Vampiri al Cinema  

Locandine

BREVE STORIA DEL CINEMA HORROR


..."un Angelo, malcauto viaggiatore
tentato dall'amore del difforme
che tra le spire di un incubo enorme
si divincola al par di un nuotatore

e che con angoscia di morte sostiene
l'urto di un mulinello smisurato
che va cantando come un forsennato
spicca grandi balzi nelle tenebre...

un cuore curvo a mirare se stesso
quale dialogo è mai, limpido e scuro
pozzo di verità torbido e puro
in cui un astro livido è riflesso"...


Charles Baudelaire
I fiori del male

 

Il sottile brivido della paura!


Uno dei primi film della storia del cinema può essere considerato un horror ante litteram. Nel 1896 gli spettatori furono terrorizzati da L'arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat, dei fratelli Louis e Auguste Lumière: essi si nascosero dietro le poltrone per evitare di essere schiacciati dalla locomotiva che dal fondo dell'inquadratura sbuffava "verso" la sala. Se la paura degli spettatori durante i cinquanta secondi di filmato dei Lumière è dovuta soltanto allo stupore di fronte alla sconosciuta potenza delle immagini, il cinema si rivelerà presto capace di produrre un terrore che non sia frutto di un semplice equivoco. Il cinema muto diviene così il mezzo per dare consistenza agli incubi della società moderna, spesso cercando ispirazione nei capolavori della letteratura fantastica ottocentesca (il "Dracula" di Bram Stoker, il "Frankenstein" di Mary Shelley, il "Mr. Hyde" di Stevenson, per citare i più importanti) o nel terrore ancestrale delle mitologie popolari.

Gli esempi di proto-horror vengono soprattutto dalla Germania della Repubblica di Weimar, prostrata dai postumi della Grande Guerra. L'espressionismo della pittura passa così sulla pellicola. Dopo il fondamentale Il gabinetto del dottor Caligari (1920), di Robert Wiene, le paure più irrazionali dell'animo caratterizzano l'opera di due maestri assoluti della storia del cinema: Fritz Lang e Friedrich Wilhelm Murnau. Il primo realizza opere come Destino (1921), raffinato apologo sull'insondabilità della morte, e Il dottor Mabuse (1922), esordio di una trilogia basata su un orrore tutto psicologico; il secondo, con Nosferatu (1922), dà vita alla prima trasposizione (non ufficiale per una questione di diritti non pagati) del "Dracula" di Bram Stoker. La tendenza al fantastico di questi film non deriva da schemi prefissati ma da irripetibili sensibilità autoriali, dallo spirito dei tempi e da un particolare gusto figurativo. Il primo cinema dell'orrore nasce allora come fenomeno più che come genere ben caratterizzato, così siamo abituati a riconoscerlo oggi.

Il genere horror viene infatti lanciato formalmente nella Hollywood degli anni Trenta, dove gli studios producono industrialmente pellicole rivolte a segmenti di mercato ben definiti. E' così che uno studio minore, la Universal, si specializza nell'horror per trovare un proprio spazio commerciale: Dracula (1931), Frankenstein (1931) e La mummia (1932), codificano temi e schemi narrativi del nuovo genere, subito serializzati in una produzione a base di figlie di Dracula e mogli di Frankenstein che attraversa tutto il decennio. Questi film creano anche i primi attori-simbolo del genere: Bela Lugosi e Boris Karloff, degni eredi dei primi istrionismi trasformistici di Lon Chaney.

In questo periodo, nonostante il successo di pubblico, il cinema dell'orrore è considerato una produzione minore, indegno di essere programmato nei cinema se non come appendice di film "seri" interpretati dai grandi divi. Ciò non significa che il cinema horror non svolga sin dall'inizio un ruolo di importante metafora filosofica sulla natura dell'uomo, con opere curatissime quali The Black Cat (1934), di Edgar G. Ulmer; oppure con i lavori di Jacques Tourneur per la RKO, fra cui il celebre Il bacio della pantera (1942). Validissimi praticanti del genere sono inoltre i registi Tod Browning, con la sua poetica del "diverso", e James Whale, solido conoscitore del mestiere.

