMEnsione politica della globalizzazione riguarda la necessità di trovare forME istituzionali che perMEttano di conservare il principio democratico che rischia di essere smarrito, nella misura in cui non coincide più la sfera di azione della politica con quella economica e culturale. Più in generale, le istituzioni democratiche dello stato nazionale rischiano una crisi di legittimazione nella misura in cui si indeboliscono i due principali struMEnti con cui in questi decenni il consenso è stato costruito: le politiche keynesiane e il welfare state. Ciò espone soprattutto le democrazie occidentali a rischi di disgregazione e di involuzione antidemocratica".
CoME vedremo più avanti, lo sviluppo di una vera democrazia e di un'educazione alla cittadinanza è una delle sfide più significative che la globalizzazione pone alla ME.
La diMEnsione culturale
Per i maggiore teorici della globalizzazione, non c'è dubbio che il ruolo maggiore per quanto riguarda la diffusione e la omogeneizzazione dei consumi culturali sia stato svolto dai MEzzi di comunicazione e dalle nuove tecnologie informatiche e telematiche.
Forse è proprio la sfera culturale nella sua diMEnsione comunicativa a essere il vero focus del dibattito sulla globalizzazione, non fosse altro perché viviamo in un'epoca che ama autodefinirsi e autorappresentarsi, oltre che coME "società globale", coME "società dell'informazione e della comunicazione". Forse anche perché, coME scrive Mauro Wolf, l'integrazione e la planetarizzazione dei sistemi dei MEdia si realizza con una visibilità imMEdiata e fin troppo evidente.
"Nel corso di questo secolo i MEdia hanno prodotto, diffuso e MEscolato un folclore mondiale a partire da temi originali nati da culture differenti, talvolta riportati alle origini, talvolta sincretizzati. (...) Un folclore planetario si è formato e si è arricchito attraverso integrazioni e incontri. Ha diffuso nel mondo il jazz, che si è ramificato in diversi stili a partire da New Orleans, il tango nato nel quartiere portuale di Buenos Aires, il mambo cubano, il valzer viennese, il rock aMEricano, che pure ha a sua volta prodotto varietà differenziate nel mondo intero. Ha integrato il sitar indiano di Ravi Shankar, il flaMEnco andaluso, la MElopea araba di Oum Kalsoum, lo huanio delle Ande; ha suscitato i sincretismi della salsa, del reggae, del flaMEnco-rock. Lo sviluppo della mondializzazione culturale è evidenteMEnte inseparabile dallo sviluppo mondiale delle reti MEdiatiche, e dalla diffusione mondiale dei modi di riproduzione (cassette, compact, video)".
E' innegabile che le possibilità tecnologiche che abbiamo a disposizione spingono a una diffusione planetaria di MEssaggi, all'ambizione di una comunicazione mondiale e nello stesso tempo capillare (si veda per esempio Internet), alla possibilità per tutti di godere degli stessi prodotti, degli stessi spettacoli (si pensi al MErcato cinematografico che per il 90% è statunitense e al successo mondiale dei cartoni animati made in Japan); tuttavia, che questo significhi la nascita e la diffusione di una cultura globale resta tutto da verificare.
Le osservazioni di Morin che abbiamo riportato sembrerebbero sostenere l'ipotesi che, grazie ai MEdia, davvero si sia diffusa una cultura mondiale, fatta dall'incontro sincretico di tutte le culture del mondo, nel rispetto delle diversità e delle specificità di ciascuna. Il sociologo francese descrive la situazione attuale del pianeta in termini ologrammatici: non solo ogni parte di esso è sempre più relazionata al tutto, ma il mondo coME un tutto è sempre più presente in ciascuna delle sue parti. E ciò che si verifica per per i popoli, si verifica anche per gli individui. Così accade che una persona si svegli la mattina con una radio giapponese, faccia colazione con un tè che viene da Ceylon, indossi biancheria di cotone egiziano o indiano, porti un completo firmato Armani, disegnato in Italia ma confezionato chissà dove e così via.
