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«Dominivobisco.»
«Etticummi spiri totņ» risposero
una decina di voci sperse nello scuro profondo della chiesa,
rado rado punteggiato da qualche lumino e da cannile di grasso fetente.
«Itivinni, la missa č.»
Ci fu una rumorata di seggie smosse, la prima messa del matino
era finita. Una fģmmina ebbe una botta di tosse, patre
ArtemioCarnazza fece una mezza inginocchiata davanti all'altare maggiore,
scomparse di prescia nella sacrestia dove il sacrestano, morto di sonno com era sempre,
l'aspettava per aiutarlo a spogliarsi dai paramenti. I fedeli abituali
della prima messa lasciarono tutti la chiesa, cizziņn fatta di donna Trisina
Cicero, la fimmina che aveva tussiculiąto, la quale se ne ristņ in
ginocchio, sprofondata nella preghiera. Donna Trisina s'appresentava
alla prima messa da una quindicina di matine, non era difatti canosciuta
come chiesastrica, in chiesa compariva solamente la domenica e le sante feste comannąte.
Si vede che le era capitato di fare piccąto e ora voleva farsi pirdonare dal
Signiruzzo. Donna Trisina era una trentina mora, con gli occhi verdi
sparluccicanti e due labbra rosse come le fiamme
dell'inferno. Mischineddra, era rimasta vidova da tre anni. Da |