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TESTI, ICONOGRAFIA MINIMA E CURIOSITA'

a cura di Giulio Lascàris

G.G. Belli

LI DU’ GENERI UMANI

Noi, se sa, ar monno semo usciti fòri
impastati de merda e de monnezza.
Er merito, er decoro, e la grannezza
so’ tutta marcanzìa de’li signori.
A sua eccellenza, a su’ maestà, a su’ artezza
fumi, patacche, (1) titoli e sprennori; (2)
e a no’antri artiggiani e servitori
er bastone, l’imbasto (3) e la capezza. (4)
Cristo creò le case e li palazzi
p’er principe, er marchese e er cavajere (5)
e la terra pe’ nnoi facce de cazzi.
E quanno morse (6) in croce ebbe er penziere
de sparge, bontà sua, tra tanti strazzi (7)
pe’ quelli er sangue e pe’ no’antri er siere. (8)

1) medaglie, in generale riconoscimenti;
2) splendori;
3) basto, rozza sella imbottita per muli e asini o bardatura per le bestie da soma;
4) cavezza, finimento per la testa dei bovini e degli equini, per condurli a mano o tenerli legati alla greppia;
5) cavaliere;
6) morì;
7) strazii, sofferenze;
8) siero, parte liquida del sangue che si separa dalle parti solide per effetto della coagulazione.

LE CRATURE

Voi sentite una madre. Ammalappena (1)
la cratura (2) ch’ha fatta ha quarche giorno,
già è la prima cratura der contorno,
e sì je dite che nun è, ve mena.
Conosce tutti, dice tutto, è piena
d’un talento sfonnàto, (3) è fatta ar tòrno, (4)
va quasi sola, è tosta com’un corno,
è tant’antri prodigi ch’è una scena.
E ‘sta prodezza poi sarà un scimmiotto,
tonto, moscio, allupato, (5) piagnolone,
pien de bava e làttime (6) e caca-sotto.
A le madre, se sa, li strilli e’r piagne
je pareno ronnò de Tordinone. (7)
Le madre ar monno so’ tutte compagne.

1) Non appena;
2) bambino;
3) sfondato, esagerato;
4) tornio;
5) magro e famelico;
6) eczema squamoso che colpisce la cute della testa dei lattanti;
7) Tor di Nona era il primo teatro lirico di Roma. Dunque gli strilli e i pianti del bambino
sembrano alla madre arie d’opera (ronnò, cioè "rondeau", che propriamente è una composizione
strumentale a strofe);

Tratte da (con grafìa semplificata): Giuseppe Gioachino Belli, Er giorno der giudizzio e altri duecento sonetti, a cura di Giorgio Vigolo, Mondadori, Milano 1982.


Giuseppe Gioachino Belli e la fotografia

Dall’aprile del 1824 al novembre del 1840 Giuseppe Gioachino Belli redasse in undici tomi lo Zibaldone, colossale quanto asistematica ed eclettica enciclopedia che nel suo desiderio avrebbe dovuto essere fondamentale nella formazione del figlio Ciro. Tra le sue 4525 voci alcune delle più curiose vengono dedicate ai primi vagìti della fotografia . Il 1839 è l’ anno in cui si mette a punto il processo negativo- positivo, e si inzia a parlare di calotipi, talbotipi e dagherrotipi. Sensibile al nuovo, Belli diligentemente compulsa sullo Zibaldone le notizie che la stampa dell’epoca riporta a questo proposito. Del grande poeta di Roma ci sembra appropriato offrire anche un aspetto più intimo, erudito e financo pedante, della sua attività intellettuale. Trascriviamo perciò da G.G. Belli, " Piccolo trattato" di tecnica fotografica (Strenna del pesce d’oro per il 1979, Scheiwiller, Milano 1978) un breve paragrafo che tratta della scoperta di Daguerre.

Estratto dall’ Appendice della Gazzetta Piemontese N. 54
dell’anno 1839

SCOPERTA DAGUERRE
CARTA TALBOT

Da due o tre mesi in qua, i giornali e le accademie, tratto tratto di altro non risuonano che della meravigliosa scoperta del sig. Daguerre, parigino, scoperta per mezzo della quale non più l’uomo, ma la natura stessa è fatta di sé medesima pittrice, e col semplice apparato conosciuto sotto il nome di camera oscura, esponendolo ai raggi di un limpido sole, ed applicandovi nel fondo un foglio di carta preparata con certo artificio, la prospettiva abbracciata dal campo della lente viene in poco d’ora a tratteggiarsi nitida, in chiaro scuro, sopra questa carta misteriosa. A chi conosce alquanto di chimica, non occorre aggiungere che la sostanza di cui la carta debb’essere spalmata, è una di quelle sulle quali la luce ha un’azione potentissima e che in proporzione della gagliardìa dei raggi che le percuotono, cambiano il natìo loro colore. (...) Ecco quello che il "Globe" inglese del 23 di febbraio dice in piane e semplici parole intorno ad un modo pratico di preparare la carta, alla quale in Londra si dà il nome di fotogenica. "Il sig. Talbot ha presentato una carta fotogenica alla società regia di Londra. Ed eccone la preparazione: Egli prende carta da lettere sopraffina, molto compatta e levigata; la intinge di una debole soluzione di sal marino, ed asciutta la soffrega ben bene (...). Sparge quindi sovra una faccia soltanto una soluzione di nitrato d’argento e la fa seccare al fuoco. Questa soluzione non debb’essere satura, ma allungata in sei o sette volte tant’acqua. La carta così rasciutta è in punto per l’uso. Nulla di più perfetto delle immagini di fiori e di frutti che vi si ottengono sopra coll’aiuto della camera oscura ad un bel sole d’estate".
G.G. Belli G.G. Belli

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