Pochi anni fa, durante ogni riunione con i cittadini del quartiere, emergeva sempre, tra i vari problemi che ci venivano segnalati, quello di far cambiare, sulla posta che ci veniva recapitata, la scritta "borgata di Acilia".
Ora c'è scritto "quartiere di Acilia". Durante questi anni il Comitato di quartiere di Acilia 2000, insieme a tanti cittadini e consiglieri circoscrizionali di buona volontà, ha concentrato i suoi sforzi per migliorare le condizioni di vita del quartiere.
In vari articoli che ho scritto su questo mensile più volte ho elencato i risultati ottenuti.
È chiaro che la finalità di tanta attività è sempre stata quella di affrancarsi da quel desiderio iniziale: non vivere in una borgata ma in un quartiere dignitoso.
Dovrebbe essere un desiderio comune in quanto è impensabile che ci siano persone che si adattano facilmente al degrado e contribuiscono talvolta a produrlo.
Invece è così, purtroppo. Ci sono.
Un quartiere può ridiventare in breve tempo borgata quando al mancato rispetto delle regole si aggiunge lo scarso controllo nel farle rispettare.
Un esempio? Le insegne pubblicitarie abusive rappresentano un fenomeno che sta assumendo un aspetto da "BLOB", incontrollabile.
Un concentrato del fenomeno lo potete osservare all'incrocio tra Via Bocchi e Via Funi: all'angolo dell'incrocio ci sono sei, sette insegne pubblicitarie (chiaramente su un marciapiede già ridotto a colabrodo per i paletti di ferro che sostengono la pubblicità).
L'unica insegna che si deve vedere, ma si vede poco, è quella del "senso unico".
Qualcuno l'ha presa in pieno e attualmente è piegata ad ore diciassette. Se qualcuno vuole fare una foto dell'assurdo ci può vincere un premio. Sono mesi che le cose stanno così e nessuno interviene, pertanto, le insegne stanno invadendo tutto.
Se a tutto ciò ci aggiungiamo: sacchetti della spazzatura abbandonati, batterie auto, sterpaglie sotto i marciapiedi, cartacce, scatoloni e mobiletti vicino i cassonetti il quadro è fatto.
Però rimane il timbro postale nuovo come consolazione. Un po' scarsa, ma tant'è.