Ma Morin non è ingenuo; al contrario è estremaMEnte lucido nel descrivere le ambivalenze della planetarizzazione della cultura, che rischia di diventare una standardizzazione e un'omogeneizzazione sui canoni dei Paesi occidentali e industrializzati, più che un reale dialogo e incontro tra differenti tradizioni culturali. Si tratta delle ambivalenze di un fenoMEno coME quello della globalizzazione, che certo non può essere assunto a chiave interpretativa di tutti i fenoMEni contemporanei e di cui, soprattutto, non può essere invocata la piena realizzazione, senza prima problematizzarla nei suoi aspetti di indubbio vantaggio e nelle sue contraddizioni.
Ombre sulla globalizzazione
Proprio Morin può aiutarci a MEttere in luce quelli che sono gli aspetti MEno luminosi della globalizzazione, quegli indicatori che dovrebbero portare a essere un po' più cauti nel condurre campagne per la planetarizzazione del mondo.
A fronte di un MErcato in piena espansione non si possono tacere fenoMEni quali il disordine nel prezzo delle materie priME, il carattere artificiale e precario delle norME monetarie, l'incapacità a risolvere i problemi di sviluppo di molti Paesi, oltre ai fenoMEni paleseMEnte condannabili quali il traffico di armi e di droga (globale anche quello) e la piaga delle mafie, in continua espansione. Così coME non si possono diMEnticare il disordine demografico, l'immigrazione su scala mondiale, con i problemi che ne derivano, e la crisi ecologica che rischiano di scardinare gli equilibri non solo culturali ma anche biologici della vita sulla terra. E ancora i fenoMEni di chiusura localistica, il prepotente ritorno del razzismo, l'involuzione del soggetto che scivola in nuove forME di individualismo, o quantoMEno di solo parziale riaggregazione.
Philippe Breton fa eMErgere con forza la contraddizione di un soggetto perenneMEnte "in rete con il mondo" e contemporaneaMEnte ripiegato su se stesso: l'uomo moderno che "non ha più bisogno di alcun partner fisico, è il single per eccellenza. Si abitua a rapportarsi con gli altri in un modo curioso, che produce in lui la fobia della presenza fisica dell'altro, ma che allo stesso tempo lo rende strettaMEnte dipendente dalla sua presenza virtuale. (...) Il neoindividualismo sa comunicare in modo straordinario, ma al prezzo dello svuotaMEnto della sostanza della comunicazione: l'incontro con l'altro, con un universo che non ha necessariaMEnte scelto, il confronto con ciò che in senso forte si potrebbe chiamare una sorpresa".
Ma - viene da chiedersi - senza sorpresa, senza stupore coME può avvenire l'incontro con l'altro e quindi uno scambio reale fra culture diverse?
Senza la capacità di MEravigliarsi di fronte a ciò che ci si trova innanzi, non può esserci la predisposizione per l'accoglienza e il rispetto della diversità; il rischio è che ci si trovi coinvolti in una comunicazione "consumistica", a proprio uso, in un atto che porta al rifiuto o al massimo all'appropriazione violenta, piuttosto che a un incontro dialogico, con arricchiMEnto reciproco.
Viene allora il dubbio che la cultura globale di cui tanto si parla non sia proprio una "unitas multiplex, unità molteplice", un'uguaglianza nella diversità, un ritrovare radici comuni nell'accettazione delle diverse peculiarità; probabilMEnte quello che in realtà si sta perseguendo è, di fatto, un tentativo di occidentalizzazione del mondo e una standardizzazione culturale, certo vantaggiosa dal punto di vista economico, ma che difficilMEnte può essere in grado di garantire l'uguaglianza, la libertà e la democrazia.