Subito dopo il secondo conflitto mondiale il cinema horror subisce un brusco ridimensionamento, sia per la crisi dello studio system, che penalizza i comparti produttivi più deboli, sia per l'esaurimento di filoni narrativi ormai logori. Al declino contribuisce inoltre la progressiva affermazione della fantascienza come genere del fantastico più adatto a rappresentare le paure della società statunitense in epoca di guerra fredda: negli anni Cinquanta l'invasione aliena si rivela infatti la più efficace metafora della paranoia anticomunista. Dopo un decennio di crisi l'horror riacquista vigore proprio grazie alla ripresa dei miti della Universal, rivitalizzati dalla casa di produzione inglese Hammer, che ne acquista i diritti: La maschera di Frantenstein (1956), e Dracula il vampiro (1957), di Terence Fisher, regista di punta della casa, sono successi che rilanciano il genere a livello internazionale. Stimolata dagli alti incassi di questi film, anche la cinematografia italiana scopre le potenzialità dell'horror sviluppando un filone gotico a basso costo di cui sono maestri Riccardo Freda, autore del capostipite I vampiri (1956), Mario Bava e Antonio Margheriti. E' però con i meccanismi thriller di Dario Argento, culminati in Profondo rosso (1975), che la paura esce dai confini della produzione minore per divenire fenomeno di rilievo culturale.

Negli Stati Uniti intanto il genere ha riconquistato lentamente il pubblico grazie soprattutto all'attività di Roger Corman e della sua American International Picture, che produce a ritmo serratissimo pellicole su pellicole, realizzate a basso costo e con ogni sorta di espedienti strizzando l'occhio a Edgar Allan Poe e alla stessa Hammer. L'ispirazione gotico-classicheggiante della scuola italiana e di Corman, presto ripresa in tutto il mondo, porta in breve a una nuova fase discendente del genere, che comincia a produrre horror erotici o parodistici.

Il nuovo corso del terrore comincia realmente solo nel 1968: in quest'anno escono Rosemary's Baby di Roman Polanski e La notte dei morti viventi di George A. Romero. Il primo mostra per la prima volta l'orrore in un contesto di quotidianità borghese, mentre il secondo inaugura la tendenza a mostrare chiaramente violenze estreme fino ad allora appena suggerite. Tutte le opere successive sono debitrici di questi due modelli: da una parte le grandi produzioni per il box-office -L'esorcista (1973), Il presagio (1976), Poltergeist (1982)- dominate dall'irruzione del demoniaco e dell'irrazionale che minacciano la famiglia, elemento cardine della stabilità sociale; dall'altra gli splatter selvaggi e irriverenti, per un pubblico di giovani e giovanissimi, che capovolgono il discorso, come nel caso delle famiglie cannibali di Non aprite quella porta (1974) e Le colline hanno gli occhi (1976).

A livello individuale, il cinema horror trova nuovi maestri. John Carpenter sottolinea le metafore politiche del genere con soluzioni stilistiche più innovative e dirige il prototipo del sottogenere imperniato su metafisici serial killer in Halloween: la notte delle streghe (1978); Wes Craven inventa la serie Nightmare e in seguito tenta ironici esperimenti metafilmici; David Cronenberrg crea invece un'estetica personalissima di mutazioni carnali e di ossessioni tecnologiche di fine millennio. Ora che anche le tendenze più sanguinolente hanno incontrato la loro nemesi nel parossismo autoironico del cinema di Frank Henenlotter e di Peter Jackson, forse il futuro del genere consiste nell'affossamento di tutti gli schemi e di tutte le attese, nel ritorno a una poetica autonoma come quella degli espressionisti tedeschi degli anni '20. Così almeno lascia pensare The Kingdom - Il Regno (1994) del danese Lars Von Trier, capolavoro sregolato e unica opera capace di aprire una prospettiva diversa sull'orrore puro del terzo millennio.

Rossi & Cappellini
Il Film Horror
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