L' IMPREVISTO DELLA REALTA'
di Giulio Lascàris
"Cosa può esserci di più fantastico
ed imprevisto della realtà?".
Fëodor DOSTOEVSKIJ
I
II
Abbiamo visto essere il dialetto una lingua della realtà, della fisicità. Del corpo, insomma: e perciò del luogo dove il corpo celebra la sua totalità: il sesso. Non c'è, per anticlimax, argomento tanto dibattuto quanto ciò di cui è conveniente o si deve tacere. Qui siamo davvero in piena proliferazione dei discorsi, come voleva Foucault. E qui più che altrove è la parola, il discorso, a prendere il posto della cosa, a montare sulla scena in vece sua.
Tuttavia, il mondo è fatto di cose e di oggetti, di corpi appunto. E il discorso con il corpo in mezzo (Erri De Luca) - delle sue dinamiche, valenze e violenze - è perciò quello che più d'ogni altro è mimetico del mondo, gli è perspicuo. Se si vuol dire della materia del mondo e dei suoi corpi, nulla di meglio ho a disposizione del sesso e, pure, d'un altro discorso ad essi dèdito: la scienza.
Questo capì ed insegnò il divin marchese. Nella sua opera infatti Sade descrive un universo meccanico e fisico (leggi:corporeo), dove null'altro c'è che la materia. E si può ritenere che questo teatro della materia sia una geniale, gigantesca parodia delle filosofie illuministiche e materialistiche di fine Settecento. Sade sembra dire: "Per voi c'è solo materia? Ebbene, guardate un po' cosa succede applicando strettamente questo principio!".
Un materialista riterrebbe questa parodia un fraintendimento. Ma non potrebbe negarle forza e potenza e coerente logicità poiché illustra come la ragione, e non il suo sonno, genera mostri, e come gli statuti del castello di Silling siano la prosecuzione delle regole del vivere civile: come scrive Roberta Chiurco, presentando La moneta vivente di Pierre Klossowsky (Mimesis, Milano 1989, p. 21) "nel descrivere l' immaginaria società libertina, (Sade) mostra di volersi a tutti i costi mantenere all' interno delle regole su cui si fonda la società istituzionale, dalla quale anzi la prima eredita la struttura ed il funzionamento fino a trasformarsi in semplice risvolto ed in naturale proseguimento della seconda".
Questo dove' sedurre l'ultimo Pasolini, la possibilità cioè di illustrare come sia la norma a creare l'anormale. Il farmaco, già dal nome, è sia cura che veleno, ogni ordine produce entropia, e la legge è matrice del crimine.
E' chiaro che Belli non poteva giungere fin qui: vivendo nell'incubatrice papalina, gli mancarono i fermenti che dileggiò Sade. E però non c'è scampo: la realtà, la verità vogliono il corpo. E se, ammettendo col Vigolo, che il realismo del Belli è pure fantastico, lo è perché il reale romano ha una forte connotazione irreale: Roma è pure scenografia, quinta, cinema ante litteram, gigantesco set la cui solidità è sogno e cartapesta. Riportarla è far cronaca d'una fiaba: e, nondimeno, fare cronaca, stare ben immersi nel concreto.
Così, l' identità dei Romaneschi è sì salvaguardata rispettando la grammatica della loro vita attraverso il riporto attento della loro lingua - e la comprensione di questa è assicurata rievocando i vissuti: ma la percezione dell'irrealtà, della finzione, dell'ipocrisia della "lingua civile" e della vita che pretenderebbe di rendere piglia le mosse dal corpo. Il Poeta fa dei Romaneschi parole in un discorso che proclama: ho fame, sto male, non posso fare l'amore e se lo faccio vado all'inferno. Non sarà che c'è qualcosa che non funziona? Non sarà che i panni di cui mi vogliono vestire, le identità di buon cristiano, di suddito fedele, di uomo civile, non sono le mie?
In questo il sesso è componente e motore della verità sfacciata. Non aver casa o da mangiare in fin dei conti riguarda proprietà e oggetti che non dipendono da noi. Ma il nostro corpo è nostro, siamo noi: e quando ce ne viene intralciato l'uso, cominciamo a pensare che il mondo in cui si vive è alieno, non ci corrisponde più. Ogni comunicazione è interrotta, non è più possibile. La comunicazione e dunque il linguaggio hanno perciò questa precondizione: il rapporto tra corpo e corpo, tra il nostro corpo e il luogo di tutti i corpi - il mondo - e i corpi stessi. Senza Eros non c'è linguaggio, la filosofia è anche Eros (cfr. Il Simposio).
Dunque: il nostro corpo siamo noi. Con esso viviamo, e compiamo gli atti di quella grammatica che è la nostra forma di vita, il nostro linguaggio quindi. E tutto ciò è la nostra identità. Quest'arte della vista, e questa comunicazione, rapporto, tra corpo e corpi, ci dà, ci restituisce, ci rende possibile parlare di noi, dire io. Ci consente infine di produrre un discorso vero anche su di noi.
E qui ci si prospetta l'inconscio e l'introspezione. E se è vero, come voleva Lacan, che l'inconscio è strutturato come un linguaggio, allora è pure vero che, in quanto linguaggio, può dire fesserie. E su ciò di cui non si può parlare, allora è meglio tacere.