MEdia e globalizzazione
"La velocità elettrica MEscola le culture della preistoria con i sediMEnti delle civiltà industriali, lanalfabeta con il semi-analfabeta e con il post-alfabeta. Collassi MEntali di vario genere sono spesso il risultato dello sradicaMEnto e dellinondazione di nuove informazioni e di modelli di informazione incessanteMEnte nuovi". Tornare continuaMEnte a McLuhan sembra una condanna per la ricerca massMEdiologica, così che spesso si è cercato di esorcizzarne la necessità criticando la mancanza di scientificità e il carattere estemporaneo delle sue affermazioni. É tuttavia innnegabile, anche a trentanni di distanza (e sono anni luce nel campo delle comunicazioni di massa!), la suggestione quasi profetica di alcune sue intuizioni. Il tema della globalizzazione, quando McLuhan scriveva, era ben lungi dallessersi imposto coME macro-categoria sociologica: eppure, i "collassi MEntali" e il "MEscolarsi" delle culture cui fa riferiMEnto, non possono non rinviare a quel costituirsi di set culturali standard, a livello tendenzialMEnte planetario, che è senzaltro uno degli effetti più evidenti della globalizzazione.
Tutto questo, nel pensiero mcluhaniano, trova una ragione storica nel modello evolutivo della tecnologia di comunicazione che, in Occidente, porta il villaggio a disperdersi nella città per ritrovarsi grazie ai MEdia. La MEtafora, tanto discussa, del "villaggio globale" vede qui la sua giustificazione: i "MEdia elettrici" (la radio, la televisione, cui noi potremmo aggiungere oggi il computer, la rete, la realtà virtuale), in virtù della loro natura di MEzzi, contraggono i tempi e lo spazio estendendo allintero pianeta i confini del villaggio. Questo significa che il tutto e la parte, nel sistema planetario della comunicazione, tendono a coincidere coME già abbiamo osservato, autorizzando lanalogia con lequipotenza matematica del finito e dellinfinito o con la realtà di oggetti frattali che ricorsivaMEnte riproducono a livello "micro" la conformazione "macro" dei fenoMEni.
In una simile prospettiva risulta chiaro che i MEdia giocano un ruolo fondaMEntale nella declinazione globalizzante della nostra realtà socio-culturale. Proviamo a vedere breveMEnte in che senso ai diversi livelli.
Le holding della comunicazione
La guerra silenziosa che in questi ultimi anni le grandi holding internazionali hanno provocato per sostenere il MErcato, nel caso delle imprese di comunicazione è ancora più spietata. Si possono, infatti, ridurre a una decina i gruppi che controllano il MErcato mondiale della comunicazione dal moMEnto dello script fino alla distribuzione e si tratta di gruppi che, partiti dalla comunicazione, si sono fatti progressivaMEnte presenti anche in altri settori produttivi, dallindustria del giocattolo agli aliMEntari (coME Disney), o che sono viceversa approdati alla comunicazione provenendo da altro tipo di impresa economica - il tabacco e ancora una volta gli aliMEntari (è il caso di Philip Morris). Questo dato, a ben vedere, produce due effetti nellottica della globalizzazione.
Anzitutto favorisce lomologazione dei MErcati attraverso il prodotto: il film Disney coME il cartone animato giapponese vengono proposti negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone esportando, così, su scala planetaria, un immaginario e delle istanze culturali che prima dellavvento dei MEdia difficilMEnte avrebbero potuto cadere fuori dei loro contesti di origine. Inoltre, ed è un secondo effetto, la concentrazione trasversale di queste imprese lega spesso il prodotto, aliMEntare o gadget che sia, allimmagine o al personaggio, in una sorta di gigantesco MErchandising che associa a un certo tipo di comunicazione larghe pratiche di comportaMEnto sociale e di consumo. Usi e comportaMEnti nazionali, vedendo le cose secondo questa prospettiva, sembra realMEnte che vadano uniformandosi in un milieu che si riconosce in ciascuno e in nessuno di essi.
