Letteratura bizantina

Davide e le sue greggi (dal Salterio di Parigi - inizi X secolo)

Indice

Storiografia

Eruditismo

Poesia ed innografia

Il romanzo bizantino

Teatro

Letteratura popolare

Cultura ed educazione


STORIOGRAFIA

La storiografia venne coltivata ininterrottamente. Procopio si occupò del periodo giustinianeo, Agazia degli anni dal 552 al 559, Menandro Protettore (frammentario) dal 559 al 582, Teofilatto Simocatta dal 582 al 602, il patriarca Niceforo dal 602 al 769, Teofane il Confessore dal 769 all'813, Genesio dall'813 all'866, i Continuatori di Teofane dall'813 al 961, Leone Diacono dal 959 al 976, Michele Psello dal 976 al 1078. Del suo stesso periodo parlarono anche Michele Attaliate (per il periodo 1034-1079) e Niceforo Briennio (1070-1079). Anna Comnena nell'Alessiade parla degli anni dal 1069 al 1118, Giovanni Cinnamo dal 1118 al 1176, Niceta Coniate dal 1118 al 1206, Giorgio Acropolite dal 1203 al 1261, Giorgio Pachimere dal 1261 al 1308, Niceforo Gregora dal 1204 al 1359, Giovanni Cantacuzeno (l'Imperatore Giovanni VI) dal 1320 al 1356, Laonico Calcocondila dal 1298 al 1463. Lo stile degli storiografi bizantini tendeva spesso ad imitare quello di Tucidide, il modello per eccellenza; discorso a parte va fatto per Teofane ed i suoi Continuatori, che si limitarono a compilare opere cronologiche in uno stile più o meno sciatto. Inoltre, il valore come fonte storica degli scritti di Psello e di Giovanni VI Cantacuzeno è invalidato dalla parzialità dei narratori, che (specialmente nel primo caso) modificano platealmente i fatti per presentarsi sotto una luce migliore.

L'ERUDITISMO

La consapevolezza di essere gli eredi della grande tradizione antica spinse i bizantini ad un grande lavoro di compilazione e suntizzazione, nello scopo di racchiudere in poche opere tutto il sapere dei tempi passati. Fra questi eruditi si distinguono alcune figure: per il suo acume intellettuale Fozio, che nella sua "Biblioteca" recensì 280 libri, alcuni dei quali oggi perduti (altre sue opere sono il "Lessico", ovvero un dizionario di lingua classica, che al tempo in cui scrisse cominciava a non essere più compresa, alcuni trattati teologici e le lettere); per il suo spirito in una certa misura originale e innovatore Michele Psello, che scrisse praticamente di tutto (le sue opere vanno dalla trattatistica riguardante fenomeni fisici, alchimia, demonologia, esoterismo, alle lettere, all'agiografia ("Vita di S. Aussenzio"), ai commenti filologici (si ricordano un commento, perduto, a Menandro ed una parafrasi in prosa dell'Iliade), alla compilazione di enciclopedie ("De omnifaria doctrina"), ai panegirici in onore di Patriarchi ed Imperatori, a poesie ed epigrammi, alla narrazione storica, già citata) ed ebbe il merito di dar vita alla rinascita del platonismo; nel XII secolo i fratelli Giovanni ed Isacco Tzetzes, ed Eustazio di Tessalonica, autore di un monumentale commento all'opera di Omero. Tra le opere di compilazione più famose ricordiamo il "Lessico di Suda", composto forse sotto il patrocinio dell'Imperatore Costantino V, e le varie raccolte di epigrammi che confluiranno nell'Antologia Palatina.

POESIA ED INNOGRAFIA

I Bizantini, in campo poetico, si dedicarono soprattutto ad epigrammi di argomento religioso. Un'eccezione fu Giorgio di Pisidia, che nel VII secolo celebrò le vittorie di Eraclio in trimetri giambici, che ormai stavano per diventare dodecasillabi. Ottenne grandissima fama, ed in un'epistola Psello addirittura disquisì se verseggiasse meglio il Pisida od Euripide. Teodosio Diacono celebrò in un poemetto la presa di Creta da parte di Niceforo Foca, giudicando le sue imprese superiori a quelle cantate da Omero. Costantino Rodio, su commissione di Costantino VII Porfirogenito, compose un'ekphrasis della chiesa-mausoleo dei SS. Apostoli, per ottenere una visione migliore della quale salì in cima alla colonna di Teodosio. I più famosi innografi, che spesso scrissero anche la musica delle loro composizioni, furono S. Romano il Melodo (ebreo convertito di Hemesa), Cosma di Maiuma, S. Giovanni Damasceno (vissuto nell'VIII secolo, autore, tra l'altro, della "Fonte della conoscenza", in cui si scaglia contro Musulmani e Manichei), ed Andrea di Creta. Il primo scrisse i suoi inni in versi basati non più sulla lunghezza delle sillabe, ma sul loro numero e sulla loro accentazione.

