Recensione di libri

L'architettura ad Ostia
di Umberto Calabrese recensito da Simone Navarra

Sono passati duemila anni dall'intuizione di Claudio, l'imperatore romano che per primo pensò Ostia come una vera città di mare indipendente da Roma, eppure i problemi e le prospettive sono sul tavolo, a disposizione.
Ostia è un quartiere-città, gli oltre duecentomila la fanno popolosa come Firenze, la poca vita culturale, il turismo stanziale e fatto di seconde case, la riportano tra le periferie in faccia al mare.
A Catania ce n'è una, a Napoli un centinaio, a Los Angeles caratterizzano l'intero stato della California.
Oggi molte cose sembrano risolte o in via di guarigione.
Grazie all'iniziativa privata e insieme pubblica è rinata la Meccanica Romana (oggi Cineland), gli stabilimenti balneari sono meno chiusi rispetto all'esterno, il teatro fa ormai tappa senza problemi in questo luogo che soffre di mareggiate.
L'occasione che sposta l'interesse è il bel libro dell'architetto Umberto Calabrese "L'architettura ad Ostia", pubblicato dalla Fratelli Palombi.
Saggio importante, colmo di immagini stupende, progetti dimenticati nel cassetto o attuati con paura.
Uomo da sempre impegnato nella valorizzazione dei territori urbani, Calabrese racconta una storia che affonda le sue radici negli anni fra le due guerre mondiali e che vede quest'appendice diventare un vero laboratorio del razionalismo di casa nostra, ai migliori livelli e con interpreti sublimi.
In una delle prefazioni il presidente della Regione Piero Badaloni traccia quella che per Ostia sarà la sfida del nuovo millennio.
"Far convivere turismo e cultura, economia, storia, arte e architettura".
Il dilemma è tutto in questa interdisciplinarietà difficile, che troppe volte chi decide lancia come programma e che poi è incapace di attuare.
Calabrese la ricorda negli anni del ventennio e nel periodo più buio dal punto di vista squisitamente urbanistico che ha edificato la Nuova Ostia.
Il saggio, edito anche in inglese, regala poi nel finale il sogno di un investimento massiccio e che sorge dalle prospettive e dalle suggestioni di Paolo Portoghesi.
Il volume è un ottimo regalo a chi abita in un posto che per ben due volte non ha voluto diventare "Roma marittima", tanto che dovrebbe essere adottato nelle scuole, per far vedere come si costruiscono le case, le piazze, i punti d'incontro e di vita delle persone.
La XIII circoscrizione nel suo complesso certo non esce bene dal confronto.
Non ci si spiega perché chi abita a tre, quattro chilometri dal mare e da tanta bellezza ne fa il doppio, il triplo per andare non solo a lavorare ma a divertirsi.
E le risposte sono tutte per le strade che si allagano quando piove, o per canali gonfi di liquami che non sanno dove andare a finire.
Urgenze per chi comanda e chi abita, ma cose che non si spiegano per uno straniero che non vede un locale notturno aperto, che aspetta il trenino e subisce i ritardi, che s'incolonna sulla Cristoforo Colombo senza alternative, che vede una città svuotarsi e l'altra riempirsi senza senso.
Beverly Hills diventò Beverly Hills quando un sindaco con la certezza del mandato decise di buttar giù le baracche, allargare le strade, vendere alcuni locali in disuso sulla Rodeo Drive.
Ben presto quei negozi tutti su un piano vennero acquistati da grandi case di moda, boutique, parrucchieri.
E questo specie di miracolo ebbe inizio con una legge che facilitava l'apertura di ristoranti, discoteche, bar all'aperto.
Se qualcuno avrà coraggio, quindi, e qualcun altro sarà capace di guardare oltre, Ostia - come molti altri quartieri - avrà la possibilità di crescere indipendente comunque, senza noiosi referendum.
Altrimenti sarà solo lo sbocco al mare di una metropoli come Roma.

Le RECENSIONI

SOMMARIO Gen. '00 - N° 37
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