La prima pagina de "La gita a Tindari"

 

gitatindari.gif (29466 bytes)

   Che fosse vigliante,  se ne faceva  capace dal fatto che  la testa gli funzionava secondo logica e non seguendo l'assurdo labirinto del sogno, che sentiva il regolare sciabordio  del  mare,  che un venticello  di   prim'alba   trasìva dalla finestra spalancata. Ma continuava ostinatamente a tenere gli occhi inserrati, sapeva che tutto il malumore che lo maceriava dintra  sarebbe   sbommica- to di fora appena aperti gli  occhi,  facendogli  fare o dire minchiate delle quali doppo avrebbe dovuto pentirsi.
   Gli arrivò la friscatina di uno che caminava sulla spiaggia. A quell'ora, certamente qualcuno che andava per travaglio a Vigàta.  Il motivo  friscato gli era cognito, ma non ne ricordava  né il titolo  né le parole.  Del resto, che importanza aveva? Non era mai riuscito a friscare, manco infilandosi  un dito in culo.  «Si mise un dito in culo / e trasse un fischio acuto / segnale convenuto / delle guardie di città»... Era una fesseria che un amico milanese della scuola di polizia qualche volta gli aveva canticchiato e che gli era rimasta impressa. E per questa sua incapacità di friscare,  alle elementari  era stato la vittima prediletta dei suoi compagnucci di scuola che erano maestri nell'arte di friscare  alla   pecorara,


darrè

1