IL ROMANZO BIZANTINO

Specialmente in età Comnena vi fu una notevole diffusione di romanzi, spesso in versi (trimetri politici per lo più), che ricalcavano la trama e le caratteristiche degli antichi romanzi ellenistici (in particolar modo le "Storie etiopiche" di Eliodoro e "Leucippe e Clitofonte" di Achille Tazio). Monotonia di contenuti e fiacchezza sono le caratteristiche principali di questo genere. Tra gli autori che lo praticarono ricordiamo Eustazio Macrembolita ("Gli amori di Isminia ed Ismine"), Teodoro Prodromo ("Gli amori di Rodante e Dosicle"), morto nel 1180, Niceta Eugeniano ("Le avventure di Drosilla e Charicle") ed infine Costantino Manasse ("Avventure di Aristandro e Callitea"). Dopo la conquista di Bisanzio da parte dei Crociati (1204) si diffusero testi (come "Imberio e Margarona" e "Beltrando e Chrysanza") che imitavano apertamente i romanzi francesi contemporanei. Tra gli autori menzionati, grande importanza rivestono il secondo ed il quarto. Teodoro Prodromo, il cui autore di riferimento fu Luciano, scrisse trattati di grammatica, satire, lettere, parodie delle sacre scritture (la "Schedemyos", un dialogo tra un topo abate, che parla per citazioni bibliche, ed un gatto che l'ha sorpreso a rubare in dispensa), componimenti in cui si lamentava della propria miseria (che ricordano quelli di Ipponatte), le cosiddette "Manganiche" (un ciclo di poesie in cui narra di un privilegio che gli era stato concesso e poi tolto su un convento, appunto quello dei Mangani), la "Catomiomachìa", ovvero "La battaglia dei gatti e dei topi" ispirata ad Omero. Costantino Manasse, invece, scrisse un epicedio per un cardellino e l'"Hodoiporikon", in cui descriveva il viaggio, compiuto insieme al dignitario Giovanni Contostefano, per cercar moglie a Manuele Comneno. Risalente alla stessa epoca, ma anonimo, è il dialogo lucianeo "Timarione", traente il nome dal protagonista, che narra il suo viaggio nell'Ade, dove ha avuto modo di parlare con i morti. C'è un significativo cambiamento tra i giudici infernali: il compagno di Minosse ed Eaco non è più Radamanto, ma l'Imperatore Teofilo (819-842), "fulgido e venerabile per giustizia ed ogni altra virtù". Fra le figure che vi vengono tratteggiate spicca quella di Psello, descritto come grande filosofo, e sommo retore. Inoltre, alla fine dell'XI secolo un certo Michele Andreopulos scrisse, rielaborando modelli persiani, il "Libro del filosofo Syntipas", sorta di "Heptaemeron" contenente in prevalenza novelle (spesso piccanti) tese a dimostrare la perfida astuzia e la depravazione delle donne.

TEATRO

Non esistevano rappresentazioni teatrali vere e proprie (eccezion fatta per gli spettacoli comici dei mimi), nè si componevano testi che presupponessero la recitazione , ad eccezione, forse, di certi carmi religiosi "drammatici". Secondo una suggestiva teoria non si sentiva il bisogno di un teatro perchè tutta la vita bizantina, specialmente nella capitale, era impregnata dalla teatralità.

LETTERATURA POPOLARE

Uno dei primi autori "importanti" a servirsi del greco "demotico", per l'esattezza in quattro componimenti satirici, fu Teodoro Prodromo. In precedenza, erano state redatte nella lingua degli umili varie cronache o cronologie che partivano dalla creazione del mondo per arrivare fino ai tempi dello scrittore, e che ebbero notevole successo anche nei paesi slavi, e molte agiografie, che tuttavia nel X secolo (forse su commissione di Costantino VII Porfirogenito) vennero "canonizzate" nella forma e nei contenuti da Niceta Paflagone e, con maggior successo, da Simeone Metafraste. A causa di ciò, non è stata conservata quasi nessuna "Vita" in demotico, a favore delle rielaborazioni (in bella lingua, è vero, ma insipide perchè private dei particolari considerati "stravaganti") del Metafraste. Un cenno merita anche il "Digenis Akrites" (IX-X secolo), scritto in versi e lingua semi-volgare, un poema incentrato sulle lotte degli "stratiotai" contro gli Arabi, e che è considerato l'opera madre della letteratura neoellenica.


Ultimo aggiornamento: 4/4/1997

Per commenti, critiche, osservazioni scrivete a Tommaso Braccini .


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