Uno dei primi film della storia del cinema può essere considerato
un horror ante litteram. Nel 1896 gli spettatori furono terrorizzati
da L'arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat, dei fratelli
Louis e Auguste Lumière: essi si nascosero dietro le poltrone per
evitare di essere schiacciati dalla locomotiva che dal fondo dell'inquadratura
sbuffava "verso" la sala. Se la paura degli spettatori durante i cinquanta
secondi di filmato dei Lumière è dovuta soltanto allo stupore di fronte
alla sconosciuta potenza delle immagini, il cinema si rivelerà presto
capace di produrre un terrore che non sia frutto di un semplice equivoco.
Il cinema muto diviene così il mezzo per dare consistenza agli
incubi della società moderna, spesso cercando ispirazione nei capolavori
della letteratura fantastica ottocentesca (il "Dracula" di Bram Stoker,
il "Frankenstein" di Mary Shelley, il "Mr. Hyde" di Stevenson, per
citare i più importanti) o nel terrore ancestrale delle mitologie
popolari.
Gli esempi di proto-horror vengono soprattutto dalla Germania della
Repubblica di Weimar, prostrata dai postumi della Grande Guerra. L'espressionismo
della pittura passa così sulla pellicola. Dopo il fondamentale Il
gabinetto del dottor Caligari (1920), di Robert Wiene, le paure
più irrazionali dell'animo caratterizzano l'opera di due maestri assoluti
della storia del cinema: Fritz Lang e Friedrich Wilhelm Murnau. Il
primo realizza opere come Destino (1921), raffinato apologo
sull'insondabilità della morte, e Il dottor Mabuse (1922),
esordio di una trilogia basata su un orrore tutto psicologico; il
secondo, con Nosferatu (1922), dà vita alla prima trasposizione
(non ufficiale per una questione di diritti non pagati) del "Dracula"
di Bram Stoker. La tendenza al fantastico di questi film non deriva
da schemi prefissati ma da irripetibili sensibilità autoriali, dallo
spirito dei tempi e da un particolare gusto figurativo. Il primo cinema
dell'orrore nasce allora come fenomeno più che come genere ben caratterizzato,
così siamo abituati a riconoscerlo oggi.
Il genere horror viene infatti lanciato formalmente nella Hollywood
degli anni Trenta, dove gli studios producono industrialmente pellicole
rivolte a segmenti di mercato ben definiti. E' così che uno studio
minore, la Universal, si specializza nell'horror per trovare un proprio
spazio commerciale: Dracula (1931), Frankenstein (1931)
e La mummia (1932), codificano temi e schemi narrativi del
nuovo genere, subito serializzati in una produzione a base di figlie
di Dracula e mogli di Frankenstein che attraversa tutto il decennio.
Questi film creano anche i primi attori-simbolo del genere: Bela Lugosi
e Boris Karloff, degni eredi dei primi istrionismi trasformistici
di Lon Chaney.
In questo periodo, nonostante il successo di pubblico, il cinema dell'orrore
è considerato una produzione minore, indegno di essere programmato
nei cinema se non come appendice di film "seri" interpretati dai grandi
divi. Ciò non significa che il cinema horror non svolga sin dall'inizio
un ruolo di importante metafora filosofica sulla natura dell'uomo,
con opere curatissime quali The Black Cat (1934), di Edgar
G. Ulmer; oppure con i lavori di Jacques Tourneur per la RKO, fra
cui il celebre Il bacio della pantera (1942). Validissimi praticanti
del genere sono inoltre i registi Tod Browning, con la sua poetica
del "diverso", e James Whale, solido conoscitore del mestiere.
Subito dopo il secondo conflitto mondiale il cinema horror subisce
un brusco ridimensionamento, sia per la crisi dello studio system,
che penalizza i comparti produttivi più deboli, sia per l'esaurimento
di filoni narrativi ormai logori. Al declino contribuisce inoltre
la progressiva affermazione della fantascienza come genere del fantastico
più adatto a rappresentare le paure della società statunitense in
epoca di guerra fredda: negli anni Cinquanta l'invasione aliena si
rivela infatti la più efficace metafora della paranoia anticomunista.
Dopo un decennio di crisi l'horror riacquista vigore proprio grazie
alla ripresa dei miti della Universal, rivitalizzati dalla casa di
produzione inglese Hammer, che ne acquista i diritti: La maschera
di Frantenstein (1956), e Dracula il vampiro (1957), di
Terence Fisher, regista di punta della casa, sono successi che rilanciano
il genere a livello internazionale. Stimolata dagli alti incassi di
questi film, anche la cinematografia italiana scopre le potenzialità
dell'horror sviluppando un filone gotico a basso costo di cui sono
maestri Riccardo Freda, autore del capostipite I vampiri (1956),
Mario Bava e Antonio Margheriti. E' però con i meccanismi thriller
di Dario Argento, culminati in Profondo rosso (1975), che la
paura esce dai confini della produzione minore per divenire fenomeno
di rilievo culturale.
Negli Stati Uniti intanto il genere ha riconquistato lentamente il
pubblico grazie soprattutto all'attività di Roger Corman e della sua
American International Picture, che produce a ritmo serratissimo pellicole
su pellicole, realizzate a basso costo e con ogni sorta di espedienti
strizzando l'occhio a Edgar Allan Poe e alla stessa Hammer. L'ispirazione
gotico-classicheggiante della scuola italiana e di Corman, presto
ripresa in tutto il mondo, porta in breve a una nuova fase discendente
del genere, che comincia a produrre horror erotici o parodistici.
Il nuovo corso del terrore comincia realmente solo nel 1968: in quest'anno
escono Rosemary's Baby di Roman Polanski e La notte dei
morti viventi di George A. Romero. Il primo mostra per la prima
volta l'orrore in un contesto di quotidianità borghese, mentre il
secondo inaugura la tendenza a mostrare chiaramente violenze estreme
fino ad allora appena suggerite. Tutte le opere successive sono debitrici
di questi due modelli: da una parte le grandi produzioni per il box-office
-L'esorcista (1973), Il presagio (1976), Poltergeist
(1982)- dominate dall'irruzione del demoniaco e dell'irrazionale che
minacciano la famiglia, elemento cardine della stabilità sociale;
dall'altra gli splatter selvaggi e irriverenti, per un pubblico di
giovani e giovanissimi, che capovolgono il discorso, come nel caso
delle famiglie cannibali di Non aprite quella porta (1974)
e Le colline hanno gli occhi (1976).
A livello individuale, il cinema horror trova nuovi maestri. John
Carpenter sottolinea le metafore politiche del genere con soluzioni
stilistiche più innovative e dirige il prototipo del sottogenere imperniato
su metafisici serial killer in Halloween: la notte delle streghe
(1978); Wes Craven inventa la serie Nightmare e in seguito
tenta ironici esperimenti metafilmici; David Cronenberrg crea invece
un'estetica personalissima di mutazioni carnali e di ossessioni tecnologiche
di fine millennio. Ora che anche le tendenze più sanguinolente hanno
incontrato la loro nemesi nel parossismo autoironico del cinema di
Frank Henenlotter e di Peter Jackson, forse il futuro del genere consiste
nell'affossamento di tutti gli schemi e di tutte le attese, nel ritorno
a una poetica autonoma come quella degli espressionisti tedeschi degli
anni '20. Così almeno lascia pensare The Kingdom - Il Regno
(1994) del danese Lars Von Trier, capolavoro sregolato e unica opera
capace di aprire una prospettiva diversa sull'orrore puro del terzo
millennio.