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Un altro volto della protesta
Un uomo giovane passeggiava nella nebbia. Sulla riva raccolse un sasso. Gettò con rabbia i suoi occhi sulla superficie monotonamente calma del lago. Scorse un'oca, stupida, strinse il sasso nella sua mano destra, lo soppesò un attimo ed infine vibrò un colpo deciso. L'oca svolazzò lontano starnazzando isterica. Spesso dopo che la si è sfogata, l'ira appare stupida, perciò il giovane uomo trascinò gli occhi lucidi intorno a sé ma non vedendo nessuno si accorse di colpo, quasi uno strano schiaffo, che tutto intorno nel bosco ristagnava il più impenetrabile silenzio. Due, tre piume galleggiavano sull'acqua, come ballerine ancora intorpidite dal risveglio del mattino. Nel suo cuore c'era molta rabbia, molta confusione e molte ferite. Secondo voi perché si protesta?
La protesta è un grido più o meno dolce che tutti gli uomini conoscono fin dai primi anni di vita. Come fa un neonato che non sa parlare a dire "mamma, volendo avrei anche un languorino allo stomaco" o "mamma, credo proprio che il mio pannolino sia pieno di cacca" o "mamma quel grosso coso peloso che abbaia mi fa paura: portami via!"? Proprio perché non sa parlare può solo protestare, urlare e piangere. E anche quando cominciamo a parlare una delle prime parole che impariamo non è forse "no"?
Si protesta perché una situazione, una condizione personale o comune, ma che comunque ci coinvolge in qualche modo, non ci piace. Nella protesta è implicito il desiderio di un cambiamento. Molto spesso si protesta contro gli altri, contro una mentalità, un regime, i preconcetti, l'ignoranza. Ma se protestare equivale veramente a desiderare un cambiamento, a volte rischia di sfuggirci l'idea che la soluzione potrebbe essere dentro di noi. Cioé che in un certo senso, senza tirarsi i pomodori in faccia, bisognerebbe "protestare" contro di noi o se preferite cercare un cambiamento dentro di noi. Una persona che stimo molto ha detto più o meno così: "possiamo cambiare intorno a noi solo le situazioni nelle quali possiamo cambiare noi stessi".
Il giovane uomo cadde in ginocchio e affondò le mani nell'acqua gelida della riva. Osservava la sua faccia riflessa, i suoi occhi riflessi, le sua lacrime riflesse. Aveva amato una ragazza, l'aveva ricoperta di carezze e poesie, le aveva mostrato il suo cuore, aveva giocato con i suoi capelli. La ragazza era tramontata a mezzogiorno senza mai spiegare perché e si era portata via un pezzo di cuore strappato. Altre ferite costellavano il suo cuore. E siccome il suo cuore perdeva sangue il giovane uomo ne andava chiedendo un po' a tutti, da tutti si aspettava qualcosa, una carezza. Ricurvo in sé stesso ad alcuni sembrava del tutto insensibile, in realtà a causa delle sue ferite lo era troppo. La persona che stimo molto parlava di "emozioni danneggiate". Ma forse c'era un modo, un modo per trovare ciò che non aveva avuto, che aveva perso o che aveva rifiutato, ciò che i suoi genitori gli avevano negato, ciò che gli amici non gli avevano dato. Più protestava contro gli altri, più si infossava, meno sapeva perdonare.
E molto si gioca sul perdono, forse sembra strano. Credo che se non esistesse il perdono o non esisterebbe nemmeno l'uomo o esisterebbe qualcosa di molto diverso.
Il giovane uomo si ricordò delle parole di un amico stimato e capì che il problema era dentro di lui. Le offese che le altre persone ci arrecano non fanno male a loro, ma a noi ed è per questo che è dentro di noi che la cosa va risolta. Soprattutto spesso può accadere che queste persone non ci chiedono nemmeno scusa, ma questo, volendo, non è essenziale. L'indispensabile è piuttosto perdonarle profondamente nel nostro cuore abbandonando ogni rancore. Ma molto importante, anzi ancora di più è perdonare sé stessi, cioé riconoscere i propri limiti, i propri difetti ed errori e allo stesso tempo credere che siamo capaci di costruire una condizione migliore, di abbattere i nostri limiti, di smettere di chiedere carezze e attenzioni, ma dare noi per primi agli altri amore. Credere, ad esempio, che se la mia situazione familiare non è il massimo, forse posso impegnarmi io per primo a cambiare di modo che ci possa essere un miglioramento.
Il giovane uomo perdonò profondamente nel suo cuore la ragazza che l'aveva ferito, le persone, gli amici che lo avevano ferito, ma volle anche riconoscere i propri sbagli, i propri difetti e cominciare una nuova vita nella quale il dolore, il freddo e la solitudine non fossero più una legge che uccide, ma una eventualità che aiuta a crescere e a conoscere il proprio cuore (può infatti sembrare strano, ma è nelle situazioni difficili che ciò avviene in modo più marcato).
Con queste parole non voglio schierarmi contro le manifestazioni in piazza o le proteste contrò i più svariati abusi (bisogna sempre cercare di non perdere di vista le sfumature!). La mia idea è più semplice: è facile puntare il dito verso gli altri e a volte sono veramente gli altri la causa (spesso parziale) dei nostri problemi, ma la nostra vita non appartiene agli altri ed è per questo che se ci sono delle ferite nella nostra vita il cambiamento va desiderato, ma prima di tutto dentro di noi.
Se continuiamo a urlare, pretendere, restare indifferenti, protestare contro gli altri (che possono essere i nostri amici, genitori, colleghi, ecc.) può darsi anche che ci riusciremo: riusciremo ad infossarci e morire in silenzio. L'uomo non è fatto per essere solo, per condannare, per disprezzare, per offendere e sputare. L'uomo è fatto per vivere.
Fabien Saillen
da un dibattito in classe...
Parlando di un tema così importante come la pena di morte sono venute a galla molte opinioni differenti, ma con un punto di partenza unico: non è lecito a nessuno, stato compreso, uccidere nessuno.
Dato che la vita è il dono più prezioso che un uomo possa ricevere, dato che vuol dire "libertà", nessuno può arrogarsi la facoltà di decidere della vita di un altro individuo, perché questo significherebbe togliere la sua pedina dal gioco... Anche l'ergastolo, secondo me è una grande ingiustizia, perché lo scopo del carcere è "riformare" e non isolare le persone, non vedo che possibilità di riscatto ci possa essere in una condanna del genere.
Quello che intendo dire è che una efficiente opera di rieducazione non si ottiene ne' in ambienti come le carceri, ne' tanto meno su di una sedia elettrica...; infine, chi riesce veramente a pentirsi delle sue azioni, va riaccolto nella società col massimo entusiasmo e calore e non con sdegno e distacco.
anonimo III C