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Roma Marittima non si farà.
È bastato ventilare qualche aumento di tariffa, insistere sul fortunato slogan “Meglio periferia di Roma che periferia di Ostia”, giocare sulla confusione creata ad arte, incassare i dividendi dell’inflazione dell’istituto referendario della quale dobbiamo ringraziare il buon Pannella, qualche striscia pedonale sapientemente spesa nell’Axapalocco pochi giorni prima del referendum (ci si accontenta di poco...) ed ecco qua, felici e contenti della vittoria dei “No”, una variegata schiera di rappresentanti delle categorie che di questo risultato elettorale hanno maggiormente beneficiato: morti-viventi resuscitati che hanno vissuto i 5 minuti di popolarità che Andy Warhol non avrebbe negato a nessuno; palazzinari, e aspiranti tali, che temevano di veder andare a monte i propri malaffari con il cambio al vertice dell’assessorato all’Edilizia Pubblica; l’Assobalneari, che ha avuto almeno il coraggio di schierarsi apertamente contro Roma Marittima, e qualche politico da quattro soldi che, forse conscio dei propri limiti, temeva di perdere nientemeno che il posto di “Consigliere della XIII Circoscrizione di Roma”.
Queste menti illuminate, alle quali è mancata solo l’idea di sostenere che con Roma Marittima sarebbe aumentato anche il biglietto della Curva Sud, hanno conquistato il 26,8% degli aventi diritto al voto (il 57% dei No del 47% dei votanti).
L’elettore-modello lidense (poche idee, ma confuse!) li ha premiati con un malcelato senso di masochismo, grazie al quale un male certo è preferibile al rischio di poter migliorare le cose.
Un clamoroso autogol, certo involontario, i cui effetti, però, non tarderanno a farsi sentire.
Anche se forse, più che scomodare la famigerata sindrome di Stoccolma, per cui, come diceva Nanni Moretti, ci si continua a “farsi del male”, è il caso di prendere in considerazione il complesso di Peter Pan.
Paura di crescere, in tutti i sensi.
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