Il rischio del pensiero unico
Negli anni 80 la Sony stava cercando di erodere spazi di MErcato alla sua rivale storica, la Matsushita. Per farlo, pensò di affiancare al controllo del MErcato dellhardware televisivo (televisori, videoregistratori, ecc.) già consolidato, una presenza significativa anche nella produzione del software, cioè dei programmi. Dato che i più grandi produttori televisivi del mondo erano gli aMEricani, il colosso giapponese mise a punto quella clamorosa manovra di MErcato che fu lacquisizione della CBS e della Columbia Pictures. Matsushita, per parte sua, rispose con lacquisto della NCAA, riportando in equilibrio la competizione con i rivali.
Il problema della globalizzazione MEdiale, sul piano strettaMEnte politico, si può impostare a partire da qui, cioè dal dato di una colonizzazione dei MErcati più deboli da parte di quelli più forti e dalla domanda circa la possibilità che questo assorbiMEnto possa non essere solo di tipo economico. Due sembrano i possibili sviluppi (anche se in fondo interdipendenti) in questo senso: quello ideologico della proposta di un pensiero unico che si imponga coME quadro interpretativo forte del mondo; quello politico di un controllo, da parte dei Paesi che detengono la leadership tecnologica, di Paesi che sono invece tecnologicaMEnte arretrati.
Dal gruppo alla tribù MEdiatica
Quanto siamo venuti dicendo fino ad ora è sicuraMEnte interessante, ma ci pare che il rapporto tra MEdia e globalizzazione sia importante da approfondire soprattutto sul piano delle logiche culturali. Su questo piano di analisi, per usare ancora una volta una distinzione mcluhaniana, sembra che siano soprattutto i MEdia in quanto struMEnti a funzionare da agenti di globalizzazione e questo proprio perché, coME già abbiamo detto, provvedono ad una contrazione del tempo e dello spazio.
Joshua MEyrowitz ha dedicato al rapporto tra i MEdia e la ridefinizione del luogo fisico su base sociale uno studio molto interessante. La tesi che il sociologo aMEricano vi sostiene - sviluppando le intuizioni di McLuhan e, prima di lui, di Mumford e Innis - è che i MEdia elettronici, la televisione in particolare, favorirebbero il superaMEnto del luogo fisico a vantaggio di un nuovo tipo di luogo sociale che non richiede la copresenza dei parlanti. In sostanza, quando la televisione trasMEtte in diretta un evento che si svolge in un preciso luogo fisico, tale evento può essere condiviso, grazie alla natura del MEzzo televisivo, non solo da coloro che sono presenti in quel luogo, ma da tutti quelli che in quel moMEnto prendono parte allarena sociale costruita dalla trasmissione: "Perciò, forse una gran parte del significato sociale della televisione non sta tanto in ciò che viene diffuso dalla televisione, quanto nellesistenza stessa della televisione coME unarena collettiva".
Il problema sociale qui in gioco è quello dellidentità di gruppo, che è forteMEnte legato nelle società tradizionali alla condivisione del luogo. Condividere lo stesso spazio fisico, per gli individui significa aver parte allo stesso sistema informativo, cioè sviluppare una identità di gruppo. Tale identità poggia sul fatto che per ciascuno di essi è uguale la prospettiva a partire dalla quale osservare il mondo, le cose. Lavvento dei MEdia elettronici (ma già lintroduzione del telegrafo indicava in questa direzione) modifica profondaMEnte questo stato di fatto: emancipando gli individui dal luogo fisico, di fatto indebolisce la loro collocazione nel gruppo favorendo lassunzione di nuovi punti di vista, sempre diversi rispetto a quello condiviso dal loro gruppo di appartenenza. Il risultato è una "visione da nessun luogo", tendenzialMEnte uguale per tutti: "... lidentità di gruppo si fonda su sistemi informativi "condivisi ma particolari". Più i sistemi informativi sociali separati sono nuMErosi, maggiore è il nuMEro dei "gruppi" separati; MEno nuMErosi sono i sistemi informativi separati, minore è il nuMEro delle identità di gruppo separate. Dunque, la fusione attraverso i MEdia elettronici di molte situazioni un tempo separate dovrebbe produrre unomogeneizzazione delle identità di gruppo".
La globalizzazione - delle idee, dei comportaMEnti - nel caso dei MEdia passerebbe, dunque, per la loro capacità di creare un nuovo spazio sociale omogeneo in cui soggetti appartenenti a gruppi diversi possono riconoscersi attenuando progressivaMEnte le differenze che, proprio in virtù di questa appartenenza di gruppo, li contraddistinguono.
Questa conclusione, che pure vale in generale, può essere attenuata - se non MEssa in discussione - MEdiante due semplici rilievi. Il primo è autorizzato dallo stesso MEyrowitz quando fa osservare coME l"ambiente informativo comune, favorito dai MEdia elettronici, non produce necessariaMEnte comportaMEnti o atteggiaMEnti identici in tutti gli individui, ma diffonde comunque la consapevolezza e la possibilità di operare delle scelte". Ciò che il sociologo aMEricano intende dire è in sostanza che i MEdia più che risolvere il locale nel globale, favoriscono la sua riconfigurazione in nuove forME di localismo. Il gruppo non si risolve nella massa, ma in nuovi tipi di agregazione: "In passato gli individui si suddividevano in gruppi che corrispondevano soprattutto al ceto sociale, alletnia, alla razza, alla religione, alla professione, al quartiere dove abitavano, MEntre i gruppi odierni si formano in base al modo di vestire, allo sport praticato, al tipo di computer, alla musica preferita o alla scelta di un tipo di corso". É la logica della tribù, ben studiata da Maffesoli, cioè la logica di una comunità delle emozioni che risolve la sua coesione nello star bene insieME o comunque in una solidarietà leggera giocata appunto sulla condivisione di gusti, esperienze, passioni. Le comunità virtuali che si aggregano nel Web, i club dei fans di Ligabue, gli spettatori abituali di programmi-culto coME Quelli che il calcio o il Pippo Chennedy Show, visti in questottica costituiscono altrettante forME di tribù: tribù MEdiatiche, perché sono proprio i MEdia, in questo caso, la ragione del loro trovarsi, riconoscersi, sviluppare un senso di appartenenza che spesso è fatto di un gergo condiviso, di canzoni mandate a MEmoria o di un look identificante.
A questo rilievo se ne può aggiungere, poi, un secondo, che non riguarda più la natura struMEntale dei MEdia, ma i loro MEssaggi e ribadisce loscillazione che stiamo provando a far eMErgere. Il dato di una economia mondiale dei MEdia controllata da pochi gruppi che sopra abbiamo visto, sembrerebbe indicare nella direzione di una distribuzione di prodotti tendenzialMEnte omogenei su scala planetaria: così una sit-com aMEricana ha la probabilità di essere vista, sostanzialMEnte identica, in Europa, in Asia, in Africa. Lesito dovrebbe essere consequenziale, avvalorando lipotesi di una colonizzazione culturale da parte del modello aMEricano nei confronti di culture altre che, dal punto di vista comunicativo, non hanno la stessa forza economica per imporsi. Il problema, di fatto, è più complesso. Se ci si pensa bene, quella sit-com non sarà la stessa in ogni contesto, perché anzitutto verrà tradotta in unaltra lingua, collocata in un palinsesto magari totalMEnte differente da quello originario, farcita di pubblicità non certo aMEricana, consumata da spettatori che non sono aMEricani... Quello che si intende far osservare è che, sebbene i MEssaggi dei MEdia risentano indubbiaMEnte di una logica globalizzante, nel moMEnto in cui vengono diffusi nei diversi Paesi essi rispondono tuttavia a tutta una serie di variabili "localizzanti" che rendono il consumo diverso, e non standard, secondo il contesto.
Lintuizione mcluhaniana da cui eravamo partiti risulta confermata e insieME sMEntita. I MEdia sicuraMEnte favoriscono un processo di delocalizzazione, ma non si può dire univocaMEnte che ad esso corrisponda anche un fenoMEno di globalizzazione. Su questa ambiguità occorrerà riflettere MEttendo a tema il rapporto tra questa realtà dei MEdia e lintervento educativo.